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Revista Finlay: Avisos
2024-03-17T12:19:33-04:00
Open Journal Systems
<p><img src="https://ucarecdn.com/6b763de2-8568-43f5-a694-1f4c5d8405cf/anuncio_tabaco_2.jpg" alt="" width="321" height="500" /></p><p><a href="http://www.seriadascubanas.cult.cu/publicaci%C3%B3n-seriada/finlay-0" target="_blank">Publicación Seriada Científico-Tecnológica</a> con el código: <span style="text-decoration: underline;">1343212</span></p><p><img src="data:image/jpeg;base64,/9j/4AAQSkZJRgABAQEAYABgAAD/4RDiRXhpZgAATU0AKgAAAAgABAE7AAIAAAAIAAAISodpAAQAAAABAAAIUpydAAEAAAAQAAAQyuocAAcAAAgMAAAAPgAAAAAc6gAAAAgAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAE1pa2hhaWwAAAWQAwACAAAAFAAAEKCQBAACAAAAFAAAELSSkQACAAAAAzc2AACSkgACAAAAAzc2AADqHAAHAAAIDAAACJQAAAAAHOoAAAAIAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA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https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/862
Obesidad: Tendencias mundiales en bajo peso y obesidad de 1990 a 2022
2024-03-17T12:19:33-04:00
Revista Finlay
<p>Las cifras indican que, desde 1990, la obesidad se ha duplicado con creces entre los adultos y se ha multiplicado por cuatro entre los niños y los adolescentes (considerando como tales a los que tienen entre 5 y 19 años). Los países con el mayor número absoluto de adultos con obesidad en el año 2022 fueron los Estados Unidos de América, China e India.</p><p>En el estudio <a title="Documento en .pdf, 6.85 MB" href="https://www.thelancet.com/action/showPdf?pii=S0140-6736%2823%2902750-2" rel="noopener noreferrer" target="_blank"><strong>Worldwide trends in underweight and obesity from 1990 to 2022: a pooled analysis of 3663 population representative studies with 222 million children, adolescents, and adults</strong></a>, publicado en la revista <em><a title="Visitar el sitio" href="http://www.thelancet.com/" rel="noopener noreferrer" target="_blank">The Lancet</a></em> en febrero del 2024, los autores se propusieron estimar la prevalencia individual y combinada de la insuficiencia ponderal o delgadez y la obesidad, y sus cambios, desde 1990 hasta 2022 para los adultos y los niños y los adolescentes en edad escolar en 200 países y territorios.</p><p>Para ello se utilizaron los datos de 3 663 estudios poblacionales, con 222 millones de participantes, que midieron la altura y el peso en muestras representativas de la población general. Emplearon un modelo jerárquico bayesiano para estimar las tendencias en la prevalencia de las diferentes categorías del índice de masa corporal (IMC), por separado para los adultos (edad ≥20 años) y los niños y los adolescentes en edad escolar (edad 5-19 años), desde 1990 hasta 2022 para 200 países y territorios.</p><p>Para los adultos, se describió la prevalencia individual y combinada de la insuficiencia ponderal (IMC <18-5 kg/m²) y la obesidad (IMC ≥30 kg/m²). Para los niños y los adolescentes en edad escolar, se determinó la delgadez (IMC <2 desviaciones estándar, DE, por debajo de la mediana de la referencia de crecimiento de la <a title="Visitar el sitio" href="http://www.who.int/es/" rel="noopener noreferrer" target="_blank">Organización Mundial de la Salud</a>) y la obesidad (IMC >2 DE por encima de la mediana).</p><p>Los investigadores encontraron que, de 1990 a 2022, la prevalencia combinada de la insuficiencia ponderal y la obesidad en adultos disminuyó en 11 países (6 %) en el caso de las mujeres y en 17 (9 %) en el de los hombres, con una probabilidad estimada de al menos 0.80 de que los cambios observados fueran disminuciones reales.</p><p>La prevalencia combinada aumentó en 162 países (81 %) en el caso de las mujeres y en 140 países (70 %) en el caso de los hombres, con una probabilidad estimada de al menos 0.80.</p><p>En 2022, la prevalencia combinada de la insuficiencia ponderal y la obesidad fue mayor en las naciones insulares del Caribe y Polinesia y Micronesia, y en los países de Oriente Medio y el norte de África.</p><p>Durante 2022, la prevalencia de la obesidad fue superior a la de insuficiencia ponderal con una probabilidad estimada de al menos 0.80 en 177 países (89 %) para las mujeres y 145 (73 %) para los hombres, mientras que lo contrario ocurría en 16 países (8 %) para las mujeres y 39 (20 %) para los hombres.</p><p>De 1990 a 2022, la prevalencia combinada de la delgadez y la obesidad disminuyó entre las niñas de 5 países (3 %) y entre los niños de 15 países (8 %) con una probabilidad estimada de al menos 0.80, y aumentó entre las niñas de 140 países (70 %) y entre los niños de 137 países (69 %) con una probabilidad estimada de al menos 0.80.</p><p>Los países con mayor prevalencia combinada de la delgadez y la obesidad en los niños y los adolescentes en edad escolar en 2022 se encontraban en Polinesia y Micronesia y el Caribe para ambos sexos, y Chile y Qatar para los chicos.</p><p>La prevalencia combinada también fue alta en algunos países del sur de Asia, como India y Pakistán, donde la delgadez siguió siendo prevalente a pesar de haber disminuido.</p><p>En 2022, la obesidad en los niños y los adolescentes en edad escolar era más prevalente que la delgadez, con una probabilidad estimada de al menos 0.80 entre las niñas en 133 países (67 %) y los niños en 125 países (63 %), mientras que ocurría lo contrario en 35 países (18 %) y 42 países (21 %), respectivamente.</p><p>En casi todos los países, tanto para los adultos como para los niños en edad escolar y los adolescentes, los aumentos de la doble carga fueron impulsados por los aumentos de la obesidad, y las disminuciones de la doble carga por la disminución del bajo peso o la delgadez.</p><p>De acuerdo a estos resultados, los autores concluyen que la carga combinada de la insuficiencia ponderal y de la obesidad ha aumentado en la mayoría de los países, impulsada por el incremento de la obesidad, mientras que la insuficiencia ponderal y la delgadez siguen siendo prevalentes en el sur de Asia y en partes de África.</p><p>Es necesaria una transición nutricional saludable que mejore el acceso a alimentos nutritivos para hacer frente a la carga restante de la insuficiencia ponderal y, al mismo tiempo, frenar e invertir el aumento de la obesidad.</p><p>Estos hallazgos, resultan los autores, tienen dos implicaciones. En primer lugar, existe una necesidad urgente de prevención de la obesidad, apoyando la pérdida de peso y reduciendo el riesgo de enfermedad (mediante el tratamiento de los mediadores de sus peligros, como la hipertensión y la hipercolesterolemia) en las personas con obesidad. La prevención y el tratamiento son especialmente importantes porque la edad de inicio de la obesidad ha disminuido, lo que aumenta la duración de la exposición.</p><p>En segundo lugar, debe abordarse la carga restante de la insuficiencia ponderal, especialmente en el sur y el sureste de Asia, y en partes de África, donde persiste la inseguridad alimentaria. Los resultados muestran que esta necesidad no puede considerarse de forma aislada, ya que la transición de la insuficiencia ponderal a la obesidad puede producirse rápidamente, dejando su carga combinada sin cambios o más elevada.</p><p>Ver texto completo del artículo en:</p><p class="article-header__title smaller"><em><a href="https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(23)02750-2/fulltext?dgcid=linkedin_organic_lancet_lancet&utm_campaign=lancet&utm_content=284413442&utm_medium=social&utm_source=linkedin&hss_channel=lcp-1155238" rel="noopener" target="_blank">NCD Risk Factor Collaboration (NCD-RisC). Worldwide trends in underweight and obesity from 1990 to 2022: a pooled analysis of 3663 population-representative studies with 222 million children, adolescents, and adults. <span class="bulleted"><span class="article-header__access">Open Access </span></span></a></em><span class="article-header__publish-date bulleted"><em><span class="article-header__publish-date__label">Published:</span></em><span class="article-header__publish-date__value"><em>February 29, 2024</em>. </span></span><span class="article-header__doi bulleted"><span class="article-header__doi__label">DOI:</span><a class="article-header__doi__value" href="https://doi.org/10.1016/S0140-6736(23)02750-2" rel="noopener" target="_blank">https://doi.org/10.1016/S0140-6736(23)02750-2</a></span></p>
2024-03-17T12:19:33-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/861
Hipertensión arterial: Uso del amlodipino en el manejo de la hipertensión arterial
2024-02-26T00:00:00-05:00
Revista Finlay
<p>La hipertensión arterial es la principal causa de muerte en todo el mundo y afecta a 1 400 millones de personas. Las opciones de tratamiento incluyen los <strong>bloqueadores de los canales de calcio</strong>, ampliamente utilizados, entre los cuales el <a href="https://medlineplus.gov/spanish/druginfo/meds/a692044-es.html" rel="noopener" target="_blank">amlodipino</a> (una dihidropiridina), tiene características únicas que la distinguen de otros fármacos de esta clase.</p><p>Esta revisión tiene como objetivo proporcionar una visión general actualizada de la evidencia que respalda el uso de amlodipino durante los últimos 30 años y destaca sus beneficios cardiovasculares en el tratamiento actual de la hipertensión.</p><p>El amlodipino tiene un aclaramiento renal bajo (7 ml/min/mg) y una vida media larga (35 a 50 horas) y duración de la acción, lo que le permite mantener su efecto antihipertensivo durante más de 24 h después de una dosis única.</p><p>Además, el control de la presión arterial (PA) se mantiene incluso cuando se omite una dosis, proporcionando protección continua en caso de incumplimiento incidental. Ha demostrado reducir la variabilidad de la PA y reducirla con éxito.</p><p>El amlodipino también controla la PA en pacientes con una PA sistólica/diastólica de 130/80 mm Hg o más, diabetes o enfermedad renal crónica sin empeorar la función glucémica o renal. Además, el amlodipino es una buena elección para los adultos mayores debido a su capacidad para controlar la presión arterial y proteger contra accidentes cerebrovasculares e infartos de miocardio.</p><p>Los <strong>efectos secundarios</strong> de este antihipertensivo incluyen edema, palpitaciones, mareos y enrojecimiento, que son más comunes con la dosis más alta de 10 mg.</p><p>Vea el texto completo en:</p><p><a href="https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10497034/" rel="noopener" target="_blank"><em>Wang JG, Palmer BF, Vogel Anderson K, Sever P. Amlodipine in the current management of hypertension. J Clin Hypertens (Greenwich). 2023 Sep;25(9):801-807. doi: 10.1111/jch.14709. Epub 2023 Aug 7.</em></a></p>
2024-02-26T00:00:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/860
Hipertensión arterial: La OPS publica un compendio de herramientas para mejorar el manejo del riesgo cardiovascular y de la hipertensión en las Américas
2024-02-01T00:00:00-05:00
Revista Finlay
La Organización Panamericana de la Salud (OPS) publicó recientemente el <a href="https://iris.paho.org/handle/10665.2/59240" rel="noopener" target="_blank">Compendio de herramientas clínicas esenciales 2023 de HEARTS en las Américas</a>, un conjunto de recursos para ayudar a los equipos de salud a mejorar el manejo del riesgo cardiovascular y de la hipertensión en la atención primaria de salud en la región.<p>El compendio comprende herramientas para facilitar la medición precisa de la presión arterial, el diagnóstico de la hipertensión, la iniciación o ajuste del tratamiento, así como la evaluación del riesgo de complicaciones cardiovasculares. Las herramientas están diseñadas para ser fáciles de usar y comprender, y están disponibles en español e inglés.</p><p>La hipertensión es el principal factor de riesgo de las enfermedades cardiovasculares, la principal causa de muerte en las Américas según datos de la OPS. Actualmente, se estima que solo el 36% de los adultos con hipertensión en la región tienen su presión arterial bajo control. Aumentar esta cifra al 50% podría ayudar a prevenir alrededor de 400.000 muertes relacionadas con la cardiopatía isquémica y la enfermedad cerebrovascular.</p><p>“El manejo adecuado de la hipertensión y del riesgo cardiovascular es clave para prevenir o retrasar graves problemas de salud e incluso muertes prematuras por ataques cardíacos, accidentes cerebrovasculares, enfermedad renal crónica, complicaciones de la diabetes y demencia”, señaló Pedro Ordúñez, asesor de enfermedades cardiovasculares de la OPS. «Este compendio es una herramienta valiosa que puede ayudar a los equipos de salud a mejorar el control de la hipertensión y salvar vidas», agregó.</p><p>El compendio surge a partir de la implementación de la iniciativa HEARTS en las Américas, una estrategia global de la Organización Mundial de la Salud (OMS) que, desde 2016, la OPS impulsa en la región para apoyar a los países a mejorar la salud cardiovascular. Hasta ahora, 33 países de la región y más de 4.000 unidades de atención primaria salud se han comprometido con la implementación de HEARTS, y la OPS ha desarrollado una variedad de recursos técnicos para respaldar estos esfuerzos.</p><p>Un <a href="https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38041725/" rel="noopener" target="_blank">artículo</a> de revisión de HEARTS en las Américas, publicado en diciembre pasado en la revista <em>Current Hypertension Reports </em>pone énfasis en el papel de los sistemas de salud y específicamente de la atención primaria para mejorar la salud cardiovascular y el control de la hipertensión.</p><p>Este análisis destaca los resultados alentadores de la implementación de HEARTS, evidenciando un aumento en la cobertura y control de la hipertensión en comparación con el modelo tradicional. El artículo concluye que HEARTS es una iniciativa prometedora con el potencial de reducir la carga de enfermedades no trasmisibles en la región.</p><p><a href="https://iris.paho.org/handle/10665.2/59240" rel="noopener" target="_blank">Acceda al documento desde aquí.</a></p>
2024-02-01T00:00:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/859
Hipertensión arterial: HTA: el umbral sigue en 140/90, pero con objetivos más firmes
2024-01-30T00:00:00-05:00
Revista Finlay
Había gran expectación por conocer en qué cifras situarían los especialistas europeos el umbral de la hipertensión.<p>Sus colegas estadounidenses propusieron en noviembre con la última actualización de sus pautas de práctica clínica calificar de hipertenso a todo aquel a partir de los 130/80 mm Hg. Esa reducción de 10 mm Hg con respecto a la definición anterior ha hecho aflorar repentinamente a 32 millones de estadounidenses aquejados de la enfermedad silente. Con tal criterio, la mitad de la población occidental sería hipertensa. Las razones aducidas para ese cambio, según uno de sus impulsores, Paul K. Whelton, epidemiólogo de la Universidad Tulane, en Nueva Orleans, es que el riesgo cardiovascular en los 130-139 mm Hg ya es suficientemente alto como para merecer una llamada de atención que se concrete en estrategia terapéutica.</p><p>Sin embargo, la<strong> <a class="nuevaVentana" title="Sociedad Europea de Hipertensión (se abre en una nueva ventana)" href="http://www.eshonline.org/">Sociedad Europea de Hipertensió</a><a class="nuevaVentana" title="Sociedad Europea de Hipertensión (se abre en una nueva ventana)" href="http://www.eshonline.org/">n</a></strong> ha decidido mantener el umbral en 140/90. “No hay evidencia científica sólida que demuestre que tratar a las personas que están en la franja anterior -lo que para nosotros es presión normal alta- si tienen riesgo cardiovascular bajo vaya a reducir la incidencia de eventos y de mortalidad”, dice uno de los artífices de las guías europeas, Antoni Coca, director de la Unidad de Hipertensión del Hospital Clínico de Barcelona. Otro de los autores, Josep Redón, jefe del Servicio de Medicina Interna del Hospital Clínico de Valencia, coincide en que esa variación del umbral supondría un aumento significativo de la carga asistencial relacionada con la hipertensión, sin la certeza de una mayor reducción de complicaciones cardiovasculares.</p><p><strong>Discrepancias mínimas</strong></p><p>Con todo, más allá de las diferencias en la definición de la enfermedad, las discrepancias entre ambas guías son mínimas, “semánticas”, comenta Whelton, “pues los mensajes claves son muy similares; por otro lado, algo lógico pues todos estamos mirando los mismos datos”.</p><p>La hipertensión arterial (HTA) es el principal factor de riesgo evitable de infartos e ictus, solo después del tabaco. Su prevalencia se sitúa, según las estimaciones más prudentes, en más del 25 por ciento de la población europea, lo que elevaría la cifra a más de 185 millones de personas. Lo que más preocupa a quienes han recibido el encargo de actualizar las guías europeas de 2013 es que el porcentaje de pacientes controlados es de solo el 50 por ciento. Eso supone que no se está atajando el riesgo cardiovascular asociado en la mitad de afectados. Por ello, aunque se mantiene el umbral de la HTA, se persiguen objetivos terapéuticos más ambiciosos, con abordajes menos conservadores en determinados grupos.</p><p>El primer paso para lograr un mejor manejo es un buen diagnóstico, que se consigue con una medida adecuada de la presión arterial. Josep Redón ha sido el encargado de exponer en el congreso anual de la Sociedad Europea de Hipertensión, celebrado en Barcelona, las novedades en este apartado. “Se recomienda la toma de tensión fuera de la consulta para certificar que un paciente es hipertenso”, resume.</p><p><strong>MAPA de 24 horas</strong></p><p>En el nuevo documento no se expresa preferencia por ninguna de las dos opciones principales: automedida domiciliaria o la monitorización ambulatoria de la presión arterial (MAPA) de 24 horas. “La elección dependerá de la disponibilidad”, aclara el experto, quien añade que “las medidas clínicas repetidas y realizadas de forma adecuada” siguen considerándose válidas. No obstante, en casos concretos, como los pacientes con diabetes o con enfermedad renal crónica, así como ante la sospecha de hipertensión de<em> bata blanca</em> o enmascarada, se prefiere la medida ambulatoria.</p><p>De hecho, es habitual que en la consulta la medición no se haga de la forma correcta, según Coca. “Todos estamos de acuerdo en que hay que mejorar la medida de la presión en la consulta. Es un problema de tiempo y recursos. Entre las condiciones óptimas estarían el descanso previo; una habitación cómoda y aislada; contar con personal entrenado que realice la medición en silencio, con una posición adecuada y mediante un aparato semiautomático, que recoja cifras cada tres minutos y arroje un promedio final. Es la única forma de garantizar la reproducibilidad de la medida y de evitar el efecto bata blanca, presente en un tercio de la población”.</p><p>Algunos especialistas, como Teresa Gijón, médica de familia y vocal de la junta directiva de la <a class="nuevaVentana" title="Sociedad Española de Hipertensión-Liga Española para la Lucha contra la Hipertensión Arterial (se abre en una nueva ventana)" href="https://www.seh-lelha.org/">Sociedad Española de Hipertensión-Liga Española para la Lucha contra la Hipertensión Arterial</a> (SEH-Lelha), echan en falta un pronunciamiento más firme a favor de la MAPA de 24 horas. No obstante, reconoce que no siempre existen los recursos para realizarla.</p><p><strong>Lesión de órgano diana</strong></p><p>Otra variación con respecto a las anteriores guías es que estimulan al clínico a buscar la lesión silente de órgano diana, que estrena nueva nomenclatura: HMOD (HTA mediated organ damage). “Por razones de coste-efectividad, siempre hay que hacer un electrocardiograma y medir la excreción urinaria de albúmina para descartar hipertrofia del ventrículo izquierdo y lesión del endotelio. También, siempre que sea posible, se invita a avanzar en ese estudio, por ejemplo, con un ecocardiograma”. De esta forma, se redefine el riesgo en un grupo importante de sujetos, según Coca.</p><p>Los expertos en la materia consideran que el nuevo documento, que ha sido elaborado junto con la <a class="nuevaVentana" title="Sociedad Europea de Cardiología (se abre en una nueva ventana)" href="https://www.escardio.org/"><strong>Sociedad Europea de Cardiología</strong></a> y se publicará en las revistas de las dos sociedades el 25 de agosto, se enmarca en la tendencia generalizada en medicina de individualizar el manejo del paciente.</p><p>Esto se plasma, por ejemplo, en los objetivos de presión arterial de los mayores, a los que tradicionalmente se trataba de forma menos agresiva, considerándose aceptable una cifra de hasta 150 mm Hg de presión sistólica en ciertos casos. Según Gijón, “ahora ya no se propone un abordaje tan conservador para el anciano y se hace hincapié en la edad biológica, no la cronológica”. Por lo tanto, más que los años, se tienen en cuenta la fragilidad, la independencia y la tolerancia del tratamiento.</p><p>No obstante, Vicente Arrarte, presidente electo de la Sección de Riesgo Vascular y Rehabilitación Cardiaca de la <a class="nuevaVentana" title="Sociedad Española de Cardiología (se abre en una nueva ventana)" href="https://secardiologia.es/">Sociedad Española de Cardiología</a> (SEC), puntualiza que las guías americanas son más agresivas en los objetivos de presión arterial de ciertos colectivos. “Aquí somos más prudentes, pensando en el paciente anciano, en los diabéticos y en la comorbilidad de bajar demasiado la tensión, sobre todo en los pacientes con enfermedad renal”, recalca.</p><p>La terapia farmacológica , junto con las recomendaciones en el estilo de vida, es un pilar fundamental frente a la hipertensión. En palabras de Gijón, las directrices renovadas “simplifican mucho las pautas de tratamiento para mejorar la adherencia”. De entrada, aconsejan comenzar la terapia con dos fármacos, salvo contadas excepciones. Ahora bien, para potenciar el cumplimiento proponen que sean administrados en un solo comprimido. El siguiente escalón, la terapia triple, se lograría con dos pastillas y, finalmente, para la hipertensión más complicada bastaría con dos.</p><p><strong>Inicio de la medicación</strong></p><p>En cuanto a los objetivos terapéuticos y la decisión de iniciar la terapia farmacológica, se fijan con dos premisas: las pautas de estilo de vida deben estar siempre presentes y la tolerancia debe guiar la administración de medicamentos. Con estas bases, en individuos con presión normal alta (sistólica entre 130 y 139 mm Hg) se aconseja iniciar tratamiento farmacológico de forma inmediata solo cuando se trata de pacientes de muy alto riesgo, es decir, con enfermedad cardiovascular establecida.</p><p>Ante la existencia de HTA de grado uno (sistólica entre 140 y 159 mm Hg), el tratamiento inmediato se recomienda en pacientes con riesgo alto o muy alto con enfermedad cardiovascular, enfermedad renal o HMOD. En este grupo se propone comenzar con medidas dietéticas y actividad física durante 3-6 meses y, si en ese plazo no es posible controlar la HTA, iniciar el empleo de medicamentos.</p><p>Finalmente, en HTA de grados 2 y 3 se requiere tratamiento farmacológico inmediato de todos los pacientes, con el objetivo de alcanzar el control de la enfermedad en el plazo de tres meses. Si en ese periodo no se obtienen los resultados esperados, se debe cambiar la terapia y puede optarse por añadir espironolactona.</p><p>enero 16/2024 (diariomedico.com)</p>
2024-01-30T00:00:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/858
Hipertensión arterial: La OMS detalla, en un primer informe sobre la hipertensión arterial, los devastadores efectos de esta afección y maneras de ponerle coto
2024-01-15T00:00:00-05:00
Revista Finlay
<p>La Organización Mundial de la Salud (OMS) ha publicado su primer informe sobre los efectos devastadores a escala mundial de la hipertensión arterial, que incluye además recomendaciones sobre cómo vencer a este asesino silencioso. Según el informe, aproximadamente cuatro de cada cinco personas con hipertensión arterial no reciben un tratamiento adecuado; con todo, si los países logran ampliar la cobertura, podrían evitarse 76 millones de muertes entre 2023 y 2050.</p><p>La hipertensión arterial afecta a uno de cada tres adultos en todo el mundo. Esta afección, frecuente y mortal, causa accidentes cerebrovasculares, infartos de miocardio, insuficiencia cardiaca, daños renales y muchos otros problemas de salud.</p><p>El número de personas con hipertensión arterial (una presión arterial de 140/90 mmHg o superior o que toman medicamentos para la hipertensión arterial) se duplicó entre 1990 y 2019, pasando de 650 millones a 1300 millones. Casi la mitad de las personas con hipertensión arterial en todo el mundo desconocen actualmente que sufren esta afección. Más de tres cuartas partes de los adultos con hipertensión arterial viven en países de ingreso mediano y bajo.</p><p>Aunque la edad avanzada y la genética pueden aumentar el riesgo de sufrir hipertensión arterial, factores de riesgo modificables, como una dieta elevada en sal, la falta de actividad física o un consumo excesivo de alcohol, también pueden aumentar este riesgo.</p><p>Introducir cambios en el modo de vida, por ejemplo, adoptar una dieta más saludable, dejar de fumar y practicar más actividad física, pueden ayudar a reducir la tensión arterial. Algunas personas tal vez necesiten medicamentos para controlar de manera eficaz la hipertensión arterial y prevenir complicaciones conexas.</p><p>La prevención, la detección precoz y el manejo eficaz de la hipertensión arterial son algunas de las intervenciones más eficaces en relación con los costos en materia de atención de la salud, y los países deben priorizarlas como parte del conjunto nacional de prestaciones de salud que ofrecen a nivel de la atención primaria. Los beneficios económicos de unos programas de tratamiento de la hipertensión arterial mejorados superan los costos en una proporción aproximada de 18 a 1.</p><p>«Aunque la hipertensión puede controlarse de manera efectiva mediante unos medicamentos simples y de bajo costo, solamente una de cada cinco personas con hipertensión arterial la tiene bajo control», declaró el Dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus, Director General de la OMS «Los programas de control de la hipertensión arterial siguen sin recibir la atención que merecen, apenas se les da prioridad y su financiación está muy por debajo de lo necesario. Fortalecer el control de la hipertensión arterial debe formar parte de las actuaciones que todos los países han de implementar en pro de la cobertura sanitaria universal, sobre la base de unos sistemas de salud que funcionen adecuadamente, sean equitativos y resilientes y estén fundamentados en la atención primaria de la salud».</p><p>El informe se presentará durante el septuagésimo octavo periodo de sesiones de la Asamblea General de las Naciones Unidas, en el que se abordarán los avances realizados en la consecución de los Objetivos de Desarrollo Sostenible, incluidos los objetivos de salud relacionados con la preparación y respuesta frente a pandemias, el fin de la tuberculosis y la cobertura sanitaria universal. Una mejor prevención y control de la hipertensión arterial será clave para avanzar en todos ellos.</p><p>Un aumento en el número de pacientes tratados eficazmente contra la hipertensión arterial hasta llegar a los niveles observados en países con un elevado nivel de resultados podría prevenir, entre ahora y 2050, 76 millones de fallecimientos, 120 millones de accidentes cerebrovasculares, 79 millones de infartos de miocardio y 17 millones de casos de insuficiencia cardiaca.</p><p>«La mayoría de los infartos de miocardio y de los accidentes cerebrovasculares que se producen en la actualidad pueden prevenirse mediante medicamentos asequibles, seguros y accesibles y otras intervenciones, como la reducción del sodio», señaló Michael R. Bloomberg, Embajador Mundial de la OMS para las Enfermedades No Transmisibles y los Traumatismos. «Tratar la hipertensión arterial en la atención primaria de salud salvará vidas, y permitirá además ahorrar miles de millones de dólares al año».</p><p>La hipertensión arterial se puede tratar fácilmente con medicamentos genéricos seguros, ampliamente disponibles y de bajo costo, por medio de programas como el programa <a href="https://www.who.int/publications/i/item/9789240001367" rel="noopener" target="_blank" data-sf-ec-immutable="">HEARTS</a>. Este paquete técnico de la OMS para el manejo de las enfermedades cardiovasculares en la atención primaria de salud y la <a href="https://www.who.int/es/publications/i/item/9789240033986" rel="noopener" target="_blank" data-sf-ec-immutable="">Directriz para el tratamiento farmacológico de la hipertensión en adultos</a> proporcionan una serie de medidas prácticas de eficacia probada para prestar unos cuidados eficaces para la hipertensión arterial en entornos de atención primaria de salud.</p><p>Controlar eficazmente la presión arterial tanto a nivel comunitario como nacional en países de ingreso de todo tipo es posible. Más de 40 países de ingreso mediano y bajo, incluidos Bangladesh, Cuba, la India y Sri Lanka, han fortalecido sus cuidados para la hipertensión arterial gracias al paquete HEARTS, y han inscrito a más de 17 millones de personas en programas de tratamiento. Países como el Canadá y Corea del Sur ofrecieron programas nacionales integrales para el tratamiento de la hipertensión arterial y, en ambos casos, se sobrepasó el índice del 50% para el control de la presión arterial en adultos con hipertensión arterial. Unos programas nacionales sostenidos y sistemáticos de control de la hipertensión arterial pueden tener éxito, y un mayor nivel de control de la presión arterial conlleva menos accidentes cerebrovasculares e infartos de miocardio, y una vida más larga y saludable.</p><p>El informe subraya la importancia de implementar las medidas recomendadas por la OMS para una atención eficaz de la hipertensión arterial que permita salvar vidas, y que incluyen los siguientes cinco componentes:</p><ul><li>Protocolo: unos protocolos prácticos de tratamiento en los que se especifiquen las dosis y los medicamentos, acompañados de medidas específicas para manejar la presión arterial no controlada, pueden agilizar la atención y mejorar el cumplimiento terapéutico.</li><li>Suministro de medicamentos y equipos: el acceso periódico e ininterrumpido a medicamentos asequibles es necesario para un tratamiento eficaz de la hipertensión; actualmente, la variación de un país a otro en el precio de los medicamentos esenciales contra la hipertensión arterial es de más de diez veces.</li><li>Atención en equipo: los resultados para el paciente mejoran cuando se trabaja en equipo para ajustar e intensificar las pautas de los medicamentos contra la presión arterial, de acuerdo con las instrucciones y los protocolos del facultativo.</li><li>Servicios centrados en el paciente: proporcionar unas pautas terapéuticas que sean fáciles de cumplir, la gratuidad de los medicamentos, programar visitas de seguimiento cerca del hogar y facilitar el acceso a sistemas de monitoreo de la presión arterial reduce los obstáculos a la atención.</li><li>Sistemas de información: unos sistemas de información sencillos y centrados en el usuario facilitan el registro rápido de datos esenciales del paciente, reducen la carga para los trabajadores de la salud a la hora de introducir los datos y ayudan a ampliar rápidamente las actuaciones, manteniendo o mejorando al mismo tiempo la calidad de la atención.</li></ul><p>«Cada hora, más de 1000 personas mueren de accidentes cerebrovasculares e infartos de miocardio. Muchas de estas muertes se deben a la hipertensión arterial, y la mayoría podrían haberse evitado», declaró el Dr. Tom Frieden, Presidente y Director Ejecutivo de Resolve to Save Lives. «Unos buenos cuidados contra la hipertensión arterial son asequibles, están a nuestro alcance y fortalecen la atención primaria de salud. El desafío al que nos enfrentamos hoy es que estos cuidados dejen simplemente de estar a nuestro alcance para poder decir que ya los ofrecemos, para lo cual será necesario el compromiso de los gobiernos de todo el mundo».</p><p><a href="https://www.who.int/publications/i/item/9789240001367" rel="noopener" target="_blank" data-sf-ec-immutable="">Aquí encontrará más información sobre los efectos a escala mundial de la hipertensión arterial y sobre el paquete HEARTS de medidas de control.</a></p><p><a href="https://www.who.int/teams/noncommunicable-diseases/hypertension-report" rel="noopener" target="_blank">Puede leer el informe completo aquí</a>.</p><h3>Notas para los redactores</h3><p>La OMS se ha asociado con <a href="https://resolvetosavelives.org/" rel="noopener" target="_blank" data-sf-ec-immutable="">Resolve to Save Lives</a>, una organización sin fines de lucro, para ayudar a países de todo el mundo a aplicar el paquete técnico HEARTS, un enfoque estratégico gradual que tiene como objetivo prestar asistencia a los países para que fortalezcan la atención de la hipertensión arterial en entornos de atención primaria de salud e incluye, entre otras medidas, protocolos de detección y tratamiento. Desde 2017, Bloomberg Philanthropies ha apoyado las iniciativas que la OMS y Resolve to Save Lives llevan a cabo a escala mundial para salvar vidas. </p><p>Michael R. Bloomberg, fundador de Bloomberg LP y Bloomberg Philanthropies, es el <a href="https://www.who.int/teams/social-determinants-of-health/ambassador-programme-for-ncds-and-injuries#:~:text=Through%20the%20Ambassadorship%2C%20Michael%20Bloomberg%20works%20with%20governments%2C,achieved%20when%20effective%20interventions%20are%20put%20in%20place." rel="noopener" target="_blank">Embajador Mundial de la OMS para las Enfermedades No Transmisibles y los Traumatismos</a> desde 2016. Las inversiones de Bloomberg Philanthropies en el ámbito de la salud pública abarcan importantes iniciativas que salvan vidas encaminadas a reducir el consumo de tabaco y el de cigarrillos electrónicos entre los jóvenes, a través de unas <a href="https://www.bloomberg.org/public-health/reducing-tobacco-use/" rel="noopener" target="_blank" data-sf-ec-immutable="">inversiones por valor de US$ 1580 millones</a>, promover unas políticas alimentarias saludables, reducir los ahogamientos y mejorar la seguridad vial y la salud materna, entre otras cuestiones. En julio de 2022, Bloomberg Philanthropies <a href="https://www.bloomberg.org/press/bloomberg-philanthropies-invests-additional-115-million-in-resolve-to-save-lives-to-continue-preventing-deaths-from-heart-disease/" rel="noopener" target="_blank" data-sf-ec-immutable="">invirtió US$ 115 millones adicionales</a> en su iniciativa de salud cardiovascular —lo que elevó su inversión total a US$ 216 millones desde 2017—, a fin de seguir previniendo fallecimientos debidos a enfermedades cardiacas.</p><p>Tomado de:<a href="https://www.paho.org/es/noticias/19-9-2023-oms-detalla-primer-informe-sobre-hipertension-arterial-devastadores-efectos-esta" target="_blank">Pagina OMS</a></p>
2024-01-15T00:00:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/857
Enfermedades del sistema nervioso: La musicoterapia mejora la recuperación cognitiva tras un ictus y previene la depresión, según un experto
2023-12-02T00:00:00-05:00
Revista Finlay
<p>La musicoterapia mejora la recuperación cognitiva en pacientes que han sufrido un ictus y padecen demencias, previene la depresión y, además, puede ser beneficiosa para mejorar la marcha, la motricidad y la función ejecutiva en algunos pacientes, según el miembro de la Sociedad Española de Neurología (SEN), el doctor Moisés León Ruiz.</p><p><em>En los últimos 20 años se han realizado numerosos estudios para evaluar los efectos de la musicoterapia en la neurorrehabilitación y se han encontrado resultados positivos en ictus y demencias, principalmente, pero también en el abordaje de la enfermedad de Parkinson, esclerosis múltiple, epilepsia, o trastornos del nivel de consciencia, entre otros</em>, ha explicado el experto.</p><p>Aunque todavía no se conocen por completo los procesos neuroestructurales desencadenados o potenciados por la musicoterapia, el neurólogo expresa que <em>parece</em> que su utilización mejora<em> la activación neuronal, la neurorregulación, el aprendizaje y la neuroplasticidad</em>.</p><p>En este sentido, continua, también se han realizado numerosos estudios sobre la aplicación de la musicoterapia en pacientes con demencias, especialmente en casos de pacientes con enfermedad de Alzheimer y con demencia vascular.</p><p>Los estudios parecen mostrar que cantar y/o escuchar música, junto con estimulación cognitiva y/o ejercicio físico, mejora el rendimiento cognitivo general y las actividades de la vida diaria. Además, la musicoterapia también parece ser efectiva para mejorar los <em>síntomas neuropsiquiátricos, como la depresión, la ansiedad y la agitación psicomotriz que suelen padecer estas personas</em>, ha afirmado.</p><p><strong> Efectos sobre la epilepsia</strong></p><p>Por otra parte, también se ha estudiado el efecto antiepiléptico de la música, posiblemente por su capacidad para regular el sistema dopaminérgico. Así, un estudio realizando con niños y adultos que padecían epilepsia mostró más de un 24 por ciento de reducción media de la actividad epiléptica en estos pacientes. Otros estudios también han descrito su utilidad en pacientes en estado epiléptico no convulsivo o con encefalopatías epilépticas farmacorrefractarias.</p><p>Asimismo, en pacientes en estado vegetativo persistente, la musicoterapia podría reducir de forma significativa la tensión arterial sistólica/diastólica, además de generar un aumento del contacto visual.</p><p>En casos en estado de mínima consciencia, otros estudios han observado un incremento del contacto visual, la sonrisa y el uso comunicativo instrumental y vocal, así como una disminución de las expresiones de molestia y sufrimiento.</p><p><em>Aunque la aplicación de la musicoterapia en neurorrehabilitación se encuentra aún en fase de investigación, desarrollo e implementación, parece claro es que es una técnica complementaria que motiva a los pacientes e implica a los familiares y cuidadores</em>, ha destacado el secretario de la junta directiva de la SEN, el doctor David Ezpeleta.</p><p>Además, <em>es una terapia con un costo y una disponibilidad muy asequible</em>, ha señalado. Aunque se precisan más estudios para definir el tipo, la frecuencia y la intensidad <em>óptimos</em> para conseguir los mejores resultados de forma individualizada,<em> la musicoterapia es una estrategia adicional de neurorrehabilitación con presente y futuro</em>, ha concluido Ezpeleta.</p><p><strong>febrero 27/2020 (Europa Press) -Tomado de la Selección Temática sobre Medicina de Prensa Latina. Copyright 2019. Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2023-12-02T00:00:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/856
Nutrición: Comer más en el desayuno que en la cena podría prevenir la obesidad
2023-11-30T00:00:00-05:00
Revista Finlay
<p>Tomar un desayuno abundante en lugar de una gran cena puede prevenir la obesidad y el alto nivel de azúcar en la sangre, ya que se pueden quemar hasta el doble de calorías, según una nueva investigación publicada en el <a href="https://academic.oup.com/jcem" target="_blank"><strong><em>Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism</em></strong></a> de la Sociedad Endocrina de Estados Unidos.</p><p>El organismo gasta energía cuando digiere los alimentos para la <em>absorción, digestión, transporte y almacenamiento de nutrientes</em>. Este proceso, conocido como termogénesis inducida por la dieta (TID), es una medida sobre lo bien que está funcionando el metabolismo y puede diferir según la hora de la comida.</p><p>Nuestros resultados muestran que una comida que se toma en el desayuno, independientemente de la cantidad de calorías que contiene, genera el doble de termogénesis inducida por la dieta que la misma comida consumida en la cena, explica la autora correspondiente del estudio, Juliane Richter, de la Universidad de Lübeck en Alemania. Este hallazgo es significativo para todas las personas, ya que subraya el valor de comer lo suficiente en el desayuno’.</p><p>Los investigadores realizaron un estudio de laboratorio de tres días con 16 hombres que consumieron un desayuno bajo en calorías y una cena alta en calorías, y viceversa en una segunda ronda. Descubrieron que el consumo idéntico de calorías condujo a un TID 2,5 veces más alto en la mañana que en la noche después de las comidas altas en calorías y bajas en calorías.</p><p>El aumento inducido por los alimentos de las concentraciones de azúcar en sangre e insulina disminuyó después del desayuno en comparación con la cena. Los resultados también muestran que comer un desayuno bajo en calorías aumenta el apetito, específicamente para los dulces. <em>Recomendamos que los pacientes con obesidad y las personas sanas tomen un desayuno abundante en lugar de una cena abundante para reducir el peso corporal y prevenir enfermedades metabólicas</em>, apunta Richter.</p><p><strong>febrero 27/ 2020 (Europa Press) – Tomado de la Selección Temática sobre Medicina de Prensa Latina. Copyright 2019. Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2023-11-30T00:00:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/855
Hipertensión arterial: Diurético recomendado tiene más efectos secundarios que otro similar para reducir la presión arterial, según estudio
2023-08-27T00:00:00-04:00
Revista Finlay
<br /><p>La <a title="https://es.wikipedia.org/wiki/Clortalidona" href="https://es.wikipedia.org/wiki/Clortalidona" target="_blank"><em>clortalidona</em></a>, el diurético recomendado para reducir la presión arterial, tiene efectos secundarios más graves que la <a title="https://es.wikipedia.org/wiki/Hidroclorotiazida" href="https://es.wikipedia.org/wiki/Hidroclorotiazida" target="_blank"><em>hidroclorotiazida</em></a>, un diurético <em>igualmente efectivo</em>, según han demostrado investigadores del Centro Médico Irving de la Universidad de Columbia en un estudio publicado en <a title="https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/fullarticle/2760777?resultClick=1" href="https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/fullarticle/2760777?resultClick=1" target="_blank"><em><strong>JAMA Internal Medicine</strong></em></a>.</p><p>Los investigadores han descubierto que los pacientes que toman <em>clortalidona</em> tienen tres veces más riesgo de desarrollar niveles peligrosamente bajos de potasio, así como la posibilidad de otros desequilibrios electrolíticos y problemas renales, en comparación con los que toman <em>hidroclorotiazida</em>.</p><p>Estas conclusiones contrastan con las pautas de tratamiento actuales, que recomiendan la clortalidona sobre la hidroclorotiazida.</p><p><strong>Los resultados del estudio</strong></p><p>Los resultados se han generado a partir de un estudio de hipertensión a gran escala en una red de bases de datos (LEGEND), un método que sirve para analizar datos de millones de registros electrónicos de salud en todo el mundo, desarrollado por el Observational Health Data Sciences and Informatics (OHDSI) que tiene un centro de coordinación central en la Universidad de Columbia.</p><p>El estudio ha analizado datos durante 17 años en más de 730 000 individuos tratados por hipertensión, para comparar directamente los efectos de los dos fármacos antihipertensivos en los pacientes.</p><p>La información de la base de datos reveló que el 6,3 por ciento de los pacientes tratados con <em>clortalidona</em> experimentaron hipocalemia (bajo nivel de potasio en sangre), en comparación con el 1,9 por ciento de los pacientes que fueron tratados con <em>hidroclorotiazida</em>. En general, las tasas de hipocalemia se mantuvieron más altas en pacientes que tomaron <em>clortalidona</em> incluso cuando se administraron en dosis más bajas que la <em>hidroclorotiazida</em>.</p><p>Casi el 95 por ciento de los pacientes en el estudio fueron tratados primero con <em>hidroclorotiazida</em>, que era el diurético preferido para tratar la hipertensión durante la mayor parte del período de estudio (2001-2018). Sin embargo, en 2017 desde el Colegio Americano de Cardiología y la Asociación Estadounidense del Corazón emitieron nuevas pautas a favor de la clortalidona, en relación con la vida media más larga del medicamento y una evidencia indirecta que aseguraba que podría ser más efectiva para reducir el riesgo cardiovascular.</p><p>Sin embargo, en este estudio los investigadores han observado que la <em>clortalidona y la hidroclorotiazida</em> eran igualmente de efectivos en la prevención de ataques cardíacos, hospitalización por insuficiencia cardíaca y accidente cerebrovascular, pero los pacientes tratados con clortalidona no solo desarrollaban un riesgo significativamente mayor de hipocalemia, sino también de hiponatremia (bajo contenido de sodio), insuficiencia renal o diabetes tipo 2.</p><p>El autor principal y profesor de Informática Biomédica en el Colegio de Médicos y Cirujanos de la Universidad de Columbia, George Hripcsak, ha alertado de que estos efectos secundarios mencionados son<em> potencialmente peligrosos</em>.</p><p><strong> Efectos secundarios, beneficios y sesgos</strong></p><p>El nuevo estudio no es el primero en encontrar efectos secundarios asociados a la clortalidona, puesto que un estudio observacional previo mostró que el medicamento estaba relacionado con más desequilibrios electrolíticos que la <em>hidroclorotiazida</em>.</p><p>Sin embargo, Hripcsak ha señalado que, hasta que no existan más estudios, realmente no se sabe si el riesgo de efectos secundarios supera los posibles beneficios cardiovasculares, para lo que la Oficina de Investigación y Desarrollo de VA está realizando un ensayo clínico aleatorizado que ayude a resolver el debate.</p><p>El equipo de investigación ha realizado varios análisis de sensibilidad (tiempo de riesgo, presión arterial, dosis), así como otras prácticas desarrolladas dentro de la red OHDSI, para garantizar una falta de sesgo en los resultados con grupos comparados similares en gravedad de la enfermedad, comorbilidades, presión arterial basal, edad, sexo, y todas las demás variables medibles.</p><p>LEGEND es un enfoque novedoso que podría transformar la forma en que usamos la evidencia del mundo real en la atención médica, ha dicho al respecto el coautor del estudio y profesor Patrick Ryan.</p><p>En este sentido, Legend está ofreciendo diagnósticos complementarios que ayuden a los investigadores a comprender cuánto pueden confiar en la evidencia que han producido.</p><p><strong>febrero 19/2020 (Europa Press) – Tomado de la Selección Temática sobre Medicina de Prensa Latina. Copyright 2019. Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2023-08-27T00:00:00-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/850
Factores de riesgo cardiovascular: Tablas de la OMS para la predicción del riesgo cardiovascular: modelos revisados para estimar el riesgo en 21 regiones mundiales
2019-10-14T11:43:58-04:00
Revista Finlay
<p class="rtejustify"><img src="http://www.cfg.sld.cu/sites/www.cfg.sld.cu/files/imagen/1/istock-1048170858.jpg?1570630686" alt="http://www.cfg.sld.cu/sites/www.cfg.sld.cu/files/imagen/1/istock-1048170858.jpg?1570630686" />Con la finalidad de ayudar a adaptar los enfoques de predicción del riesgo de enfermedades cardiovasculares a los países de ingresos bajos y medios, la <a href="https://www.who.int/es/home" target="_blank">Organización Mundial de la Salud</a> (OMS) ha convocado a un esfuerzo para elaborar, evaluar e ilustrar modelos revisados de predicción de riesgos.</p><p class="rtejustify">En el trabajo <a href="https://www.thelancet.com/journals/langlo/article/PIIS2214-109X%2819%2930318-3/fulltext" target="_blank">"World Health Organization cardiovascular disease risk charts: revised models to estimate risk in 21 global regions"</a> (Tablas de la OMS para la predicción del riesgo cardiovascular: modelos revisados para estimar el riesgo en 21 regiones mundiales) se describe la derivación, validación e ilustración de las tablas revisadas de predicción del riesgo cardiovascular de la OMS que fueron adaptadas a las condiciones de 21 regiones mundiales.</p><p class="rtejustify">Los autores derivaron los modelos de predicción de riesgos a diez años para enfermedades cardiovasculares mortales y no mortales (es decir, infarto de miocardio e ictus) a partir de datos sobre participantes individuales obtenidos de la Colaboración de Factores de Riesgo Emergentes (<em>Emerging Risk Factors Collaboration, ERFC</em>).</p><p class="rtejustify">Los modelos contenían información sobre la edad, el tabaquismo, la tensión arterial sistólica, antecedentes de diabetes y colesterol total. Para la derivación, fueron incluidos participantes de 40 a 80 años de edad sin antecedentes basales conocidos de enfermedad cardiovascular, los que fueron seguidos hasta el primer evento de infarto de miocardio, cardiopatía coronaria mortal o ictus. Se recalibraron los modelos a partir de incidencias específicas para la edad y el sexo y valores de factores de riesgo disponibles en las 21 regiones mundiales. Para la validación externa, se analizaron los datos individuales de participantes en estudios distintos a los utilizados en la derivación de modelos. Se ilustraron los modelos analizando los datos de otros 123 743 individuos recogidos en encuestas realizadas en 79 países con el Método STEPwise de Vigilancia de la OMS.</p><p class="rtejustify"><strong>Los resultados </strong>destacan que la derivación del modelo de riesgo incluyó a 376 177 individuos de 85 cohortes, así como 19 333 eventos cardiovasculares incidentes registrados durante diez años de seguimiento. Los modelos de predicción de riesgo derivados discriminaron bien en cohortes de validación externa (19 cohortes, 1 096 061 individuos, 25 950 eventos de enfermedad cardiovascular), con índices C de Harrell entre 0,685 (IC 95%; 0,629-0,741) y 0,833 (0,783-0,882). Para un determinado perfil de factor de riesgo, se encontraron variaciones sustanciales entre las regiones del mundo en el riesgo pronosticado estimado a diez años. Por ejemplo, el riesgo cardiovascular estimado para un fumador de 60 años de edad sin diabetes, con una tensión arterial sistólica de 140 mm Hg y un colesterol total de 5 mmol/l osciló entre 11% en la América Latina Andina y 30% en Asia Central. Al aplicarse a los datos de 79 países (mayormente países de ingresos bajos y medios) la proporción de individuos de 40 a 64 años de edad que según el estimado debía tener más de 20% de riesgo osciló entre menos de 1% en Uganda y más de 16% en Egipto.</p>
2019-10-14T11:43:58-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/849
Obesidad: La obesidad: Un problema de salud en Cuba
2018-07-07T05:48:44-04:00
Revista Finlay
<p><img class="size-large wp-image-1080825" src="http://media.cubadebate.cu/wp-content/uploads/2018/07/obesos-cuba-580x388.jpg" alt="" width="580" height="388" />La Doctora Lilian Valdivia García, jefa del grupo de apoyo nutricional del Centro Nacional de Cirugía de Mínimo Acceso de la capital cubana, donde labora como intensivista afirmó a Radio Rebelde que <strong>la obesidad constituye actualmente un problema de salud en el país.</strong></p><p>La también especialista en Medicina General Integral e Interna, explicó que una encuesta nacional sobre factores de riesgos cardiovasculares reportó que<strong> el 42 por ciento de la población cubana tenía sobrepeso, de estos, el 47 por ciento pertenecía al sexo femenino y el 37.6 al masculino; lo más preocupante resultaba que el 13 por ciento del total son niños, por lo que están expuestos a padecer graves enfermedades.</strong></p><p>Lo anterior, dijo, incide en la salud, porque si no se toman medidas a tiempo, esos infantes llegarán obesos a la adolescencia y más tarde a adultos con factores de riesgo para sufrir hipertensión, diabetes mellitus, hipercolestoremia, es decir, aumento de las grasas e incidencia de enfermedades como infartos de miocardio, padecimientos cerebrovasculares y mayor incidencia de hipertensión arterial, entre otras.</p><p>“Muchos pacientes que acuden a nuestras consultas con estas enfermedades responden de forma favorable con un plan de dieta que les hace bajar de peso; con ello compensan su diabetes o dejan de serlo, y otros eliminan la hipertensión”.</p><p>La Doctora Valdivia García dijo también: “En cuanto a los tipos de obesidad nosotros clasificamos el peso de los pacientes según el índice de masa corporal; calculamos la talla al cuadrado y la dividimos por los kilos de peso que presenten”.</p><p><strong>Esclareció que el índice de masa corporal normal de una persona debe de encontrarse entre 18.5 y 24.9; cuando está por encima de 25 y 29.9 se afirma que el paciente tiene sobrepeso, y después de 30 se le considera obeso</strong>, según los diferentes grados que tiene esa condición que señala que cuando el índice de masa corporal está en 40 corresponde a la súper obesidad.</p><p>Afirmó de forma categórica que ese mal es prevenible desde la infancia; una persona llega a estar obesa, entre otras causas, porque desde pequeño empieza con malos hábitos alimenticios. “A la hora de la merienda en vez de comer una galleta, le pueden dar una fruta que lo nutre y a la vez le aporta minerales y vitaminas, necesarios para su crecimiento y desarrollo”; no es que no coman confituras- aclara-, pero eso es un día, sin ser la esencia de la dieta de los infantes; por lo general los padres acostumbran a ofrecerles calorías vacías que son los refrescos, dulces o caramelos”.</p><p>Para la Doctora Valdivia una buena nutrición está dada por una dieta equilibrada; “se considera que en los primeros lugares están los cereales y las frutas, después los vegetales, le siguen las proteínas como aporte de los aminoácidos esenciales, luego los lácteos para el organismo que de por sí solo no es capaz de producir y de últimos los que yo les digo a los pacientes que son los “caprichos” o confituras, conocidos como proteínas vacías que se deben ingerir un día como algo excepcional.</p><blockquote><p>La población tiene el falso concepto de que sólo la carne es proteína, -afirmó-, sin embargo, también lo es un plato de arroz con frijoles porque las leguminosas lo son; el huevo es también la proteína de más alto valor biológico que existe; en ocasiones se va al mercado agropecuario y en vez de comprar frutas y vegetales, se eligen calorías vacías y otros productos que no aportan al organismo vitaminas u otros nutrientes necesarios.</p></blockquote><p>La también máster en urgencias médicas señaló la importancia de tomar conciencia de lo dañino que resultan a la salud humana los hábitos dietéticos inadecuados; cada persona tiene en sus manos detener el crecimiento del sobrepeso y la obesidad – afirmó de forma categórica.</p><p><strong>(Tomado de <a href="http://www.radiorebelde.cu/noticia/la-obesidad-constituye-problema-salud-cuba-20180706/" rel="nofollow" target="_blank">Radio Rebelde</a>)</strong></p>
2018-07-07T05:48:44-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/838
Factores de riesgo: El ejercicio cardiovascular de alta intensidad revierte el envejecimiento
2017-03-24T00:00:00-04:00
Revista Finlay
<p>El ejercicio físico, en concreto la práctica cardiovascular de alta intensidad a intervalos, revierte el envejecimiento de las células musculares al actuar sobre la mitocondrial.</p><p>No por mucho repetido es menos cierto: el ejercicio físico te mantiene sano. Refuerza el sistema inmunológico, preserva la función cognitiva, favorece el sueño reparador, mantiene el tono muscular y prolonga la vida útil saludable.</p><p>La sospecha científica, planteada desde hace tiempo, es que los beneficios de la actividad física llegan al nivel celular, pero ¿qué tipo de ejercicio es el que contribuye en la reconstrucción de los orgánulos celulares que se deterioran con el envejecimiento?</p><p>Un estudio que se publica en<a href="http://www.cell.com/cell-metabolism/fulltext/S1550-4131%2817%2930099-2" target="_blank"><strong><em> Cell Metabolism</em></strong></a> aporta posibles respuestas. En concreto, revela que el entrenamiento con intervalos de alta intensidad en ejercicios aeróbicos, como montar en bicicleta y caminar, favorecía que las células produjeran más proteínas para las mitocondrias y los ribosomas; de esta forma, se detenía el envejecimiento a nivel celular.</p><p>“Con lo que sabemos ahora, no hay nada que pueda sustituir a estos programas de ejercicio a la hora de retrasar el envejecimiento. Ningún medicamento puede lograr eso”, dice o el autor principal del estudio Sreekumaran Nair, médico e investigador en diabetes de la Clínica Mayo en Rochester, en Minnesota.</p><p>El estudio incluyó a 36 hombres y otras tantas mujeres de dos grupos de edad, por un lado voluntarios de 18 a 30 años, y por otro, voluntarios de 65 a 80 años de edad. Todos ellos siguieron tres programas de ejercicios diferentes: uno en el que realizaban ciclismo de alta intensidad a intervalos: otro donde los voluntarios hicieron entrenamiento de fuerza con pesas, y un tercero que combinó el entrenamiento de fuerza con el de intervalos.</p><p>Después, los investigadores tomaron biopsias de los músculos de los voluntarios y compararon la composición de sus células con muestras de voluntarios sedentarios. También evaluaron otros factores como la sensibilidad a la insulina.</p><p>Así hallaron que mientras que el entrenamiento de la fuerza era eficaz en la construcción de la masa del músculo, el entrenamiento con intervalos de la alta intensidad obtuvo los beneficios más grandes en el nivel celular. Los voluntarios más jóvenes en el grupo de entrenamiento de intervalos constataron un aumento del 49 por ciento en la capacidad mitocondrial, y los voluntarios mayores vieron un aumento aún mayor, del 69 por ciento. El entrenamiento con intervalos también mejoró la sensibilidad a la insulina de los voluntarios. Sin embargo, el entrenamiento a intervalos fue menos efectivo para mejorar la fuerza muscular, que típicamente disminuye con el envejecimiento. “Si la gente tiene que elegir un ejercicio, yo recomendaría entrenamiento de intervalos de alta intensidad, pero creo que sería más beneficioso si pudieran hacer tres o cuatro días de entrenamiento de intervalos y luego un par de días de entrenamiento de fuerza”, dice Nair. Por supuesto, cualquier ejercicio resultó mejor que no hacer ninguno.</p><p>Nair enfatizó que el enfoque de este estudio no estaba en el desarrollo de recomendaciones, sino en entender cómo el ejercicio ayuda a nivel molecular. A medida que envejecemos, la capacidad de generación de energía de las mitocondrias de nuestras células disminuye lentamente. Al comparar los datos proteómicos y de secuenciación de ARN de personas en diferentes programas de ejercicios, los investigadores encontraron que el ejercicio anima a la célula a hacer más copias de ARN de genes que codifican proteínas mitocondriales y proteínas responsables del crecimiento muscular.</p><p>El ejercicio también parecía aumentar la capacidad de los ribosomas para fabricar proteínas mitocondriales. Con todo, el hallazgo más revelante fue el aumento del contenido de proteína muscular. En algunos casos, la práctica de ciclismo de alta intensidad realmente parecía revertir la disminución relacionada con la edad en la función mitocondrial y las proteínas necesarias para la construcción muscular. También rejuveneció los ribosomas de los voluntarios.</p><p>Los investigadores también encontraron un fuerte aumento en la síntesis de proteínas mitocondriales. El aumento del contenido proteico explica la función mitocondrial y la hipertrofia muscular mejoradas. La capacidad del ejercicio para transformar estos orgánulos clave podría explicar por qué el ejercicio beneficia nuestra salud de muchas maneras diferentes.<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/2017/03/07/area-profesional/entorno/el-ejercicio-cardiovascular-de-alta-intensidad-revierte-el-envejecimiento" target="_blank">marzo 12/2017 (diariomedico.com)</a></p>
2017-03-24T00:00:00-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/837
Factores de riesgo: El ejercicio vigoroso muestra más eficacia que el moderado frente al síndrome metabólico
2017-03-24T00:00:00-04:00
Revista Finlay
<p>Las personas sanas y mayores de 55 años que realizan ejercicio vigoroso presentan un 90 por ciento menos de riesgo de padecer síndrome metabólico frente aquellos que realizan ejercicio de intensidad leve, según una investigación de la Clínica Universidad de Navarra y de la Universidad de Navarr, que se publica en<a href="http://www.ajpmonline.org/article/S0749-3797%2816%2930622-5/references" target="_blank"> <em><strong>American Journal of Preventive Medicine</strong></em></a>.</p><p>El ejercicio físico intenso en personas sanas previene en mayor medida el síndrome metabólico que el ejercicio moderado o leve, según los resultados obtenidos por un grupo de investigadores de la Clínica Universidad de Navarra y de la Universidad de Navarra e integrantes del CiberObn Fisiopatología de la Obesidad y la Nutrición, del Instituto Carlos III y de Idisna.</p><p>El estudio se ha realizado a través del <em>Proyecto SUN</em>, dirigido por Miguel Ángel Martínez, catedrático de la Universidad de Navarra, en más de 10 000 personas que no sufrían síndrome metabólico al inicio de la investigación. El seguimiento de las personas participantes se ha realizado durante una media de seis años. Los resultados han sido publicados en la revista científica <em>American Journal of Preventive Medicine</em>.</p><p>“Las personas que sufren síndrome metabólico (SM) tienen más probabilidad de sufrir una cardiopatía, un ictus, diabetes mellitus tipo 2, enfermedad renal y problemas de circulación”, ha explicado Alejandro Fernández Montero, especialista en Medicina del Trabajo de la Clínica Universidad de Navarra y uno de los coordinadores de la investigación.</p><p>Se trata del primer estudio que relaciona la intensidad del ejercicio físico en relación con el síndrome metabólico, teniendo en cuenta los estilos de vida y factores dietéticos. “Esto quiere decir que hemos incluido otros factores como la dieta mediterránea, consumo de comida rápida, horas delante del televisor, tiempo de ejercicio físico, etc…, porque podría ocurrir que los que hacen ejercicio intenso cuidasen más su alimentación y realizasen estilos de vida más saludables y entonces no sabríamos si lo que previene es este tipo de ejercicio o los hábitos alimenticios y de vida”, explica. “Así, teniendo en cuenta estos factores, hemos comprobado que el ejercicio físico vigoroso previene en mayor medida el síndrome metabólico que la práctica deportiva leve o moderada”, añade.</p><p>De hecho, los participantes del estudio mayores de 55 años que realizan ejercicio vigoroso presentan un 90 por ciento menos de riesgo de padecer síndrome metabólico frente aquellos que realizan ejercicio de intensidad leve.</p><p>Mayor rendimiento deportivo y beneficios para la salud<br /> La intensidad de ejercicio físico se mide en equivalentes metabólicos (mets) y, para considerar que se practica de modo vigoroso, el esfuerzo tiene que ser superior a 6 mets. Por ejemplo, andar a paso ligero equivaldría a unos 2,5 mets, caminar a paso muy rápido a unos 4,5 como máximo. La natación se traduce en unos 6 mets, jugar un partido de fútbol 7 mets, <span class="st"> trotar o correr de forma lenta</span> (8km/h) 8 mets y el atletismo, como por ejemplo, correr a 5min/km, alrededor de 12 mets.</p><p>“Cuando comparamos los efectos entre la intensidad y el tiempo de ejercicio físico, concluimos que ejerce un mayor beneficio la intensidad que el tiempo que se dedica a la práctica del ejercicio físico en el tiempo libre”, asegura.</p><p>Valoración previa al ejercicio<br /> El especialista concreta que lo realmente saludable es adquirir la capacidad de realizar ejercicio vigoroso. Por eso, es necesario saber cómo conseguir un mayor rendimiento deportivo y el máximo beneficio para la salud cuando se practica ejercicio físico.</p><p>“Estos resultados se han obtenido en participantes con un buen estado saludable, sin embargo, hay personas que no obtendrán beneficios cuando practiquen este tipo de deporte porque lo que están haciendo es dañino para su salud, ya que pueden sufrir enfermedades previas y no ser conscientes de ello”, ha advertido Fernández Montero. “Antes de comenzar la práctica de una actividad deportiva de manera vigorosa, hay que descartar cualquier alteración anatómica o funcional del corazón”.</p><p>Por este motivo, la mejor alternativa es acudir a un especialista en medicina deportiva para valorar el estado del corazón y su resistencia. Este tipo de valoración debe incluir pruebas que ayuden a descartar cualquier tipo de cardiopatía (electrocardiograma, ecocardiograma, análisis de sangre, etc.) y una prueba cardiopulmonar de esfuerzo en bicicleta o en cinta rodante. “Las pruebas nos permiten diseñar programas de ejercicio específicos según el objetivo de la persona, desde perder peso hasta mejorar tiempos en una maratón. El especialista le ayudará también a determinar la efectividad del ejercicio, ya que algunas personas que hacen deporte de forma habitual no saben a qué frecuencia cardiaca y a qué intensidad hay que ejercitar para obtener un mayor beneficio”.<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/la-noticia-del-dia" target="_blank">marzo 16/2017 (diariomedico.com)</a></p>
2017-03-24T00:00:00-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/835
Nutrición: Alerta la FAO sobre hábitos alimentarios en Europa y Asia Central
2017-03-24T09:30:53-04:00
Revista Finlay
<p>Como una transición hacia la inseguridad alimentaria con peligros para la salud calificó recientemente la <a href="http://www.fao.org/hunger/es/" target="_blank">Organización de Naciones Unidas para la Alimentación y la Agricultura </a>(<a href="http://www.fao.org/hunger/es/" target="_blank">FAO</a>), a través de un informe, los hábitos cambiantes de consumo que se expanden por Europa y Asia Central.</p><p>El Panorama regional de la inseguridad alimentaria: Europa y Asia, presentado por la FAO recuerda que el crecimiento económico y el aumento de la renta per cápita casi erradicaron el hambre en esas regiones.</p><p>En las nuevas circunstancias, segmentos en esos países pasan de la desnutrición y las carencias de micronutrientes a padecer enfermedad es asociadas a un elevado consumo de grasas, azúcar, productos procesados, junto a un estilo de vida más sedentario.</p><p>Las perspectivas regionales de la inseguridad alimentaria están sustentadas en el texto con abundantes datos por países sobre suministro de energía alimentaria, indicadores de desnutrición como el retraso del crecimiento y la emaciación, anemia, sobrepeso y obesidad, así como ejemplos de qué come en término medio la población.</p><p>El estudio demostró cómo la evaluación de la dieta varía a medida que se elevan los ingresos, por lo regular para mal, porque aumenta la ingestión de calorías procedentes de edulcorantes, aceites vegetales y productos animales. En cambio las derivadas de los cereales disminuyen.</p><p>Ello conlleva a un mayor número de personas con diabetes, afecciones cardíacas y otras enfermedades no transmisibles relacionadas con la alimentación las cuales, a su vez, representan un aumento sustancial y progresivo de los gastos sanitarios.</p><p>El informe ofrece soluciones con propuestas de políticas, de probada eficacia, ajustadas a los ingresos y al perfil nutricional de cada nación.</p><p>Entre ellas señala el enriquecimiento de la leche con vitamina D, de la sal con yodo, de la harina de trigo con hierro, ácido fólico y tiamina que de hecho representaron mejoras en el consumo de micronutrientes en los niños en Asia Central, según el texto.</p><p>Las recomendaciones incluyen reformular los alimentos precocinados más usados para mejorar su valor nutricional, políticas educativas y de precios en función del valor nutricional de los alimentos, trabajar en un mejor etiquetado de los productos y programas de ayuda, entre otros.<br /> marzo 17/2017 (PL)</p>
2017-03-24T09:30:53-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/834
Anuncio: OPS/OMS Cuba y BIREME presentes en el III Festival de Revistas Científicas Finlay y Medisur
2017-03-07T00:00:00-05:00
Revista Finlay
<p>La Revista Finlay, editada en el Centro de Información de la Universidad de Ciencias Médicas de Cienfuegos, Cuba, cumplió 30 años en 2017 y para celebrar este evento, y los 15 años de la revista Medisur, se organizó una Jornada Científica en la sede de este recinto universitario.</p><p>El Director de BIREME, Dr. Diego González, asistió al evento, además de visitar la Oficina de la OPS/OMS en Cuba, el Centro Nacional de Información en Ciencias Médicas (INFOMED), actual Centro Colaborador de la OPS/OMS para la gestión del conocimiento y Biblioteca Virtual en Salud, así como otras instituciones nacionales, identificando posibles proyectos e iniciativas conjuntas, y cooperando para promover la visibilidad de la información científica y técnica producida en el país.</p><p><img src="/public/site/images/amgiraldoni/Cuba_materia3.jpg" alt="" /></p><p>Más información.</p><p><a href="http://bvsalud.us14.list-manage2.com/track/click?u=c5f1111419a03c56d59a1c830&id=50e40ebcf7&e=7aee202b5d">http://bvsalud.us14.list-manage2.com/track/click?u=c5f1111419a03c56d59a1c830&id=50e40ebcf7&e=7aee202b5d </a></p><p> </p>
2017-03-07T00:00:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/833
Cáncer: Avances en la detección precoz del cáncer de ovario
2017-03-07T09:28:34-05:00
Revista Finlay
<p>Investigadores de la Universidad Rey Juan Carlos y la University College London han analizado la combinación de múltiples marcadores tumorales para la detección temprana del cáncer de ovario. El cáncer de ovario es la quinta causa de muerte entre las mujeres, con más de 140 000 fallecimientos al año en todo el mundo.</p><p>Inés Pérez Mariño, profesora de la Universidad Rey Juan Carlos Inés Pérez Mariño, junto con investigadores de la University College London (UCL) han realizado un estudio sobre el uso combinado de varios marcadores tumorales con el fin de conseguir reducir la proporción de falsos negativos (pacientes que tienen la enfermedad, pero no son diagnosticados correctamente), así como adelantar el momento del diagnóstico.</p><p>El equipo ha propuesto un modelo estadístico bayesiano y un algoritmo computacional que permite detectar puntos de cambio en la evolución temporal de múltiples marcadores tumorales y evaluar su coherencia.</p><p>La investigación, enmarcada en el proyecto <em>Predicting risk of ovarian malignancy, improved screening and early detection</em> (<em>PROMISE</em>) financiado por Cancer Research UK, ha abarcado hasta seis marcadores (la proteína CA 125, la proteína 4 del epídidimo humano o HE4, la glicodelina, la metaloproteinasa 7, el fragmento 19 de citoqueratina y la mesotelina) y ha empleado datos clínicos de un grupo de 44 mujeres diagnosticadas con cáncer de ovario y 179 mujeres sanas, todas ellas con edades comprendidas entre los 50 y los 80 años.</p><p>Los resultados del estudio, publicados en la <a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1746809416302038" target="_blank"><strong><em>Biomedical Signal Processing and Control</em></strong></a>, muestran una disminución del 11 % al 2 % en el número de falsos negativos cuando se consideran dos marcadores conjuntamente, en particular, CA 125 y HE4, en lugar de solo CA 125 (el marcador empleado habitualmente), resultando tres de los otros marcadores de utilidad muy limitada para el diagnóstico de esta enfermedad. “No obstante, es necesario analizar grupos de pacientes más amplios para poder confirmar el alcance de estos prometedores resultados”, según señala Pérez Mariño.</p><p>El cáncer de ovario es la quinta causa de muerte entre las mujeres, con más de 140 000 fallecimientos al año en todo el mundo, ya que el diagnóstico a menudo ocurre en estadios avanzados de la enfermedad. El estudio enfatiza la necesidad del diagnóstico precoz para incrementar tanto la esperanza como la calidad de vida de las pacientes.<br /> <a href="http://www.agenciasinc.es/Noticias/Avances-en-la-deteccion-precoz-del-cancer-de-ovario" target="_blank">marzo 5/2017 (agenciasinc.es)</a></p>
2017-03-07T09:28:34-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/832
Medicamentos: La metabolómica puede mejorar el diagnóstico y el tratamiento de la enfermedad del hígado graso no alcohólico
2017-03-07T09:26:26-05:00
Revista Finlay
<p>La esteatohepatitis no-alcohólica (NASH), es la forma más severa de la enfermedad del hígado graso no-alcohólico (NAFLD), que se define histológicamente por la presencia de grasa hepática (esteatosis) con inflamación y daño hepático. La NASH es una enfermedad progresiva que puede evolucionar a mayor daño hepático, fibrosis avanzada, cirrosis y cáncer de hígado.</p><p>Durante las últimas décadas, la incidencia de NAFLD se ha multiplicado y en la actualidad es la más común de las enfermedades del hígado con una prevalencia en la población adulta de los países occidentales entre el 10-40 %, de los cuales aproximadamente el 10-30 % progresa a NASH. En los Estados Unidos, la NASH es actualmente la tercera indicación más frecuente de trasplante hepático, y se ha estimado que pasará a ser la principal causa de trasplante de hígado en 10-20 años. En la actualidad, aunque el tratamiento basado en la perdida de peso y el aumento del ejercicio físico de los pacientes es muy eficaz, no hay una terapia farmacológica aprobada para el tratamiento del NASH.</p><p>Los tratamientos actuales tienen como objetivo controlar las comorbilidades asociadas con la enfermedad tales como la obesidad, la diabetes y la hiperlipidemia. Además, el diagnóstico de NASH depende de realizar una biopsia hepática, un procedimiento médico no exento de controversias debido a la variabilidad en la toma de le muestra y la discordancia que puede haber entre patólogos en la interpretación histológica, además del coste y los efectos secundarios. Por estas razones, la gran mayoría de los pacientes con NASH no son diagnosticados.</p><p>La NAFLD se origina cuando la síntesis y entrada de lípidos desde la sangre saturan la capacidad del hígado para oxidar estos lípidos y su eliminación en sangre en forma de lipoproteínas. La investigación en NAFLD ha dedicado un importante esfuerzo a la identificación de las alteraciones que se producen en el metabolismo lipídico y que son responsables de la formación de hígado graso y su progresión a NASH.</p><p>Los resultados de un nuevo estudio, que eventualmente puede cambiar la forma en que se evalúa y trata NASH, demuestran por primera vez que hay dos subtipos principales de NASH (denominados “M” y “no-M”), que se diferencian por el tipo de alteraciones que tienen en el metabolismo de los lípidos. Mediante el análisis metabólico, el equipo liderado por el profesor José María Mato, del Centro de Investigación Cooperativa en Biociencias bioGUNE (Derio, Bizkaia) y del Centro de Investigación Biomédica en Red de Enfermedades Hepáticas y Digestivas (CIBEREHD), en estrecha colaboración con los investigadores de la compañía OWL Metabolomics (Derio, Bizkaia), han demostrado que cada uno de estos subtipos tiene una “huella” metabolómica diferente. Este estudio, realizado en 535 pacientes con diagnóstico de NAFLD a los que se les ha determinado más de 400 lípidos distintos, ha sido publicado recientemente por la revista <a href="http://www.gastrojournal.org/article/S0016-5085%2817%2930072-0/pdf" target="_blank"><em><strong>Gastroenterology</strong></em></a>. Este análisis metabolómico, que se realiza en una pequeña muestra de sangre, permite diagnosticar la presencia de NASH y, en el futuro, personalizar el tratamiento.</p><p>Estos investigadores también han demostrado que el subtipo “M” de NASH tiene el mismo perfil metabólico que unos ratones, denominados MAT1A-KO, que desarrollan NASH de forma espontánea. Este estudio demuestra que la administración de S-adenosilmetionina (abreviado SAME) es efectiva para el tratamiento de NASH en los ratones MAT1A-KO. Después de dos meses de tratamiento con SAME la histología y la analítica de los ratones MAT1A-KO mejoró significativamente. La SAME es un medicamento con un excelente perfil de seguridad que se usa para el tratamiento de la colestasis intrahepática. Los autores de este nuevo estudio concluyen que la SAME también puede ser eficaz en el tratamiento de NASH en aquellos pacientes con subtipo metabólico “M”, que son aproximadamente el 50 % de todos los pacientes con NAFLD.</p><p>Los autores de este estudio, un equipo interdisciplinar de más de 20 personas que incluye investigadores del CIC bioGUNE, de la empresa OWL Metabolomics, del CIBEREHD, del Cedars Sinaí Hospital (Los Ángeles) y de la empresa farmacéutica Abbott, concluyen que “el análisis metabolómico puede ser una mejor guía para diagnosticar, seguir y tratar la progresión de la enfermedad, porque permitirá basarse en el subtipo metabólico en lugar de únicamente en los resultados del patólogo.” Pablo Ortiz, CEO de la compañía OWL Metabolomics declaró: “Es el primer estudio publicado en una revista clínica de gran impacto donde la metabolómica se postula como una tecnología capaz de buscar el tipo de pacientes más adecuado para cada una de las drogas que están en desarrollo. Para ello habría que combinar las características del modelo animal donde el medicamento ha demostrado su eficacia con el perfil metabolómico de los pacientes que van a ser tratados.”<br /> <a href="http://noticiasdelaciencia.com/not/23154/la-metabolomica-puede-mejorar-el-diagnostico-y-el-tratamiento-de-la-enfermedad-del-higado-graso-no-alcoholico/" target="_blank">marzo 5/2017 (noticiasdelaciencia.com)</a></p><p> </p><p><strong>Leer más en</strong>:</p><p><em><strong><a href="http://www.gastrojournal.org/issue/S0016-5085%2815%29X0021-7" target="_blank">Commonalities and Distinctions Between Alcoholic and Nonalcoholic Fatty Liver Disease</a></strong></em></p>
2017-03-07T09:26:26-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/831
Tabaquismo: Investigadores identifican un circuito cerebral que apoya el abandono del tabaco
2017-03-07T09:23:41-05:00
Revista Finlay
<p>Según un estudio publicado en <a href="http://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/fullarticle/2605201?resultClick=1" target="_blank"><em><strong>Jama Psychiatry</strong></em></a>, el éxito para dejar de fumar es más probable con una fuerte comunicación entre las partes del cerebro que inhiben y ejecutan la conducta automatizada.</p><p>Dejar de fumar es difícil, pero según informan investigadores de la Universidad Médica de Carolina del Sur (Musc) en un artículo publicado en <em>Jama Psychiatry</em>, el éxito es más probable con una fuerte comunicación entre las partes del cerebro que inhiben y ejecutan la conducta automatizada.</p><p>Fumar se convierte en un comportamiento automatizado en el tiempo, tal y como ha explicado Brett Froeliger, primer autor de este estudio y científico de la adicción en el Departamento de Neuroscience de Musc y el Centro de Cáncer Hollings. En el cerebro, el impulso de fumar comienza de la misma manera que el pie presiona automáticamente el pedal del acelerador cuando un semáforo rojo se pone verde. “Un fumador de un paquete al día coloca un cigarrillo en la boca unos cientos de veces al día durante años”, ha afirmado Froeliger, explicando así que es una práctica que se vuelve automatizada. Una forma en la que el cerebro inhibe el comportamiento automatizado es a través de una vía llamada red de control inhibitorio, que comienza en el giro frontal inferior derecho y viaja a través de la corteza prefrontal hasta el tálamo. La comunicación a lo largo de este camino a menudo se interrumpe en el cerebro de los fumadores y los investigadores querían saber si esta vía estaba involucrada cuando los fumadores intentaban dejar de fumar.</p><p>El laboratorio examinó las redes de control inhibitorio en los cerebros de 81 adultos dependientes de la nicotina comprometidos a probar un programa de abandono del hábito de fumar de diez semanas de duración. Antes de que comenzara el programa, los investigadores emplearon resonancia magnética funcional para monitorear la actividad cerebral mientras los pacientes estaban realizando una tarea de control inhibitorio. A los pacientes se les pidió que apretaran una tecla del ordenador cada vez que apareciera un círculo de color en la pantalla, excepto en la rara ocasión en la que apareció un círculo de otro color. Una respuesta más alta del nivel de oxigenación sanguíneo (Bold) en el circuito de control inhibitorio significó que el cerebro estaba usando más recursos para inhibir la respuesta automática de presionar la tecla cuando apareció el círculo raro.</p><p>Mecanismos neurobiológicos<br /> Después de diez semanas, aproximadamente la mitad de los fumadores habían dejado el tabaco con éxito. Resultó que tenían respuestas Bold más bajas en sus redes de control inhibitorio antes de intentar dejar de fumar. En particular, las respuestas Bold fueron menores en el giro frontal inferior derecho y el tálamo derecho. También presentaban conexiones funcionales más fuertes entre esas regiones.</p><p>Los pacientes que recayeron en el hábito de fumar habían tenido puntuaciones igual de buenas en la tarea de control inhibitorio que aquellos que abandonaron el tabaco con éxito. Parecía que su comportamiento automatizado podría haber requerido más esfuerzo para la inhibición. Froeliger continuó el trabajo dándole un nuevo giro cuando pasó al Musc, preguntándose si les pasaría lo mismo a los fumadores que no se habían comprometido a dejar de fumar. Específicamente, se planteó si este patrón podría aparecer en los fumadores a los que se pagó para dejar de fumar durante solo una hora.</p><p>El equipo midió las señales Bold en 26 fumadores realizando la misma tarea. Esta vez, a cada persona se le presentó entonces un paquete abierto de su marca preferida de cigarrillos, un encendedor y un cenicero. Se les pagaba un dólar por cada seis minutos que no fumaban, hasta una hora, con la idea de dar a cada persona un pequeño incentivo para resistir la tentación de fumar.</p><p>En general, cuanto menor es la respuesta Bold durante la tarea de control inhibitorio, más tiempo aguantó la persona sin fumar. Aquellos que resistieron más tiempo la tentación del tabaco también presentaban conexiones funcionales más fuertes en sus redes de control inhibitorio.</p><p>Según los investigadores, este estudio es el primero en vincular la fuerza de la comunicación en un circuito cerebral que inhibe el comportamiento automatizado con la capacidad de resistir el hábito de fumar. Esto no significa que fumar en sí es la causa de las diferencias observadas por los investigadores. Este trabajo fue diseñado para aprender cómo ayudar mejor a los fumadores que desean dejar de fumar. El equipo de Froeliger está evaluando ahora el potencial de ciertos tratamientos conductuales y farmacológicos que podrían fortalecer la comunicación en la vía de control inhibitorio en las personas que fuman.</p><p>Este trabajo destaca que las diferencias biológicas pueden ayudar a explicar por qué algunos fumadores que están tratando de resistir al hábito de fumar tienen más éxito que otros. “Hay mecanismos neurobiológicos que son fundamentales para aprender nuevos comportamientos y también para detener aquellos que se automatizan, como fumar”, ha concluído Froeliger.<br /> <a href="http://neurologia.diariomedico.com/2017/03/02/area-cientifica/especialidades/neurologia/investigadores-identifican-un-circuito-cerebral-que-apoya-el-abandono-del-tabaco" target="_blank">marzo 5/2017 (diariomedico.com)</a></p><p> </p><p><strong>Leer más sobre el tema en</strong>:</p><p class="article--title"><strong><em><a href="http://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/fullarticle/2600224?resultClick=1">Effect of a Brief Memory Updating Intervention on Smoking Behavior: A Randomized Clinical Trial</a></em></strong></p>
2017-03-07T09:23:41-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/830
Prevención de las enfermedades crónicas: El consumo mundial de tabaco cuesta un billón de dólares por año
2017-01-23T11:37:15-05:00
Revista Finlay
<p>El consumo de tabaco le cuesta a la economía mundial más de un billón de dólares al año, de acuerdo a un nuevo estudio publicado recientemente, realizado por la <a href="http://www.who.int/tobacco/economics/es/" target="_blank">Organización Mundial de la Salud</a> (<a href="http://www.who.int/tobacco/economics/es/" target="_blank">OMS</a>) y el Instituto Nacional de Cáncer de Estados Unidos.</p><p>‘La industria del tabaco produce y comercializa productos que ocasionan la muerte a millones de personas de forma prematura, reducen presupuesto doméstico que podría utilizarse para alimentos o educación e imponen enormes gastos en cuidado de la salud a familias, comunidades y países’, dijo el subdirector general para Enfermedades No Transmisibles y Salud Mental de la OMS, Oleg Chestnov.</p><p>Hay 1100 millones de fumadores en todo el mundo, lo que significa que una de cada cinco personas mayores de 15 años consume tabaco, y seis millones de personas mueren cada año a causa de enfermedades relacionadas con fumar o masticar tabaco, de acuerdo al estudio publicado por ambas instituciones.</p><p>‘El consumo de tabaco se concentra cada vez más entre los pobres y otros grupos vulnerables’, dijo la OMS. El 80 por ciento de los fumadores del mundo reside en países en los que predominan los bajos y los medianos ingresos.</p><p>La OMS y el Instituto Nacional de Cáncer de Estados Unidos informaron que las políticas para reducir el consumo de tabaco podrían producir enormes efectos positivos.</p><p>Si cada país aumentara el impuesto al tabaco en 0,80 dólares por paquete, los ingresos anuales del Estado se incrementarían en 140 000 millones de dólares.</p><p>Esto reduciría el nivel de consumo de tabaco y resultaría en 66 millones de fumadores menos, según el informe, que citó también a un estudio realizado en 2016.</p><p>De todos modos, la OMS señaló que muchos países no aplican correctamente el impuesto al tabaco. Menos del 0,4 por ciento de ese ingreso se utiliza para financiar medidas contra el tabaquismo.<br /> enero 17/2017 (DPA)</p>
2017-01-23T11:37:15-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/829
Factores de riesgo cardiovascular: La simple costumbre de dar un paseo puede mejorar mucho la salud cardiaca
2017-01-23T11:35:11-05:00
Revista Finlay
<p>Las enfermedades cardiovasculares, una de las principales causas de muerte en el mundo, pueden ser combatidas poniendo en práctica un sencillo régimen de paseos. Unas investigadoras han comprobado que caminar de forma moderadamente intensiva mejora los factores de riesgo cardiovascular, incluso a corto plazo.</p><p>Ya se sabía que caminar es una excelente forma de ejercicio, pero muchas de las investigaciones previas no han dejado claro lo exitoso que puede ser un programa de paseos a la hora de cambiar para bien los valores de marcadores biológicos como el colesterol, el peso, o la presión sanguínea.</p><p>Elisabeth Marigliano y Cristina Ludden, de la Universidad Estatal de Nueva York, en la ciudad estadounidense de Delhi, y Pamela Stewart Fahs, de la Universidad de Binghamton en Nueva York, Estados Unidos, llevaron a cabo un estudio sobre un grupo de 70 mujeres. Estas fueron sometidas a un programa de paseos como parte de su participación voluntaria. Las participantes recibieron un podómetro programable que llevarían durante sus horas de vigilia a lo largo de un periodo de 10 semanas, y se les pidió que caminaran enérgicamente durante al menos 150 minutos por semana.</p><p>Después de cinco semanas, las investigadoras revisaron los datos de actividad de las participantes. Finalmente, al terminar el programa, se midió el peso, el índice de masa corporal, la tensión arterial y el colesterol. También se les pidió que respondieran a un cuestionario sobre su actividad física, dieta, características personales y comportamiento durante el período de 10 semanas.</p><p>Los resultados confirmaron la hipótesis inicial del equipo de que caminar mejoraría los factores de riesgo cardiovascular incluso a corto plazo.</p><p>El siguiente paso en esta línea de investigación deberá ser repetir el experimento con un conjunto de participantes más diverso.<br /> <a href="http://noticiasdelaciencia.com/not/22255/la-simple-costumbre-de-dar-un-paseo-puede-mejorar-mucho-la-salud-cardiaca/" target="_blank">enero 5/2017 (noticiasdelaciencia.com)</a><br /> <strong><br /> Leer más sobre el tema en</strong>:</p><p class="r"><em><strong><a href="https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=5&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwjg2eWfkJLRAhWm14MKHZ8mBQcQFgg1MAQ&url=http%3A%2F%2Fwww.nursinglibrary.org%2Fvhl%2Fbitstream%2F10755%2F603189%2F1%2F2_Marigliano_E_p75859_1.pdf&usg=AFQjCNF62micnFdqGheHVVIjca6mlkJTDg&sig2=kT6eNLt8fmpAEwrlMiPkxA" target="_blank">Walking for Heart Health</a></strong></em></p>
2017-01-23T11:35:11-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/828
Nutrición: Efectos beneficiosos de los frutos secos en la salud humana
2017-01-23T11:33:56-05:00
Revista Finlay
<p>Para buena parte de la población humana, el consumo regular de frutos secos, con moderación, puede traer importantes beneficios de salud sobre los cuales ahora se ha profundizado en una nueva investigación, basada en análisis de resultados de estudios recientes.</p><p>El equipo internacional de Dagfinn Aune, del Imperial College de Londres en el Reino Unido, ha llegado a la conclusión de que para las personas que no sufren de intolerancia a los frutos secos, comer no menos de 20 gramos al día reduce el riesgo de padecer enfermedades cardíacas, cáncer y otros trastornos.</p><p>El análisis de todos los estudios recientes sobre la relación entre el consumo de frutos secos y el riesgo de sufrir enfermedades ha revelado que esos 20 gramos al día, equivalentes a un simple puñado, pueden recortar el riesgo de enfermedad cardíaca coronaria en casi un 30 por ciento, el riesgo de cáncer en un 15 por ciento, y el riesgo de muerte prematura en un 22 por ciento.</p><p>Una media de no menos de 20 gramos de frutos secos estuvo también asociada a un riesgo casi un 50 por ciento menor de morir por enfermedades respiratorias, y casi un 40 por ciento menor de fallecer por diabetes, aunque los investigadores señalan que existen menos datos sobre esta relación.</p><p>El equipo de investigación analizó 29 estudios publicados, realizados en distintas partes del mundo, que contaron con 819 000 sujetos de estudio, más de 12 000 casos de enfermedad cardíaca coronaria, 9000 casos de derrame, 18 000 casos de enfermedad cardiovascular y cáncer, y más de 85 000 muertes.<br /> <a href="http://noticiasdelaciencia.com/not/22502/efectos-beneficiosos-de-los-frutos-secos-en-la-salud-humana/" target="_blank">enero 10/2017 (noticiasdelaciencia.com)<br /> </a></p><p><strong>Leer más en</strong>:</p><p class="ArticleTitle" lang="en"><a href="https://bmcmedicine.biomedcentral.com/articles/10.1186/s12916-016-0730-3" target="_blank"><em><strong>Nut consumption and risk of cardiovascular disease, total cancer, all-cause and cause-specific mortality: a systematic review and dose-response meta-analysis of prospective studies</strong></em></a></p>
2017-01-23T11:33:56-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/827
Factores de riesgo: El ejercicio intenso de fin de semana parece reducir la mortalidad
2017-01-23T11:32:53-05:00
Revista Finlay
<p>Concentrar toda la actividad física recomendada en un par de sesiones durante el fin de semana ha demostrado reducir el riesgo de mortalidad, según un estudio que se publica en la edición más reciente de <a href="http://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/fullarticle/2596003" target="_blank"><em><strong>JAMA Internal Medicine</strong></em></a>.</p><p>¿Es beneficioso concentrar los 150 minutos de ejercicio moderado o 75 de vigoroso recomendados en el fin de semana? Un artículo que se publica en <em>JAMA Internal Medicine</em> ha querido responder a esta pregunta y para ello ha comparado la inactividad con el ejercicio, moderado o intenso, durante los fines de semana.</p><p>Según el trabajo, aquellos adultos que realizan ejercicio moderado durante 150 minutos, o intenso durante 75 minutos, solo necesitaron dos sesiones de entrenamiento para reducir el riesgo de muerte por todas las causas, y de enfermedades cardiovasculares y cáncer.</p><p>El estudio, dirigido por Gary O’Donovan, de la Universidad de Loughborough, en Inglaterra, analizó a un total de 63 591 adultos de más de 59 años durante un periodo de 18 años (1994-2012) para observar las diferencias entre aquellos que no realizaban actividad física, los que lo hacían de manera continuada y los que lo acumulaban en el fin de semana. Al finalizar el estudio 8802 personas habían muerto por todas las causas (un porcentaje 30 veces menor entre deportistas de fin de semana que en adultos inactivos), 2780 por algún tipo de enfermedad cardiovascular (40 por ciento menos) y 2526 fallecieron a causa del cáncer (18 por ciento menos).</p><p>La frecuencia y la duración de la actividad física parecieron no tener influencia entre aquellos que siguieron las pautas de la actividad. Los resultados evidencian que el riesgo de muerte es menor si se mantiene una actividad física regular.</p><p>Por otro lado, el estudio no puede ser extrapolado puesto que el 90 por ciento la muestra estaba formada por personas de raza blanca y la actividad fue reportada por cada participante. Asimismo, el estudio no puede establecer causalidad. “Los guerreros de fin de semana y otros modelos de actividad física caracterizados por la realización de una o dos sesiones semanales de actividad física intensa o moderada pueden ser suficientes para reducir el riesgo de muerte por todas las causas y de enfermedad cardiovascular y oncológica, sin importar la adherencia a las recomendaciones sobre actividad física”, concluye el trabajo.<br /> <a href="http://medicina-deportiva.diariomedico.com/2017/01/10/area-cientifica/especialidades/medicina-deportiva/el-ejercicio-intenso-de-fin-de-semana-parece-reducir-la-mortalidad" target="_blank">enero 15/2017 (diariomedico.com)</a><br /> <strong>Leer más sobre el tema en</strong>:</p><p class="meta-article-title "><a href="http://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/fullarticle/2596007" target="_blank"><em><strong>Association of “Weekend Warrior” and Other Leisure Time Physical Activity Patterns With Risks for All-Cause, Cardiovascular Disease, and Cancer Mortality</strong></em></a></p>
2017-01-23T11:32:53-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/826
Enfermedades cardiovasculares: Fumar provocaría insuficiencia cardiaca por el engrosamiento de la pared del corazón
2016-09-23T11:12:41-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">El tabaquismo se asocia con paredes más gruesas del corazón y reducción en la capacidad de bombeo del corazón, dos factores asociados con un mayor riesgo de insuficiencia cardiaca, según concluye una investigación que se detalla en un artículo publicado en <a title="http://circimaging.ahajournals.org/content/9/9/e004950.abstract" href="http://circimaging.ahajournals.org/content/9/9/e004950.abstract" target="_blank"><em>Circulation: Cardiovascular Imaging</em></a></p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">En su análisis, los fumadores sin signos evidentes de enfermedad cardiaca eran más propensos que los no fumadores y exfumadores a tener engrosamiento de las paredes del corazón y menor capacidad de bombeo del corazón. Cuanto más tiempo y más cigarrillos se fuman, mayor es el daño a la estructura y función del corazón.</p><p style="text-align: justify;">Las mediciones cardiacas en los exfumadores eran similares a las de los no fumadores, lo que sugiere que dejar de fumar puede revertir el daño relacionado con el tabaco, como señalan los investigadores, cuyo estudio se centró en personas con una edad media de 75,7 años y sin signos evidentes de enfermedad cardiovascular.</p><p style="text-align: justify;">La investigación también encontró que los índices más altos de exposición acumulada a los cigarrillos -una medida de cuánta cantidad y durante cuánto tiempo han fumado las personas durante su vida- se vinculan con un mayor daño al corazón. Los estudios han establecido desde hace tiempo que fumar conduce a ataques al corazón y está asociado con la insuficiencia cardiaca, incluso en personas sin enfermedad cardiovascular, pero ninguno ha hallado un mecanismo claro por el cual el tabaco puede aumentar el riesgo de insuficiencia cardiaca, según estos expertos.</p><p style="text-align: justify;">A más consumo, mayor daño</p><p style="text-align: justify;">“Estos datos sugieren que fumar puede conducir de forma independiente al engrosamiento del corazón y el empeoramiento de la función cardiaca, lo que puede llevar a un mayor riesgo de insuficiencia cardiaca, incluso en personas que no tienen ataques cardiacos “, destaca Wilson Nadruz, autor principal del estudio e investigador del Hospital Brigham and Women, de Boston.</p><p style="text-align: justify;">“Además, cuanto más se fuma, mayor es el daño a la estructura y la función del corazón, lo que refuerza las recomendaciones que indican que fumar es peligroso y debe dejarse”, añade este investigador, cuyo estudio examinó los datos de 4 580 participantes en el Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) que se sometieron a una ecocardiografía.</p><p style="text-align: justify;">Incluso después de tener en cuenta factores como la edad, la raza, el índice de masa corporal, la presión arterial, la diabetes y el consumo de alcohol, los fumadores actuales tenían paredes del corazón más gruesas y una función de bombeo del corazón reducida, en comparación con los no fumadores y exfumadores.</p><p style="text-align: justify;">“La buena noticia es que los exfumadores poseían una estructura del corazón y función similar en comparación con los no fumadores”, afirma Scott Solomon, autor principal del estudio y profesor de Medicina de la Facultad de Medicina de Harvard. “Esto sugiere que los potenciales efectos del tabaco en el miocardio pueden ser reversibles al dejar de fumar”, concluye.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://cardiologia.diariomedico.com/2016/09/14/area-cientifica/especialidades/cardiologia/factores-de-riesgo/fumar-provocaria-insuficiencia-cardiaca-por-el-engrosamiento-de-la-pared-del-corazon" href="http://cardiologia.diariomedico.com/2016/09/14/area-cientifica/especialidades/cardiologia/factores-de-riesgo/fumar-provocaria-insuficiencia-cardiaca-por-el-engrosamiento-de-la-pared-del-corazon" target="_blank"><strong>septiembre 17/ 2016 (Diario Médico)</strong></a></p>
2016-09-23T11:12:41-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/825
Enfermedades cardiovasculares: Relacionan hábito de fumar con insuficiencia cardíaca
2016-09-23T11:10:33-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Una investigación revela que el hábito de fumar está relacionado con la aparición de insuficiencia cardíaca.</p><p style="text-align: justify;">Aunque sabemos que fumar provoca infartos, este estudio señala que ese hábito induce de forma independiente el engrosamiento del corazón y daña su funcionamiento, dijo el autor principal, Scott Solomon, de la Facultad de Medicina de Harvard, en Boston.</p><p style="text-align: justify;"> Esa realidad, aumenta el riesgo de insuficiencia cardíaca aún en personas sin infartos, añadió el también especialista del Hospital de Brigham y las Mujeres en un artículo publicado en la <a title="http://circimaging.ahajournals.org/content/9/9/e005441.extract" href="http://circimaging.ahajournals.org/content/9/9/e005441.extract" target="_blank"><em>revista Circulation: Cardiovascular Imaging</em></a>.</p><p style="text-align: justify;">Como parte de la pesquisa los autores analizaron los resultados de los ecocardiogramas realizados a más de cuatro mil 500 adultos de unos 76 años en promedio para determinar el funcionamiento del músculo cardíaco.</p><p style="text-align: justify;">Según los datos, un 6 % fumaba, mientras que la mitad era exfumador y un 43 era no fumador.</p><p style="text-align: justify;">Los que practicaban el tabaquismo eran algo más jóvenes, menos propensos al sobrepeso y tenían una mejor función renal que los otros grupos.</p><p style="text-align: justify;">Por su parte, los no fumadores tendían a ser mujeres, no consumir alcohol y a tener niveles de colesterol más saludables que el resto.</p><p style="text-align: justify;">Asimismo, los exfumadores durante unos 18 años como promedio practicaron ese hábito, mientras que los fumadores convivían con la adicción desde hacía unos 46.</p><p style="text-align: justify;">En tal sentido, tras considerar la edad, etnia, índice de masa corporal, presión, diabetes y consumo de alcohol, los fumadores tenían paredes cardíacas más gruesas y menor capacidad de bomba en el músculo cardíaco que los no fumadores y los exfumadores.</p><p style="text-align: justify;">Sin embargo Solomon consideran que se necesitan más estudios para determinar si otros productos, como el tabaco masticable o el cigarrillo electrónico, tendrían el mismo efecto en la estructura y la función cardíaca que el cigarrillo común.</p><p style="text-align: justify;">septiembre 19/ 2016 (PL).- <strong>Tomado del Boletín temático en Medicina. Prensa Latina. Copyright 2016. Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2016-09-23T11:10:33-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/824
Enfermedades cardiovasculares: Enfermedades cardiovasculares, un problema que puede prevenirse
2016-09-23T11:07:49-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Aun cuando pueden prevenirse con solo cambiar el estilo de vida e incluir una dieta sana, las enfermedades cardiovasculares son la segunda causa de muerte en México.</p><p style="text-align: justify;">También conocidas como enfermedades del corazón, están relacionadas principalmente con las arterias coronarias y aorta; la más frecuente es la cardiopatía isquémica, la cual ocasiona los infartos.</p><p style="text-align: justify;">De acuerdo con el Instituto Mexicano del Seguro Social (IMSS), estas enfermedades se pueden evitar o controlar adecuadamente con una buena dieta y haciendo ejercicio, incluso, los cambios en el estilo de vida pueden, en algunas personas, ser el único tratamiento necesario.</p><p style="text-align: justify;">Las causas comienzan con un daño interno de las arterias coronarias, provocado por, entre otros factores, la nicotina, la glucosa elevada en la sangre, el colesterol y la presión alta, además de la obesidad y el estrés.</p><p style="text-align: justify;">Los signos de alerta del ataque cardíaco son: opresión o dolor en el pecho que puede ser leve o intenso, el cual generalmente se irradia hacia el brazo izquierdo; estas molestias aparecen después de realizar ejercicio o cuando hay una emoción extrema, y disminuye con el reposo o después de tranquilizarse, dura unos minutos o desaparece y vuelve a aparecer.</p><p style="text-align: justify;">Entre otros signos están las molestias en la parte superior del cuerpo (en un brazo o en ambos, la espalda, el cuello, la mandíbula o la parte superior del estómago), sensación de falta el aliento, que puede presentarse con molestias en el pecho, así como náuseas, vómito, mareo, desmayo o sudor frío repentino, problemas de sueño y falta de energía.</p><p style="text-align: justify;">Ante la presencia de estos síntomas, el Seguro Social recomendó acudir a un médico, quien podrá establecer una dieta y plan de ejercicios adecuados para tu edad, peso y condiciones físicas existentes.</p><p style="text-align: justify;">Como parte del tratamiento de prevención, el IMSS recomienda dejar de fumar, incluir una dieta saludable, moderar la ingesta de bebidas alcohólicas, hacer ejercicio, mantener un peso saludable y aprender a controlar el estrés.</p><p style="text-align: justify;">septiembre 21/ 2016 (Notimex).- <strong>Tomado del Boletín temático en Medicina. Prensa Latina. Copyright 2016. Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2016-09-23T11:07:49-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/823
Factores de riesgo cardiovascular: La grasa engorda más que el azúcar, sugiere un estudio
2016-09-23T11:05:32-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">En la actualidad, distintas iniciativas buscan moderar la ingesta del azúcar, sin embargo, un grupo de investigadores realizaron un nuevo estudio, el cual indica que las grasas son las responsables de la mayor ingesta calórica total.</p><p style="text-align: justify;">En el proyecto, la evidencia sugiere que, si la gente se concentra en reducir algún tipo de alimento, éste se compensa al comer otro en lugar de bajar sus calorías totales, lo que se le conoce como e<em>l sube y baja de azúcar y grasa</em>.</p><p style="text-align: justify;">“El mensaje crítico es que la gente necesita reducir su ingesta calórica total”, señaló la directora del Instituto de Salud y Bienestar de la Universidad de Glasgow, Escocia, Jill Pell.</p><p style="text-align: justify;">“Si centrar la atención en los azúcares tiene como resultado que la gente consuma más papas fritas, entonces no podremos luchar contra la obesidad”, agregó la también coautora de este análisis.</p><p style="text-align: justify;">Para el desarrollo del estudio, los especialistas investigaron a 132 mil 479 personas de todo el Reino Unido, a quienes se le realizaron cuestionarios sobre sus dietas y se les tomaron medidas corporales en la clínica.</p><p style="text-align: justify;">De acuerdo con un comunicado, de las personas que se sometieron al estudio: 66 % de los hombres y 52 % de las mujeres presentaban sobrepeso u obesidad.</p><p style="text-align: justify;">En el estudio, los indicadores más fuertes de índice de masa corporal (IMC) fueron las calorías totales y las provenientes de grasas.</p><p style="text-align: justify;">Además, en comparación con la gente de peso normal, las personas con sobrepeso u obesidad obtuvieron una mayor proporción de calorías derivadas de grasas, pero menor en calorías nativas de azúcares.</p><p style="text-align: justify;">El doctor del Instituto de Ciencias Cardiovasculares y Médicas de la Universidad de Glasgow, Jason Gill, comentó que la gente con sobrepeso y obesidad consume más calorías que aquellos con peso normal.</p><p style="text-align: justify;">“Sin embargo, consume una menor proporción de calorías provenientes de azúcares y una mayor proporción de calorías provenientes de grasas”, afirmó el coautor de la investigación.</p><p style="text-align: justify;">“Por lo tanto, es importante no solamente enfocarse en reducir la ingesta de azúcares, sino también hacer énfasis en reducir el consumo de grasas”, añadió.</p><p style="text-align: justify;">El estudio se encuentra publicado en la revista PNAS, el cual se realizó con datos de UK Biobank y contó con el apoyo del Fondo Patrimonial Paterson de la Universidad de Glasgow.</p><p style="text-align: justify;">septiembre 21/ 2016 (Notimex).- <strong>Tomado del Boletín temático en Medicina. Prensa Latina. Copyright 2016. Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2016-09-23T11:05:32-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/822
Enfermedades cardiovasculares: La ingesta de leche no se asocia con un incremento del riesgo cardiovascular
2016-09-23T11:04:14-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un estudio internacional en el que ha participado el CIberObn ha determinado que la ingesta de leche no se relaciona con un aumento del riesgo cardiovascular. Además, tras analizar los datos de 20 000 personas los investigadores han determinado que el biomarcador genético, MCM6-rs3754686 SNP, es un buen indicador de la ingesta de lácteos, principalmente leche, en la población mediterránea y americana.</p><p style="text-align: justify;">La ingesta de leche y sus derivados no se asocia con un incremento del riesgo cardiovascular en poblaciones mediterráneas y americanas, según un estudio internacional en el que ha participado el Centro de Investigación Biomédica en Red Fisiopatología de la Obesidad y la Nutrición (CiberObn), dependiente del Instituto de Salud Carlos III, liderado por Dolores Corella y José María Ordovás, del Human Nutrition Research Center on Aging, en Boston, con la colaboración de Caren Smith, del mismo centro.</p><p style="text-align: justify;">Hasta el momento, en distintos estudios se habían obtenido resultados contradictorios respecto de la posible asociación de la leche y sus derivados con el riesgo cardiovascular. Por ello, se hacía urgente introducir en las investigaciones datos más fiables sobre el consumo real de leche, puesto que la mayoría de los trabajos fiaban este dato de consumo a cuestionarios o entrevistas personales con los pacientes, donde el sesgo del recuerdo puede conllevar errores en las medidas de consumo.</p><p style="text-align: justify;">La principal novedad del estudio, que se publica en <em><a title="http://www.nature.com/articles/srep33188" href="http://www.nature.com/articles/srep33188" target="_blank">Nature</a> (<a title="http://www.nature.com/articles/srep33188" href="http://www.nature.com/articles/srep33188" target="_blank">Scientific Reports</a>)</em>, radica en la utilización, además de los cuestionarios, de un biomarcador del consumo de leche, lo que proporciona un dato más objetivo para medir la ingesta. “El uso en los estudios epidemiológicos de biomarcadores nutricionales pueden proporcionar una herramienta de estimación objetiva del consumo alimentario y actualmente se está intensificando la investigación para encontrar nuevos biomarcadores de ingesta de distintos alimentos”. Los biomarcadores genéticos de la ingesta de alimentos que se están analizando, son, polimorfismos de nucleótido único (SNPs) que, a través de distintos mecanismos, determinan la ingesta de alimentos y se emplean como indicadores del alimento consumido. Los estudios empleando estos biomarcadores se denominan Estudios de randomización mendeliana y se están incorporando a la investigación nutricional para disminuir sesgos, ha explicado Corella.</p><p style="text-align: justify;">Biomarcador para poblaciones mediterráneas y americanas</p><p style="text-align: justify;">Otros estudios recientes en la misma línea, como por ejemplo el realizado en población danesa, han utilizado como biomarcador del consumo de leche el polimorfismo MCM6-rs4988235. Sin embargo, aunque este biomarcador se asocia muy bien con el de leche en poblaciones del norte de Europa, no funciona bien para poblaciones de otros orígenes y era necesario profundizar en la búsqueda de mejores biomarcadores para la población Mediterránea y otras poblaciones como las participantes en este estudio.</p><p style="text-align: justify;">En esta nueva investigación, los científicos han descrito por primera vez que un polimorfismo en el gen MCM6 (MCM6-rs3754686 SNP), que ya había sido identificado como un marcador de la tolerancia a la lactosa, se asocia fuertemente con el consumo de leche en población europea mediterránea y en población tanto blanca como afroamericana e hispana de Estados Unidos. “Hemos demostrado por primera vez una asociación entre el MCM6-rs3754686 SNP y la ingesta del lácteos, específicamente leche, en todas las poblaciones analizadas. Además, en el estudio Predimed realizado con más de 7 000 participantes de los que se dispone de datos de consumo de alimentos cada año, este nuevo biomarcador se asociaba significativamente con el consumo de lácteos cada año investigado, durante un período de 5 años”, ha dicho Corella</p><p style="text-align: justify;">Los resultados sugirieron algunas diferencias entre sexos, siendo aún mayor el efecto de la asociación entre este marcador genético y la ingesta de leche en mujeres. En este sentido, la presencia del alelo T del mismo se relacionó con un consumo aún mayor de lácteos en mujeres, quedando por determinar si ello responde a un mecanismo biológico o refleja una mejor respuesta en los cuestionarios.</p><p style="text-align: justify;">Muestra de 20 000 pacientes</p><p style="text-align: justify;">En el trabajo se han analizado los datos de más de 20 000 pacientes de varias cohortes europeas y estadounidenses: Boston Puerto Rican Health Study (Bprhs), Genetics of Lipid Lowering Drugs and Diet Network (Goldn), Prevención con Dieta Mediterránea (Predimed) y Women Health Initiative Study (WHI).</p><p style="text-align: justify;">Al analizar la asociación de la presencia de este marcador genético (como medida más objetiva) y, por tanto, de un mayor consumo de lácteos, con la incidencia de los factores de riesgo cardiovascular, no se encontró ninguna relación significativa. Es decir, el consumo de leche (medido a través de este biomarcador) no está asociado con un incremento de los niveles de colesterol, triglicéridos y glucosa para los que estudios previos habían dado resultados contradictorios. Al analizar el consumo de leche directamente tampoco se encontró ninguna asociación.</p><p style="text-align: justify;">Enfermedad cardiovascular</p><p style="text-align: justify;">Por otra parte, y en línea con los resultados generales del estudio para los factores de riesgo cardiovascular, en los análisis llevados a cabo en población española mediterránea en el marco de Predimed y registrando la incidencia de enfermedad cardiovascular y defunciones, se ha concluido también que al analizar la población en su conjunto no hay asociación ni del consumo de leche ni del biomarcador genético con la incidencia de enfermedad cardiovascular ni con la mortalidad por todas las causas.</p><p style="text-align: justify;">Protección en Diabetes tipo 2 y en mujeres</p><p style="text-align: justify;">En el trabajo se realizó un análisis de subgrupos, y en mujeres, la presencia del alelo T, que conllevaba un consumo aún mayor de leche y lácteos, se relacionó con unas cifras más bajas de glucosa en ayunas en el análisis combinado de todas las poblaciones. Este dato, en línea con las conclusiones de estudios anteriores, apoya la hipótesis de que una mayor ingesta de leche o productos lácteos podría estar asociada a un menor riesgo de sufrir diabetes tipo 2.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://endocrinologia.diariomedico.com/2016/09/16/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/la-ingesta-de-leche-no-se-asocia-con-un-incremento-del-riesgo-cv- " href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2016/09/16/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/la-ingesta-de-leche-no-se-asocia-con-un-incremento-del-riesgo-cv-%20" target="_blank"><strong> septiembre 20/ 2016 (Diario Médico)</strong></a></p>
2016-09-23T11:04:14-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/821
Nutrición: La clave para evitar la obesidad ¿está en el ejercicio más que en la dieta?
2016-06-30T13:52:26-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Dos factores, el metabolismo y los microbios del intestino, han sido señalados por diversos investigadores como factores clave en la lucha contra la obesidad. Sin embargo, existe un fuerte debate sobre si es un adecuado nivel de ejercicio físico, o por el contrario, una dieta saludable, lo que mejor promueve el funcionamiento óptimo del metabolismo y los cambios saludables en la microbiota intestinal, los microbios residentes en el intestino que trabajan en la descomposición de comida y que pueden contribuir a una menor obesidad.</p><p style="text-align: justify;">Una nueva investigación realizada por especialistas de la Universidad de Misuri en Estados Unidos confirma que el ejercicio físico desempeña un papel crucial en la lucha contra la obesidad.</p><p style="text-align: justify;">Algunos expertos han venido afirmando que el ejercicio podría no tener un papel significativo en la pérdida de peso, ya que puede incrementar el apetito y ello provocar un mayor consumo de comida y una potencial reducción de la actividad física a lo largo del resto del día (haber comido mucho provoca sopor, que, unido al cansancio dejado por la actividad física, puede promover la inactividad en las horas restantes del día).</p><p style="text-align: justify;"> El propósito del estudio, a cargo del equipo de Vicki Vieira-Potter, profesora of nutrición y fisiología del ejercicio de la Universidad de Misuri en la ciudad estadounidense de Columbia, fue examinar el ejercicio de forma independiente respecto a la pérdida de peso y determinar otros beneficios metabólicos asociados con la actividad física. Los investigadores buscaron determinar qué efectos sobre el tejido adiposo (la grasa) son debidos a la pérdida de peso por la dieta, y cuáles podrían deberse al ejercicio físico.</p><p style="text-align: justify;">Vieira-Potter y sus colaboradores dividieron en tres grupos a ratas jóvenes propensas a la obesidad, a fin de estudiar el impacto del ejercicio en su función metabólica y en su tejido graso. Los tres grupos de ratas fueron alimentados con una dieta rica en grasas. Dos de ellos llevaron un estilo de vida sedentario, mientras que el tercero pudo ejercitarse usando ruedas giratorias. De los dos grupos sedentarios, a uno se le permitió comer tanta comida rica en grasa como quisiera, mientras que el otro fue alimentado con raciones controladas de comida para igualar a través de la dieta la reducción de peso que el tercer grupo logró mediante el ejercicio. A las ratas que se ejercitaban se les permitió comer tanto como quisieran.</p><p style="text-align: justify;">Varias semanas más tarde, todas las ratas fueron llevadas a jaulas especializadas donde los investigadores pudieron medir su metabolismo y actividad física. Los científicos encontraron que las ratas sedentarias con acceso ilimitado a la comida estaban obesas, a diferencia de las ratas alimentadas con una cantidad reducida de la misma clase de comida y de las ratas que se ejercitaban, lo cual se esperaba. Pero lo que resultó llamativo fue constatar que las ratas que se habían ejercitado estaban metabólicamente más sanas que las de los dos grupos sedentarios, y que desarrollaron microbios intestinales diferentes que los de las ratas de los otros dos grupos, a pesar de comer exactamente la misma cantidad de comida que el grupo sedentario con acceso ilimitado a los alimentos.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://noticiasdelaciencia.com/not/19641/la-clave-para-evitar-la-obesidad-esta-en-el-ejercicio-mas-que-en-la-dieta-/" href="http://noticiasdelaciencia.com/not/19641/la-clave-para-evitar-la-obesidad-esta-en-el-ejercicio-mas-que-en-la-dieta-/" target="_blank"><strong>mayo 23/ 2016 (Noticias de la ciencia)</strong></a></p>
2016-06-30T13:52:26-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/820
Factores de riesgo cardiovascular: Mala alimentación e inactividad física podrían causar dislipidemia
2016-06-30T13:49:33-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">La dislipidemia, alteración de grasas en la sangre conocidos como colesterol y triglicéridos, se debe a factores hereditarios pero también a una mala alimentación e inactividad física, dio a conocer la Secretaría de la Salud estatal.</p><p style="text-align: justify;">En un comunicado, señaló que este padecimiento se puede tratar si se elimina el consumo de tabaco, teniendo una alimentación adecuada que sea baja en grasa, también reduciendo el nivel de tensión o estrés en su vida, previniendo la obesidad y el sedentarismo.</p><p style="text-align: justify;"> “La complicación más grande de las dislipidemias a largo plazo suelen ser los infartos; generalmente este padecimiento no presenta síntomas por lo cual hay que poner especial atención al tipo de alimentación que se lleva a cabo”, mencionó el encargado del programa estatal Adulto y Adulto Mayor, doctor Oscar Murillo Aldaco.</p><p style="text-align: justify;">También comentó que algunos factores de riesgo para presentar esta enfermedad son antecedentes familiares, obesidad, sedentarismo y una dieta rica en grasas saturadas como son las de origen animal.</p><p style="text-align: justify;">Dicha enfermedad puede ser diagnosticada únicamente si se miden los niveles sanguíneos a través de estudios específicos, de no hacerlo de esta manera podría afectar directamente al corazón, cerebro y vasos sanguíneos.</p><p style="text-align: justify;">Es importante que la población conozca que no se puede vivir sin colesterol, ya que es indispensable para el buen funcionamiento del cuerpo, sin embargo un alto nivel de este podría ocasionar problemas serios y causar ataques al corazón.</p><p style="text-align: justify;">junio 04/ 2016 (Notimex).- <strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2016. Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2016-06-30T13:49:33-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/819
Accidentes vasculares encefálicos: Estar en forma a los 45 años reduce riesgo de accidente cerebrovascular después de los 65
2016-06-30T13:46:30-04:00
Revista Finlay
<p>Mientras más se encuentre en forma entre los 45 y los 50 años una persona, menores son los riesgos de que tenga un accidente cerebrovascular después de los 65 años, señala un estudio de la American Heart Association.</p><p>El estudio fue realizado a 20 000 personas blancas de entre 45 y 50 años de las cuales el 79 % eran hombres.</p><p>Los participantes fueron sometidos a diferentes pruebas para medir sus capacidades cardiorrespiratorias.</p><p>En función de sus resultados el grupo fue dividido en tres, según su estado físico (malo, medio y bueno).</p><p>Las personas que tenían mejor sus capacidades cardiorrespiratorias tuvieron una reducción de 37 % en el riesgo de accidente cerebrovascular (ACV) después de los 65 años, con respecto a los que estaban en mal estado.</p><p>Esta relación entre el estado físico y el riesgo de ACV después de los 65 años no fue modificado por otros factores como la hipertensión, la diabetes de adultos y la fibrilación auricular.</p><p>“Los resultados de este estudio comprueban el papel único y específico que el ejercicio tiene en la prevención de un ACV”, señaló el doctor Jarett Berry, profesor adjunto de medicina interna en el Centro Médico de la Universidad de Texas, principal autor del estudio.</p><p>Los accidentes cerebrovasculares constituyen el quinto factor de mortalidad en Estados Unidos y una de las mayores causas de incapacidades severas.</p><p>La American Heart Association (Asociación Estadounidense del Corazón) recomienda 150 minutos semanales de ejercicio a ritmo moderado o 75 minutos a ritmo sostenido.<br /> junio 10/2016 (AFP)</p>
2016-06-30T13:46:30-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/818
Factores de riesgo: El exceso de trabajo afecta la salud de las mujeres, según estudio
2016-06-30T13:43:33-04:00
Revista Finlay
<p>Las largas horas de trabajo pueden ocasionar a las mujeres cáncer, diabetes o enfermedades del corazón, según un estudio divulgado recientemente.</p><p>Las féminas que laboran más de 40 horas son más propensas a esos serios trastornos de salud, publicó en su sitio de Internet la Universidad de Ohio, en Estados Unidos.</p><p>Por el contrario, en los hombres la prevalencia de esos padecimientos es nula; solo tienen predisposición a la artritis, afirmaron los investigadores del referido centro.</p><p>Para su investigación los expertos analizaron unas siete mil 500 entrevistas concedidas a la Encuestadora Longitudinal Nacional de Jóvenes, en un periodo de más de 32 años.</p><p>De acuerdo con los resultados, los científicos explicaron que la diferencia entre ambos géneros radica en el aumento de responsabilidades que experimentan las mujeres.</p><p>Además de sus actividades profesionales, las féminas se encargan también del mantenimiento del hogar, lo que les añade estrés, concluyeron.<br /> junio 21/2016 (PL)</p>
2016-06-30T13:43:33-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/817
Factores de riesgo: Agotamiento físico y mental, importante motivo de consulta médica
2016-03-28T10:08:07-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">El agotamiento físico y mental es un importante motivo de consulta médica, alertó la jefa de Consulta de la Unidad de Medicina Familiar (UMF) 49, del Instituto Mexicano del Seguro Social (IMSS), Minerva Quesada Andrade.</p><p style="text-align: justify;">Indicó que son las amas de casa primordialmente en edades de 30 años en adelante, quienes suelen referir con mayor frecuencia esta afectación al acudir a revisión médica, toda vez que enfrentan el cansancio del manejo diario de casa y los procesos de la rutina.</p><p style="text-align: justify;">“Tal vez el sentimiento de no desarrollo personal y ese cansancio mental que después de puede traducir en un agotamiento físico, en el estoy harta, en tengo problemas de salud en el sentido de que hoy tengo gastritis, mañana colitis y la realidad es que hay algo más allá, detrás de ese síntoma”, explicó la experta del Seguro Social.</p><p style="text-align: justify;">En cuanto a pacientes varones, aseveró que la prevalencia de agotamiento se ha observado con mayor incidencia en mayores de 45 años de edad, sin como entre las personas de 60 años -hombres y mujeres-.</p><p style="text-align: justify;">La especialista en medicina familiar, resaltó que es importante diferenciar el agotamiento eventual del síndrome de fatiga crónica, no obstante si va más allá de un desgano, persiste o se presenta con frecuencia, es vital acudir a una revisión médica para conocer el origen de esta afectación debido a que es multifactorial.</p><p style="text-align: justify;">“Se va agudizando con el tiempo, sino se acude con el médico familiar o particular te puede conducir a una depresión y llegar a otros estados de salud muy desafortunados”, advirtió Quesada Andrade.</p><p style="text-align: justify;">Explicó que las causas de un agotamiento mental casi siempre se relacionan con estrés prolongado y situaciones emocionales adversas, en tanto que el cansancio físico va ligado a otros factores, como mala calidad de sueño, diabetes no diagnosticada o mal controlada.</p><p style="text-align: justify;">Así como secuela de infecciones por bacterias o virus, enfermedades cardiovasculares, deficiencia de hierro que da lugar a anemia, entre otras patologías.</p><p style="text-align: justify;">Añadió que también se encuentran causas de cansancio físico y mental que suelen ser pasajeras, como exceder la actividad física, un viaje agotador o un día de trabajo intenso.</p><p style="text-align: justify;">Quesada Andrade enfatizó en la importancia de no recurrir a la automedicación o al uso de vitamínicos sin prescripción médica, debido a que el diagnóstico real de la patología que origina el agotamiento podría retrasarse y cronificarse.</p><p style="text-align: justify;">“Si voy y me compro mis vitaminas y me auto medico, estamos enmascarando algún otro cuadro por lo que lo recomendable es acudir a revisión médica y a la brevedad”, concluyó la especialista del Seguro Social.</p><p style="text-align: justify;">marzo 17/ 2016 (Notimex).- <strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2016. Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2016-03-28T10:08:07-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/816
Nutrición: Hacer ejercicio frena la sensación de hambre
2016-03-28T10:07:02-04:00
Revista Finlay
<p>Un estudio que se publica en “<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26465216" target="_blank"><strong>Medicine & Science in Sports and Exercise</strong></a>“, realizado por la Universidad de Loughborough, en Reino Unido, muestra que el ejercicio es mejor que la restricción de alimentos para limitar el consumo calórico diario.<br /> Científicos de la Universidad de Loughborough, en Reino Unido, han demostrado que el ejercicio es más eficaz que restringir alimentos para limitar el consumo calórico diario. En el estudio publicado, David Stensel y su equipo, del Centre for Sport and Exercise Medicine East Midlands (Ncsem-EM), analizaron las hormonas femeninas, las respuestas psicológicas y conductuales para controlar las calorías a través del ejercicio y de la restricción de alimentos a lo largo de nueve horas.</p><p>En la pérdida de calorías con restricción de alimentos, los participantes mostraron un aumento en los niveles de la hormona la grelina y disminuyeron los niveles de péptido YY. Además, comieron hasta un tercio más de comida en un buffet y se comparó con otra ocasión donde el ejercicio mostró el mismo déficit calórico (los participantes consumieron de media 944 calorías restringiendo los alimentos en comparación con las 660 calorías después del ejercicio).</p><p>Los resultados contradicen previos estudios que sugieren que el ejercicio hace que las personas (en particular las mujeres) coman más. Además, muestran que la respuesta de la grelina y el péptido YY a la hora de hacer ejercicio es el mismo tanto para hombres como para mujeres.</p><p>Según Stensel, “los resultados proporcionan una valiosa contribución al debate entre la dieta y el ejercicio. El estudio demuestra que el ejercicio no estimula el apetito o anima a comer más, al menos en las horas inmediatamente posteriores a la actividad. Nuestro próximo paso es ver si este beneficio continúa más allá del primer día del ejercicio”.</p><p>Los resultados son posteriores a dos estudios diseñados para identificar si las respuestas del apetito de las mujeres eran diferentes a las de los hombres.</p><p>En el primer estudio, la ingesta de calorías se restringió a través de la dieta o el ejercicio (a una intensidad moderada de 90 minutos en una cinta de correr), y las respuestas del apetito se midieron en un periodo de nueve horas. El mismo grupo de 12 mujeres participó en las dos secciones del estudio.</p><p>En el segundo estudio se compararon directamente las respuestas de percepción del apetito, de la hormona del apetito y de la ingesta de alimentos al hacer ejercicio en hombres y en mujeres.<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/2016/03/10/area-profesional/entorno/hacer-ejercicio-frena-la-sensacion-de-hambre" target="_blank">marzo 16/2016 (Diario Médico)</a></p>
2016-03-28T10:07:02-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/815
Factores de riesgo: La práctica del tai chi puede reducir el riesgo de caídas en ancianos
2016-03-28T10:01:58-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">El equipo de Mau-Roung Lin, del Instituto de Prevención y Control de Lesiones, adscrito a la Universidad Médica de Taipéi en Taiwán, comparó los efectos del tai chi con los de ejercicios convencionales de fortalecimiento de las piernas, en cuanto a capacidad de reducir el número de caídas.</p><p style="text-align: justify;">El tai chi (gimnasia china caracterizada por movimientos lentos de muy alta precisión y muy coordinados entre sí) fue desarrollado hace cientos de años. Combina ciertas posturas y movimientos suaves con la concentración mental, la respiración y la relajación. Puede ser practicado mientras se camina, se está de pie o incluso sentado.</p><p style="text-align: justify;">Las caídas son una causa principal de lesiones graves en personas ancianas y pueden suponer la hospitalización o incluso la muerte. La artritis, enfermedades cardiacas, la debilidad muscular, los problemas de visión y equilibrio, las demencias de la senilidad y otros achaques de salud propios de una edad avanzada, pueden incrementar el riesgo de una persona mayor de sufrir una caída.</p><p style="text-align: justify;">En su estudio, los investigadores repartieron entre dos grupos a 368 personas de más de 60 años que habían recibido atención médica por una caída.</p><p style="text-align: justify;">El primer grupo recibió clases de tai chi individuales de una hora de duración, semanales, llevadas a cabo por profesores y durante 24 semanas.</p><p style="text-align: justify;">El segundo grupo recibió sesiones de ejercicios convencionales de fortalecimiento de las piernas de una hora de duración, durante el mismo período de tiempo, impartidas por fisioterapeutas. Las sesiones incluían estiramientos, fortalecimiento muscular y adiestramiento para mantener el equilibrio.</p><p style="text-align: justify;">Después de seis meses de entrenamiento, las personas en el grupo de tai chi resultaron tener una probabilidad notablemente menor de experimentar una caída que ocasionara una lesión que las que estaban en el grupo entrenado con ejercicios convencionales de fortalecimiento de las piernas. Incluso un año después del entrenamiento, las personas que practicaron el tai chi tenían una probabilidad un 50 por ciento menor de sufrir tales caídas, en comparación con las del otro grupo.</p><p style="text-align: justify;">El estudio se ha publicado en el <a title="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/jgs.13952/abstract" href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/jgs.13952/abstract" target="_blank"><em>Journal of the American Geriatrics Society</em></a></p>
2016-03-28T10:01:58-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/814
Prevención de las enfermedades crónicas: Ir al trabajo en bicicleta o caminando le ayuda a seguir en forma
2016-03-28T09:59:50-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Las personas de mediana edad que iban al trabajo de forma ‘activa’ pesaban menos que las que iban en coche</p><p style="text-align: justify;">Caminar, ir en bicicleta o tomar un trasporte público ayuda a las personas de mediana edad a perder grasa corporal y peso, según una nueva investigación.</p><p style="text-align: justify;">“La inactividad física es una de las causas principales de mala salud y mortalidad prematura”, dijo la autora del estudio, Ellen Flint, profesora de salud de la población en la Escuela de Higiene y Medicina Tropical de Londres, en Inglaterra.</p><p style="text-align: justify;">“En Inglaterra, dos tercios de los adultos no cumplen con los niveles recomendados de actividad física. Animar a que se use el trasporte público y se vaya al trabajo de forma activa, especialmente para las personas de mediana edad, para las que la obesidad se vuelve un problema cada vez mayor, podría ser una parte importante de una respuesta de política global como prevención de la obesidad a nivel poblacional”, concluyó Flint.</p><p style="text-align: justify;">El estudio publicado en la revista <a title="http://www.sciencedirect.com/science/journal/22138587" href="http://www.sciencedirect.com/science/journal/22138587" target="_blank"><em>The Lancet Diabetes & Endocrinology</em></a>, incluyó la información de más de 150 000 personas entre los 40 y los 69 años en el Reino Unido. Dos tercios de ellos conducían hasta el trabajo cada día, dijeron los investigadores.</p><p style="text-align: justify;">El estudio halló que ir al trabajo en bicicleta ofrecía los mayores beneficios en comparación con ir en coche.</p><p style="text-align: justify;">Por ejemplo, un hombre de 53 años de edad que iba en bicicleta al trabajo pesaba 11 libras (5 kg) menos, según el estudio. Ir en bicicleta al trabajo también resultó en una reducción de 1.7 en el índice de masa corporal (IMC, un estimado de la grasa corporal en función del peso y la estatura) comparado con alguien que fuera en coche al trabajo.</p><p style="text-align: justify;">Los Centros para el Control y la Prevención de Enfermedades (CDC) de Estados Unidos indican que un IMC por debajo de 25 se considera un peso normal. A partir de 25 es sobrepeso. A partir de 30 es obesidad.</p><p style="text-align: justify;">Una mujer de 52 años que iba en bicicleta al trabajo pesaba casi 10 libras (4.5 kg) menos que una mujer que iba en coche al trabajo. La mujer que iba en bicicleta también tenía un IMC 1.65 puntos más bajo que una conductora, mostró el estudio.</p><p style="text-align: justify;">Los hombres y las mujeres que caminaban al trabajo en lugar de ir en coche redujeron su IMC en hasta 0.98 puntos, según el estudio. Cuanto mayor era la distancia que las personas recorrían en bicicleta o andando, mayores eran las reducciones en el IMC, reveló el estudio.</p><p style="text-align: justify;">Incluso tomar el trasporte público marcaba una diferencia, según los autores del estudio. Los hombres que usaban un trasporte público tenían un IMC 0.7 puntos más bajo que los que conducían, al igual que las personas que combinaban el transporte público con caminar o ir en bicicleta para llegar al trabajo (un IMC de 1 punto más bajo para los hombres y de 0.7 más bajo para las mujeres).</p><p style="text-align: justify;">La conexión entre la forma de ir al trabajo y el IMC fue independiente de otros factores como los ingresos, la educación, vivir en una zona urbana o rural, beber y fumar, y la actividad física general, la salud y la discapacidad.</p><p style="text-align: justify;">“Muchas personas viven demasiado lejos de su lugar de trabajo como para ir caminando o en bicicleta, pero incluso la actividad física fortuita implicada en el trasporte público puede tener un efecto importante”, dijo Flint en un comunicado de prensa de la revista.</p><p style="text-align: justify;">Lars Bo Andersen, del Colegio Universitario Sogndal y Fjordane, en Noruega, escribió un editorial que acompaña al estudio. En él afirmó que los hallazgos son importantes “porque ir en trasporte público al trabajo es una actividad cotidiana que muchas personas que trabajan deben hacer”.</p><p style="text-align: justify;">“Muchas personas no se sienten atraídas por los deportes recreativos u otras actividades físicas para su tiempo libre, las cuales han demostrado ser beneficiosas para la salud, y el trasporte activo podría por tanto ser una opción importante y fácil para aumentar la actividad física y la proporción de personas que cumplen con los niveles recomendados de actividad física”, indicó Andersen.</p><p style="text-align: justify;"><a title="https://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_157862.html" href="https://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_157862.html" target="_blank"><strong>marzo 23/2016 (HealthDay)</strong></a></p>
2016-03-28T09:59:50-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/813
Prevención de las enfermedades crónicas: Hacer mucho ejercicio no siempre sirve para quemar más calorías
2016-02-02T08:57:50-05:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un estudio desvela que quienes realizan actividades físicas intensas consumen las mismas calorías que quienes lo hacen de forma moderada.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Un equipo internacional ha examinado la relación entre el gasto energético diario y el nivel de actividad física en más de 332 personas de cinco países (Ghana, Sudáfrica, República de las Seychelles, Jamaica y Estados Unidos) durante una semana, y ha descubierto que hacer más ejercicio no implica consumir más calorías.</p><p style="text-align: justify;">Los resultados, publicados esta semana en la revista <a title="http://www.cell.com/current-biology/abstract/S0960-9822%2815%2901577-8" href="http://www.cell.com/current-biology/abstract/S0960-9822%2815%2901577-8" target="_blank"><em>Current Biology</em></a>, revelan que cuando la actividad física supera niveles moderados, el consumo energético no aumenta, sino que se estabiliza. Esto indica que el cuerpo humano es capaz de adaptarse a los cambios para regular y mantener el gasto total de energía.</p><p style="text-align: justify;">“Los expertos en salud pública, por lo general, hacen un planteamiento muy sencillo: más actividad física se traduce en un gasto calórico mayor. Ahora hemos puesto a prueba esta teoría”, explica Herman Pontzer, investigador en la Universidad de Nueva York, en Estados Unidos, y autor principal del estudio.</p><p style="text-align: justify;">Pontzer advierte que su estudio no cuestiona los beneficios del deporte: “Hay muchas evidencias de que el ejercicio es importante para mantener el cuerpo y la mente sanos. Nuestro trabajo añade que para controlar el peso también debemos centrarnos en la dieta”.</p><p style="text-align: justify;">Lo que han observado es que, a partir de un determinado nivel de actividad física, el consumo de energía del cuerpo humano no cambia, por mucho que la persona haga más ejercicio. Por el contrario, sí se aprecian diferencias en individuos poco activos. “Quienes llevan un estilo de vida muy sedentario gastan unas 200 kcal al día menos que aquellos que son moderadamente activos”, indica.</p><p style="text-align: justify;">La importancia de lo que comemos</p><p style="text-align: justify;">El científico empezó a reflexionar sobre este tema cuando trabajaba con los hadza, una población de cazadores-recolectores del norte de Tanzania. “Los hadza son increíblemente activos, caminan largas distancias cada día y hacen un trabajo físico muy duro en su vida cotidiana”, dice Pontzer. “A pesar de sus altos niveles de actividad, nos dimos cuenta de que su gasto de energía diaria es similar al de otras personas más sedentarias con estilos de vida urbanitas en Estados Unidos y Europa. Eso me sorprendió y me hizo pensar en la relación entre la actividad y el gasto energético”.</p><p style="text-align: justify;">Para explorar el problema, Pontzer y su equipo midieron el gasto energético y la actividad diaria de más de 300 hombres y mujeres a lo largo de una semana. En los datos que recogieron, se apreciaba un efecto débil, pero mesurable, de la actividad sobre el consumo. Sin embargo, al llevar a cabo un análisis más detallado, este patrón solo se observaba entre los sujetos en la mitad inferior del espectro de actividad física. Las personas con actividad moderada gastaban unas 200 kilocalorías más al día que las sedentarias; pero los que superaban los niveles de actividad moderados no consumían más calorías por hacer ejercicio extra.</p><p style="text-align: justify;">Según sus resultados, el gasto calórico no es solo resultado del nivel de actividad física y, por lo tanto, los investigadores creen que llevar una dieta adecuada puede tener más importancia que dejarse la piel en el gimnasio, sobre todo a partir de ciertos niveles de actividad.</p><p style="text-align: justify;">“El cuerpo humano es dinámico y complejo, y tiende a adaptarse a los cambios. Hacer ejercicio es muy importante para la salud y puede ayudar a perder peso, pero nuestro estudio demuestra que cuidar lo que comemos puede tener un impacto mucho más positivo”, declara el experto.</p><p style="text-align: justify;">Los autores señalan que un objetivo fundamental para futuras investigaciones será entender los mecanismos que determinan y regulan el consumo energético en respuesta a la actividad física.</p><p style="text-align: justify;">Por ello, Pontzer y su equipo quieren estudiar cómo responde el cuerpo humano a las variaciones en el nivel de actividad, examinando otros cambios –por ejemplo, en la función inmune o el sistema reproductivo– que puedan explicar cómo se adapta el organismo a mayores exigencias físicas sin consumir calorías adicionales.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://www.jano.es/noticia-hacer-mucho-ejercicio-no-siempre-25510" href="http://www.jano.es/noticia-hacer-mucho-ejercicio-no-siempre-25510" target="_blank"><strong>febrero 01/ 2016 (JANO)</strong></a></p>
2016-02-02T08:57:50-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/812
Prevención de las enfermedades crónicas: La importante aportación del ejercicio físico a la salud cardiaca
2016-02-02T08:56:13-05:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">La mayor parte de los ciudadanos en los países desarrollados no deberían preocuparse por las lesiones potenciales que pudiera provocarles el practicar ejercicio físico, sino por la falta de él en sus vidas, según un análisis global realizado por un equipo de expertos del ACC (American College of Cardiology), una organización del ámbito médico que cuenta con 49 mil miembros.</p><p style="text-align: justify;">Según los autores del estudio, incluso pequeñas cantidades de actividad física, incluyendo permanecer de pie, están asociadas con un riesgo menor de enfermedades cardiovasculares, pero un mayor ejercicio lleva a una reducción superior en el riesgo de muerte debido a dichas enfermedades.</p><p style="text-align: justify;">Diversos estudios han mostrado que la actividad física regular reduce el riesgo de muerte de una persona debido a la enfermedad cardiovascular; sin embargo, en países como Estados Unidos solo la mitad de los adultos cumplen con las pautas recomendadas de 150 minutos por semana de ejercicio moderadamente intenso, o de 75 minutos semanales de ejercicio de intensidad vigorosa.</p><p style="text-align: justify;">En el nuevo informe presentado por el ACC, se presentan las conclusiones de una revisión de investigaciones recientes sobre el volumen y la intensidad del ejercicio aeróbico necesario para favorecer a la salud cardiovascular.</p><p style="text-align: justify;">Los autores del estudio han comprobado que hacer ejercicio en cantidades más bajas de lo recomendado aún reduce notablemente el riesgo de mortalidad en diferentes poblaciones de todo el globo, ya que siempre es mejor hacer poco ejercicio que nada. De todos modos, aumentar la cantidad de ejercicio de intensidad moderada que lleva a cabo una persona resulta en mayores reducciones de la mortalidad por enfermedades cardiovasculares.</p><p style="text-align: justify;">Aunque un esfuerzo físico intenso para alguien con problemas de corazón puede entrañar riesgos, en la mayoría de casos el beneficio supera al perjuicio, sobre todo cuando el ejercicio es de nivel moderado. Por desgracia, en bastantes ámbitos sociales se ha diseminado la idea de que hacer deporte o ejercicio físico en general es demasiado peligroso para cualquier persona que no goce de una salud cardiaca perfecta.</p><p style="text-align: justify;">Esta percepción distorsionada del efecto del ejercicio físico está llevando a bastante gente a desaprovechar la oportunidad que este tiene de beneficiar a largo plazo su salud cardiaca, tal como subraya el Dr. Michael Scott Emery, directivo del Consejo de Cardiología Deportiva y del Ejercicio Físico del ACC.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://noticiasdelaciencia.com/not/17935/la-importante-aportacion-del-ejercicio-fisico-a-la-salud-cardiaca/" href="http://noticiasdelaciencia.com/not/17935/la-importante-aportacion-del-ejercicio-fisico-a-la-salud-cardiaca/" target="_blank"><strong>enero 30 / 2016 (Noticias de la ciencia)</strong></a></p>
2016-02-02T08:56:13-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/811
Nutrición: Identifican causa genética de diabetes y obesidad en Yucatán
2016-02-02T08:54:19-05:00
Revista Finlay
<p>Una investigación de la Universidad Autónoma de Yucatán (UAY) analizó diez polimorfismos genéticos e identificó dos, (el ADC 1 y el ABC 1), que están relacionados con el desarrollo de diabetes y obesidad en la población de esa región.Para el estudio se extrajo el ácido desoxirribonucleico (ADN) de 800 muestras procedentes de 26 comunidades de Campeche, Yucatán y Quintana Roo, detalló el científico Julio Lara Riesgos en entrevista con la Agencia Informativa del Consejo Nacional de Ciencia y Tecnología (Conacyt).</p><p>Estos dos polimorfismos podrían ser marcadores moleculares de susceptibilidad, es decir, mediante el análisis del modelo de herencia indicarían que la persona que los porta tiene mayor probabilidad de desarrollar diabetes de quienes no los portan.</p><p>Además, añadió el científico, estos polimorfismos se expresan cuando hay obesidad, de ahí que identificarlos implica un avance para mejorar las medidas de prevención de ambos padecimientos.</p><p>“Yucatán y Campeche son los estados que presentan mayor obesidad de todo el país”, de ahí la importancia de esta investigación, resaltó el científico.</p><p>El especialista explicó que el polimorfismo ADC1, conocido como ahorrador, es eficiente para guardar energía por medio del colesterol.</p><p>Debido a que la existencia de ADC1 se documenta solo en el continente americano, se considera que un proceso de adaptación en el estrecho de Bering para sobrevivir en algún periodo sin alimentos provocó el cambio.</p><p>“Ese polimorfismo se ha quedado presente en nosotros y en la población maya en una proporción considerable, al tener un ambiente de exceso de comida o de comidas altas en contenido energético”, indicó el científico.</p><p>A su vez, señaló que “ese gen, que puede ser muy eficiente, se convierte en un genotipo perjudicial” que incrementa el riesgo de padecer diabetes y obesidad.</p><p>Por otro lado, el ABC1 se encuentra en una región intergénica y se asocia con un punto clave en la secuencia del ADN que puede modificar otros genes.</p><p>Es decir, este gen modula a otros a su alrededor y funciona como un marcador asociado con la diabetes, de modo que su presencia puede indicar la probabilidad de padecerla, explicó el especialista.</p><p>“El cambio que produce el ABC1 provoca la disminución de secreción de insulina en la población debido a que es transportador de colesterol”, lo que propicia que se guarde en el interior de las células, de modo que tiene un impacto negativo en la función de secreción de insulina, manifestó Lara Riesgos.<br /> enero 27/2016 (Notimex)</p>
2016-02-02T08:54:19-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/810
Nutrición: Según la OMS 41 millones de niños menores de cinco años presentan sobrepeso
2016-02-02T08:52:29-05:00
Revista Finlay
<p>La Organización Mundial de la Salud (OMS) publicó recientemente un informe en el que expresa su preocupación por la enorme cantidad de niños pequeños que sufren sobrepeso en el mundo.En total hay unos 41 millones de niñas y niños con sobrepeso u obesidad, denuncia el reporte, realizado por la Comisión contra la Obesidad Infantil. La cifra equivale a un 6,1 por ciento del total de los menores de ese grupo de edad, frente a los 31 millones (4,8 %) que se registraban en 1990.</p><p>El mayor aumento de niños con este problema se registra en países con ingresos bajos y medios. En 2014 había allí 15,5 millones de niños con sobrepeso, más del doble que en 1990 (7,5 millones). Casi la mitad de los niños demasiado gordos vive en Asia, el 48 por ciento, y un cuarto en Á frica.</p><p>La Comisión presenta numerosas propuestas directamente a los países afectados. “Es necesario un mayor compromiso político para hacer frente al desafío global del sobrepeso y la obesidad infantiles”, afirma el copresidente de la Comisión, Peter Gluckman.</p><p>“Los niños con obesidad tienen muchas probabilidades de seguir siendo obesos en la adultez y están en riesgo de sufrir enfermedades crónicas”, subraya la OMS, por lo que la tendencia actual tiene “el potencial de negar muchos de los beneficios a la salud que han contribuido a aumentar la esperanza de vida”.</p><p>Entre las propuestas presentadas están crear estándares generales para la comida en las escuelas, un impuesto al azúcar o limitar la publicidad de los alimentos que no son sanos.</p><p>La OMS señala que muchos países en los que la población pasa hambre tienen a su vez un problema de obesidad infantil, porque los menores desnutridos tienen un mayor riesgo de sufrir sobrepeso cuando consiguen comer más y adoptan un estilo de vida sedentario.</p><p>“La obesidad infantil muchas veces es subestimada como un problema de salud pública en este contexto, donde culturalmente un niño con sobrepeso es considerado un niño sano”, señalan los expertos.</p><p>Por lo general, la obesidad infantil está causada por alimentos y bebidas con demasiada azúcar, sal y grasas, así como por la ausencia de actividad física.</p><p>Además, los bebés nacidos de una madre obesa o con diabetes tienen una mayor probabilidad de tener a su vez sobrepeso.</p><p>La obesidad en niños puede causar varias enfermedades, como cardiopatías y diabetes, y puede contribuir a depresiones y bajo rendimiento escolar, según la OMS.</p><p>El parámetro para establecer el sobrepeso es el índice de masa corporal, que se calcula sobre la base de la altura y el peso.<br /> enero 27/2016 (DPA)</p><p> </p><p><strong>Le puede interesar</strong>:</p><p><a href="http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs342/es/" target="_blank"><em><strong>Alimentación del lactante y del niño pequeño</strong></em></a><br /> <a href="http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs394/es/" target="_blank"><strong><em>Alimentación sana</em></strong></a><br /> <a href="http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs311/es/" target="_blank"><em><strong>Obesidad y sobrepeso</strong></em></a></p><p><a href="http://www.who.int/elena/es/" target="_blank"><em><strong><br /> Nuevas medidas nutricionales</strong> </em></a></p>
2016-02-02T08:52:29-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/809
Prevención de las enfermedades crónicas: La voluntad política y un liderazgo fuerte son las claves para reducir las muertes por accidentes de tráfico para el 2020
2015-12-14T09:14:11-05:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un panel diverso de expertos en seguridad vial del sector público y privado acordó que la disminución de muertes por accidentes de tránsito para el 2020 es una meta alcanzable, de acuerdo con los Objetivos de Desarrollo Sostenible (ODS), pero que requiere de apoyo político y de un fuerte liderazgo y decisión.</p><p style="text-align: justify;">Reducir a la mitad el número de muertes causadas por accidentes de tránsito significa disminuir cerca de 1.25 millones de muertes a 625 000, o menos. Pierre Guislain, Director Principal de Transporte y de Información y Tecnología de las Comunicaciones Practica Global del Banco Mundial, señaló que de hecho tenemos que hablar y centrarnos en esta cifra baja. “¿Por qué seguir hablando de 1.25 millones?”</p><p style="text-align: justify;">“Si todos los países que se encuentran representados en este evento vuelven a casa y empiezan a revisar sus legislaciones y ponen atención a las brechas, se puede lograr” dijo Etienne Krug, Director del Departamento de Manejo de las Enfermedades No Transmisibles de la Organización Mundial de la Salud (OMS).</p><p style="text-align: justify;">Un diseño de movilidad urbano puede reducir la dependencia del automóvil y disminuir el número de carros en las carreteras, lo que automáticamente resultaría en la mejora de las tendencias de la seguridad vial. “Debemos reemplazar la movilidad de carros y motocicletas por el transporte público”, subrayó Guislain del Banco Mundial. “La era de más carros y motocicletas en las carreteras ha terminado.”</p><p style="text-align: justify;">Varios panelistas coincidieron que el transporte público y las opciones de manejo compartido deben convertirse en algo más atractivo. Brasil y México, entre otros países, están buscando maneras de cambiar esta percepción.</p><p style="text-align: justify;">Lo único que falta es la voluntad política. “No podemos rediseñar la infraestructura del mundo, pero sí podemos crear leyes para el uso de los cinturones de seguridad y los cascos. Podemos reducir los límites de velocidad. Podemos separar a los peatones y a los ciclistas de los vehículos. Ninguna de estas medidas son costosas”, dijo Krug de la OMS.</p><p style="text-align: justify;">Durante sus palabras de apertura, Zoleka Mandela recordó a los participantes que hay un rostro humano detrás de las estadísticas y agregó que “No hay ninguna excusa para no llevarlo a cabo”.</p><p style="text-align: justify;">“Hemos llegado a un punto decisivo en nuestro enfoque a la seguridad vial y a la movilidad sostenible, que están firmemente incorporadas en la agenda de salud”, dijo Etienne de OPS. “Es nuestro reto; llegó el momento de actuar”.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://www.paho.org/hq/index.php?option=com_content&view=article&id=11457%3A2015-strong-leadership-key-educing-road-traffic-deaths-by-2020&Itemid=135&lang=es" href="http://www.paho.org/hq/index.php?option=com_content&view=article&id=11457%3A2015-strong-leadership-key-educing-road-traffic-deaths-by-2020&Itemid=135&lang=es" target="_blank"><strong>noviembre 24 / 2015 (OPS/OMS)</strong></a></p>
2015-12-14T09:14:11-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/808
Anuncio: Nuevo informe apoyado por la ONU analiza tendencias de salud globales
2015-12-14T09:11:31-05:00
Revista Finlay
<p>La Organización Mundial de la Salud (OMS) lanzó recientemente un nuevo e integral análisis de las tendencias de salud mundiales desde el 2000 y una evaluación de los desafíos para los próximos 15 años, dijo en la sede de la Organización de las Naciones Unidas (ONU), un vocero del organismo mundial.</p><p>El informe, llamado “Salud en el 2015: De los Objetivos de Desarrollo del Milenio (ODM) hasta los Objetivos de Desarrollo Sostenible (ODS)”, identifica los motores claves en el avance en salud desde el 2000.</p><p>Los ODS, aprobados por los líderes mundiales en la ONU en septiembre, son el plan para los esfuerzos mundiales de desarrollo de los próximos 15 años. Los ODS reemplazarán a los ODM, una serie de ocho objetivos de reducción de la pobreza que debían lograrse para fines de 2015. “También plantea las acciones que los países y la comunidad internacional deben establecer como prioridad para lograr los ODS”, dijo a los reporteros Farhan Haq, vocero adjunto de la ONU.</p><p>De acuerdo con el informe, en los últimos 15 años se registraron importantes descensos en la mortalidad materno-infantil y avances en la lucha contra el VIH, la tuberculosis y el paludismo en los países en desarrollo, agregó.<br /> diciembre 11/2015 (Xinhua)</p>
2015-12-14T09:11:31-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/807
Factores de riesgo cardiovascular: ¿Cuánto peso hay que perder antes de que los demás lo noten?
2015-12-14T09:09:01-05:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un estudio halla que las mujeres deben rebajar 14 libras (6.35 KG) y los hombres 18 libras (8.16 KG) antes de que los encuentren más atractivos</p><p style="text-align: justify;">Hace meses que está de dieta y haciendo ejercicio, y por fin está bajando de peso. ¿Cuándo comenzará la gente a notar la diferencia en su cara?</p><p style="text-align: justify;">Unos investigadores canadienses creen haberlo averiguado.</p><p style="text-align: justify;">“Las mujeres y los hombres con una estatura promedio tienen que aumentar o perder alrededor de entre tres kilos y medio y cuatro kilos, o entre ocho y nueve libras, respectivamente, para que la gente se lo note en la cara. Pero tienen que perder casi el doble para que alguien los encuentre más atractivos”, señaló en un comunicado de prensa de la Universidad de Toronto Nicholas Rule, profesor asociado y catedrático de investigación Canadá en percepción social y cognición de la universidad. “</p><p style="text-align: justify;">El rostro “es un indicador robusto de la salud de la persona”, señaló Rule. “El aumento de la adiposidad [contenido de grasa] de la cara se asocia con un sistema inmunitario afectado, una función cardiovascular mala, infecciones respiratorias frecuentes y mortalidad. De forma que incluso una reducción pequeña puede mejorar la salud”.</p><p style="text-align: justify;">Para determinar cuánto peso las personas debían perder antes de parecer más atractivas a los demás, los investigadores reunieron una colección de fotografías de las caras de hombres y mujeres de 20 a 39 años de edad. Las personas de las fotografías no usaron joyas, se recogieron el pelo y tenían unas expresiones faciales neutras.</p><p style="text-align: justify;">Cada imagen se duplicó y se alteró ligeramente para crear una secuencia de fotografías en que la persona parecía aumentar de peso poco a poco.</p><p style="text-align: justify;">Los participantes compararon pares de caras elegidas al azar de cada uno de las secuencias y eligieron la que les parecía que tenía más peso. Según sus respuestas, los investigadores midieron la pérdida de peso necesaria antes de que el peso perdido se hiciera notable en el rostro de una persona.</p><p style="text-align: justify;">El equipo de Rule también encontró que las personas debían perder el doble de peso para ser percibidas como más atractivas por los demás, más allá de un simple “has perdido peso”. La cantidad promedio de peso perdido necesario para hacer que las caras de las fotografías resultaran más atractivas fue de alrededor de 14 libras (6.35 KG) para las mujeres y 18 libras (8.16 KG) para los hombres con una estatura promedio.</p><p style="text-align: justify;">Los hallazgos son importantes porque “cuando se trata de los incentivos para perder peso, a algunas personas les motiva más verse atractivas que mejorar su salud”, señaló en el comunicado de prensa el coautor del estudio, Daniel Re, miembro postdoctoral de la universidad.</p><p style="text-align: justify;">“La diferencia entre los grupos sugiere que el atractivo facial de las mujeres podría ser más sensible a los cambios en el peso”, anotó. “Eso solo significa que las mujeres que intentan perder peso tienen que perder ligeramente menos peso que los hombres para que las personas las encuentren más atractivas”.</p><p style="text-align: justify;">Los hallazgos aparecen en una edición reciente de la <a title="http://spp.sagepub.com/" href="http://spp.sagepub.com/" target="_blank"><strong>revista Social Psychological and Personality Science</strong></a>.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://www.intramed.net/contenidover.asp?contenidoID=88206" href="http://www.intramed.net/contenidover.asp?contenidoID=88206" target="_blank"><strong>diciembre 11/ 2015 (IntraMed)</strong></a></p>
2015-12-14T09:09:01-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/806
Cardiopatía Isquémica: Tener una actitud optimista tras superar un infarto reduce el riesgo de ingresos hospitalarios
2015-12-14T09:06:29-05:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Entre los pacientes con mejor disposición de ánimo, el riesgo de reingreso es un 8 % menor, según un estudio.</p><p style="text-align: justify;">Investigadores del Hospital General de Massachusetts y la Universidad de Harvard, en Estados Unidos, aseguran que llevar una actitud optimista tras haber superado un infarto de miocardio resulta beneficioso para llevar a cabo un estilo de vida más saludable e incluso reducir el riesgo de complicaciones. El trabajo, puclicado en <a title="http://circoutcomes.ahajournals.org/content/early/2015/12/08/CIRCOUTCOMES.115.002184.abstract?sid=27aeefcb-09b9-4e01-ad4c-9d6b41f45249" href="http://circoutcomes.ahajournals.org/content/early/2015/12/08/CIRCOUTCOMES.115.002184.abstract?sid=27aeefcb-09b9-4e01-ad4c-9d6b41f45249" target="_blank"><em>Circulation Cardiovascular Quality and Outcomes</em></a>, muestra que las personas optimistas reducen el riesgo de resultar hospitalizados 6 meses después de un síndrome coronario agudo.</p><p style="text-align: justify;">“Puede ser un período muy vulnerable en el que las tasas de reingresos y la mortalidad son más elevadas, por lo que es muy importante saber qué factores pueden ofrecer mejores resultados”, ha destacado Jeff Huffman, investigador en Psiquiatría Cardíaca y autor de la investigación.</p><p style="text-align: justify;">Este tipo de eventos cardíacos sirven para muchos pacientes como una especie de punto de inflexión en sus vidas, y llevan a cabo cambios sustanciales en su vida en busca de unos hábitos más saludables, que afectan a la dieta, la actividad física o determinadas conductas como el tabaquismo.</p><p style="text-align: justify;">Para ver qué podía llevar a estos pacientes a introducir dichos cambios, Huffman y su equipo analizaron los datos de 164 pacientes hospitalizados por síndromes coronarios agudos entre 2012 y 2014. La media de edad eran 62 años y la mayoría de los pacientes analizados eran hombres de raza blanca. En más de la mitad, el ingreso estuvo provocado por un primer evento.</p><p style="text-align: justify;">Dos semanas después de la hospitalización, los investigadores evaluaron, mediante un cuestionario, el optimismo y la gratitud, y también pidieron a los pacientes que recordaran su actividad en los días previos al ingreso.</p><p style="text-align: justify;">Seis meses más tarde, evaluaron la tasa de reingresos hospitalarios y la actividad física. Asimismo, también hicieron análisis de sangre para buscar signos de inflamación que pudieran alertar de futuros riesgos cardíacos.</p><p style="text-align: justify;">Después de seis meses, un total de 35 pacientes (el 21 %) habían sido hospitalizados de nuevo y 28 tuvieron que ser atendidos en urgencias por problemas cardíacos. Entre los pacientes más optimistas, el riesgo de reingreso era un 8% menor y el de ser atendidos por cualquier causa, un 6% menor.</p><p style="text-align: justify;">Los participantes daban de media unos 5 150 pasos al día o aproximadamente 2,5 millas (unos 4 kilómetros) y, aunque sus hábitos variaban, los optimistas superaban a los pacientes menos alegres.</p><p style="text-align: justify;">Influencia de los factores psicológicos</p><p style="text-align: justify;">Cuando los investigadores hicieron pruebas en laboratorio para verificar la presencia de proteínas en la sangre que pudieran apuntar a una posible inflamación, un factor de riesgo para los síndromes coronarios agudos, vieron como el optimismo no supuso ninguna diferencia.</p><p style="text-align: justify;">Los autores, no obstante, reconocen que entre las carencias del estudio, figura el que todos los pacientes pertenecieran a un mismo centro o la mayor prevalencia de hombres de raza blanca, lo que podría cuestionar que estos datos fueran extrapolables a otros pacientes.</p><p style="text-align: justify;">No obstante, ha añadido Andrew Steptoe, del University College de Londres, Reino Unido, los hallazgos se suman a la sólida evidencia que sugiere que los factores psicológicos pueden influir en el pronóstico de quienes sufren un infarto.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://www.jano.es/noticia-tener-una-actitud-optimista-tras-25285" href="http://www.jano.es/noticia-tener-una-actitud-optimista-tras-25285" target="_blank"><strong>diciembre 11 / 2015 (JANO)</strong></a></p>
2015-12-14T09:06:29-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/805
Nutrición: Tomadores de café tienen menos probabilidad de morir de algunos males
2015-11-20T09:19:00-05:00
Revista Finlay
<p>Las personas que dicen tomar tres a cinco tazas de café al día tienen menos probabilidades de morir prematuramente por una falla cardiaca, diabetes, mal de Parkinson o incluso suicidio, divulgaron investigadores el lunes.</p><p>Con cafeína o sin ella, ambas versiones de café mostraron tener beneficios, según el estudio de científicos de la Harvard Chan School of Public Health, publicado en la revista especializada <a href="http://circ.ahajournals.org/content/early/2015/11/10/CIRCULATIONAHA.115.017341.abstract" target="_blank"><strong><em>Circulation</em></strong></a>.</p><p>El estudio comparó a las personas que no toman café, o que toman menos de dos tazas al día, con aquellas que afirmaron tomar cantidades “moderadas” de café, es decir hasta cinco tazas al día.</p><p>El estudio no probó una relación causa-efecto entre el café y la menor probabilidad de padecer algunas enfermedades, pero sí descubrió un aparente vínculo que coincide con estudios previos y que los científicos seguirán estudiando.</p><p>“Los compuestos bioactivos del café reducen la resistencia a la insulina y la inflamación sistemática”, dijo el principal autor de la investigación, Ming Ding, estudiante de doctorado en Nutrición.</p><p>“Esto podría explicar algunos de nuestros hallazgos. No obstante, se necesitan más estudios para investigar los mecanismos biológicos que producen estos efectos”.</p><p>En este trabajo no se halló un efecto protector contra el cáncer, como habían señalado algunos estudios previos.</p><p>El actual estudio se basó en datos de tres grandes encuestas a unas 300 000 enfermeras y otros profesionales de la salud, sobre sus condiciones médicas y hábitos a lo largo de 30 años.</p><p>“En toda la población estudiada, el consumo moderado de café se asoció al riesgo reducido de muerte por enfermedad cardiovascular, diabetes, enfermedades neurológicas como el mal de Parkinson y el suicidio”, indicó el estudio.</p><p>Los investigadores tomaron en cuenta posibles factores de confusión, como el tabaquismo, la masa corporal, el ejercicio, el consumo de alcohol y la dieta.</p><p>Pero el hecho de que la investigación se base en encuestas en las que los individuos reportan su propio comportamiento eleva interrogantes sobre su fiabilidad.</p><p>Y los expertos advierten que el café puede no ser adecuado para todos.</p><p>“El consumo regular de café puede ser incluido como parte de una dieta saludable y balanceada”, dijo Frank Hu, coautor del trabajo y profesor de nutrición y epidemiología en Harvard.</p><p>“No obstante, algunas poblaciones como las mujeres embarazadas y los niños deben tener precaución con el consumo de cafeína”.<br />noviembre 18/2015 (AFP)</p><p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 ?Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-11-20T09:19:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/804
Factores de riesgo cardiovascular: Situaciones estresantes en la niñez podrían aumentar el riesgo de trastornos cardíacos e ictus en la edad adulta
2015-11-12T08:35:38-05:00
Revista Finlay
<p>Experimentar unos niveles altos de estrés mental en cualquier momento de la vida (aunque sólo sea en la niñez) podría aumentar el riesgo de enfermedad cardíaca, ictus o diabetes en la edad adulta, según un estudio reciente publicado en <a title="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S073510971504869X" href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S073510971504869X" target="_blank"><em>Journal of the American College of Cardiology</em></a></p><p>Los investigadores siguieron a 6 714 personas desde los 7 hasta los 42 años, y evaluaron sus niveles de distrés psicológico en seis momentos distintos. A los 7, 11 y 16 años, los maestros calificaron los síntomas de depresión, agitación, mala conducta, hostilidad, ansiedad y problemas relacionados de los participantes, los cuales informaron de su propia salud mental a los 23, 33 y 42 años.</p><p>Entonces, a los 45 años, se evaluaron los niveles de colesterol, la frecuencia cardíaca, la presión arterial y otras características de los participantes para medir el estado de su sistema inmunitario, junto con su salud cardíaca y metabólica. El riesgo de trastornos cardiovasculares y metabólicos fue más alto entre quienes experimentaron estrés durante toda su vida, pero aquellos que sufrieron distrés psicológico sólo en la niñez o sólo en la edad adulta también tenían un riesgo más elevado en comparación con las personas que no habían padecido períodos emocionales estresantes.</p><p>Los investigadores ajustaron sus hallazgos para tomar en cuenta otros factores que podrían afectar a la salud, como el nivel socioeconómico, el peso, los problemas tempranos de salud, la dieta, el ejercicio, los antecedentes de tabaquismo y el uso de medicamentos. Varios factores podrían contribuir a los riesgos de salud planteados por el estrés, como cambios físicos surgidos del estrés y conductas que las personas adoptan en respuesta al estrés extremo, como fumar o una actividad física inadecuada</p><p><a title="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=5397" href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=5397" target="_blank"><strong>noviembre 10/ 2015 (HealthDay)</strong></a></p>
2015-11-12T08:35:38-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/803
Factores de riesgo: Obesidad en juventud predispone a enfermedades como gota y diabetes
2015-11-12T08:34:47-05:00
Revista Finlay
<p>El coordinador de Prevención y Atención a la Salud del IMSS Guanajuato, Ismael Lizama Rentería, señaló que los jóvenes que padecen obesidad, en su etapa adulta pueden desarrollar enfermedades vesiculares, hepáticas, gota e hipertensión, entre otras.</p><p>En un comunicado, el médico del Instituto Mexicano del Seguro Social (IMSS) recomendó un cambio de estilo de vida, que incluye educación sobre nutrición saludable, actividad física y técnicas de cambio de conducta.</p><p>Advirtió que el tratamiento en contra de la obesidad tiene que ser integral, porque si no se usan técnicas de mantenimiento del cambio, el paciente tiende a recuperar el peso perdido.</p><p>Resaltó que existen jóvenes entre 16 y 18 años de edad, que padecen algún grado de obesidad, que en su etapa adulta puede generar el desarrollo de distintas enfermedades.</p><p>En consecuencia, recomendó siempre desayunar, comer despacio, establecer horarios para tomar los alimentos, evitar la comida rápida, incluir frutas y verduras, beber agua potable suficiente; a la par realizar, al menos 30 minutos diarios de actividad física.</p><p>Destacó la urgencia de cambiar hábitos de vida, principalmente alimenticios, toda vez que México ocupa los primeros lugares en obesidad y sobrepeso a nivel mundial.</p><p>Dijo que el consumo excesivo de productos industrializados ricos en grasa, carbohidratos y azúcares refinados, se convierten en detonadores de enfermedades cardiovasculares y diabetes, así como complicaciones de los casos de lupus eritematoso, artritis reumatoide y osteoartritis.</p><p>Pidió a niños y jóvenes consumir alimentos sanos, sobre todo frutas y verduras, y reducir carbohidratos -pizza, tacos, refrescos-, así como abandonar el sedentarismo, y concientizarse sobre la necesidad de realizar actividades físicas o de practicar un deporte.</p><p><strong>noviembre 10/ 2015 (Notimex).- -</strong></p><div><strong><br /></strong></div>
2015-11-12T08:34:47-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/802
Cáncer: Nuevas medidas para mejorar el diagnóstico precoz del cáncer colorrectal
2015-11-12T08:33:36-05:00
Revista Finlay
<p>La mejora en el diagnóstico del cáncer colorrectal es fundamental para reducir los casos de la enfermedad y aumentar las tasas de supervivencia. Investigadores de la Red de Enfermedades Hepáticas y Digestivas han presentado datos de estudios en los que recogen sugerencias para elevar la precocidad.</p><p>Investigadores de la Red de Enfermedades Hepáticas y Digestivas han dado a conocer los primeros datos de trabajos encaminados a mejorar el diagnóstico precoz de cáncer colorrectal.</p><p>La mejora en el diagnóstico del cáncer colorrectal es fundamental para reducir los casos de la enfermedad y aumentar las tasas de supervivencia. Investigadores de la Red de Enfermedades Hepáticas y Digestivas han presentado datos de estudios en los que recogen sugerencias para elevar la precocidad.</p><p>Investigadores del Centro de Investigación Biomédica en Red de Enfermedades Hepáticas y Digestivas (Ciberehd), dependiente del Instituto de Salud Carlos III, han presentado sus proyectos para mejorar el diagnóstico precoz del cáncer colorrectal en las IX Jornadas Científicas del Ciberehd celebradas en Barcelona.</p><p>Antoni Castells, investigador del Ciberehd en el IDIBAPS, Hospital Clínico de Barcelona, ha explicado los avances en Colonprev, un estudio en marcha multicéntrico en el que participan grupos de toda España que está evaluando en 57 000 personas con riesgo de sufrir cáncer colorrectal la efectividad de dos métodos diferentes de cribado: la colonoscopia y la detección de sangre oculta en heces mediante test inmunoquímico. El seguimiento con Colonprev comenzó hace seis años. El estudio concluirá en el 2021, cuando se realizará el análisis de impacto sobre la supervivencia para poder decidir cuál de estas dos técnicas es la mejor estrategia de prevención desde un punto de vista coste-efectivo.</p><p>El Ciberehd también ha participado en otro estudio cooperativo, el proyecto Epicolon, que ha permitido trasladar a la práctica clínica métodos más efectivos de identificación de las formas hereditarias y familiares del cáncer colorrectal, un avance importante ya que en un 25-30 % de los casos la historia familiar puede favorecer la aparición de este cáncer y en un 3-5 % el tumor aparece en el contexto de una enfermedad hereditaria.</p><p>El cáncer colorrectal constituye la segunda causa de muerte por cáncer en España. Esta circunstancia contrasta, según Castells, con el hecho de que es uno de los tumores que mejor puede prevenirse. “Nuestros proyectos Colonprev y Epicolon confirman la importancia de disponer de grandes cohortes de pacientes bien caracterizadas tanto desde un punto de vista clínico y molecular, como así lo acredita la producción científica que se ha derivado de cada uno de ellos”, ha apuntado Castells.</p><p>En estas jornadas científicas, se han expuesto los resultados más relevantes de la investigación del Ciberehd durante los últimos años, con especial énfasis en aquellos que han tenido mayor impacto en trasladar la investigación a una mejora en la atención sanitaria de la población, en áreas como hepatitis vírica, daño hepático asociado al alcohol o al síndrome metabólico con sobrepeso, hipertensión y diabetes, inflamación gastrointestinal, motilidad y cáncer de hígado, entre otras.</p><p>“Miembros del grupo también han generado guías de práctica clínica que se utilizan a nivel internacional en hepatitis vírica, cáncer de hígado, cirrosis hepática, trasplante de hígado, enfermedad inflamatoria intestinal o cómo afrontar las investigaciones en la microbiota, que son los gérmenes que tenemos en nuestro intestino. Todo esto ha generado un enorme beneficio. Hemos conseguido tener un gran impacto en la sociedad porque nuestras investigaciones han permitido mejorar la atención sanitaria que se proporciona a los ciudadanos”, ha resaltado Jordi Bruix, director científico del citado organismo.<br /><a href="http://oncologia.diariomedico.com/2015/11/05/area-cientifica/especialidades/oncologia/prevencion/nuevas-medidas-para-mejorar-el-diagnostico-precoz-del-cancer-colorrectal" target="_blank">noviembre 11/2015 (Diario Médico)</a></p>
2015-11-12T08:33:36-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/801
Enfermedades del sistema nervioso: Un tratamiento contra el alzhéimer podría empeorar la actividad del cerebro
2015-11-12T08:32:28-05:00
Revista Finlay
<p>Un grupo de científicos de la Universidad Técnica de Múnich ha observado que un tratamiento en ratones que se creía eficaz contra el alzhéimer podría, en realidad, empeorar la actividad del cerebro, según un estudio publicado en “Nature”.<br />Estas terapias, que reducen los depósitos de á-amiloide (Aá) en el cerebro, resultaron ineficaces en la reparación del deterioro neuronal en ratones transgénicos.</p><p>La acumulación de pequeñas placas de Aá en el cerebro, que constituye una característica patológica del alzhéimer, altera las funciones del circuito neuronal.</p><p>Para revertir esas deficiencias, los expertos en neurociencia de la citada universidad, Arthur Konnerth y Marc Busche, trataron a los roedores del experimento con dos tipos de anticuerpos diferentes: dirigidos contra los depósitos de Aá y anticuerpos de control.</p><p>Los científicos encontraron que, aunque el tratamiento con anticuerpos redujo la cantidad de placas dañinas en el cerebro de los animales, también aumentó la cantidad de neuronas hiperactivas.</p><p>En contra de otras investigaciones previas, los autores del estudio señalaron que los beneficios del método con anticuerpos, para prevenir el desgaste de las conexiones neuronales y el deterioro de la memoria, no eran suficientes.</p><p>Además, sugirieron que los mecanismos observados podrían explicar, en parte, por qué este tipo de tratamiento en ensayos clínicos en humanos no ha logrado mejorar el déficit cognitivo.</p><p>Sin embargo, los autores señalaron que se necesitan más estudios para determinar si el aumento de la actividad neuronal anormal se relaciona con la escasa eficacia de la terapia contra los depósitos de Aá en los pacientes.<br />noviembre 11/2015 (Reuter)</p>
2015-11-12T08:32:28-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/800
Enfermedades cardiovasculares: Tratamiento agresivo para la hipertensión reduce el riesgo cardiaco
2015-11-12T00:00:00-05:00
Revista Finlay
<p>Un tratamiento para la hipertensión arterial más agresivo de lo usual puede reducir significativamente el riesgo de enfermedades cardiovasculares e incluso de muerte, según resultados preliminares de un estudio publicado este lunes.El estudio realizado en Estados Unidos y aplicable a mayores de 50 años demostró que reducir la presión sistólica a 12 disminuye en un 24 % el riesgo de infartos, deficiencia cardiaca o de un accidente cardiovascular.</p><p>Asimismo, reduce un 27 % la mortalidad vinculada a esas enfermedades, en comparación con la recomendación actual de mantener una presión sistólica de (140 mm/hg), al menos en este grupo de edad.</p><p>El tratamiento más agresivo también parece eficaz para las personas mayores de 75 años, según el estudio SPRINT (Estudio de intervención en la presión sistólica de la sangre) presentado en la conferencia anual de la Asociación del Corazón estadounidense y publicado en “New England Journal of Medicine” (“NEJM”).</p><p>“El estudio provee potencialmente información que salvaría vidas, que podría ser útil para los proveedores de cuidados de salud cuando consideren el mejor tratamiento para algunos de sus pacientes, particularmente a los mayores de 50 años”, dijo Gary Gibbons, director del instituto del Corazón, Pulmones y Sangre (NHLBI) y principal autor del estudio.</p><p>Este tratamiento más intensivo de la hipertensión también está vinculado a un mayor riesgo de problemas graves, como anomalías de hipotensión, desmayos y problemas renales, sin que haya indicios en este punto de daño irreversible.</p><p>El análisis de estos datos clínicos y de futuros estudios deberán ayudar a comprender cómo este tratamiento agresivo para bajar la tensión arterial altera el funcionamiento renal.</p><p>“Nuestros resultados proveen una importante evidencia de que tratar la presión sanguínea a un nivel más bajo para pacientes mayores o de alto riesgo puede ser beneficioso y dar mejores resultados en la salud en general”, indicó Lawrence Fine del NHLBI.</p><p>El estudio comenzó a finales de 2009 con más de 9300 pacientes de 50 años en adelante, reclutados en cientos de centros médicos en todo Estados Unidos y Puerto Rico.</p><p>Se trata de la mayor investigación clínica hasta la fecha para examinar los efectos del tratamiento para la hipertensión, con enfoque en la presión sistólica de la sangre a un nivel menor al recomendado.<br />noviembre 11/2015 (AFP)</p>
2015-11-12T00:00:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/799
Cáncer: Desarrollan nueva técnica para cribado de mama
2015-09-29T08:10:24-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un equipo de investigadores, que está desarrollando un prototipo clínico de una nueva técnica para el cribado de mama con tomografía computarizada por ultrasonido (UCT), está listo ahora para trabajar con socios comerciales con el fin de convertir su sistema en un dispositivo clínico.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Este nuevo sistema para detección costaría menos que las técnicas que se utilizan actualmente y proporcionaría resultados que los médicos pueden interpretar con mayor facilidad. Además, la realización de la prueba sería más segura y más cómoda que las actuales técnicas para detección, que se hacen en varias etapas, las cuales incluyen la mamografía de rayos X, un examen clínico y radiografías y un ultrasonido, adicionales.</p><p style="text-align: justify;">Este sistema para detección está siendo desarrollado por un equipo formado por investigadores del Laboratorio Nacional de Física del Reino Unido (NPL; Teddington, Middlesex, Reino Unido), de los Hospitales de la Universidad de Bristol (UHB; Bristol, Avon, Reino Unido), del Fideicomiso del NHS para el Norte de Bristol (NBT; Briston, Avon, Reino Unido), de Precision Acoustics (Dorchester, Dorset, Reino Unido) y de Designworks.</p><p style="text-align: justify;">Este sistema para detección emplea una nueva técnica de detección con ultrasonido, desarrollada por el NPL, que utiliza sensores piro-eléctricos de gran superficie para crear una imagen del ultrasonido. Estos nuevos sensores producen un número mucho menor de artefactos en las imágenes que los detectores existentes. El procedimiento consiste en pasar ondas de ultrasonido a través de la mama mientras esta permanece en un baño de agua tibia. El sistema de ultrasonido se hace girar alrededor del seno durante el examen y da como resultado una imagen 3-D del tejido mamario, la cual se puede utilizar para diferenciar los tipos de tejidos como normales o cancerosos.</p><p style="text-align: justify;">Precisión Acoustics ha construido los primeros prototipos de estos sensores piro-eléctricos y están siendo probados y optimizados aún más en el NPL. Cuando hayan terminado, el equipo planea desarrollar el sistema prototipo para el cribado de mama, con el fin de hacer una evaluación clínica con un pequeño número de pacientes.</p><p style="text-align: justify;">El Dr. Mike Shere y la Dra. Lis Kutt, del Centro de Servicios de Bristol para Atención de la Mama, dijeron: “Estamos evaluando esta herramienta con el propósito de usarla en la formación de imágenes y buscando cómo utilizarla para la detección, para lo cual debe tener las características adecuadas de sensibilidad, especificidad, aceptación de las pacientes y reproducibilidad de la mamografía convencional”.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://www.medimaging.es/ultrasonido/articles/294760549/desarrollan_nueva_tecnica_para_cribado_de_mama.html" href="http://www.medimaging.es/ultrasonido/articles/294760549/desarrollan_nueva_tecnica_para_cribado_de_mama.html" target="_blank"><strong>septiembre 27/ 2015 (Medimaging)</strong></a></p>
2015-09-29T08:10:24-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/798
Enfermedades cardiovasculares: Late el corazón 100 mil veces al día en promedio
2015-09-29T08:01:29-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un corazón fuerte y saludable es vital para la longevidad. De acuerdo con la Organización Mundial de la Salud (OMS), cada año fallecen en el mundo más de 17 millones de personas por enfermedad cardiovascular (ECV).</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Este tipo de padecimiento es la principal causa de mortalidad en México y en el mundo, alertan especialistas en el marco del Día Internacional del Corazón, que se conmemora el 29 de septiembre.</p><p style="text-align: justify;">Este órgano es un músculo que se encarga de bombear sangre a todo el cuerpo, el cual late en promedio 100 mil veces al día, 35 millones de veces al año y más de 2.5 billones de veces a lo largo de la vida.</p><p style="text-align: justify;">Diversos estudios médicos, realizados principalmente en Estados Unidos, señalan que el corazón bombea aproximadamente 5.6 litros de sangre a todo el cuerpo tres veces cada minuto.</p><p style="text-align: justify;">En un día, la sangre recorre un total de 19 mil kilómetros, el equivalente a ir de la ciudad de México a Cuernavaca 246 veces.</p><p style="text-align: justify;">La fuerza con la que este músculo bombea la sangre es similar a la que si tomáramos una pelota de tenis en una mano y la apretáramos fuerte. Incluso en reposo, los músculos del corazón trabajan más fuerte que los músculos de las piernas de una persona al trotar.</p><p style="text-align: justify;">El corazón de un niño es del tamaño de su puño cerrado. Cuando se convierte en adulto, el tamaño del mismo aumenta a dos veces el tamaño de su puño cerrado.</p><p style="text-align: justify;">La arteria más grande del cuerpo, es casi del ancho del diámetro de una manguera casera. Las capilares, por otro lado, son tan pequeñas que se necesitarían diez de ellas para que midieran lo mismo que el ancho de un cabello humano.</p><p style="text-align: justify;">Para conservar la salud cardíaca es recomendable consumir una dieta sana con micronutrientes que incluya Omega 3-DHA el cual es un componente clave del corazón, especialmente del tejido conductor.</p><p style="text-align: justify;">El DHA funciona como un cardioprotector, haciendo que el colesterol malo (LDL) no se deposite en las paredes de las arterias, además de que ayuda a reducir los niveles de triglicéridos en la sangre.</p><p style="text-align: justify;">De igual forma el Beta-glucano, una fibra soluble que se encuentra principalmente en la avena, ayuda a reducir el colesterol malo; los antioxidantes presentes en frutas y verduras son importantes por lo que se debe maximizar su consumo, y eliminar el exceso de sal porque eleva la presión arterial.</p><p style="text-align: justify;"><strong>septiembre 27/ 2015 (Notimex).-</strong></p><p style="text-align: justify;"><strong>Tomado del Boletín Selección Temática de Prensa Latina Copyright 2015″Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.”</strong></p>
2015-09-29T08:01:29-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/797
Cáncer: La trombosis, segunda causa de muerte de pacientes con cáncer en tratamiento
2015-09-28T10:51:48-04:00
Revista Finlay
<p>La trombosis es una de las principales complicaciones que afectan a los pacientes con cáncer, ya que, no en vano, se trata de la segunda causa de mortalidad cuando están en tratamiento, según ha destacado el profesor Alok Khorana, de la Clínica Cleveland, Estados Unidos, durante unas jornadas organizadas por Sanofi con el aval de la Sociedad Española de Oncología Médica (SEOM).</p><p>Khorana ha recordado que muchos pacientes con cáncer presentan trombosis, por lo que es necesario que los especialistas incidan en su profilaxis para reducir los riesgos que comporta esta enfermedad. Además, considera necesario mejorar el conocimiento en el uso de anticoagulantes, como la heparina, para evitar la posible aparición de trombosis en estos pacientes.</p><p>En este sentido, el hematólogo del Hospital Clínic de Barcelona, Pere Gascón, ha añadido que generalmente no suele avisarse a los pacientes de que se trata de un riesgo tan común. “Indicamos a los pacientes que se les puede caer el pelo, que se van a sentir más débiles, que podrían tener náuseas, etcétera. Pero no los avisamos de los síntomas que produce una trombosis para que sepan que deben acudir a urgencias”, ha lamentado.</p><p>En las jornadas también ha participado el coordinador del Grupo de Trombosis de la SEOM, Andrés Muñoz, que actualmente está trabajando en la creación de una pruebagenética que permita saber con la máxima exactitud posible qué riesgo de sufrir trombosis tiene una persona que ha sido diagnosticada de cáncer.<br /> <a href="http://www.jano.es/noticia-la-trombosis-es-segunda-causa-24859" target="_blank">septiembre 27/2015 (JANO.es) </a></p>
2015-09-28T10:51:48-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/796
Factores de riesgo cardiovascular: Colesterol en mujeres no logra salir de los números rojos
2015-09-28T10:49:08-04:00
Revista Finlay
<p>El dato se desprende de las 1855 mediciones realizadas en el marco de la campaña de concienciación “Tu colesterol, más que un número”, promovida por la Fundación Española del Corazón (FEC) durante el pasado verano en Madrid, Bilbao y Sevilla.</p><p>La FEC ha hecho públicas las mediciones de colesterol realizadas en tres capitales durante el pasado mes de julio, y de las que se desprende que más de la mitad de los adultos de la muestra (el 54 %) padece hipercolesterolemia, entendida como valores de colesterol total por encima de 190 mg/dl y más de 115 mg/dl de colesterol LDL. Estos valores se incrementan hasta el 61 % en el caso de las mujeres y hasta casi el 70 % entre las personas de 50 a 65 años. Frente a esta situación, los expertos recuerdan que el colesterol elevado es uno de los principales factores de riesgo para el desarrollo de enfermedades cardiovasculares. La campaña “Tu colesterol, más que un número” visitó Madrid, Sevilla y Bilbao durante el pasado mes de julio. Se realizaron 1855 mediciones de colesterol a hombres y mujeres mayores de 18 años.</p><p>El Dr. Leandro Plaza, presidente de la FEC, ha subrayado la importancia de combatir la hipercolesterolemia: “No tenemos que bajar los brazos ante esta situación. Combatir el colesterol elevado tiene que ser una prioridad a todas las edades. Estamos ante un factor de riesgo que se puede controlar muchas veces modificando pautas de alimentación y estilo de vida, ayudando así a evitar la aparición de enfermedades cardiovasculares”.</p><p>La FEC está realizando controles de colesterol (entre otras pruebas de riesgo cardiovascular) en once ciudades españolas (Álava, Alcalá de Henares, Alcobendas, Gijón, Huércal-Overa, La Rioja, Leganés, León, Madrid, Valencia y Zaragoza). Bajo el lema “Por un corazón feliz”, en el marco del Día Mundial del Corazón (29 de septiembre), esta iniciativa busca fomentar hábitos de vida saludables y hacer hincapié en la importancia de la prevención, ya que las enfermedades cardiovasculares siguen siendo la primera causa de muerte en nuestro país.</p><p>El colesterol de los participantes</p><p>Al analizar los datos obtenidos en el marco de las mediciones de la campaña, se observa que el 45 % de los participantes de menos de 50 años padece hipercolesterolemia, y que esta prevalencia se incrementa hasta el 69 % en caso de los participantes de entre 50 y 64 años.</p><p>Como dato remarcable, se observa que el 44 % de los participantes que toman medidas para reducir el colesterol con recomendaciones (y, por lo tanto, padecen de hipercolesterolemia), tienen el colesterol por encima de 190 mg/dl, poniendo así de manifiesto un mal seguimiento de sus niveles de colesterol. Por otro lado, se ha detectado que la prevalencia de la hipercolesterolemia no detectada es del 59 %. Es decir, 6 de cada 10 personas padecen hipercolesterolemia y no lo saben.</p><p>Un número que aún se desconoce</p><p>En el marco de la campaña “El Colesterol, más que un número”, se quiso saber también si los participantes conocían o no sus niveles de colesterol. En este sentido, un 47 % de los participantes ha indicado que no conoce sus niveles de colesterol. Una cifra que se incrementa hasta más del 50 % en el caso de las mujeres. Es decir, una de cada dos mujeres desconoce sus niveles de colesterol.</p><p>Pudo observarse también que el interés por el control de la hipercolesterolemia aumenta con la edad, siendo el colectivo de 45 a 65 años el que más conocimiento tiene de sus niveles de colesterol, un 82 % frente a un 53 % de media.</p><p>A la hora de valorar la actitud hacia la hipercolesterolemia, la mitad de los participantes indicaron que modifican sus hábitos de alimentación para combatir el colesterol. Sin embargo, aquí también se observan diferencias entre sexos y grupos de edad. Mientras que el 51 % de los hombres declara modificar su dieta para evitar el colesterol, solo lo hace el 45 % de las mujeres. Adicionalmente, a mayor edad, mayor frecuencia en los cambios de hábitos de alimentación.<br /> <a href="http://www.jano.es/noticia-el-colesterol-las-mujeres-no-24894" target="_blank">septiembre 27/2015 (JANO.es) </a></p><p><strong>Leer más en</strong>:</p><p><a href="http://www.revespcardiol.org/es/cardiovascular-risk-factors-in-spain/articulo/90002079/" target="_blank"><em><strong>Revista Española de Cardiología</strong></em></a></p>
2015-09-28T10:49:08-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/795
Cáncer: Un estudio vincula el exceso de peso con el riesgo de un cáncer cerebral
2015-09-25T10:08:31-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">La actividad física se asoció con unas probabilidades más bajas de meningiomas, aunque esos tumores se consideran raros</p><p style="text-align: justify;"> El peso y los niveles de actividad física podrían afectar el riesgo de un tipo particular de cáncer cerebral, sugiere una investigación reciente.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;"> El exceso de peso se asoció con un riesgo más alto de un tipo de cáncer cerebral conocido como meningioma. La obesidad aumentó el riesgo de meningioma en un 54 % , y tener sobrepeso aumentó ese riesgo en un 21 % , encontró el estudio.</p><p style="text-align: justify;">Por otro lado, las personas que eran físicamente activas redujeron el riesgo de meningioma en un 27 %, dijeron los investigadores.</p><p style="text-align: justify;"> ”Hay muy pocos factores de prevención conocidos para esos tumores”, señaló la autora del estudio, Gundula Behrens, del departamento de epidemiología y medicina preventiva de la Universidad de Ratisbona, en Alemania. “Según nuestro estudio, reducir el exceso de peso y adoptar un estilo de vida físicamente activo podría ayudar a prevenir los meningiomas”.</p><p style="text-align: justify;"> El estudio también encontró que tener más peso no se vinculaba con el riesgo de una segunda forma más letal de cáncer del cerebro conocida como glioma.</p><p style="text-align: justify;"> Y aunque hubo una asociación débil entre una mayor actividad física y un riesgo más bajo de glioma, los investigadores dijeron que el hallazgo no alcanzó la significación estadística.</p><p style="text-align: justify;"> Aunque el estudio pudo mostrar una asociación entre el peso y la actividad física y el riesgo de meningioma, no se diseñó para probar una relación causal.</p><p style="text-align: justify;"> Los hallazgos aparecen de la revista <a title="http://www.neurology.org/content/84/6/580" href="http://www.neurology.org/content/84/6/580" target="_blank"><em>Neurology</em></a>.</p><p style="text-align: justify;"> El meningioma y el glioma son los tipos más comunes de tumores cerebrales en adultos, según la información de respaldo del estudio. Pero esos tumores siguen siendo raros.</p><p style="text-align: justify;">Anualmente, entre cinco y ocho personas de cada 100,000 serán diagnosticadas con un meningioma. Entre cinco y siete de cada 100,000 personas recibirán un diagnóstico de glioma en un año dado, señalaron los autores del estudio.</p><p style="text-align: justify;">A los cinco años del diagnóstico, el 63 % de las personas con meningiomas seguirán con vida. El glioma es mucho más letal, con una tasa de supervivencia de apenas un 4 % a los cinco años, reportó el estudio.</p><p style="text-align: justify;"> El Dr. Gowriharan Thaiyananthan, neurocirujano del Instituto del Cerebro y la Espina Dorsal de California, en Newport Beach, dijo que “el riesgo absoluto de contraer un meningioma o un glioma es pequeño, pero parece hacer una correlación positiva entre un aumento ligero en el riesgo de contraer meningiomas y la obesidad”.</p><p style="text-align: justify;"> ”El ejercicio y perder peso podría ayudar a los individuos obesos a reducir su riesgo de contraer meningiomas”, dijo Thaiyananthan, que no participó en el estudio.</p><p style="text-align: justify;"> La investigación actual fue una revisión de 18 estudios anteriores con más de 6 000 personas. Más o menos la mitad de los pacientes tenían meningiomas, y la otra mitad tenían gliomas.</p><p style="text-align: justify;">Algunos de los estudios compararon a los pacientes con contrapartes sanas. Doce de los estudios observaron el índice de masa corporal y el riesgo de cáncer, y seis observaron la actividad física y el riesgo de cáncer.</p><p style="text-align: justify;"> Los estudios definieron la obesidad como un índice de masa corporal (IMC) de más de 30, y el sobrepeso como un IMC de 25 a 29.9. El índice de masa corporal es una medida que ofrece un estimado aproximado de la grasa corporal basada en la estatura y el peso. Los estudios calificaron el ejercicio físico como alto o bajo.</p><p style="text-align: justify;"> Además de los efectos del peso y el ejercicio sobre el riesgo de meningioma, los autores del estudio encontraron una reducción del 32 % en el riesgo de glioma entre los adolescentes con bajo peso (un IMC de menos de 18.5).</p><p style="text-align: justify;"> No está claro de qué forma el exceso de peso o la actividad física podrían afectar el desarrollo de ciertos tumores cerebrales. Una explicación posible, dijeron los autores del estudio, es que las personas con exceso de peso producen estrógeno adicional, y los estrógenos fomentan el desarrollo del meningioma. Los niveles de insulina podrían ser un factor por el mismo motivo, especularon los autores.</p><p style="text-align: justify;"> La relación entre el riesgo de meningioma y el ejercicio podría ser más compleja. Behrens y sus coautores anotaron que los síntomas de tumor cerebral podrían haber llevado a algunos pacientes a reducir su actividad física normal incluso antes del diagnóstico. Esos pacientes podrían haber reportado unos niveles bajos de actividad física porque su cáncer cerebral los volvió más inactivos incluso antes de saber que lo tenían, plantearon los investigadores.</p><p style="text-align: justify;"> ¿Puede alguien que ya tiene sobrepeso o es obeso hacer algo por aprovechar esta información? Thaiyananthan cree que sí. “Es plausible que el ejercicio y la reducción del peso podrían ayudar a prevenir la formación de meningiomas en las personas que ya están en riesgo de esos tumores”, dijo.</p><p style="text-align: justify;"> <a title="https://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_154697.html" href="https://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_154697.html" target="_blank"><strong>septiembre 22 / 2015 (HealthDay )</strong></a></p>
2015-09-25T10:08:31-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/794
Medicamentos: Betabloqueadores tras infarto: menos dosis tan eficaz como la completa
2015-09-25T10:05:25-04:00
Revista Finlay
<p style="margin-top: 10px;">Un estudio revela que administrar una cuarta parte de dosis de betabloqueadores podría ser tan eficaz como la dosis completa de estos fármacos en pacientes con infarto de miocardio.<br /> Una dosis de betabloqueadores significativamente menor que la empleada en estudios clínicos previos parece obtener la misma tasa de eficacia, o incluso mejor, que las dosis más elevadas de estos fármacos en pacientes con infarto de miocardio.</p><p>En concreto, los pacientes que recibieron una cuarta parte de las dosis establecidas en los ensayos tenían entre el 20 y el 25 % de descenso en la mortalidad comparados con los que recibían las dosis completas. Así concluye un estudio en “<a href="http://content.onlinejacc.org/article.aspx?articleid=2442714&resultClick=3" target="_blank"><strong>The Journal of the American College of Cardiology</strong></a>“, coordinado por Jeffrey Goldberger, de la Universidad Northwestern, en Chicago. El investigador se muestra muy sorprendido con el hallazgo: de hecho diseñó el estudio porque constató que los pacientes infartados estaban siendo tratados con dosis de betabloqueadores mucho más bajas que las empleadas en los ensayos.</p><p>“Pensaba que había una importante merma de calidad en los cuidados de estos enfermos”, dice Goldberger. “En principio, queríamos mostrar que si tratabas a los pacientes con las dosis de los estudios, obtendríamos mejores resultados. Esperábamos ver que los pacientes con menores dosis tenían menos supervivencia. Para nuestra sorpresa, hemos descubierto que sobreviven lo mismo, probablemente algo más”.</p><p>Un 90 % de los pacientes que han sufrido un infarto reciben fármacos betabloqueadores como prevención secundaria. Algunos reciben menos dosis que las indicadas en los estudios por motivos diversos. Entre ellos, la preocupación por determinados efectos secundarios, como la fatiga, la disfunción sexual y la depresión.</p><p>El estudio coordinado por Goldberger se basó en un registro multicéntrico de 6682 pacientes infartados. Todos los tratados con betabloqueadores (el 90 %) sobrevivieron más tiempo que los que no recibieron los fármacos. De los pacientes a los que se administró la dosis completa, un 14,7 % falleció en dos años. Si tomaron la mitad, fue el 12,9 %; una cuarta parte, el 9,5 %, y una octava, el 11,5 %.</p><p>“Probablemente no existe una única dosis adecuada para todos los pacientes. Ahora necesitamos saber cómo identificar la dosis idónea para cada enfermo”.<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2015/09/22/area-cientifica/especialidades/cardiologia/cardiologia-clinica/betabloqueantes-tras-infarto-menos-dosis-tan-eficaz-como-la-completa" target="_blank">septiembre 23/2015 (Diario Médico) </a></p>
2015-09-25T10:05:25-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/793
Obesidad: La Organización Panamericana de la Salud culpa a alimentos procesados de “epidemia de obesidad” en Latinoamérica
2015-09-23T08:24:20-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">La Organización Panamericana de la Salud (OPS) alertó de que los alimentos ultraprocesados, que considera “casi adictivos” y están sustituyendo a los alimentos frescos, son los responsables de la “epidemia de obesidad” que hay en América Latina.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">En un nuevo estudio divulgado en Washington, la OPS aseguró que estos alimentos procesados industrialmente, las bebidas azucaradas y la comida rápida están desplazando a las dietas tradicionales más nutritivas, “lo que genera efectos alarmantes en la salud”.</p><p style="text-align: justify;">El consumo de estos productos ha aumentado de manera constante en América Latina y contribuye al incremento de las tasas de obesidad en toda la región, por lo que es necesario “regular el mercado para revertir esta tendencia”, agrega el organismo internacional.</p><p style="text-align: justify;">Pese a que en Estados Unidos y Canadá las ventas per cápita de alimentos y bebidas ultraprocesadas disminuyeron entre 2000 y 2013, en Latinoamérica siguieron aumentando, lo que se “correlaciona fuertemente con el aumento del peso corporal promedio” en la región.</p><p style="text-align: justify;">“Estos productos son un importante motor en el crecimiento de las tasas de sobrepeso y obesidad en la región”, asegura el informe, titulado “Alimentos y bebidas ultraprocesados en América Latina: tendencias, efecto sobre la obesidad e implicaciones para las políticas públicas”.</p><p style="text-align: justify;">El trabajo examina las ventas de comidas preparadas, refrescos carbonatados, tentempiés dulces y salados, cereales de desayuno y en barras, golosinas, helados, bebidas deportivas y energéticas, jugos de frutas y vegetales, pastas para untar y salsas, entre otras.</p><p style="text-align: justify;">El estudio, que toma como modelo a Argentina, Bolivia, Brasil, Chile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Guatemala, México, Perú, República Dominicana, Uruguay y Venezuela, determinó que de 2000 a 2013 las ventas per cápita de esos productos aumentaron un 26,7 %.</p><p style="text-align: justify;">En Estados Unidos y Canadá, las ventas de esos productos disminuyeron un 9,8 % en el mismo período.</p><p style="text-align: justify;">“Los alimentos ultraprocesados y la comida rápida representan una parte cada vez mayor de lo que las personas comen y beben en América Latina, con resultados muy negativos”, dijo Enrique Jacoby, asesor sobre Nutrición y Actividad Física de la OPS.</p><p style="text-align: justify;">“Estos productos -agregó- no están diseñados para satisfacer las necesidades nutricionales de las personas. Están diseñados para que se conserven por mucho tiempo en los estantes y generan deseos incontrolados de consumo que llegan a dominar los mecanismos innatos de control del apetito y hasta el deseo racional de dejar de comer”.</p><p style="text-align: justify;">“Por eso, resultan doblemente perjudiciales: son casi adictivos y eso lleva a aumentar el sobrepeso y la obesidad, al tiempo que sustituyen los alimentos frescos, que son la base de una dieta natural rica en nutrientes”, añadió Jacoby.</p><p style="text-align: justify;">En Latinoamérica, por ejemplo, las ventas de bebidas gaseosas se duplicaron entre 2000 y 2013, llegando a 81 000 millones de dólares y superando las ventas de refrescos en EE.UU. y Canadá.</p><p style="text-align: justify;"> El estudio también muestra que en los países en que las ventas de alimentos ultraprocesados fueron mayores, incluyendo a México y Chile, la población tuvo una media de masa corporal mayor, pero donde fueron menores y las dietas tradicionales prevalecieron, como en Bolivia y Perú, la media de masa corporal fue menor.</p><p style="text-align: justify;">Pero tanto las ventas de estos alimentos como la masa corporal fueron aumentando rápidamente en los 13 países estudiados.</p><p style="text-align: justify;">El trabajo de la OPS atribuye estos cambios en la dieta de la región a “la globalización y la desregulación del mercado, que han aumentado la penetración de las corporaciones alimentarias extranjeras y multinacionales en los mercados nacionales”.</p><p style="text-align: justify;">“América Latina y otras regiones en desarrollo se han convertido en atractivos mercados para los fabricantes de alimentos industriales, especialmente cuando los mercados de altos ingresos se saturan o incluso empiezan a reducir el consumo de estos productos”, dijo Jean-Claude Moubarac, experto en nutrición de la Universidad de S o Paulo y uno de los autores del estudio.</p><p style="text-align: justify;">El informe recomienda promover los alimentos saludables con campañas de información y educación, pero también aprobar normas “sobre precios, incentivos, agricultura y comercio” para proteger la agricultura familiar, los cultivos tradicionales, la inclusión de los alimentos frescos en la dieta y la promoción de la cocina.</p><p style="text-align: justify;">“No es demasiado tarde para cambiar estas tendencias”, afirmó Jacoby.</p><p style="text-align: justify;"><strong>septiembre 03/2015 (dpa).-</strong></p><p style="text-align: justify;"><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015. Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-09-23T08:24:20-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/792
Anuncio: La Cepal destaca el cumplimiento de Objetivos del Milenio en América Latina
2015-09-23T08:22:56-04:00
Revista Finlay
<p>América Latina y el Caribe ha cumplido varias de las metas de los Objetivos de Desarrollo del Milenio (ODM), gracias a sus avances en la reducción de la pobreza, el hambre y mortalidad infantil, aseguró la Comisión Económica para América Latina y el Caribe (Cepal).</p><p>La región, destacó la Cepal en un informe, logró avances en el primer ODM, la reducción de la pobreza extrema, desde un 12,6 % que vivían con menos de 1,25 dólares diarios en 1990 a un 4,6 % en 2011.</p><p>Del mismo modo, la proporción de las personas que pasan hambre se redujo desde un 14,7 % en el periodo 1990-92 a un 5,5 % en 2014-2016, mientras los datos de participación laboral y desempleo muestran las mejores cifras de los últimos 20 años.</p><p>Los ODM son ocho objetivos de desarrollo aprobados en septiembre de 2000 por 189 Estados miembros de las Naciones Unidas y constituyeron desde entonces una ruta del desarrollo a nivel mundial.</p><p>En cuanto al segundo ODM, destinado a lograr la enseñanza primaria universal, en Latinoamérica y el Caribe la tasa de matrícula en ese nivel es del 93 % en 2015, mientras en América Latina el 92 % de los jóvenes de entre 15 y 19 años han culminado un ciclo completo.</p><p>Según el informe, en ninguno de los casos se ha logrado la meta de universalidad, mientras el analfabetismo entre las personas de entre 15 y 24 años del conjunto de la región descendió desde un 6,9 % en 1990 a un 1,7 % en 2015.</p><p>Sobre el tercer ODM, sobre la promoción de la igualdad de género y la autonomía de la mujer, la región cumplió la meta de asegurar el acceso de las niñas a la educación primaria, secundaria y superior, aunque ello no se ha traducido en una mejora equivalente de su situación en el mercado del trabajo, donde mantienen una menor participación y reciben salarios inferiores a los de los hombres.</p><p>En el ámbito político, en 2015 la proporción de mujeres en los parlamentos nacionales es del 27,4 %, cerca del umbral establecido para el logro de la meta (30 %).</p><p>La región cumplió también el cuarto ODM, al reducir las muertes de menores de cinco años, de 54 a 18 por cada mil nacidos vivos entre 1990 y 2013; asimismo logró la eliminación casi completa del sarampión, con una cobertura superior al 90 % de los menores de un año en la mayoría de los países en 2013.</p><p>En el quinto ODM, la mejora de la salud materna, la región aún muestra altos niveles de mortalidad materna, 85 por cada 100 000 nacidos vivos en 2013, lo que supone una reducción del 39 % respecto de 1990, pero lejos del 75 % propuesto.</p><p>Además, se registran en la región 75,5 nacidos vivos de madres de entre 15 y 19 años por cada mil mujeres en esa franja etaria.</p><p>En el sexto ODM, sobre el combate al sida, paludismo y otras enfermedades, Latinoamérica presenta una prevalencia del sida inferior al promedio mundial (0,4 %), pero del 1,1 % en el Caribe, la segunda más alta tras el África Subsahariana.</p><p>Respecto del séptimo ODM, garantizar la sostenibilidad del medioambiente, en 2012 la región emitió 7,7 toneladas anuales de gases de efecto invernadero por cápita, por sobre la media mundial de 6,7 toneladas, pero redujo el consumo de sustancias que agotan la capa de ozono y aumentó las superficies terrestres y marinas protegidas, de un 4,9 % en 1990 a un 13,3 % en 2014.</p><p>También la región alcanzó la meta de acceso al agua potable (95 % en 2015).</p><p>En el octavo ODM, vinculado a la creación de una alianza mundial para el desarrollo, la Cepal destaca que la región pasó de recibir desde un 14 % a un 7,6 % de la ayuda mundial oficial al desarrollo entre 1960 y la década actual.</p><p>En dos semanas más, los Estados miembros de Naciones Unidas deberán aprobar en Nueva York la agenda 2030 de desarrollo sostenible.</p><p>La nueva agenda, “supone un avance respecto de los ODM, al pasar a una mirada más holística, participativa, interdisciplinaria y universal, donde el desarrollo debe estar orientado al cierre de las brechas estructurales con sostenibilidad ambiental, para lograr mayor igualdad” comentó la secretaria ejecutiva de la Cepal, Alicia Bárcena.<br /> septiembre 10/2015 (AFP)</p><p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 ?Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-09-23T08:22:56-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/791
Envejecimiento: Algunas personas envejecen antes que otras
2015-09-23T08:21:10-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Una reciente investigación publicada en la revista <em><a title="http://www.pnas.org/content/early/2015/07/01/1506264112.long" href="http://www.pnas.org/content/early/2015/07/01/1506264112.long" target="_blank">PNAS</a> , </em>sugiere que los adultos que parecen aparentar más edad de la que tienen quizá estén envejeciendo a un ritmo acelerado, y que cuanto mayor es su edad biológica, más edad aparentan.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Los investigadores se centraron en 954 hombres y mujeres que participaban en un estudio continuo de Nueva Zelanda desde que nacieron en 1972 o 1973. En 2011, los participantes, que entonces tenían 38 años, se sometieron a pruebas de la función renal, función hepática, capacidad pulmonar y fortaleza metabólica y del sistema inmunitario. También se evaluó el colesterol, la presión arterial, el estado dental, la estructura de los ojos y la salud cardiaca, así como la longitud de los extremos de los cromosomas, los telómeros, que se acortan con la edad. Se encontró una varianza de hasta 30 años en la edad biológica de los distintos participantes, aunque seguían estando libres de toda enfermedad relacionada con la edad.</p><p style="text-align: justify;">El equipo llevó a cabo un análisis secundario, comparando información sobre los biomarcadores recogida en 2011 con información seleccionada seis y doce años antes. Eso mostró que entre los 26 y los 38 años de edad, la mayoría de los participantes envejecieron a un ritmo biológico equivalente, pero algunos aumentaban tres años biológicos por cada año cronológico. Otros, en esencia, habían dejado de envejecer, dado que su edad biológica estaba básicamente en pausa.</p><p style="text-align: justify;">Además, cuanto mayor era su edad biológica, peor era su destreza en pruebas físicas y de agudeza mental. Las personas que envejecían rápido mostraban un peor equilibrio y coordinación motora, y afirmaban tener más problemas con tareas como subir escaleras o cargar con la compra.</p><p style="text-align: justify;">Esto mostró que ya temprano en la vida puede observarse síntomas de una edad avanzada en los jóvenes, síntomas que se corresponden con una función física y cognitiva en declive, mucho antes de que contraigan enfermedades relacionadas con la edad</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=5279" href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=5279" target="_blank"><strong>septiembre 12/ 2015 ( HealthDay)</strong></a></p>
2015-09-23T08:21:10-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/790
Enfermedad de Alzheimer: Los costos por el cuidado de una mujer con Alzheimer son más altos que los del cuidado de un hombre con este tipo de demencia
2015-09-23T08:18:34-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un análisis compara las horas que los hombres y las mujeres pasan cuidando a otras personas. Los costos por el cuidado de una mujer con Alzheimer son en última instancia unas 6 veces más altos que los del cuidado de un hombre con este tipo de demencia, indica una nueva investigación.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;"> Cuando el paciente es un hombre, el verdadero valor del tiempo y de la energía que una mujer de su familia normalmente invierte en su cuidado es 20 veces más alto que el invertido por un hombre de la familia cuando los roles de paciente y cuidador se invierte, dijeron los investigadores de la Universidad de Emory.</p><p style="text-align: justify;"> En otras palabras, las mujeres realizan más trabajo no remunerado. Y cuando un hombre cuida de una mujer enferma, se gasta más dinero para pagar al personal que cuida, lo que aumenta los costos totales, señalaron los autores del estudio, Zhou Yang y Allan Levey.</p><p style="text-align: justify;"> Los hallazgos aparecen en la revista <a title="http://www.jiwh.org/" href="http://www.jiwh.org/" target="_blank"><em>Women’s Health Issues</em></a>.</p><p style="text-align: justify;"> ”Este estudio demuestra la importancia de las políticas que aborden las necesidades no solamente de los pacientes, sino también de los cuidadores, la mayoría de los cuales son mujeres”, dijo la editora jefa de Women’s Health Issues, Chloe Bird, en un comunicado de prensa de la revista.</p><p style="text-align: justify;">Para comprender mejor las dificultades económicas provocadas por la enfermedad, Yang y Levey examinaron los datos recogidos en la Encuesta a los beneficiaros actuales de Medicare realizada entre 2000 y 2010.</p><p style="text-align: justify;"> La información de la encuesta incluía los gastos cubiertos por Medicare, los cuidados a largo plazo cubiertos por Medicaid, los costos no cubiertos por proporcionar un cuidado en casa y/o un cuidado en un centro de vivienda asistida, y el valor no cubierto de mano de obra por el cuidado de parte de los seres queridos.</p><p style="text-align: justify;"> Descubrieron que el cuidado de las mujeres con Alzheimer costaba más en todos los aspectos. En comparación con el cuidado de los pacientes que eran hombres, los gastos de Medicare eran 1.5 veces más altos; los de Medicaid eran 2.2 veces más altos, y los gastos de desembolso de los hogares o de los centros de vivienda asistida eran 5.8 veces más altos.</p><p style="text-align: justify;"> Pero fue la gran reducción en la cantidad de trabajo realizado por los cuidadores hombres, en relación al realizado por las cuidadoras mujeres, lo que terminó por aumentar los gatos generales para las pacientes de Alzheimer.</p><p style="text-align: justify;"> Los autores del estudio dijeron que las reformas políticas, incluyendo las reformas de los pagos de Medicare y Medicaid, deben abordar las necesidades de los pacientes de Alzheimer.</p><p style="text-align: justify;"> ”Las intervenciones de política pública que tienen como objetivo la cura o la ralentización del progreso del Alzheimer, además de las que se dirigen a la atención médica en casa o la atención a largo plazo de los pacientes de Alzheimer, beneficiarán en gran medida el bienestar y el estatus económico de las mujeres”, comentó Yang en el comunicado.</p><p style="text-align: justify;"><strong><a title="http://www.intramed.net/ira.asp?contenidoID=87796" href="http://www.intramed.net/ira.asp?contenidoID=87796" target="_blank"> septiembre 21/ 2015 (INTRAMED)</a></strong></p>
2015-09-23T08:18:34-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/789
Medicamentos: Aprueban nuevo medicamento contra el colesterol
2015-09-17T08:33:28-04:00
Revista Finlay
<p>La agencia estadounidense de Alimentos y Fármacos (FDA) aprobó este jueves el tratamiento con Repatha, el segundo medicamento para los pacientes que presentan formas hereditarias de hipercolesterolemia y riesgos de enfermedades cardiovasculares.</p><p>Repatha, también conocido como evolocumab, es producido por los laboratorios Amgen, formando parte de los medicamentos llamados PCSK9, los anticuerpos centrados en el hígado para bajar los niveles de colesterol.</p><p>El tratamiento debería permitir una terapia efectiva contra los altos niveles de lipoproteínas de baja densidad, o colesterol malo, que serían causantes de 610 000 decesos anuales en Estados Unidos.</p><p>La FDA, que había recomendado la autorización del medicamento en junio pasado, alertó sin embargo contra ciertos efectos secundarios del mismo, como reacciones alérgicas.</p><p>Un mes atrás la FDA había autorizado un medicamento similar, el Praluent, de los laboratorios Sanofi, y el Regeneron Pharmaceuticals, limitando su utilización a ciertos pacientes.<br /> agosto 28/2015 (AFP)</p><p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2015 Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-09-17T08:33:28-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/788
Medicamentos: Complementos con Omega 3 no impiden la degeneración del cerebro
2015-09-17T08:31:31-04:00
Revista Finlay
<p>Los complementos nutricionales a base de aceite de pescado, ricos en ácidos grasos Omega 3, no previenen la degeneración del cerebro como se cree popularmente, según un estudio publicado recientemente en una revista científica estadounidense.</p><p>El aceite de pescado es una fuente de Omega 3 y las personas que lo consumen regularmente en el salmón, el atún o el fletán sí muestran mejor salud en sus ojos, su corazón y su cerebro, que aquellas que no ingieren este aceite desde sus fuentes naturales.</p><p>Pero consumir el aceite de pescado en forma de cápsulas no ofrece los mismos beneficios.</p><p>El estudio clínico, conducido sobre 4000 personas ancianas durante cinco años, es “uno de los más amplios y prolongados de su género”, según el Instituto de Salud de Estados Unidos (NIH), que financió la investigación divulgada en la “<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26305649" target="_blank"><strong>Journal of the American Medical Association</strong></a>” (“<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26305649" target="_blank"><strong>JAMA</strong></a>“).</p><p>“Contrariamente a la creencia popular, no hemos constatado que los complementos con Omega 3 aporten ninguna ventaja que permitan detener el deterioro cognitivo”, escribió la principal autora del estudio, Emily Chew, directora adjunta de los servicios clínicos del Instituto Nacional de Oftalmología, que depende del NIH.</p><p>Otro estudio mostró en 2011 que los complementos con Omega 3 en venta sin prescripción no mejoran la salud cerebral de los pacientes ancianos que ya sufren una enfermedad cardiaca.</p><p>El nuevo estudio se centró en particular en las personas que sufrían de una forma común de pérdida de la visión: degeneración macular vinculada a la edad. Los pacientes tenían una edad promedio de 72 años, y el 58 % eran mujeres.</p><p>Los sujetos fueron divididos al azar. Un grupo recibió un placebo y otro las cápsulas que contenían ácidos grasos Omega 3, específicamente el ácido docosahexaenoico (DHA) y el ácido eicosapentaenoico (EPA).</p><p>Los pacientes respondieron a pruebas de memoria y de funciones cognitivas al principio del estudio, luego de dos años y, finalmente, cuatro años más tarde.</p><p>“Las puntuaciones cognitivas de cada uno de los subgrupos se redujeron de forma comparable con el tiempo, lo que indica que la combinación de complementos nutricionales hizo diferencia”, señala el estudio.</p><p>Unas 37 millones de personas sufren de demencia en el mundo, una cifra que podría aumentar a más de 131 millones en 2050 según la federación internacional Alzheimer’s Disease International.<br /> agosto 30/2015 (AFP)</p><p> </p><p style="text-align: justify;"><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-09-17T08:31:31-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/787
Cardiopatía Isquémica: Hallan 10 nuevas características genéticas asociadas al infarto de miocardio
2015-09-17T08:28:20-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un equipo internacional de investigadores ha identificado diez nuevas variantes o características genéticas asociadas al riesgo de padecer cardiopatía isquémica, una dolencia que puede derivar en infarto, muerte súbita o angina de pecho y que, hoy por hoy, es la principal causa de muerte en Europa.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">El estudio, bautizado como The CARDIoGRAMplusC4C, ha sido realizado por un consorcio internacional de investigadores y cuenta con la participación de científicos del Instituto Hospital del Mar de Investigaciones Médicas (IMIM).</p><p style="text-align: justify;">“Los estudios previos que habían intentado descubrir las causas (o base genética) de la cardiopatía isquémica habían identificado 48 características genéticas comunes -presentes en más del 5 % de la población-, asociadas al riesgo de padecer esta dolencia y que aumentaban dicho riesgo en un 10- 15 %”.</p><p style="text-align: justify;">Así lo explicó el coordinador del grupo de investigación en epidemiología y genética cardiovascular del español Instituto Hospital del Mar de Investigaciones Médicas y coautor del trabajo, Roberto Elosua.</p><p style="text-align: justify;">Sin embargo, esas 48 características genéticas comunes tan sólo explican un 6 o 7 % la base genética de esta enfermedad, es decir, “nos quedaba mucho por conocer”, reconoció el investigador.</p><p style="text-align: justify;">“Pensábamos que había variantes raras -que tiene menos del 5 % de la población- que podían disparar el riesgo de desarrollar esta enfermedad, y esa era la hipótesis de partida del estudio: que ciertas variantes raras aumentaban el riesgo asociado entre dos y tres veces más”, relató.</p><p style="text-align: justify;">El estudio, publicado en <a title="http://www.nature.com/ng/journal/vaop/ncurrent/full/ng.3396.html" href="http://www.nature.com/ng/journal/vaop/ncurrent/full/ng.3396.html" target="_blank"><em>Nature Genetics</em></a>, ha analizado diez millones de características genéticas: 6,7 millones frecuentes o comunes y 2,7 millones raras, de una muestra de 61.000 pacientes con cardiopatía isquémica y 123.504 personas sanas.</p><p style="text-align: justify;">La primera sorpresa es que no se han encontrado variantes raras que disparen el riesgo de padecer cardiopatía isquémica.</p><p style="text-align: justify;">“Hemos encontrado variantes raras que aumentan el riesgo, pero sólo un 10-15 %, es decir, lo mismo que las variantes comunes”.</p><p style="text-align: justify;">El segundo hallazgo del estudio está relacionado con el descubrimiento de diez nuevas variantes genéticas relacionadas con esta enfermedad, que aumenta la lista de 48 a 58 rasgos genéticos.</p><p style="text-align: justify;">Dichas características explican en conjunto el 13 % de la base genética de la cardiopatía isquémica.</p><p style="text-align: justify;">“Curiosamente, lo que sabíamos antes de la base genética de la enfermedad es que estaba muy relacionada con los lípidos (el colesterol) y la inflamación. A más lípidos, más riesgo; a más inflamación, más riesgo”, explicó Elosua.</p><p style="text-align: justify;">Sin embargo, estas diez nuevas características genéticas están relacionadas con aspectos que regulan la funcionalidad de la pared de la arteria (fundamentalmente, con su capacidad de relajarse o contraerse), lo que supone identificar nuevas dianas terapéuticas.</p><p style="text-align: justify;">“Actualmente, los fármacos utilizados para prevenir el infarto de miocardio controlan la presión arterial y el colesterol, pero este hallazgo abre una nueva vía para buscar nuevos medicamentos que regulen la actividad de la arteria y contribuir así a reducir y prevenir esta enfermedad”.</p><p style="text-align: justify;">Por último, el estudio ha buscado las posibles diferencias genéticas que hay en las distintas formas de cardiopatía isquémica y ha descubierto que comparten un 95 % de la base genética, y sólo unos pocos genes están implicados en que la dolencia acabe en angina de pecho o infarto de miocardio.</p><p style="text-align: justify;">El hallazgo será útil para intentar modular estos genes y sus proteínas para intentar que la enfermedad -al ser detectada en un enfermo- “progrese hacia formas más benignas y tratables como la angina y no tan graves como un infarto de miocardio”, concluyó el investigador.</p><p style="text-align: justify;"><strong>septiembre 07/ 2015 (afp).-</strong></p><p style="text-align: justify;"><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015. Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-09-17T08:28:20-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/786
Factores de riesgo cardiovascular: Constatan la alta prevalencia de malos hábitos en el desayuno en ingresados por infarto o angina
2015-09-17T08:25:02-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un estudio muestra que la omisión del desayuno en pacientes con síndrome coronario agudo es superior al 10-18 % de la población general.</p><p style="text-align: justify;">Son varios los estudios que demuestran que las personas que no desayunan tienen una incidencia de infarto de hasta un 27 % superior con respecto a aquellas que sí desayunan. Hasta ahora se desconocían los hábitos del desayuno en los pacientes con enfermedad cardiovascular; sin embargo, un estudio publicado en el último número de <em><a title="http://pdf.revespcardiol.org/watermark/ctl_servlet?_f=10&pident_articulo=0&pident_usuario=0&pcontactid=&pident_revista=25&ty=0&accion=L&origen=cardio&web=www.revespcardiol.org&lan=es&fichero=S0300-8932(15)00306-1.pdf&eop=1&early=si" href="http://pdf.revespcardiol.org/watermark/ctl_servlet?_f=10&pident_articulo=0&pident_usuario=0&pcontactid=&pident_revista=25&ty=0&accion=L&origen=cardio&web=www.revespcardiol.org&lan=es&fichero=S0300-8932%2815%2900306-1.pdf&eop=1&early=si" target="_blank">Revista Española de Cardiología </a></em>, afirma que casi la mitad de los pacientes ingresados por síndrome coronario agudo (SCA), es decir, infarto o angina inestable, desayuna incorrectamente.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">El Dr. Alberto Cordero, miembro de la Sociedad Española de Cardiología (SEC) y cardiólogo de la Unidad de Hemodinámica del Hospital de San Juan, Alicante, explica que, “hasta el momento se habían llevado a cabo estudios que evidencian malos hábitos alimentarios en la población española y a través de estudios poblacionales se sabe que entre un 10 % y un 18 % de la población no desayuna. Sin embargo, esta investigación ha acotado la muestra de análisis y ha estudiado cómo es el desayuno de los pacientes que ingresan por infarto en los hospitales y la incidencia directa que el desayuno tiene en el sistema cardiovascular”.</p><p style="text-align: justify;">La investigación, llevada a cabo entre el Hospital de San Juan, Alicante, y el Hospital General de Valencia, analizó por primera vez los hábitos alimentarios en el desayuno de 181 pacientes con síndrome coronario agudo mediante diez preguntas, cinco de las cuales giraron en torno al grado de adherencia a la dieta mediterránea –considerada la más beneficiosa para el sistema cardiovascular-, así como el estilo de vida y la alimentación saludable:</p><p style="text-align: justify;">-Consumo habitual de frutos secos</p><p style="text-align: justify;">-Consumo mínimo de dos piezas de fruta al día</p><p style="text-align: justify;">-Consumo mínimo de verdura tres veces a la semana</p><p style="text-align: justify;">-Consumo de pescado dos veces por semana</p><p style="text-align: justify;">-Realizar un mínimo de 30 minutos de ejercicio físico al menos tres veces a la semana</p><p style="text-align: justify;">Tras estas preguntas los expertos observaron que 44 pacientes admiten no desayunar habitualmente y 60 toman solo líquido. Además, sumando estos dos grupos, se observó que un 42 % presenta un patrón dietético incorrecto y que esto se asocia a más sedentarismo, mayor prevalencia de tabaquismo y más frecuentemente síndrome coronario agudo con elevación del segmento ST, que hace referencia al conocido como infarto agudo de miocardio clásico.</p><p style="text-align: justify;">“El estudio ha permitido conocer que la omisión del desayuno en los pacientes ingresados por infarto o angina es mucho más amplia que en el caso de la población general. Así, se ha evidenciado que los pacientes que no desayunan o que desayunan incorrectamente son más fumadores, tienen peores hábitos de vida –ya que son más sedentarios-, y presentan un patrón alimentario más alejado de la dieta mediterránea porque pican más entre horas, consumen más grasas y menos pescado”, concreta el experto, quien prosigue que, “además nuestros resultados coinciden con lo ya conocido de que las personas que fuman tienen hábitos nutricionales mucho menos favorables”.</p><p style="text-align: justify;">El desayuno forma parte de los ciclos circadianos del organismo, es decir, un ciclo biológico que abarca las 24h del día, dentro del cual se segmentan las horas de sueño (8h) y las de vigilia (16h).</p><p style="text-align: justify;">“Cuando nos levantamos, el cuerpo se pone en marcha, se activan los ciclos de cortisol –responsables del aumento de la presión arterial y de los niveles de azúcar por la mañana-, y es el momento en el que hay que subministrarle al cuerpo sus necesidades, idealmente tras la primera media hora. Solo por el hecho de activarnos y de ponernos en pie ya se ponen en marcha estos ciclos circadianos, y el desayuno forma parte de ellos. Cuando no desayunamos retardamos el periodo de saciedad y no proporcionamos la ingesta calórica que el cuerpo necesita para su correcto funcionamiento, de modo que alteramos el ciclo biológico marcado por el propio organismo”, matiza el doctor.</p><p style="text-align: justify;">La omisión del desayuno provoca que el cuerpo active otras vías metabólicas y recurra a otras reservas de energía no adecuadas, liberando ácidos grasos depositados en el hígado y en los músculos. Así, y según cuenta el Dr. Cordero, “el hecho de no desayunar hace que el cuerpo no segregue suficiente insulina –la hormona responsable de reducir los niveles de azúcar en sangre-. Además, los ácidos grasos circulan libremente por la sangre y, aunque suplen de manera temporal la falta de energía proporcionada por la ingesta de nutrientes, son altamente tóxicos para la pared vascular y están relacionados con la aparición de diabetes, cuyo riesgo se puede llegar a triplicar si no se desayuna”.</p><p style="text-align: justify;">Los resultados de este estudio han llevado a la SEC a resaltar la necesidad de desayunar correctamente cada día. El desayuno es una de las principales ingestas del día, ya que está precedida del período más largo de ayuno y reposo, y se considera la comida que más potencia la saciedad. “Tras este periodo de descanso, el cuerpo está más preparado para absorber mayor cantidad de nutrientes. Por ello, y viendo los malos hábitos de los pacientes analizados en este estudio, es muy importante incidir en la educación de la población, tanto en los que presentan problemas cardiovasculares como los que no, para que adquieran el hábito de sentarse diez minutos cada día para desayunar”, explica el doctor.</p><p style="text-align: justify;">El desayuno ideal no debe contener sólo líquido (café o té) sino que debe estar acompañado de alimentos sólidos. Así, se considera un buen desayuno aquel que contiene los aportes nutricionales necesarios para el organismo tales como:</p><p style="text-align: justify;">Proteínas e hidratos de carbono de absorción rápida: pan, tostadas, cereales o galletas integrales</p><p style="text-align: justify;">Lácteos: leche, café con leche o yogurt (se pueden sustituir los lácteos por té)</p><p style="text-align: justify;">Vitaminas: consumo de frutos secos y frutas -ya sea en forma de zumo o fruta fresca-.Fibra: pan integral, cereales y fruta</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://www.jano.es/noticia-constatan-alta-prevalencia-malos-habitos-24833" href="http://www.jano.es/noticia-constatan-alta-prevalencia-malos-habitos-24833" target="_blank"><strong>septiembre 14/ 2015 (JANO)</strong></a></p>
2015-09-17T08:25:02-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/785
Cáncer: Desarrollan una estrategia para vencer las resistencias en cáncer colorrectal
2015-09-15T14:46:28-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">El Grupo de Investigación de Células Madre y Cáncer del Instituto de Oncología Vall d´Hebron (VHIO) acaba de publicar en la revista <a title="http://clincancerres.aacrjournals.org/content/early/2015/08/13/1078-0432.CCR-14-3091.abstract?sid=3c0ff0fe-0f9d-456e-8ae0-c2b6b932802b" href="http://clincancerres.aacrjournals.org/content/early/2015/08/13/1078-0432.CCR-14-3091.abstract?sid=3c0ff0fe-0f9d-456e-8ae0-c2b6b932802b" target="_blank"><em>Clinical Cancer Research ,</em></a><em> </em>un estudio en el que se evalúa por primera vez la eficacia de una nueva estrategia terapéutica capaz de revertir la resistencia de los tumores colorrectales a los tratamientos con inhibidores de la ruta PI3K/AKT. Gracias a la inhibición simultánea de la ruta Wnt/β-catenina y la vía PI3K/AKT, se sortean las resistencias a estos inhibidores. Además, el trabajo aporta una nueva metodología para predecir la eficacia de este nuevo tratamiento combinado en pacientes con cáncer colorrectal (CRC), permitiendo determinar mejor aquellos pacientes que pueden ser tratados con estos fármacos.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Las mutaciones oncogénicas que aparecen espontáneamente en la ruta KRAS/PI3K/AKT son unas de las alteraciones más frecuentes en cáncer. A diferencia de otro tipo de tumores, los de colon y recto presentan, en un alto porcentaje de casos, una elevada resistencia a los tratamientos con inhibidores específicos de PI3K o AKT que provocan que el tumor siga desarrollándose.</p><p style="text-align: justify;">Esta resistencia a los tratamientos antitumorales es debida a la activación de manera anormal de la ruta Wnt/β-catenina que provoca una acumulación de β-catenina en el núcleo de las células y que impide a la proteína FOXO3 a inducir muerte celular en el tumor.</p><p style="text-align: justify;">“La inhibición farmacológica simultánea de las rutas Wnt/β-catenina y PI3K/AKT reduce el crecimiento tumoral” comenta el Dr. Héctor G Palmer, investigador principal del grupo de “Células Madre y Cáncer” del Instituto de Oncología Vall d´Hebron y coautor de esta publicación. Asimismo, destaca “la utilización de los niveles de β-catenina y FOXO3a como biomarcadores de respuesta a los tratamientos con inhibidores de PI3K, AKT y Wnt/β-catenina es un gran avance que permitirá aumentar la efectividad en el tratamiento de este tipo de tumores”.</p><p style="text-align: justify;">Debido a que la alta presencia de β-catenina nuclear bloquea la acción de FOXO3a, la utilización de inhibidores de PI3K/AKT en pacientes con cáncer colorrectal puede provocar además que las células tratadas se escapen y produzcan metástasis. La enorme complejidad de estos tumores sitúa al cáncer colorrectal como tercera causa de muerte por cáncer a nivel mundial con casi 1 400 000 casos al año según cifras de la Organización Mundial de la Salud (OMS).</p><p style="text-align: justify;">Para el estudio del nuevo inhibidor de la ruta de Wnt/β-catenina, inhibidor de las proteínas tanquirasas, se utilizaron cultivos celulares y se inocularon células derivadas de tumores de pacientes en ratones de experimentación. De esta manera se crearon en el laboratorio modelos animales “xenopacientes” capaces de reproducir con precisión la enfermedad humana ya que preservan las mismas alteraciones genéticas y clínicopatológicas originales de cada paciente. El estudio ha demostrado que la inhibición simultánea de la señal de Wnt/β-catenina y de PI3K/AKT evita las resistencias a estos últimos y permite frenar el crecimiento tumoral. Además se ha observado un efecto inesperado, en algunos tumores colorrectales es suficiente inhibir la ruta de Wnt para disminuir su crecimiento.</p><p style="text-align: justify;">El estudio de la ruta de señalización Wnt/β-catenina es un campo histórico de investigación pero no ha sido hasta hace unos cinco años cuando se han diseñado los primeros fármacos eficaces para bloquear la función oncogénica de esta ruta. El grupo del Dr. Palmer es pionero en el entendimiento de esta ruta de señalización en el marco de las patologías oncológicas, en el potencial de las nuevas terapias anti-Wnt/β-catenina y en la selección de pacientes candidatos para su tratamiento.</p><p style="text-align: justify;">Actualmente, en el Instituto de Oncología Vall d´Hebron se han abierto de forma paralela estudios clínicos para estudiar la toxicidad y eficacia de un nuevo fármaco inhibidor de la ruta de Wnt/β-catenina. Tras los resultados obtenidos en este estudio, se abre la posibilidad de llevar a cabo nuevos ensayos clínicos en el futuro con esta prometedora familia de fármacos.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://www.jano.es/noticia-un-estudio-del-vhio-desarrollan-24764" href="http://www.jano.es/noticia-un-estudio-del-vhio-desarrollan-24764" target="_blank"><strong>septiembre 12/ 2015 (JANO)</strong></a></p>
2015-09-15T14:46:28-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/784
Cáncer: Inmunoterapia, nueva vía para eliminar el cáncer
2015-09-15T14:44:40-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un grupo de especialistas en cáncer presentó una investigación sobre inmunoterapia para tratar esta patología. La nueva tendencia médica trabaja a través de la modulación del sistema inmunológico y tiene el objetivo de crear anticuerpos específicos que eliminen de manera natural las células cancerígenas.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">La meta de la inmunoterapia es que el organismo reconozca la existencia de elementos nocivos para la salud y de ese modo permita la activación de células T, las cuales son parte del sistema inmunitario y se originan a partir de células madre de la médula ósea, su función es proteger el cuerpo de las infecciones, al atacar a las células enfermas.</p><p style="text-align: justify;">Cuando existe la presencia del cáncer, las células T se desactivan y el sistema inmune trabaja de manera ineficiente, porque no se adapta a la enfermedad, reconoce a las células cancerígenas como inofensivas y por consiguiente no las elimina. Los especialistas descubrieron que al inhibir la interacción del organismo con un anticuerpo llamado PD-L1 soluciona el problema.</p><p style="text-align: justify;">El medicamento avelumab, surgido de la investigación, logró evitar la desactivación de las células T, sin embargo, aún se encuentra en fase 3 de estudios y ya se han identificado ciertas limitaciones para distintos tipos de pacientes, como los diabéticos que por cuestiones propias de la enfermedad que involucran el hígado, no podrían utilizar esta opción terapéutica. Igualmente las personas con vitíligo deben evitar este producto, debido a que al modificar el sistema inmune, éste reconocería la piel manchada como células cancerígenas y las destruiría.</p><p style="text-align: justify;">En el marco de la reunión anual de la Sociedad Americana de Oncología Clínica (ASCO), el doctor Mace Rotherberg, vicepresidente de desarrollo clínico y jefe médico de oncología de Pfizer, comentó que en el campo de la inmuno-oncología este procedimiento ofrece una gran oportunidad para desarrollar nuevas terapias y cambiar la manera en que actualmente se trata el cáncer.</p><p style="text-align: justify;">Por su parte, el doctor italiano Luciano Rossetti, líder de investigación y desarrollo de la biofarmacéutica de Merk KGaA (compañía alemana aliada con Pfizer para la elaboración de este fármaco), comentó que con la terapia de inhibidores del PD-L1 se podrán tratar y curar diferentes tipos de cáncer. “El medicamento representa una nueva vía para curar los tumores, de una forma menos invasiva y agresiva a diferencia de la radiación o quimioterapia”.</p><p style="text-align: justify;">Para complementar el tema, durante las sesiones sobre inmunoterapia en ASCO, el doctor Dung T. Lee, profesor de oncología en el Centro de Cáncer Johns Hopkins Kimme de Baltimore, Estados Unidos aseguró que la inmunología abre la puerta para tratar diferentes tipos de cáncer, inclusive la metástasis en colon.</p><p style="text-align: justify;">Asimismo, dijo, que cuando unas personas tienen un tumor, éste sufre miles de mutaciones e incrementa la dificultad de que el sistema inmunológico lo reconozca y lo elimine.</p><p style="text-align: justify;">“El campo de la inmunoterapia dirigida se vuelve más interesante cada año, con las distintas investigaciones tienen por objetivo atacar cánceres para los que el tratamiento actual es ineficiente”, finalizó.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://www.dicyt.com/noticias/inmunoterapia-nueva-via-para-eliminar-el-cancer" href="http://www.dicyt.com/noticias/inmunoterapia-nueva-via-para-eliminar-el-cancer" target="_blank"><strong>septiembre 12/2015 (DICYT)</strong></a></p>
2015-09-15T14:44:40-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/783
Factores de riesgo: Identifican un posible marcador en sangre de la migraña episódica
2015-09-15T14:43:16-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Se conoce mediante un estudio que los niveles totales de los lípidos llamados ceramidas son menores en mujeres con migraña episódica.</p><p style="text-align: justify;">Un estudio publicado <a title="http://www.neurology.org/content/84/14/1409" href="http://www.neurology.org/content/84/14/1409" target="_blank"><em>Neurology</em></a>, la revista médica de la Academia Americana de Neurología, ha identificado un marcador que se encuentra en la sangre para la migraña episódica. Esto es, la que tiene la persona que presenta menos de 15 dolores de cabeza al mes.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">“Aunque se necesita más investigación para confirmar estos resultados iníciales, la posibilidad de descubrir un nuevo biomarcador para la migraña es emocionante”, señala el autor del trabajo, B. Lee Peterlin, de la Escuela de Medicina de la Universidad Johns Hopkins, en Baltimore, Maryland, Estados Unidos, y miembro de la Academia Americana de Neurología.</p><p style="text-align: justify;">Para el estudio, 52 mujeres con migraña episódica y 36 mujeres que no tenían dolores de cabeza se sometieron a un examen neurológico, se les midió su índice de masa corporal y se les tomaron muestras de sangre, que se analizaron para un grupo de lípidos que participan en la homeostasis energética y que ayudan a regular la inflamación en el cerebro. Las mujeres con migraña padecían un promedio de 5,6 días de dolor de cabeza al mes.</p><p style="text-align: justify;">El estudio encontró que los niveles totales de los lípidos llamados ceramidas eran menores en las mujeres con migraña episódica, en comparación con las mujeres sin ningún tipo de cefaleas. Las mujeres con migraña tenían aproximadamente 6 000 nanogramos por mililitro de ceramidas en total en su sangre, frente a los 10 500 nanogramos por mililitro de las mujeres sin dolor de cabeza.</p><p style="text-align: justify;">Cada aumento de una desviación estándar en los niveles totales de ceramida se asoció con más de un 92 % de menos riesgo de sufrir migraña. Además, y en contraste con las ceramidas, otros dos tipos de lípidos, llamados esfingomielina, se asociaron con 2,5 veces más de riesgo de migraña con cada incremento de una desviación estándar en sus niveles.</p><p style="text-align: justify;">Los investigadores también estudiaron la sangre de una pequeña muestra aleatoria de 14 de los participantes para un grupo de estos lípidos y fueron capaces de identificar correctamente los que tenían migraña o que eran controles sin dolor de cabeza en base a estos niveles de lípidos en sangre.</p><p style="text-align: justify;">“Este estudio es una contribución muy importante a nuestra comprensión de los fundamentos de la migraña y puede tener efectos de gran alcance en el diagnóstico y tratamiento de la migraña si los resultados se replican en otros trabajos”, afirma Karl Ekbom, del Instituto Karolinska en Estocolmo, Suecia, que escribió un comentario que acompaña el artículo.</p><p style="text-align: justify;">Ekbom observa que hubo limitaciones en el estudio. Sólo se incluyeron mujeres, no se estudió la migraña crónica y una cantidad inusualmente alta de los participantes tenía migraña con aura. También señaló que en futuros estudios se debe comparar con otros tipos de dolor de cabeza, como la cefalea en racimos.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://www.jano.es/noticia-identifican-un-posible-marcador-sangre-24824" href="http://www.jano.es/noticia-identifican-un-posible-marcador-sangre-24824" target="_blank"><strong>septiembre 12/ 2015 (JANO)</strong></a></p>
2015-09-15T14:43:16-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/782
Cardiopatía Isquémica: Detectan gen asociado a la muerte súbita
2015-09-15T14:41:12-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">En el marco del congreso de la European Society of Cardiology (ESC), celebrado del 29 de agosto al 2 de septiembre en Londres, Medtronic plc presentó los resultados de dos estudios independientes que han analizado marcadores genéticos para determinar qué anormalidades están asociadas con desórdenes en el ritmo cardiaco que pueden conducir a la muerte súbita.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">El estudio inicial DISCOVERY de Medtronic (Diagnostic Data Influence on Disease Management and Relation of Genetic Polymorphisms to Ventricular Tachyarrhythmia in ICD Patients) identificó un gen asociado con la muerte súbita en enfermos con desfibriladores automáticos implantables (DAI); el segundo estudio, Oregon-SUDS (Oregon Sudden Unexpected Death Study), confirmó este hallazgo en la población general.</p><p style="text-align: justify;">El estudio DISCOVERY empleó DAIs para monitorizar ritmos cardiacos anormales en pacientes, identificando un gen asociado con un 50 % más de riesgo relativo de sufrir estos ritmos cardiacos potencialmente mortales. Los resultados se confirmaron con el Oregon-SUDS, estudio basado en la comunidad que analizó las causas de la muerte súbita.</p><p style="text-align: justify;">“Este estudio es vital para ayudarnos a entender mejor por qué algunas personas tienen más riesgo de sufrir muerte súbita que otros, una de las primeras causas de mortalidad en todo el mundo”, explica Sumeet Chugh, M.D., director adjunto del Cedars Sinai Heart Institute e investigador principal del estudio Oregon-SUDS.</p><p style="text-align: justify;">“Dichos hallazgos suponen un paso adelante en nuestro objetivo de entender las incógnitas que todavía genera la muerte súbita y nos ayudarán a identificar a los pacientes en riesgo de sufrirla”, añade Sumeet</p><p style="text-align: justify;">Los enfermos que sufren estos ritmos cardiacos anormales y potencialmente mortales experimentan una pérdida brusca de la función cardiaca, la cual puede causar la muerte si no se trata con carácter inmediato. Un DAI es un pequeño dispositivo implantable, colocado bajo la piel de enfermo, que monitoriza de forma continua el funcionamiento del corazón. En caso de detectar una alteración en el ritmo cardiaco conocida como arritmia ventricular, el dispositivo aplica impulsos eléctricos que devuelven al corazón a su ritmo normal.</p><p style="text-align: justify;">“Es la primera vez que se identifica un gen a través de la monitorización de un desfibrilador automático implantable y se asocia con la muerte súbita en la población general”, indica el profesor Heiner Wieneke, investigador principal del estudio DISCOVERY y jefe médico del departamento de Cardiología del St.Marien-Hospital Mülheim, Alemania. “Supone un primer paso para determinar mejores maneras de prevenir y tratar esta enfermedad”.</p><p style="text-align: justify;">El comité directivo del estudio DISCOVERY ha contado con dos investigadores españoles: el Dr. Javier García Fernández, responsable de la Unidad de Arritmias del Servicio de Cardiología del Hospital Universitario de Burgos; y el Dr. Juan Gabriel Martínez Martínez, jefe de la Sección de Arritmias del Servicio de Cardiología del Hospital General Universitario de Alicante.</p><p style="text-align: justify;">“Estos estudios muestran de nuevo la importancia que tiene la genética en el desarrollo, en este caso, de arritmias ventriculares letales. No sólo en la población general, como pone de manifiesto el estudio Oregon-SUDS, sino también en un grupo seleccionado de enfermos que ya presentaban riesgo de muerte súbita y por ello se les había implantado un DAI, tal y como demuestra el estudio DISCOVERY. Sin duda, estos hallazgos suponen un paso más para desenmarañar el terrible universo de la muerte súbita “, explica el Dr. Martínez Martínez.</p><p style="text-align: justify;">El Dr. García Fernández, por su parte, asegura que “los estudios genéticos pueden convertirse en una herramienta muy importante para la estratificación del riesgo en pacientes con cardiomiopatía dilatada. Nos pueden servir para saber qué enfermos se podrían beneficiar más de un DAI y podrían formar parte de la estrategia diagnóstica en este tipo de enfermedades”.</p><p style="text-align: justify;">El estudio prospectivo multicéntrico DISCOVERY, realizado sobre 1 145 pacientes con un DAI implantado para prevenir la muerte súbita, investigó la relación de polimorfismos de nucleótido simple (SNP) con la aparición de arritmias ventriculares potencialmente mortales. Los datos recabados gracias a los desfibriladores automáticos implantables muestran que el gen GNAS posee dos SNPs (c.2273C>T y c.393C>T) asociados con un mayor riesgo de sufrir taquiarritmias ventriculares.</p><p style="text-align: justify;">Posteriormente, el estudio Oregon-SUDS analizó muestras de sangre de 1 335 pacientes en busca de los SNPs identificados en el estudio DISCOVERY.</p><p style="text-align: justify;">Durante la fase de validación, se pudo asociar al c.393C>T con un mayor riesgo de padecer muerte súbita bajo modelos genéticos aditivos (OR=1.2 [1.0-1.4], p=0.039) y recesivos (OR=1.5 [1.1-2.1], p=0.01). El estudio confirmó que este SNP está asociado con 50 % más de riesgo de padecer muerte súbita.</p><p style="text-align: justify;">El estudio DISCOVERY analizó si 7 polimorfismos de nucleótido único (SNPs) en 3 genes codificadores de subunidades de proteína G predicen taquiarritmias ventriculares y muerte súbita. Se ha llevado a cabo en 91 centros europeos entre abril de 2007 y junio de 2011 bajo el patrocinio de Medtronic.</p><p style="text-align: justify;">Oregon-SUDS es un estudio basado en la comunidad desarrollado en Portland por el Arrhythmia Research Laboratory del Cedars-Sinai Heart Institute, Los Angeles, Estados Unidos. Durante más de 12 años, el estudio ha recabado información detallada de casos de parada cardiorrespiratoria, incluyendo muestras de sangre con el objetivo de investigar marcadores de riesgo genéticos y bioquímicos. El estudio cuenta con el apoyo del National Heart, Lung and Blood Institute (NHLBI) y la American Heart Association.</p><p style="text-align: justify;">En colaboración con líderes médicos, investigadores y científicos de todo el mundo, Medtronic ofrece la más amplia gama de tecnología médica innovadora para tratamientos quirúrgicos y el tratamiento de enfermedades cardiovasculares y trastornos del ritmo cardiaco. La compañía trabaja para ofrecer productos y servicios que generen valor clínico y económico para los sistemas sanitarios y los pacientes de todo el mundo.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://neurologia.publicacionmedica.com/spip.php?article171" href="http://neurologia.publicacionmedica.com/spip.php?article171" target="_blank"><strong>septiembre 11/2015 (Neurología)</strong></a></p><p style="text-align: justify;"><strong>Fuente: Medtronic</strong></p>
2015-09-15T14:41:12-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/781
Cáncer: La saliva del paciente puede detectar cáncer de mama
2015-07-03T07:19:28-04:00
Revista Finlay
<p>Un grupo de investigadores de la Universidad Autónoma Metropolitana (UAM), unidad Iztapalapa, desarrollaron un nanobiosensor para el diagnóstico de cáncer de mama en etapa temprana mediante un papel cromatográfico y una muestra de saliva del paciente.</p><p>En la actualidad, la mastografía y la autoexploraciónson los métodos más utilizados para la detección del cáncer de mama, pero en el primer caso el equipo empleado es costoso y en el segundo es necesario educar a las personas en temas de salud.</p><p>Por ello, un grupo de investigadores decidieron desarrollar un método más fácil, económico y con una detección rápida, ya que el cáncer de mama, más frecuente en las mujeres, aumenta cada día en el mundo, indicó el investigador del Laboratorio de Nanotecnología e Ingeniería Molecular de la UAM, Nikola Batina.</p><p>“Fue difícil encontrar el procedimiento para generar un patrón en un diseño tridimensional dentro del papel, que permitiera el fluido autónomo y uniforme de la saliva para determinar si el paciente tiene o no cáncer.</p><p>“El diagnóstico de cáncer de mama en fases tempranas fue uno de los objetivos del proyecto. Queríamos un nanobiosensor que la persona pueda usar cada seis meses para estar tranquila. Una gota de saliva puede ser la diferencia entre dormir tranquilo o no”, sostuvo.</p><p>Una de las mayores ventajas que tendría el uso de este dispositivo es que la prueba no tarda más de 10 minutos y puede realizarse en casa.</p><p>“Nuestra filosofía es que sea accesible. No se necesitan aparatos clínicos especiales; y la respuesta “sí” o “no” es con base en el color que arroje”, detalló Batina en una entrevista con la Agencia Informativa del Consejo Nacional de Ciencia y Tecnología (Conacyt).</p><p>El investigador precisó que este sensor también es crucial para aquellos pacientes en periodo posoperatorio después de un tratamiento de metástasis, pues permitirá saber si el cáncer regresó o no.</p><p>El proyecto que se desarrolló en el laboratorio de la UAM comenzará a realizar pruebas clínicas en pacientes y está protegido bajo derechos de propiedad industrial en México, con solicitud de patente.</p><p>Para el doctor Batina esta tecnología puede aplicarse para el diagnóstico de diversas enfermedades, sin embargo, aclaró que el nanobiosensor que desarrollaron en su laboratorio no es universal y solo puede ser utilizado para detectar cáncer de mama.</p><p>“La aplicación de los nanobiosensoresen enfermedades progresivas pueden ser la solución. La nanotecnología permite la identificación rápida de moléculas y esto abre un nuevo principio para la detección temprana y rápida de enfermedades que se incuban en el cuerpo humano por años y no presentan síntomas con una poca cantidad de reactivo”, precisó el experto.</p><p>Agregó que una de las contribuciones más importantes del desarrollo de este dispositivo es que al usar insumos de bajo costo, puede ser accesible para la mayor parte de la población, incluso, para la más desprotegida.</p><p>“Esto puede ser una gran contribución a la sociedad para salvar vidas. No es solo química y nanotecnología,hay mucho más detrás. Salvar la vida de las personas es la mayor satisfacción, y para eso es que investigamos y desarrollamos este proyecto de bajo costo, con una interfase sencilla y de respuesta inmediata”, subrayó.<br /> julio 1/2015 (PL)</p><p>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 “Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</p>
2015-07-03T07:19:28-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/780
Tabaquismo: Incluir materia de salud en educación básica evitaría tabaquismo
2015-07-03T07:18:05-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">El secretario de Salud del gobierno local, Armando Ahued, afirmó que la incorporación de la materia obligatoria de salud en el nivel de Educación Básica, es la única manera de cambiar la tendencia que va en aumento de niños y jóvenes fumadores.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;"> Al inaugurar el Foro Ciencia, Diseminación del Conocimiento y Prevención del Consumo de Tabaco, organizado por la Secretaría de Salud (Sedesa) capitalina, dijo que de esa forma se haría conciencia del problema y se informaría sobre el hecho de que el tabaquismo es una droga que daña la salud y provoca la muerte.</p><p style="text-align: justify;"> En el marco del Día Mundial sin Tabaco, Ahued Ortega manifestó su preocupación y subrayó como punto crítico lo expresado por 35 por ciento de los jóvenes que participaron en una encuesta, que dicen que el tabaco y el alcohol no son drogas.</p><p style="text-align: justify;"> Lamentó que niños e incluso, niñas, comiencen a fumar y tomar alcohol en edades muy tempranas, toda vez que hay casos de 9, 11 y 12 años, ante lo cual enfatizó que es necesario realizar un gran esfuerzo para hacer llegar la información a la población, a fin de crear conciencia.</p><p style="text-align: justify;"> En un comunicado, explicó que los casi dos millones de capitalinos fumadores se encuentran en un rango de edad de entre los 12 y los 65 años, además de que se ubica a la capital por encima de la media nacional de adictos al cigarro.</p><p style="text-align: justify;"> Subrayó que ante esa situación, el gobierno local ha puesto en marcha estrategias innovadoras y acciones contundentes para la atención, prevención, detección y tratamiento del consumo del tabaco, las cuales han tenido reconocimiento internacional.</p><p style="text-align: justify;"> Entre ellas, comentó el Programa Integral que tiene como estrategia principal asegurar que los establecimientos públicos como restaurantes y bares cumplan con la medida Espacios 100 % Libres de Humo de Tabaco conforme a la Ley de Protección a los No Fumadores.</p><p style="text-align: justify;"> Así como la estrategia acordada por la Sedesa y las organizaciones Bloomberg Associates y la Fundación Interamericana del Corazón (FIC), con miras a mejorar el proceso de aplicación de la ley y para lo cual se acordó un Comité de seguimiento interinstitucional.</p><p style="text-align: justify;"> Además de la instalación de la Plataforma Informática Ciudad sin Humo de Tabaco, que tienen como fin captar, canalizar denuncias y aplicar sanciones a quienes incumplan en el menor tiempo posible.</p><p style="text-align: justify;"> Aunado a ello, informó que a través de las 31 Unidades de Especialidad Médica- Centros de Atención Primaria de Adicciones y las sietes clínicas del tabaquismo, se han otorgado en el último año, seis mil 400 consultas médicas y de apoyo psicológico, así como mil 133 tratamientos.</p><p style="text-align: justify;"> El funcionario recordó que en el país la cifra de personas fumadoras asciende a 17.3 millones, de los cuales casi dos millones son de la ciudad de México, además de que cada año mueren más de 60 mil por causas atribuibles al tabaco.</p><p style="text-align: justify;">También comentó que con base en la Encuesta Nacional de Adicciones 2011, la prevalencia de exposición al humo ajeno considerable afecta a 12.5 millones de personas que nunca han fumado, y están expuestos a los mismos riesgos.</p><p style="text-align: justify;"><strong>junio 22 / 2015 (Notimex).-</strong></p><p style="text-align: justify;"><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-07-03T07:18:05-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/779
Diabetes Mellitus: La retinopatía diabética eleva el riesgo de ceguera en pacientes
2015-07-03T07:17:13-04:00
Revista Finlay
<p>Se estima que 38 % de los diabéticos tiene algún grado de retinopatía diabética, de los cuales 85 % no lo saben, señaló la oftalmóloga, Irma Miriam Zamudio Valderrama, quien detalló que por esta causa muchos pacientes llegan a consulta casi ciegos.</p><p> </p><p> La especialista indicó que 15 % de los casos requiere tratamiento y advirtió que el enfermos es asintomático en la mayoría de los casos tratables, por lo que pidió a los médicos de primer contacto, especialistas y enfermos informarse sobre esta enfermedad, la primera causa de ceguera irreversible en México.</p><p> Debido al gran número de diabéticos en México, cuya cifra se estima en alrededor de 13 millones, es necesario que “el paciente acuda al oftalmólogo y no esperar a notar que no ve, porque cuando se llega a este punto probablemente hay daño en la retina”, aseveró.</p><p> La oftalmóloga explicó que la diabetes afecta la microcirculación del ojo y al alterarse impide que la retina se oxigene, lo que produce daño en el tejido.</p><p> En un inicio, la retinopatía diabética será no profilerativa, luego leve, moderada y severa. Después tendrá una etapa proliferativa, con y sin edema macular, detalló.</p><p> Agregó que la retina tiene una parte muy importante que se llama mácula, el área que nos da la visión fina y que al presentarse el Edema Macular Diabético, ésta se inflamará y el paciente perderá la capacidad de ver.</p><p> Cabe destacar que con el progreso de la enfermedad se afectará la visión del paciente, indicó Zamudio Valderrama, en el marco del Congreso “Ver para creer, 7 años de éxito en los ojos de tus pacientes”, que organizó Novartis.</p><p> La especialista alertó que existe una tendencia a presentarse diabetes en edades más tempranas, entre los 25 y 30 años, por lo que la retinopatía diabética también se desarrollará en pacientes más jóvenes y la única forma de prevenirlo es con hábitos saludables.</p><p> Dijo que esta enfermedad crónico-degenerativa puede provocar otros trastornos en el ojo que son reversibles a diferencia de la retinopatía diabética, como inflamaciones profundas en las que el ojo duele, así como la parálisis de los pares craneales que provoca que un ojo del paciente se desvíe.</p><p> Además, la fluctuación en la agudeza visual, causada por la subida y bajada de los niveles de azúcar en el paciente.</p><p><strong>junio 26 / 2015 (Notimex).-</strong></p><p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-07-03T07:17:13-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/778
Factores de riesgo cardiovascular: El consumo de bebidas azucaradas causa unas 184 mil muertes al año
2015-07-03T07:16:23-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">El consumo de bebidas azucaradas ocasiona unas 184 mil muertes de adultos cada año, según asegura un estudio publicado en <a title="Circulation (2015); doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.114.010636" href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/2015/07/02/el-consumo-de-bebidas-azucaradas-causa-unas-184-mil-muertes-al-ano/10.1161/CIRCULATIONAHA.114.010636" target="_blank"><em>Circulation</em></a>, en el que por primera vez se ha calculado el impacto a escala global de este problema.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Investigadores de los Estados Unidos estudian el impacto en adultos a escala mundial de esta clase de productos, que en 2010 causaron 133 mil fallecimientos por diabetes, 45 mil por enfermedades cardiovasculares y 6 mil 540 por cáncer.</p><p style="text-align: justify;">“En muchos países se produce un elevado número de muertes debido únicamente al consumo de bebidas azucaradas, por lo que debería ser una prioridad mundial reducir su consumo o eliminarlas de la dieta”, asegura Dariush Mozaffarian, epidemiólogo de la Universidad Tufts de Boston, Estados Unidos, que ha liderado la investigación.</p><p style="text-align: justify;">Según los resultados obtenidos por los científicos, en 2010 estos refrescos causaron un total de 133 mil fallecimientos por diabetes. Además, en este mismo período, provocaron 45 mil muertes por enfermedades cardiovasculares y 6 mil 540 por cáncer.</p><p style="text-align: justify;">Para realizar estas estimaciones, los expertos seleccionaron aquellas sodas, bebidas de frutas, refrescos deportivos o energéticos, tés helados dulces, y zumos caseros que contenían al menos 50 kilocalorías por cada 23 centilitros. El equipo midió su consumo con los datos obtenidos en 62 modelos de encuestas sobre la dieta personal y sobre la disponibilidad de azúcar en 187 países.</p><p style="text-align: justify;">Por último, emplearon estudios médicos sobre los efectos en la salud y meta-análisis estadísticos para calcular el impacto directo en la diabetes, y los efectos indirectos en los problemas relacionados con la obesidad como las enfermedades cardiovasculares, la diabetes y el cáncer.</p><p style="text-align: justify;">Pese a los resultados obtenidos, “no es un problema complicado de resolver, ya que estas bebidas no tienen ningún beneficio para la salud, por lo que simplemente reducir el consumo evitaría decenas de muertes cada año”, asegura Mozaffarian.</p><p style="text-align: justify;">Latinoamérica y Caribe, los más afectados</p><p style="text-align: justify;">La investigación también presenta los resultados por países y por franja de edad, dos parámetros que generan importantes diferencias. “Hay ocho naciones de Latinoamérica y el Caribe entre los 20 países con la mayor tasa de defunción”, destaca Gitanjali Singh, bióloga de la Universidad Tufts de Boston, Estados Unidos, y coautora del estudio.</p><p style="text-align: justify;">Esto se debe a que en estas zonas, las bebidas azucaradas hechas en casa son muy habituales. Este consumo se añade al de las marcas comerciales que también son comunes en otros países.</p><p style="text-align: justify;">El estudio también revela importantes diferencias en función de la riqueza del país, ya que el 76 % de las muertes se producían en aquellos con una renta media o baja.</p><p style="text-align: justify;">Entre los 20 países con mayor población, México tenía la mayor tasa de defunción provocada por estas bebidas, con casi 405 fallecimientos por cada millón de adultos, 24 mil muertos en total. En segundo lugar, pero con un porcentaje mucho menor se situaba Estados Unidos, con 125 muertos por cada millón de personas, 25 mil en total.</p><p style="text-align: justify;">Más grave entre los más jóvenes</p><p style="text-align: justify;">Por edades, el porcentaje de muertes y enfermedades crónicas provocadas por estas bebidas era mayor entre los adultos jóvenes –menores de 45 años– que entre los más viejos, aquellos que superaban los 65 años.</p><p style="text-align: justify;">“Este dato es importante porque en muchos países los jóvenes son una parte importante de la fuerza de trabajo, con lo que el impacto económico de estas muertes y enfermedades es muy elevado”, alerta Singh.</p><p style="text-align: justify;">A medida que estos jóvenes envejezcan, los efectos del consumo de estas bebidas se agravarán, “lo que provocará una mayor tasa de muertes y minusvalías debido a enfermedades del corazón o diabetes”, concluye la investigadora.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://www.jano.es/noticia-el-consumo-bebidas-azucaradas-causa-24508" href="http://www.jano.es/noticia-el-consumo-bebidas-azucaradas-causa-24508" target="_blank"><strong>junio 30 / 2015 (JANO)</strong></a></p><p style="text-align: justify;"> </p>
2015-07-03T07:16:23-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/777
Factores de riesgo: Poliglobulia, problema de salud en Bolivia
2015-05-29T08:24:44-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">En la Ciudad boliviana de La Paz se registran a 10 de cada 100 personas con poliglobulia</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Un estudio del Instituto Boliviano de Biología de la Altura determinó que el 10 % de ciudadanos que moran en las ciudades bolivianas de La Paz y El Alto sufren del mal de altura o poliglobulia.</p><p style="text-align: justify;">Estas información la proporcionó el director del Instituto Boliviano de Biología de la Altura dependiente de la estatal Universidad Mayor de San Andrés (UMSA), Carlos Salinas, en una conferencia realizada en la ciudad de La Paz.</p><p style="text-align: justify;">Según la explicación del especialista Salinas, los varones a partir de los 40 años de edad son los más propensos de sufrir ese mal, mientras que las mujeres no, porque tienen una protección hormonal hasta que entran a la etapa de la menopausia.</p><p style="text-align: justify;">La ciudad de La Paz está ubicada a 3 650 metros de altitud. La urbe de El Alto (a media hora de la ciudad de La Paz) está a 4 061 metros de altitud, y es una de las ciudades más altas del mundo.</p><p style="text-align: justify;">El Instituto Boliviano de la Altura detectó que para mejorar la presión arterial es bueno incorporar la vitamina C en la alimentación, pero siempre en la dosis adecuada para cada paciente.</p><p style="text-align: justify;">La poliglobulia es una enfermedad de la sangre caracterizada por el aumento de glóbulos rojos.</p><p style="text-align: justify;">El aumento puede tener diferentes causas. Una es vivir a más de 2 500 metros sobre el nivel del mar.</p><p style="text-align: justify;">El experto explicó que las personas que la padecen presentan cansancio, dolor de cabeza, adormecimiento de manos y pies, zumbidos, también labios y manos color morado.</p><p style="text-align: justify;">Dijo que las personas que por ciertos motivos tienen que subir y bajar de la ciudad de El Alto a La Paz y viceversa, pese a vivir en la altura, tienen cierta desadaptación al medio. La persona se desaclimata y empieza a tener un incremento en la producción de los glóbulos rojos, lo que espesa la sangre, aseveró.</p><p style="text-align: justify;">En consecuencia, dijo que esto produce en las personas un incremento de la presión arterial, en el trabajo cardiaco y en el trabajo pulmonar, lo cual puede llevar a una disminución en su expectativa de vida.</p><p style="text-align: justify;"><strong>mayo 22/ 2015 (Xinhua) –</strong></p><p style="text-align: justify;"><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 “Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-05-29T08:24:44-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/776
Enfermedades cardiovasculares: Impacto de Hipertensión arterial en infartos
2015-05-29T08:20:54-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Los hipertensos tienen 4, 6 veces más probabilidades de sufrir un infarto agudo de miocardio y 5, 4 veces más riesgos de sufrir un accidente cerebrovascular (ACV), que una persona con presión arterial normal, informó hoy el Ministerio de Salud de Argentina.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Los hipertensos, además, tienen 2, 1 más probabilidades de padecer una enfermedad renal que una persona con presión normal, según indicó la última Encuesta Nacional de Factores de Riesgo, realizada por el Ministerio de Salud de Argentina.</p><p style="text-align: justify;">En Argentina, la hipertensión arterial representa la principal causa de muerte, siendo responsable de 40 mil decesos anuales.</p><p style="text-align: justify;">Los infartos y los ACV, entre otras enfermedades cardiovasculares, representan el 32, 5 % de las muertes que ocurren por año en el país, precisó.</p><p style="text-align: justify;">El secretario de Promoción y Programas Sanitarios de Argentina, Federico Kaski, aseguró que “desde una perspectiva integral que vaya más allá de la enfermedad y aborde a la salud como sujeto activo, es fundamental la adopción de hábitos saludables en la alimentación como la reducción del consumo de sal y la realización de controles médicos periódicos”.</p><p style="text-align: justify;">El funcionario resaltó que es fundamental “la concientización de la población” sobre la necesidad de una vida sana, practicar deportes y consumir menos sal, “porque reducen drásticamente las posibilidades de tener hipertensión y todas las complicaciones asociadas a esta enfermedad”.”</p><p style="text-align: justify;">En Argentina, el consumo de sal diario se redujo 2 gramos en los últimos cuatro años, siendo actualmente de 10 gramos diarios el consumo promedio por persona y casi el 70 % de la sal ingerida proviene de los alimentos procesados.</p><p style="text-align: justify;">La Organización Mundial de la Salud (OMS) recomienda un consumo máximo de 5 gramos por día.</p><p style="text-align: justify;">“La reducción que observamos en el agregado de sal a las comidas es un cambio cultural muy importante, ya que sabemos que por cada gramo que disminuimos en el consumo de sodio, evitamos 2000 muertes al año por enfermedades cardiovasculares y cerebrovasculares”, señaló el director nacional de Prevención de Enfermedades y Riesgos, Jonatan Konfino.</p><p style="text-align: justify;">La Liga Internacional de Hipertensión Arterial fijó el 17 de Mayo como Día Mundial de la Hipertensión Arterial, con el objetivo de crear conciencia de la enfermedad y fomentar los estilos de vida saludables para su prevención</p><p style="text-align: justify;"><strong>mayo 17/ 2015 (ANSA)-</strong></p><p style="text-align: justify;"><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 “Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-05-29T08:20:54-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/775
Nutrición: El hambre oculta, señal de falta de nutrientes en el cuerpo
2015-05-29T08:18:37-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Cuando las personas tienen la sensación de querer comer algo sin definir qué alimento, es una señal del cuerpo de la falta de nutrientes que se le conoce como “hambre oculta” y que la presenta la mayoría de la gente, explicó la bióloga Liduina Fiorini.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">“Tengo ganas de comer algo que yo no sé lo que es. Son algunos nutrientes que nos están haciendo faltan y no lo sabemos”, señaló la especialista durante su participación en el primer Encuentro de Expertos de América Latina “Inmersión en el mundo de los Péptidos de Colágeno Bioactivos”.</p><p style="text-align: justify;"> La también jefa científica para América Latina de la empresa Sanofi indicó que diversificar la dieta evita enfermedades “que están relacionadas con estos vacíos”, como la osteoporosis, por la falta de calcio o la pérdida visual por la vitamina A.</p><p style="text-align: justify;"> ”Si como lo mismo todos los días, voy a tener hambre oculta”, señaló, al mencionar que en algunos casos esta sensación se relaciona con la depresión por la falta del mineral selenio, y al insomnio por la ausencia de ácido fólico.</p><p style="text-align: justify;">Y es que una buena alimentación toma especial relevancia en la actualidad debido al avance de la ciencia y la medicina que aumenta la esperanza de vida de las personas. “Tenemos que cuidarnos y no llegar llenos de tubos” a la vejez, subrayó.</p><p style="text-align: justify;">Entre los padecimientos que se presentan en la edad adulta y que en algunas ocasiones son discapacitantes y se relacionan con una mala alimentación son las reumáticas crónicas degenerativas, las cuales afectan al cartílago de las articulaciones y producen artritis.</p><p style="text-align: justify;">“Después de los 45 o 50 años, todas las personas vamos a tener cambios en el cartílago, cambios más o menos dependiendo de la edad, la genética”, explicó en entrevista el especialista reumatólogo Manuel Robles San Román.</p><p style="text-align: justify;">Existen factores en estas enfermedades reumáticas que son modificables como la actividad física, el peso, “comer bien, fortalecer nuestros músculos para que las articulaciones soporten el peso adecuado, es una manera de prevenir”, aseguró el también ex presidente del Colegio Mexicano de Reumatología.</p><p style="text-align: justify;"> Detalló que en un estudio realizado por dicho colegio y la Fundación Mexicana para Enfermos Reumáticos encontró que 11 % de los mexicanos tiene osteoartritis.</p><p style="text-align: justify;">“Una manera de prevenir la lesión del cartílago es usar sustitutos alimenticios que nos ayuden a fortalecer el medicamento”, como es el caso de los péptidos de colágeno bioactivos, mencionó Robles San Román.</p><p style="text-align: justify;"> De esta manera, dichos péptidos son un coadyuvante que protege el desgaste normal de las articulaciones y fortalece el cartílago articular.</p><p style="text-align: justify;">“Estamos hablando de un concepto no medicamentoso, sino de un concepto nutricional; la evidencia de los estudios es que hay que consumirlo mínimo durante tres meses de manera consecutiva para encontrar respuestas”, dijo por su parte el especialista en reumatología de la Universidad de Costa Rica, Alexis Méndez Rodríguez.</p><p style="text-align: justify;">En tanto, Liduina Fiorini mencionó que incluso este concepto de péptidos, producidos por un proceso de hidrólisis enzimática de colágeno de la piel del cerdo, contribuyen a disminuir el dolor causado por las enfermedades reumáticas.</p><p style="text-align: justify;">“¿En cuánto tiempo siento la mejora del dolor?, en promedio de 20 días a tres meses”, lo que dependerá del número de células funcionales que aún se tengan en el cartílago, aseguró.</p><p style="text-align: justify;">“Tenemos que comer sistemáticamente variedad de nutrientes, alimentarnos con tiempo suficiente para que nuestro cuerpo tenga salud, porque en cada minuto estamos produciendo millones de nuevas células, entonces a cada minuto tenemos que estar atentos a lo que comemos”, agregó.</p><p style="text-align: justify;"><strong>mayo 25/ 2015 (Notimex).-</strong></p><p style="text-align: justify;"><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 “Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-05-29T08:18:37-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/774
Hipertensión arterial: Buscan mejorar control de hipertensión arterial en América Latina
2015-05-29T08:16:22-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">La hipertensión arterial provoca 800 mil muertes en América Latina y el Caribe cada año, región donde uno de cada tres adultos la padece, advirtió Pedro Orduñez, encargado de este tema en la Organización Panamericana de la Salud (OPS).</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">En entrevista realizada por Radio ONU y difundida por la Oficina de las Naciones Unidas en México, el galeno explicó que en la región casi 250 millones de personas sufren esa condición, que causa la mitad de las muertes por problemas cardiovasculares.</p><p style="text-align: justify;"> Alertó que el peligro radica en que por lo general no se detecta a tiempo y a ello se suma que apenas una de cada cinco de las personas que la padecen consigue mantener su presión arterial por debajo del mínimo aceptable, es decir, 140 sobre 90.</p><p style="text-align: justify;"> En ese sentido, la OPS se ha fijado el objetivo de que en los próximos cinco años, por lo menos la tercera parte de quienes padecen hipertensión consiga este objetivo, meta que hasta ahora, sólo han alcanzado Estados Unidos, Canadá y Cuba.</p><p style="text-align: justify;"> La hipertensión arterial cobra la vida de 800 mil personas al año en la región, recordó el médico, al recomendar que todas las personas, especialmente los adultos mayores a 40 años, acudan periódicamente con su médico y se revisen la presión arterial.</p><p style="text-align: justify;"> Además, insistió en la importancia de llevar un estilo de vida saludable, evitar el tabaquismo y el consumo de alcohol, disminuir la ingesta de sal y azúcar, mantener un programa de ejercicio acordado con su médico personal y, en lo posible, evitar el estrés.</p><p style="text-align: justify;"> Para quienes ya padecen la enfermedad, enfatizó la importancia de mantenerse en contacto con su médico y seguir al pie de la letra sus recomendaciones, para mantener bajo control esta afección, que se puede convertir en un enemigo mortal.</p><p style="text-align: justify;"><strong>mayo 24/ 2015 (Notimex).-</strong></p><p style="text-align: justify;"><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 “Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-05-29T08:16:22-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/773
Hipertensión arterial: Convocatoria a la IV Jornada Nacional de Hipertensión Arterial. HTA 2015
2015-04-26T00:00:00-04:00
Revista Finlay
<p><strong>Convocatoria a la IV Jornada Nacional de Hipertensión Arterial. HTA 2015</strong></p><p><strong>Estimado(a) colega:</strong></p><p>Santiago de Cuba, ciudad genuinamente caribeña, cautiva desde el primer paso por la cordialidad, el calor humano, el espíritu bohemio y musical de su pueblo que sorprende su paisaje urbano de belleza natural. Es una ciudad rodeada por montañas (el sistema montañoso más importante del país: la sierra maestra), con calles empinadas, escalonadas, tortuosas y con la bahía a sus pies. Posee lugares históricos, potencialidades científico-técnicas y el impacto de la expresión de la cultura santiaguera, todo lo cual la convierte en un destino ideal para la realización del turismo de eventos y en el marco de sus <strong>500 Aniversarios</strong> el Hospital General “Dr. Juan Bruno Zayas Alfonso” tiene el placer de Convocarles a participar en la <strong>IV Jornada Nacional de Hipertensión Arterial. HTA 2015 </strong>a celebrarse del <strong>17 al 19 de Septiembre del 2015.</strong></p><p>La Hipertensión Arterial (HTA) constituye uno de los factores de riesgo más importante de la enfermedad cardiovascular y renal en nuestra provincia. El 40% de la mortalidad total está relacionado con ésta, fundamentalmente a través de la Enfermedad Cerebrovascular, la cardiopatía isquémica y la insuficiencia renal crónica.</p><p>La mortalidad infantil y materna está fuertemente influenciada por la HTA en el embarazo en sus diversas formas.</p><p>Las particularidades culturales, sociales y étnicas que propician un comportamiento más agresivo de esta enfermedad es el motivo fundamental que nos conlleva a la realización de este intercambio; ofrecemos un programa altamente científico que abordará temáticas muy interesantes relacionadas con esta enfermedad y un atractivo programa colateral que estamos seguros llenará sus expectativas.</p><p><strong>Cuota de Inscripción</strong> delegados: $250.00 MN estudiantes: 80 .00 MN</p><p> $250.00 CUC</p><p> Acompañantes: $100.00 CUC</p><p> $100.00 MN</p><p><strong>Usted puede contactarnos a la siguiente</strong><strong> </strong><strong>dirección</strong><strong>: </strong><a href="mailto:eugenia.garcia@medired.scu.sld.cu"><strong>eugenia.garcia@medired.scu.sld.cu</strong></a><strong> </strong><a href="mailto:dherrera@hospiclin.scu.sld.cu"><strong>dherrera@hospiclin.scu.sld.cu</strong></a><strong></strong></p><p><strong> </strong></p><p><strong>Teléfonos</strong>:(022) 641009, 642016 ext. 1013 y 1085</p><p><strong>Receptivo Oficial</strong><strong><br /> </strong>Agencia de Viajes Havanatur S.A. Calle 8 #56 e/1era. y 3era. Vista Alegre. Santiago de Cuba.</p><p>Telf. (022)641237. Fax.(022)687281 <a href="mailto:evangelio@cimex.com.cu"><strong>evangelio@cimex.com.cu</strong></a></p><p><strong>Organiza: </strong></p><p>Hospital General “Juan Bruno Zayas Alfonso”</p><p><strong>Auspician:</strong></p><ul><li>Sociedad Cubana de Medicina Interna</li><li>Filial Provincial de Medicina Interna</li><li>Dirección Provincial de Salud Pública</li><li>Gobierno Municipal de Santiago de Cuba</li><li>Hospital General Juan Bruno Zayas Alfonso</li><li>Agencia de Viajes Havanatur</li><li>Centro de Promoción y Educación para la salud</li><li>Consejo Provincial de Sociedades Científicas</li><li>Comisión Nacional Técnica Asesora para la Hipertensión Arterial</li></ul><p><strong> </strong></p><p><strong> Objetivos:</strong></p><ol><li>Profundizar en los conocimientos actuales de la hipertensión arterial.</li><li>Evaluar los resultados de la reducción o control de la hipertensión arterial en la población cubana.</li></ol><p><strong><span style="text-decoration: underline;">Comité organizador </span></strong></p><p><strong><span style="text-decoration: underline;">Presidente:</span></strong></p><p>Dra. C María Eugenia García Céspedes</p><p><strong><span style="text-decoration: underline;">Vice Presidente:</span></strong></p><p>Dr. Iván Sergio Reyes Salazar</p><p><strong><span style="text-decoration: underline;">Secretaría:</span></strong></p><p>Dr. Juan Xiomel Portuondo Paizán</p><p><strong><span style="text-decoration: underline;">Tesorera:</span></strong></p><p>Téc. Damaris Herrera Ortiz</p><p> </p><p><strong><span style="text-decoration: underline;">Comité Científico</span></strong><strong><span style="text-decoration: underline;"><br /> Presidente:</span></strong></p><p>Dr.C. José Enrique Vázquez Sarandeses</p><p><strong><span style="text-decoration: underline;">Miembros:</span></strong></p><p>Dr. Iván Sergio Reyes Salazar</p><p>Dr. Ventura Puente Saní<br /> Dra. Susana Rodríguez Montes De Oca</p><p>Lic. Ritzi García Clavel</p><p>Dra. Tatiana Marañón Cardonne</p><p> </p><p><strong><span style="text-decoration: underline;">MODALIDADES:</span></strong></p><p>Cursos Pre-Jornada</p><p>Conferencias</p><p>Simposios</p><p>Paneles</p><p>Mesas redondas</p><p>Temas libres</p><p>Temas en cartel</p><p>Póster en formato electrónico</p><p> </p><p><strong><span style="text-decoration: underline;">Temáticas fundamentales.</span></strong></p><p>1. Epidemiología</p><p>2. Fisiopatología</p><p>3. Manejo integral de la HTA</p><p>4. HTA y otras patologías</p><p>5. HTA y embarazo</p><p>6. Atención Comunitaria</p><p>7. Asociación con otros factores de riesgo</p><p>8. Atención de urgencia</p><p>9. Manejo del paciente grave</p><p>10. Atención de enfermería</p><p>11. Educación para la salud</p><p>12. Programas y proyectos para enfrentar el reto de esta enfermedad</p><p> </p><p><strong><span style="text-decoration: underline;">Idiomas de trabajo:</span></strong></p><p>Sesionará en español e inglés</p><p> </p><p><strong><span style="text-decoration: underline;">Programa General.</span></strong></p><p><strong><span style="text-decoration: underline;"> </span></strong></p><p><strong>Día 16</strong></p><p>Coctel de Bienvenida</p><p><strong>Día 17</strong></p><p>Conferencia de apertura</p><p>Sesiones Científicas</p><p><strong>Día 18</strong></p><p>Sesiones Científicas en la Comunidad</p><p><strong>Día 19</strong></p><p>Sesiones Científicas</p><p>Reconocimientos</p><p>Clausura</p><p>Actividad de Confraternidad</p><p> </p><p><strong><span style="text-decoration: underline;">FECHA LÍMITE:</span></strong></p><p> </p><p><strong>La recepción de los resúmenes (Ver Anexo)</strong></p><p>Hasta el 15 de Agosto del 2015</p><p><strong>Pago de la Cuota de Inscripción del evento</strong></p><p>Hasta el 15 de Agosto del 2015</p><p><strong>Entrega del programa de cursos pre - jornada</strong></p><p>Hasta el 31 de marzo del 2015</p><p><strong>Lugar del pago de cuota de inscripción y la entrega de programas: </strong></p><p>Oficina de la Subdirección Docente del Hospital General “Dr. Juan</p><p>Bruno Zayas Alfonso”</p><p>Enviar programas y resúmenes además en formato electrónico a:</p><p>eugenia.garcia @medired.scu.sld.cu ivan.reyes@medired.scu.sld.cu</p><p> </p><p> </p><p> </p><p><strong>Anexo</strong></p><p><strong>FORMATO DEL RESUMEN ESTRUCTURADO PARA LOS TRABAJOS DE</strong></p><p><strong>LA JORNADA </strong></p><p> </p><p><strong>Título del trabajo:</strong></p><p>Centrado en mayúsculas y negritas.</p><p><strong>Modalidad:</strong></p><p>Póster, Tema libre</p><p><strong>Autores y colaboradores: </strong></p><p>Por orden de participación en el trabajo</p><p>Registrar con superíndice la institución de procedencia de cada autor y con la dirección electrónica sólo del autor principal.</p><p><strong>Extensión máxima: </strong></p><p>Debe ser un solo bloque de 150-250 palabras con interlineado sencillo, letra Arial 12.</p><p><strong>Estructurado con los siguientes apartados: </strong></p><p>Objetivo, material y métodos, resultados y conclusiones; y un máximo de 6 palabras claves.</p><p> </p><p> </p><p> </p>
2015-04-26T00:00:00-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/772
Cardiopatía Isquémica: Una nueva técnica evita la fibrilación ventricular en el Brugada grave
2015-04-20T09:00:17-04:00
Revista Finlay
<p>Una nueva técnica logra evitar la fibrilación ventricular (FV) en pacientes con síndrome de Brugada grave, normalizando así la actividad eléctrica de su corazón y disminuyendo las posibilidades de muerte súbita. Consiste en la ablación epicárdica, con acceso externo y con punción pericárdica realizada por debajo del esternón.</p><p>En España, se ha utilizado por primera vez con un paciente de la Gerencia de Gestión Integrada de Santiago, de 34 años, un caso muy grave pues había sufrido una parada cardiaca en la calle y cinco espisodios más de FV en el último mes registrados por el desfibrilador que tenía implantado. Aunque la intervención trascendió ayer, se llevó a cabo a finales de marzo en el Complejo Hospitalario Universitario de Santiago (CHUS), dirigida por el cardiólogo que dio nombre al síndrome, Josep Brugada, y la participación de profesionales del Servicio de Cardiología de Santiago.</p><p>“Corregimos el desequilibrio de la corriente eléctrica del corazón que motivaba las arritmias y el paciente se encuentra bien”, explicó José Luis Martínez Sande, responsable de la Unidad de Arritmias y Electrofisiología del CHUS. El enfermo no respondió al tratamiento farmacológico y había tenido múltiples rescates por el desfibrilador.</p><p>“Es una indicación clara”, consideró Josep Brugada, quien propuso al equipo de Santiago realizar esta técnica novedosa que, por ahora, solo se ha empleado en una veintena de casos. El propio Brugada, en colaboración con el italiano Carlo Pappone, son responsables de una serie europea de diez casos e intervendrán a otras cinco personas el próximo mes. Los resultados son muy satisfactorios: “A cuatro meses, siete de estos pacientes no tienen arritmias y presentan un electrocardiograma normal”.</p><p>Brugada destacó que esta intervención es un ejemplo de los beneficios que se obtienen con la colaboración entre grupos médicos. Los especialistas localizaron en la parte anterior del ventrículo derecho una zona amplia causante de las arritmias, que fue eliminada por ablación con radiofrecuencia. Es un procedimiento complicado que puede hacerse en el CHUS gracias a la tecnología con la que cuenta la Unidad de Arritmias y Electrofisiología, ya que precisa de un sistema de navegación con reconstrucción eléctrica y anatómica de las cavidades cardiacas.</p><p>“Creo que será el futuro para pacientes con este síndrome que sufren arritmias o con alto riesgo de padecerlas, pero hay que comprobarlo a través de un estudio amplio”, vaticinó Brugada.<br /> Causa de muerte súbita en jóvenes</p><p>La prevalencia del síndrome de Brugada, una enfermedad genética, es de un caso por 5000 habitantes en Europa y Estados Unidos y de uno por 2000 en el sudeste asiático. Causa entre un 5-10 % de muerte súbita en gente joven en España, mientras que en Asia puede llegar al 50 %. Un 5 % de los pacientes tienen una expresión grave, y el 25-30 %, un riesgo importante. Afecta sobre todo a varones de unos 30 años. Cada vez se diagnostica más, en muchos casos tras una muerte súbita en la familia. De todas formas, Brugada advirtió del sobrediagnóstico, tras una prueba dudosa.<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2015/04/10/area-cientifica/especialidades/cardiologia/investigacion/nueva-tecnica-evita-fv-brugada-grave" target="_blank">abril 17/2015 (Diario Médico) </a></p>
2015-04-20T09:00:17-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/771
Factores de riesgo: Nuevos marcadores en espondilitis anquilosante
2015-04-20T08:52:43-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores españoles han participado en un estudio, que se publica en “<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21743469" target="_blank">Nature Genetics</a>” y del que uno de los autores es Carlos López Larrea, coordinador de la Unidad de Histocompatibilidad y Trasplantes del Hospital Universitario Central de Asturias, se han hallado nuevos marcadores genéticos relacionados con la espondilitis anquilosante.</p><p>Un amplio trabajo de investigación multicéntrico, en el que se ha incluido a casi 7000 pacientes y más de 18 000 controles, ha permitido encontrar nuevos marcadores genéticos relacionados con el desarrollo de espondilitis anquilosante. Uno de los hallazgos más destacables es que la asociación de uno de los genes implicados en la enfermedad, el ERAP1, se encuentra restringida a pacientes HLA-B27 positivos.</p><p>La espondilitis anquilosante es una enfermedad inflamatoria y crónica que afecta fundamentalmente al esqueleto axial, aunque también pueden verse afectadas otras articulaciones periféricas. Además, puede cursar con otras manifestaciones extra-articulares entre la que destaca la presencia de episodios de uveítis. La enfermedad suele aparecer en la década que va de los 20 a los 30 años.</p><p>Entre el 90 y el 95 % de los pacientes con espondilitis portan la molécula HLA-B27, “que representa el factor de asociación más importante”, ha señalado López Larrea. Este antígeno está presente en alrededor del 8 % de la población, pero tan solo un 0,5-1 % desarrolla la enfermedad. Durante los últimos años diferentes estudios genéticos han evidenciado que el peso específico de B27 en la contribución de la enfermedad es de alrededor de un 16 % y que otros genes contribuyen a su desarrollo, “lo que nos muestra que estamos hablando de una enfermedad compleja”.</p><p>El trabajo es el más completo que se ha realizado hasta el momento, según ha destacado López Larrea, y ha sido organizado través de un consorcio australiano coordinado por Matthew Brown, del Diamantina Institute for Cancer (Universidad de Queensland, en Brisbane, Australia), con la participación de los consorcios Australo-Anglo-Americano de Espondiloartritis (TASC) y el Wellcome Trust Case Control Consortium 2 (Wtccc2), así como investigadores de otros países, que han logrado reunir a 6919 pacientes y 18 713 controles.</p><p>Mediante un estudio de amplia asociación genómica (GWAS) se han determinado nuevas asociaciones génicas, como IL12B, Ptger4, RUNX3 y Tbkbp1, y se han confirmado otras ya conocidas, como HLA-B, ERAP1, IL23R, KIRF21B, Antxr2, CARD9, LTB-Tnfrsf1A y las regiones 2p15 y 21q22.Uno de los hallazgos más destacables de este trabajo es que “la asociación de uno de los genes implicados en la enfermedad, el ERAP1, se encuentra restringida a pacientes HLA-B27-positivos”.</p><p>“ERAP1 es una aminopeptidasa que participa en la edición de péptidos que une HLA-B27 y que luego presenta en la superficie de la célula de las presentadoras de antígeno”. Esto puede significar que el mecanismo que subyace a la enfermedad puede implicar una presentación antigénica aberrante.</p><p>Otro de los SNP implicados está relacionado con L23R, lo que sugiere que la enfermedad se comporta como otras dolencias autoinmunes mediadas por una respuesta de linfocitos Th17.</p><p>Proyecto de secuenciación exónica</p><p>Los investigadores implicados en este trabajo quieren darle continuidad. El propósito para un futuro inmediato se centra en analizar alrededor de 200 000 marcadores genéticos en 10 000 pacientes y 20 000 controles, con el objetivo de relacionar cada uno de estos genes con las distintas manifestaciones clínicas que tienen lugar en la enfermedad: “Nuestro grupo del Servicio de Inmunología del Hospital Universitario Central de Asturias ha contribuido sustancialmente durante años a esclarecer la contribución de factores genéticos asociados a la espondilitis anquilosante”, ha explicado López Larrea, quien ha destacado además que su grupo tiene un proyecto en marcha para llevar a cabo la secuenciación exónica de una serie de pacientes de espondilitis, con el objetivo de hallar marcadores genéticos implicados en la gravedad de la enfermedad.<br /> <a href="http://genetica.diariomedico.com/2011/07/11/area-cientifica/especialidades/genetica/nuevos-marcadores-espondilitis-anquilosante" target="_blank">abril 17/2015 (Diario Médico)</a></p>
2015-04-20T08:52:43-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/770
Factores de riesgo: Estudio vincula estrés familiar con obesidad en adolescentes
2015-04-20T08:46:07-04:00
Revista Finlay
<p>El estrés familiar puede incrementar el riesgo de los adolescentes de padecer sobrepeso u obesidad, de acuerdo a un nuevo estudio.</p><p>Un grupo de investigadores analizó datos de más de 4700 adolescentes estadounidenses nacidos entre 1975 y 1990 para evaluar los efectos de tres fuentes específicas de estrés familiar: problemas financieros, mala salud de la madre y desintegración familiar.</p><p>“Experimentar estrés familiar -específicamente desintegración familiar y estrés financiero- en repetidas ocasiones durante la infancia se asoció con sobrepeso u obesidad al momento en el que las chicas adolescentes cumplieron 18 años”, dijo la autora del estudio Daphne Hernandez, profesora asistente en el departamento de salud y rendimiento humano en la Universidad de Houston, a través de un comunicado de prensa de la universidad.</p><p>Únicamente un punto de estrés familiar -mala salud de la madre- se asoció con sobrepeso u obesidad en varones al momento de cumplir 18 años, de acuerdo al estudio publicado en el número de abril de la revista “<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25622888" target="_blank">Preventive Medicine</a>“.</p><p>“En general, estos hallazgos sugieren que los adolescentes responden de manera distinta al estrés dependiendo de su sexo. Este estudio amplía nuestro conocimiento del estrés y la obesidad al enfocarse en el entorno familiar a lo largo del tiempo. Al conocer los tipos de factores estresantes que afectan el aumento de peso en adolescentes de cada sexo, podemos individualizar servicios sociales específicos para incluirlos en los programas de prevención de obesidad”, dijo Hernandez.</p><p>Actualmente, los programas de prevención de la obesidad basados en las escuelas se enfocan en el ejercicio y la alimentación saludable, que solo ofrecen beneficios a corto plazo según Hernandez.</p><p>“Estos programas necesitan tener un enfoque más amplio sobre el combate a la obesidad al ayudar a las familias que experimentan estos tipos de factores estresantes a buscar acceso a programas de salud mental, ayuda financiera o asesoramiento familiar.</p><p>“Desarrollar estrategias para ayudar con los factores estresantes a nivel familiar durante la infancia podría ayudar a los niños a mantener un peso saludable hasta la adultez”, concluyó Hernandez.</p><p>A pesar de que el estudio halló una asociación entre los factores estresantes a nivel familiar y el peso en la infancia, no se demostró una relación de causa y efecto.<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_151949.html" target="_blank">abril 17/2015 (HealthDay News) </a></p>
2015-04-20T08:46:07-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/769
Diabetes Mellitus: Cada hora frente a la tele aumenta en un 3,4 % la probabilidad de diabetes
2015-04-14T09:14:13-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">La reducción del tiempo dedicado a ver la televisión determina un menor riesgo de desarrollar la enfermedad.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Cada hora que una persona pasa viendo la televisión aumenta el riesgo de desarrollar diabetes en un 3,4 % según un estudio realizado por los doctores Bonny Rockette-Wagner y Andrea Kriska, de la Universidad de Pittsburgh, en Estados Unidos, cuyos resultados se publican en <a title="diabetologia-journal.org/" href="http://www.diabetologia-journal.org/" target="_blank"><em>Diabetologia</em></a>, la revista de la Asociación Europea para el Estudio de la Diabetes.</p><p style="text-align: justify;">Los autores utilizaron datos de los participantes en el estudio del Programa de Prevención de la Diabetes (DPP), hecho público en 2002 y financiado por el Instituto Nacional de Diabetes y Enfermedades Digestivas y del Riñón (NIDDK), una sección de los Institutos Nacionales de Salud (NIH) de los Estados Unidos.</p><p style="text-align: justify;">Ese estudio reclutó a 3 mil 234 adultos con sobrepeso (1996-1999) de al menos 25 años de edad con el objetivo de retrasar o prevenir la diabetes tipo 2 en personas de alto riesgo, ya sea con metformina o mediante intervención en su estilo de vida.</p><p style="text-align: justify;">Trabajos anteriores ya habían sugerido que intervenir en el estilo de vida reduce la incidencia de la diabetes y logra una pérdida de peso del 7 %.</p><p style="text-align: justify;">Este nuevo trabajo examinó si la intervención del estilo de vida, también reducía las horas de sedentarismo y, por consiguiente, el efecto de la conducta sedentaria en el desarrollo de la diabetes.</p><p style="text-align: justify;">Antes de la intervención, el tiempo total dedicado a la televisión no resultó ser significativamente diferente entre los grupos de placebo, metformina y estilo de vida (alrededor de 140 minutos por día en los tres grupos). Tampoco el tiempo diario total que se pasa sentado en el trabajo más el tiempo frente a la televisión fueron significativamente diferentes (entre 410 y 423 minutos por día).</p><p style="text-align: justify;">En el grupo de estilo de vida, se observó la mayor reducción en el tiempo que dijeron pasar viendo la televisión y en el tiempo dedicado a ver la televisión más tiempo sentado en el trabajo. La reducción media, combinando el tiempo sentado viendo la televisión y el tiempo sentado en el trabajo, fue de 9, 6, y 37 min/día para los grupos placebo, metformina y de estilo de vida, respectivamente.</p><p style="text-align: justify;">Luego, los autores analizaron el impacto de la conducta sedentaria en el desarrollo de la diabetes. Para los participantes en todos los grupos de tratamiento, el riesgo de desarrollar diabetes aumentó aproximadamente en un 3,4 % por cada hora que pasaban viendo la televisión después del ajuste por edad, sexo, grupo de tratamiento y el tiempo de ocio dedicado a la actividad física.</p><p style="text-align: justify;">“Es probable que un programa de intervención en el estilo de vida que incorpore un objetivo específico de disminuir el tiempo de sedentarismo podría resultar en mayores cambios en esta actitud y probablemente más mejoras en la salud de las que se demuestran aquí”, augura Kriska.</p><p style="text-align: justify;"><a title="jano.es/noticia-cada-hora-frente-tele-aumenta-24037" href="http://www.jano.es/noticia-cada-hora-frente-tele-aumenta-24037" target="_blank"><strong>abril 13/ 2015 (JANO)</strong></a></p>
2015-04-14T09:14:13-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/768
Cáncer: Atribuyen al café una función protectora frente al melanoma
2015-04-14T09:11:01-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un estudio muestra que, como norma general, un mayor consumo de café se halla inversamente asociado con el riesgo de desarrollar este cáncer, con un 20 % menos de probabilidad para los que consumían 4 tazas al día o más.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Una investigación dirigida por Erikka Loftfield, del Instituto Nacional del Cáncer de Estados Unidos, ha establecido una relación entre el consumo de café y un menor riesgo de desarrollar melanoma maligno.</p><p style="text-align: justify;">Algunos epidemiológicos y preclínicos habían sugerido que el consumo de café tiene un efecto protector frente a los cánceres de piel no melanoma, pero no estaba tan claro el efecto protector para el melanoma cutáneo (maligno e in situ).</p><p style="text-align: justify;">El trabajo ha tratado de determinar si existe o no una asociación entre el consumo de café y el riesgo de melanoma cutáneo. Así, ha revisado información sobre el consumo de café de 447 mil 357 personas. Todos los sujetos incluidos en el análisis estaban libres de cáncer al inicio del estudio y los autores ajustaron los datos por exposición ambiental a la radiación ultravioleta, el índice de masa corporal, edad, sexo, actividad física, y consumo de alcohol y tabaco.</p><p style="text-align: justify;">El estudio se ha publicado en <a title="jnci.oxfordjournals.org/content" href="http://jnci.oxfordjournals.org/content/107/2/dju421.abstract?sid=0f368b21-6e42-4d03-b412-27179f37974c" target="_blank"><em>Journal of the National Cancer Institute</em> </a>(2015); doi:10.1093/jnci/dju421</p><p style="text-align: justify;">. Los resultados mostraron que, como norma general, un mayor consumo de café se asoció inversamente con el riesgo de melanoma maligno, con un 20 % menos de riesgo para los que consumían 4 tazas al día o más.</p><p style="text-align: justify;">También hubo una tendencia hacia una mayor protección con la ingesta superior, con un creciente efecto de protección desde una taza o menos a cuatro tazas o más.</p><p style="text-align: justify;">Los investigadores observaron que el efecto era estadísticamente significativo para los casos en los se bebía café con cafeína pero no para el descafeinado.</p><p style="text-align: justify;">Además, la protección conferida se centraba solo en el melanoma maligno, pero no en el melanoma in situ, que puede tener una etiología diferente.</p><p style="text-align: justify;"><a title="JANO" href="http://www.jano.es/noticia-atribuyen-al-cafe-una-funcion-23999" target="_blank"><strong>abril 13 / 2015 (JANO)</strong></a></p>
2015-04-14T09:11:01-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/767
Nutrición: El consumo de cereales se asocia con una reducción del 17% del riesgo de muerte prematura
2015-04-14T09:07:56-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">El consumo de fibras de cereal y granos enteros se asocia con un menor riesgo de muerte para patologías crónicas como cáncer, enfermedades cardiorrespiratorias o diabetes, que varía según la dolencia, afirman investigadores de la Escuela de Salud Pública de Harvard, Boston, Estados Unidos</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">El trabajo apunta que el consumo de una media de 34 gramos de granos enteros de cereal al día –toda la semilla de una planta comestible formada por el germen, el salvado y la espora de cereales como el trigo, la avena y quinua– se asocia con una reducción del 17% del riesgo de muerte prematura, en comparación con las personas que consumen un promedio 3, 98 gramos.</p><p style="text-align: justify;">Los granos de cereal completos son una fuente rica de fibra dietética y otros nutrientes como minerales y antioxidantes. Asimismo, la ingesta media de 10, 22 gramos al día de fibras de cereal se asocia con una reducción del 19 % de riesgo de muerte prematura en comparación con aquellos que consumen una media de 2, 02 gramos al día.</p><p style="text-align: justify;">Para Lu Qi, director del estudio, estos hallazgos “deben motivar ensayos clínicos y estudios experimentales que den mayor testimonio sobre los efectos beneficiosos para la salud de los granos enteros y sus posibles compuestos eficaces como la fibra y otros nutrientes. El objetivo último es explorar los efectos metabólicos de estos componentes”.</p><p style="text-align: justify;">Incluso cuando se tuvieron en cuenta factores como el estado de salud, la actividad física y el grado de obesidad de los participantes, el porcentaje de riesgo de muerte prematura se reducía de forma similar, encontraron los científicos de Harvard.</p><p style="text-align: justify;">Los investigadores analizaron los resultados del Estudio de Dieta y Salud NIH-AARP, que analizó los hábitos de consumo durante 14 años de 566 mil 339 personas con una edad de 50 años en adelante, procedentes de diversos estados norteamericanos.</p><p style="text-align: justify;">Se trata de un estudio observacional, en el que los participantes recibieron un cuestionario para recabar información sobre su salud y su dieta –basada en la frecuencia de la ingesta de varios tipos de alimentos, incluyendo el tamaño de las porciones–. Fueron excluidos aquellos que padecían patologías previas.</p><p style="text-align: justify;">Al desglosar los resultados por tipo de patología, los datos revelan que el consumo elevado de cereales integrales se asocia con un 11 % y un 48 % de menor riesgo de muerte por enfermedades respiratorias y diabetes, respectivamente. Además, la mortalidad relacionada con la ingesta de fibras disminuye un 15 % y 34 % el riesgo de cáncer y diabetes, respectivamente.</p><p style="text-align: justify;">Para los autores, al tratarse de un estudio observacional no es posible confirmar que los granos enteros y las fibras por sí solas provoquen esta reducción del riesgo.</p><p style="text-align: justify;">“La fibra de cereales, presente en los granos completos, puede tener efectos beneficiosos para la salud gracias a sus propiedades antiinflamatorias, entre otras. Sin embargo, se necesitará más investigación para confirmar si este hecho es el causante de la buena salud de los sujetos analizados”, concluyen.</p><p style="text-align: justify;"><a title="el-consumo-de-cereales-se-asocia-con-una-reduccion-del-17-del-riesgo-de-muerte-prematura/" href="http://noticiasdelaciencia.com/not/13308/el-consumo-de-cereales-se-asocia-con-una-reduccion-del-17-del-riesgo-de-muerte-prematura/" target="_blank"><strong>abril 12 / 02015 (SINC)</strong></a></p>
2015-04-14T09:07:56-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/766
Cáncer: Descubren un mecanismo de comunicación física entre células que promueve la metástasis
2015-04-14T09:05:07-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Investigadores del Instituto de Bioingeniería de Cataluña (Ibec) realizaron un estudio que ha permitido descubrir un mecanismo de comunicación celular basado en leyes físicas que promueve la metástasis en cáncer.</p><p style="text-align: justify;">El estudio ha sido desarrollado por un equipo dirigido por el investigador principal Xavier Trepat; Josep Samitier, director del Ibec y Enric Banda director del Área de Ciencia y Medio Ambiente de la Obra Social La Caixa.</p><p style="text-align: justify;">Los resultados de la investigación han sido publicados en <a title="Nature Cell Biology (2015); doi:10.1038/ncb3135" href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/2015/04/13/descubren-un-mecanismo-de-comunicacion-fisica-entre-celulas-que-promueve-la-metastasis/10.1038/ncb3135" target="_blank"><em>Nature Cell Biology</em></a></p><p style="text-align: justify;">Este descubrimiento ha sido posible gracias a la combinación de nanotecnología, matemática y biología molecular, y supone una “revolución”, ya que, por primera vez, se aplica la física a la comprensión de la metástasis.</p><p style="text-align: justify;">Concretamente, a la identificación de dos moléculas -’E-cadherina’ y ‘P-cadherina’- presentes en el cáncer de mama más agresivo, y que contribuyen a la diseminación de las células cancerosas.</p><p style="text-align: justify;">“Estas moléculas actúan como sensores y les dan a las células la capacidad de controlar la velocidad y la distancia de su movimiento”, elemento clave para la metástasis, explica Trepat, que ha subrayado la importancia de empezar a investigar el cáncer mediante teorías físicas.</p><p style="text-align: justify;">Pérdida de comunicación</p><p style="text-align: justify;">El crecimiento y expansión de los tumores se debe a una pérdida de comunicación entre las células, algo que tradicionalmente se había atribuido a aspectos puramente bioquímicos: “Este estudio pone en cuestión esta visión tradicional y parte de la idea de que la comunicación física entre las células es tan importante como la química”.</p><p style="text-align: justify;">Los investigadores han utilizado células epiteliales de mama para el estudio, aunque Trepat anticipa que, “probablemente, la mayoría de los cánceres epiteliales siguen el mismo funcionamiento”, por lo que ha animado a seguir investigando en este sentido.</p><p style="text-align: justify;">Por de pronto, Trepat ha empezado a buscar dianas terapéuticas para las dos moléculas descubiertas junto con el Center Research UK, de Londres, con el que están investigando en ratones lo que ocurre al inhibirlas.</p><p style="text-align: justify;">Según añade este experto, el descubrimiento “podría tener muchas aplicaciones en el alzhéimer y muchas enfermedades inflamatorias crónicas”, ya que en estos procesos la física tiene la misma importancia que la química.</p><p style="text-align: justify;">Patente de nanotecnología</p><p style="text-align: justify;">Para poder llevar a cabo este hallazgo, el Ibec ha patentado una tecnología para medir las fuerzas de las células, lo que ha permitido descubrir que una célula ejerce una fuerza de un nanonewton, una unidad 100 mil veces más pequeña que el peso de un mosquito.</p><p style="text-align: justify;">Además, el Ibec ha contado con el apoyo de la Universidad Rovira i Virgili (URV) y la Universidad Politécnica de Cataluña (UPC), que han desarrollado nuevas estrategias experimentales para poder aplicar las leyes físicas al funcionamiento celular.</p><a title="descubren-un-mecanismo-comunicacion-fisica-24032" href="http://www.jano.es/noticia-descubren-un-mecanismo-comunicacion-fisica-24032" target="_blank"><strong>abril 12/ 2015 (JANO)</strong></a>
2015-04-14T09:05:07-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/765
Nutrición: Hallan beneficios en la leche contra obesidad
2015-04-09T08:54:30-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un grupo de investigadores de la Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) y del Instituto Politécnico de Nutrición (IPN) realizan estudios para desarrollar alimentos funcionales a partir de la leche de vacas, cabras y ovejas de pastoreo que ayuden a combatir la obesidad.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Desde hace años, los especialistas trabajaron en el desarrollo de un mecanismo para mejorar la fermentación microbiana en el rumen, órgano más importante en la digestión de los rumiantes de vacas de pastoreo, lo que concluyó que su leche tiene ácidos grasos esenciales para la salud.</p><p style="text-align: justify;">Entre estos se encuentra los omega 3, ausentes y presentes en cantidades mínimas en el producto lácteo de vacas de establos, que es la de mayor consumo, de acuerdo con la investigación.</p><p style="text-align: justify;">También conocidos como ácidos grasos alfa linolénicos, éstos junto con los omega 6 son sustancias que el cuerpo humano no puede sintetizar, por lo que debe obtenerlas a través de alimentos como el pescado.</p><p style="text-align: justify;">Esos ácidos grasos son benéficos para el sistema cardiovascular porque tienen acciones antiinflamatorias y anticoagulantes, disminuye el colesterol, triglicéridos y la presión sanguínea, entre otros, lo que contribuiría a combatir el sobrepeso y la obesidad.</p><p style="text-align: justify;">En una primera etapa de la investigación, realizada en colaboración con especialistas italianos, se obtuvo que la saturación de los ácidos grasos en el rumen la efectúan las bacterias celulolíticas.</p><p style="text-align: justify;">“Decidimos añadir bacterias lácticas, con lo que se formaron probióticos, aditivos alimentarios benéficos que favorecieron el crecimiento de esos microorganismos”, indicó Miguel Ángel Galina, de la Facultar de Estudios Superiores Cuautitlán, México.</p><p style="text-align: justify;">Mediante el uso de cromatografía de gases, los universitarios observaron que la leche de animales alimentados de esa forma tiene mayor producción de omega 3 que la de aquellos en estado de estabulación.</p><p style="text-align: justify;">En el primer caso, el producto lácteo contenía 60 % de ese ácido esencial, mientras que en encierro fue de 35 % ; en tanto que en productos comerciales fue de 35 % y en animales en pastoreo sin probiótico, de 60 %.</p><p style="text-align: justify;">Los investigadores de la Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) buscan incrementar la cantidad de ácidos grasos omega 3 y puedan ser proporcionados a los humanos en forma de leche y sus derivados.</p><p style="text-align: justify;">“Ya se implantó en la sociedad el conocimiento de los alimentos orgánicos, ahora es necesario hacer lo mismo con los productos funcionales”, apuntó el universitario.</p><p style="text-align: justify;">Y es que de acuerdo con la última Encuesta Nacional de Salud y Nutrición, el 70 % de las mujeres y 68 % de los hombres en México tienen obesidad o sobrepeso.</p><p style="text-align: justify;">Es decir, apuntó Galina Hidalgo, siete de cada 10 mexicanos se ubican en esos rangos, lo que podría provocar enfermedades como cáncer, hipertensión o diabetes.</p><p style="text-align: justify;">Dijo que gran parte del problema de la obesidad está vinculado a los alimentos que las personas consumen, por lo que alertó que si no se hace algo para 2040 no habrá suficiente capacidad hospitalaria para atender a la población afectada.</p><p style="text-align: justify;"><strong>abril 6 / 2015 (Notimex).- Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 “Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-04-09T08:54:30-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/764
Factores de riesgo: Actividad vigorosa podría ayudar a prevenir muerte prematura
2015-04-09T08:52:34-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Incluso un poco de actividad vigorosa, la que nos hace respirar más de prisa y sudar, podría ayudarnos a reducir el riesgo de un a muerte prematura, se indicó en un gran estudio australiano de adultos de edad mediana o mayores.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Los resultados, publicados en la revista<a title="Jama Medicina Interna" href="http://jama.jamanetwork.com/journal.aspx" target="_blank"><em> JAMA de Medicina Interna</em></a>, se basan en 204 mil 542 personas a las que se dio seguimiento durante más de seis años. Durante el periodo de estudio se registraron más de 7 mil 400 fallecimientos.</p><p style="text-align: justify;">En comparación con quienes informaron sobre cero actividad física, quienes informaron sobre hasta 149 minutos de actividad física por semana tuvieron una reducción de 34 % en el riesgo de muerte. Y el riesgo se redujo en 47 % para quienes informaron sobre 299 minutos de actividad física a la semana y 54 % para quienes informaron sobre 300 minutos o más de actividad física a la semana.</p><p style="text-align: justify;">Y más importante aún, el riesgo de muerte para quienes incluyeron algún tipo de actividad vigorosa como trotar, hacer ejercicio aeróbico o practicar tenis competitivo fue entre nueve y 13 % menor, en comparación con quienes realizaron únicamente actividades moderadas como natación ligera, tenis social o labores domésticas.</p><p style="text-align: justify;">“Los beneficios de la actividad vigorosa se aplican a hombres y mujeres de todas las edades y son independientes de la cantidad total de tiempo dedicado a estar activo”, dijo el principal autor, Klaus Gebel, del Centro para la Prevención de Enfermedades Crónicas de la Universidad James Cook.</p><p style="text-align: justify;">“Los resultados indican que sea usted obeso o no, tenga usted alguna enfermedad cardiaca o diabetes o no, si logra realizar alguna actividad vigorosa esto podría ofrecerle beneficios significativos en relación con la longevidad”.</p><p style="text-align: justify;">Otro de los autores, Ding Ding de la Facultad de Salud Pública de la Universidad de Sydney, dijo que los resultados indican que se deben alentar más las actividades vigorosas en las pautas de salud clínica y pública.</p><p style="text-align: justify;">La recomendación actual de la Organización Mundial de la Salud y las autoridades de salud de países como Estados Unidos, Reino Unido y Australia es que los adultos acumulen al menos 150 minutos de actividad moderada o 75 minutos de actividad vigorosa a la semana.</p><p style="text-align: justify;">Los investigadores advirtieron que las personas de más edad o quienes padecen alguna enfermedad deben hablar con su médico antes de iniciar un ejercicio vigoroso.</p><p style="text-align: justify;"><strong>abril 6 / 2015 (Xinhua) — Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 “Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-04-09T08:52:34-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/763
Nutrición: Aconsejan a mamás explicar contenido de alimentos nutritivos a niños
2015-04-09T08:50:17-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">La mejor herramienta para evitar que niños rechacen los alimentos nutritivos es que las mamás expliquen al menor los beneficios de comerlos, pues esto les ayudará a tener confianza en consumirlos, aconsejó una nutrióloga.</p><p style="text-align: justify;">La especialista en dietética del Sistema de Salud de Mayo Clinic, Anne Harguth, pidió a las mamás entender que los alimentos nuevos llevan tiempo para que los niños los coman, por lo que aunque exista el rechazo se debe seguir ofreciendo hasta que el menor acceda.</p><p style="text-align: justify;">Además la especialista de Mayo Clinic, una de las instituciones médicas con más reconocimiento en Estados Unidos, recomendó ofrecer una cantidad pequeña de los alimentos considerados sanos que le gustan al menor.</p><p style="text-align: justify;">“A medida que más diversa se torne su alimentación, más fácil será planificar las comidas”, dijo.</p><p style="text-align: justify;">Añadió que las mamás deben predicar con el ejemplo, por lo que a un niño “quisquilloso” frente a la comida hay que presentarle a menudo alimentos nuevos y describirle el sabor y la textura.</p><p style="text-align: justify;">“Si el niño ve que disfrutas del nuevo tipo de comida, quizás decida que es seguro y delicioso probarlo. Los niños agradecen cuando les das información nueva sobre su alimentación”, indicó.</p><p style="text-align: justify;">También aconsejó intentar un solo alimento a la vez. “Servir nuevos alimentos con la comida que a todos les gusta en casa puede ayudar, porque ofrecer muchos alimentos nuevos a la vez puede resultar atemorizante y desagradable, dijo de acuerdo a un comunicado.</p><p style="text-align: justify;">En cuanto al momento oportuno, la nutrióloga mencionó que es mejor ofrecer un nuevo alimento al comienzo de la comida, en particular cuando todos están con hambre.</p><p style="text-align: justify;">Pidió combinar alimentos en caso de ser necesario, pues algunos niños pueden gustar de los nuevos cuando se los mezcla con otros, por ejemplo, una ensalada o pasta.</p><p style="text-align: justify;">“Lidiar con niños quisquillosos para comer puede parecer una batalla difícil y sin final, pero se vuelve más fácil con el tiempo. La clave está en no darse por vencido y continuar ofreciéndole nuevos alimentos”, finalizó.</p><p style="text-align: justify;"><strong>abil 6/ 2015 (Notimex).- Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2015 “Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2015-04-09T08:50:17-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/762
Nutrición: La lactancia materna prolongada tiene gran impacto en el desarrollo cognitivo
2015-04-09T08:46:43-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">La lactancia materna prolongada mejora el rendimiento escolar, aumenta el cociente intelectual en el adulto y se relaciona con unos ingresos altos en el futuro.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Son los resultados de un estudio de una extensa muestra de miles de bebés brasileños publicado en <a title="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25794674" href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25794674" target="_blank"><em>Lancet Glob Health</em></a></p><p style="text-align: justify;">El equipo de investigadores analizó los datos de cerca de 6 mil bebés que nacieron en el año 1982 en el municipio brasileño de Pelotas. De ellos, 3 mil 493 realizaron pruebas para medir inteligencia intelectual a los 30 años (Wechsler Adult Intelligence Scale, 3rd version).</p><p style="text-align: justify;">Los expertos dividieron a los participantes en cinco grupos, basándose en el tiempo en el que habían recibido la lactancia materna y controlaron diez variables sociales y biológicas que pueden contribuir al incremento del cociente intelectual, como ingresos familiares, nivel de escolarización de los padres, genética, edad de la madre y hábito tabáquico durante el embarazo, el peso del bebé y el tipo de parto.</p><p style="text-align: justify;">El estudio muestra la primera evidencia de que la lactancia materna durante más de doce meses tiene un gran impacto en el desarrollo cognitivo, efectos que persisten también en la edad adulta.</p><p style="text-align: justify;">Un niño que reciba lactancia materna un mínimo de un año conseguirá a los 30 años un cociente intelectual mejor (diferencia de 3,76 puntos; IC 95% = 2,20-5,33) y tendrá más años de escolaridad (0,91 años más; IC 95% = 0,42-1,40) y un mejor salario en comparación con los que sólo reciban lactancia materna durante menos de un mes.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=5078" href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=5078" target="_blank"><strong>abril 6/ 2015 (Diario Médico)</strong></a></p>
2015-04-09T08:46:43-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/761
Anuncio: Una vacuna usa por primera vez el virus completo y desactivado del ébola
2015-04-01T11:15:46-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Cuando se cumple el primer aniversario de la declaración de epidemia del brote de ébola en África occidental por la Organización Mundial de la Salud (OMS), un equipo de investigadores de la Universidad de Wisconsin-Madison, los Institutos Nacionales de Salud (NIH) de Estados Unidos y la Universidad de Tokio han desarrollado una nueva vacuna contra el ébola que ha demostrado su eficacia en monos macacos.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">La principal novedad reside en que está basada en el virus completo de esta enfermedad y no en diversos trozos como las vacunas diseñadas hasta ahora por otros equipos científicos. Los resultados del trabajo se publican en el último número de la <a title="http://news.sciencemag.org/" href="http://news.sciencemag.org/" target="_blank"><em>revista Science</em></a>.</p><p style="text-align: justify;">El equipo, dirigido por Yoshihiro Kawaoka, profesor de patobiología de la Universidad de Wisconsin-Madison, Estados Unidos y experto en gripe aviar, ébola y otros virus peligrosos, intenta diseñar una vacuna más segura que las que están siendo sometidas a ensayos clínicos en la actualidad.</p><p style="text-align: justify;">Varias vacunas experimentales, incluida una basada en el virus vivo, se están probando ahora en humanos, pero existe una gran preocupación respecto a los requerimientos de dosis altas y de seguridad.</p><p style="text-align: justify;">De hecho, “los ensayos clínicos de la vacuna basada en el virus vivo han tenido que interrumpirse debido a efectos secundarios en algunos pacientes”, explica Kawaoka.</p><p style="text-align: justify;">Según el científico, la nueva vacuna “se diferencia de las que se están probando porque utiliza el virus completo del ébola desactivado, lo que hace que el sistema inmune mejore con el aporte completo de las proteínas y los genes virales del ébola”. Todo ello se traduce en una mayor protección. Además –añade– “es una vacuna muy segura”.</p><p style="text-align: justify;">Su desarrollo ha sido llevado a cabo en una plataforma experimental creada por Peter Halfmann, un investigador del laboratorio de Kawaoka en 2008. El sistema permite a los científicos trabajar de forma segura gracias a la supresión de un gen clave, conocido como VP30, que el virus del ébola utiliza para producir una proteína necesaria para reproducirse en las células huésped.</p><p style="text-align: justify;">Pese a ser tan letal, el virus del ébola tiene solo ocho genes y, como la mayoría de los virus, depende de la maquinaria molecular de la célula huésped para crecer y convertirse en contagioso.</p><p style="text-align: justify;">Utilizando herramientas de ingeniería genética, los investigadores han modificado las células de riñón de los monos para que expresaran la proteína VP30. De esta forma, el virus pudo ser estudiado de forma segura en el laboratorio y se utilizó como base para la elaboración de la nueva vacuna.</p><p style="text-align: justify;">Para añadir mayor seguridad, los científicos han realizado también una desactivación química usando peróxido de hidrógeno, tal y como detalla el estudio.</p><p style="text-align: justify;">El ébola surgió por primera vez en 1976 en Sudán y Zaire. El brote actual en el África occidental se ha cobrado hasta el momento más de 10 mil vidas.</p><p style="text-align: justify;">No hay tratamientos probados, aunque en los últimos años se han diseñado varios tipos de vacunas, cuatro de los cuales han pasado recientemente a la fase de ensayo clínico.</p><p style="text-align: justify;"> Todas ellas, según el científico japonés, “tienen inconvenientes en lo que se refiere a la seguridad y la administración”.</p><p style="text-align: justify;">La vacuna que ahora presenta Kawaoka aún no ha sido ensayada en humanos. Sin embargo, las pruebas llevadas a cabo con éxito con macacos cynomolgus (cangrejeros), muy susceptibles al virus del ébola, podrían conducir a más pruebas y ensayos clínicos de la nueva vacuna, apuntan los autores.</p><p style="text-align: justify;">Las vacunas de virus completo se han utilizado con éxito para prevenir enfermedades como la polio, la gripe, la hepatitis y el cáncer de cuello uterino, agregan.</p><p style="text-align: justify;">Los ensayos de la nueva vacuna se han realizado en los laboratorios de NIH en las Montañas Rocosas, en Hamilton , Montana, Estados Unidos que cuentan con un nivel de bioseguridad 4. Para Kawaoka, se trata del mejor modelo animal para el estudio del ébola. “Si se consigue una buena protección con este modelo, es que la vacuna funciona”, destaca.</p><p style="text-align: justify;">Otro estudio publicado también en <a title="http://news.sciencemag.org/" href="http://news.sciencemag.org/" target="_blank"><em>Science</em></a>, señala que el virus responsable del brote de ébola no está mutando a una velocidad tan alta como la que indicaban las primeras investigaciones. Esto disipa los temores de que una mutación rápida permitiera al virus resistir a las terapias actuales y expandirse más rápidamente.</p><p style="text-align: justify;">Aunque la actual epidemia de ébola es la más larga que se haya registrado, las secuencias del virus habían sido analizadas pocas veces y se pensaba que mutaba el doble de rápido que en otras epidemias de la misma enfermedad.</p><p style="text-align: justify;">Para precisar esta velocidad, un equipo, liderado por Thomas Hoenen, biólogo de los Institutos Nacionales de Salud, ha obtenido la secuencia de dos cepas de ébola en Mali.</p><p style="text-align: justify;">Comparando estas secuencias con las analizadas previamente, los científicos han comprobado que su tasa de mutación es más cercana a la observada en otras epidemias anteriores. También han encontrado contradicciones en los análisis de secuencias que se efectuaron al principio de la epidemia actual.</p><p style="text-align: justify;"><a title="http://noticiasdelaciencia.com/not/13375/una-vacuna-usa-por-primera-vez-el-virus-completo-y-desactivado-del-ebola/" href="http://noticiasdelaciencia.com/not/13375/una-vacuna-usa-por-primera-vez-el-virus-completo-y-desactivado-del-ebola/" target="_blank"><strong>Marzo 28/2015( SINC)</strong></a></p>
2015-04-01T11:15:46-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/760
Cáncer: Beneficios de aspirina en cáncer de colon son contraproducentes para algunos ADN
2015-04-01T11:13:10-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Aunque varios estudios han mostrado que el uso regular de aspirina o medicamentos relacionados puede reducir el riesgo a sufrir cáncer colorrectal en cerca de un 30 %, los científicos encontraron una importante excepción: más bien pueden aumentar el riesgo en personas con ciertas variantes genéticas.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">El estudio, publicado recientemente, es otro paso hacia la “medicina de precisión”, que apunta a aplicar tratamientos de acuerdo a la composición genética de los pacientes.</p><p style="text-align: justify;">De ser confirmado, el hallazgo podría alterar las recomendaciones para prevenir el cáncer colorrectal, que, según proyecciones, provocará la muerte de 49 mil 700 personas en Estados Unidos este año.</p><p style="text-align: justify;">En un editorial que acompaña a un artículo en el <a title="Journal of the American Medical Association" href="http://journaoftheamericanmedicalassociation" target="_blank"><em>Journal of the American Medical Association</em></a>, el doctor Richard Wender, de la Sociedad Estadounidense del Cáncer y de la Universidad Thomas Jefferson, calificó el hallazgo como “notable desde el punto de vista científico”.</p><p style="text-align: justify;">“Vislumbro el momento en que la secuenciación del genoma para determinar una estrategia de por vida para la prevención y monitorización (del cáncer colorrectal) sea una realidad, aunque falta un poco”, comentó.</p><p style="text-align: justify;">Los médicos algunas veces recetan aspirina y otros medicamentos antiinflamatorios no esteroideos para pacientes con un historial de pólipos en el colon.</p><p style="text-align: justify;">Sin embargo, para la mayoría de la gente eso no es recomendado porque el uso rutinario de ese tipo de medicamentos puede provocar sangramiento gastrointestinal.</p><p style="text-align: justify;">La nueva investigación, financiada en su mayor parte por los Institutos Nacionales de Salud de Estados Unidos, sumó los resultados de 10 estudios observacionales que involucraron a 17 mil 187 personas en Estados Unidos, Canadá, Australia y Alemania.</p><p style="text-align: justify;">El uso regular de aspirina o medicamentos antiinflamatorios no esteroideos fue asociado con 17 casos menos de cáncer colorrectal por cada 100 mil habitantes.</p><p style="text-align: justify;">Sin embargo, las consecuencias fueron muy diferentes para personas con algunas variantes de ADN. Hubo 34,7 casos de cáncer colorrectal adicionales por cada 100 mil personas entre aquellos con variantes de un gen, y 21,1 casos adicionales por 100 mil en personas con variantes de otro.</p><p style="text-align: justify;">Las variantes están en entre un 4 y un 9 % de las personas con ascendencia europea.</p><p style="text-align: justify;">Como los medicamentos antiinflamatorios no esteroidales pueden tener graves efectos secundarios -el sangramiento gastrointestinal puede ser fatal-, “es una alta prioridad ver si podemos usar la información genética para buscar intervenciones preventivas para pacientes individuales”, comentó el doctor Andrew Chan.</p><p style="text-align: justify;">También es demasiado pronto para recomendar monitorización genética para guiar las decisiones sobre medicamentos antiinflamatorios no esteroideos para la prevención de cáncer, al menos hasta que los resultados sean confirmados, afirmó Chan, del Hospital General de Massachusetts e investigador principal del artículo de 53 coautores.</p><p style="text-align: justify;">“Pero este es un primer paso en esa dirección y hacia la medicina de precisión”, explicó.</p><p style="text-align: justify;"><strong>Marzo 19/ 2015. (PL)</strong></p><p style="text-align: justify;"><strong>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2015. Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A</strong></p>
2015-04-01T11:13:10-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/759
Asma Bronquial: Las exacerbaciones, clave en el manejo del paciente pediátrico con asma alérgica grave
2015-04-01T11:09:45-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un buen control del asma grave y la prevención de las exacerbaciones “son los principales desafíos en el manejo del paciente pediátrico con asma alérgica grave”, ha señalado la doctora Ana María Plaza, jefe de sección de Inmunoalergia del Hospital Sant Joan de Déu.</p><p style="text-align: justify;">Esta enfermedad en España afecta a cerca del 11% de la población entre 6 y 7 años, a un 9 % de los adolescentes entre 13 y 14 años y a alrededor de un 5 % de la población adulta.</p><p style="text-align: justify;">En lo que a asma grave se refiere, “en nuestro país se considera que un 10 % de los niños con asma padecen asma grave”, ha precisado la Dra. Plaza, quien ha añadido que “la mayoría de estos niños no están identificados ni controlados correctamente”.</p><p style="text-align: justify;">Según la Dra. Plaza, “durante las sesiones, dirigidas a especialistas en pediatría, alergología y diplomados de enfermería pediátrica, se han tratado temas como el abordaje del niño con asma grave, así como las nuevas terapias inmunomoduladoras para el asma infantil y los nuevos fármacos que modulan la posible progresión de la enfermedad asmática”.</p><p style="text-align: justify;">Por otro lado, la doctora Marta Lleonart, responsable médico del Área de Respiratorio de Novartis, ha señalado que la formación de los profesionales sanitarios en el ámbito de las patologías respiratorias es una prioridad para la compañía. “La actualización de los conocimientos de los especialistas contribuye, sin duda, a mejorar el abordaje y la calidad asistencial de los pacientes con enfermedades respiratorias, con un resultado positivo en su calidad de vida•, ha indicado.</p><p style="text-align: justify;">El control del asma grave supone un reto para los especialistas en Alergología y Neumología por el alto impacto de esta enfermedad en la calidad de vida de los pacientes. “</p><p style="text-align: justify;">Los principales desafíos en el manejo del paciente pediátrico con asma alérgica grave es el buen control de la patología y la prevención de futuros riesgos como las exacerbaciones”, ha explicado la doctora Plaza.</p><p style="text-align: justify;">Las enfermedades alérgicas infantiles son patologías heterogéneas en las que intervienen numerosos factores que actúan de forma diferente en cada paciente y en algunos casos, incluso en el mismo enfermo. En este sentido, esta especialista ha hecho hincapié en la importancia de la inmunoglobulina E (IgE), un anticuerpo que está implicado en las alergias y en la respuesta inmune contra posibles agentes patógenos.</p><p style="text-align: justify;">“La IgE tiene un papel fundamental en el desarrollo del asma alérgica, y su modulación nos permitirá cambiar la progresión natural de las enfermedades alérgicas”, ha concluido.</p><p style="text-align: justify;">Marzo 31 / 2015 (JANO)</p><p style="text-align: justify;"> </p>
2015-04-01T11:09:45-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/758
Ciencia y Tecnología: La Organización de Naciones Unidas impulsa proyecto para llevar agua potable a niños
2015-04-01T11:06:55-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">El Fondo de Naciones Unidas para la Infancia (Unicef) impulsa çuna campaña encaminada a buscar fondos para proveer de agua potable a un grupo de escuelas del departamento colombiano de La Guajira, castigado por una severa sequía.</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Un deseo que ayuda, es el nombre de la iniciativa promovida por ese organismo internacional, la cual persigue beneficiar a más de mil niños y adolescentes, quienes estudian en colegios del municipio Manaure.</p><p style="text-align: justify;">La ausencia de sistemas de acueducto, incide allí en la crisis de seguridad alimentaria, asociada a flagelos como la desnutrición.</p><p style="text-align: justify;">Ya que el agua no llega a nivel domiciliario los niños y las mujeres, principalmente, deben desplazarse hasta depósitos ubicados en unas 500 rancherías, para lo cual caminan en algunos casos hasta cuatro y cinco horas, comentó Diego López, funcionario de Unicef</p><p style="text-align: justify;">La otra variante es el empleo del agua de lluvia o del río para beber, cocinar, lavar la ropa, bañarse y alimentar a los animales, pero la sequía los priva de ambas alternativas.</p><p style="text-align: justify;">Recordó que en el 2014 muchas personas se movilizaron para tratar de llevarles el líquido en bolsas o botellas durante la época de seca, pero pensamos que resultará mejor desarrollar un sistema que garantice ese suministro permanente al menos a las escuelas, dijo.</p><p style="text-align: justify;">Desde el comienzo de la campaña en noviembre 2014, se han recolectado 250 millones de pesos, unos 100 mil dólares, la meta es superar los mil 300 millones (500 mil dólares), precisó el representante de Unicef, cuya labor está enfocada en la defensa de los derechos de la niñez.</p><p style="text-align: justify;"> La idea es llevar el agua y a la vez fomentar una labor educativa en torno al manejo adecuado de la misma, con la higiene indispensable, añadió.</p><p style="text-align: justify;">En el municipio de Manuare hay 98 mil habitantes, según el censo de 2005, de los cuales el 65 % está disperso en la zona rural, donde prácticamente no existen fuentes hídricas.</p><p style="text-align: justify;">Más de 37 mil niños indígenas sufren de desnutrición en el departamento desértico de La Guajira y unos cinco mil han fallecido de inanición, aunque autoridades Wayú sostienen que el número de pequeños muertos de hambre se acerca, en realidad, a la cifra de 14 mil.</p><p style="text-align: justify;">El pueblo aborigen más grande de Colombia (Wayú), establecido en el extremo norte de la nación, muere por falta de alimentos y sed porque el río madre de la región fue represado y su agua privatizada para el servicio de la industria agrícola y la explotación de la mina de carbón a cielo abierto más grande del mundo, denunció la publicación.</p><p style="text-align: justify;"><strong>Marzo 30 / 2015 (PL)</strong></p><p style="text-align: justify;"><strong>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2015. Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A</strong></p>
2015-04-01T11:06:55-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/757
Ciencia y Tecnología: Ahora es cuando más necesitamos de la ciencia
2015-03-20T11:00:21-04:00
Revista Finlay
<p><span style="line-height: 1.5;">El debate sobre la ciencia en Cuba está ganando en intensidad. Y no es sobre algún resultado científico obtenido por una u otra institución, que siempre ha existido. Ahora es el debate sobre la ciencia misma, cuáles son sus espacios, cómo la hacemos crecer y hasta dónde, cómo la conectamos con otras esferas de la vida cubana, cómo la evaluamos y potenciamos su función social.</span></p><div><p>Mucha gente asocia la ciencia con laboratorios, batas blancas y equipos complicados. Esa es una imagen equivocada, o al menos incompleta: la ciencia es esencialmente una manera de pensar. Es una práctica humana encaminada de manera intencional a producir conocimiento nuevo. No es usar inteligentemente el conocimiento acumulado (lo que también necesitamos) sino crear el que no existe.</p><p>Ante un problema concreto que nos desafía, un enfoque no-científico hace que reaccionemos con “la experiencia”, el arsenal de conceptos y actitudes que poseemos, y eso muchas veces funciona bien. Pero el enfoque científico va más allá: se parte del problema, se descompone en sus partes, se construyen hipótesis sobre las posibles explicaciones, se buscan los datos directamente o a través de instrumentos, se analizan y se llega a conclusiones.</p><p>Tal descripción contiene la idea de que las conclusiones científicas deben producir predicciones comprobables, que guíen futuras acciones, y el concepto de que ellas puedan ser verificadas independientemente por personas diferentes. Ese es el método científico, del que pueden y deben apropiarse todos los cubanos para usarlo en su función social cualquiera que esta sea, de la misma manera en que nos apropiamos (y convertimos en derecho de todos) de la capacidad de leer y escribir en 1961.</p><h3><strong>La Ciencia en Cuba</strong></h3><p>La cultura cubana tiene en su haber una comprensión temprana de la importancia del método científico y de la institucionalidad científica, sembrada aun desde la época colonial por personalidades de la estatura intelectual y moral de Félix Varela, José Martí y Carlos J. Finlay. La Real Academia de Ciencias Médicas, Físicas y Naturales de La Habana se fundó en 1861 y fue la primera de ese tipo (científica, electiva, basada en méritos) creada fuera de Europa.</p><p>La Revolución de 1959 multiplicó el potencial científico del país en un esfuerzo enorme de inversión y formación de capital humano, guiado por la visión y la ejecutoria de Fidel quien en 1960 (fecha anterior a la Campaña de Alfabetización) dijo que “el futuro de nuestra Patria tiene que ser necesariamente un futuro de hombres de ciencia”, y luego en 1993 (el año más complejo del periodo especial) precisó que “la ciencia y las producciones de la ciencia deberán ocupar algún día el primer lugar de la economía nacional”.</p><p>Varias décadas de colaboración con la Unión Soviética y los países socialistas de Europa potenciaron nuestro desarrollo científico. Miles de científicos y técnicos cubanos se formaron allí, y también en muchas otras naciones, socialistas o no.</p><p>Así llegó Cuba a los finales de los años 80, ubicada entre los países de Alto Desarrollo Humano, con indicadores sociales envidiables incluso para países que tienen muchos más recursos económicos. En ese contexto y a partir del conocimiento acumulado nació la industria biotecnológica nacional. Poco después cayó el muro de Berlín, y seguidamente desapareció la URSS.</p><h3><strong>Las heridas del Periodo Especial</strong></h3><p>La gente suele vincular el periodo especial a ese último hecho, que tuvo ciertamente un enorme impacto; pero no se puede olvidar que en 1992 fue firmada la Ley Torricelli, en 1996 la Ley Helms-Burton, y en el 2004 el llamado “Plan Bush” contra Cuba. La persecución organizada a nuestras transacciones financieras se multiplicó, el comercio exterior cayó en más de un 80 %, el Producto Interno Bruto (PIB), descendió un 35 %, disminuyeron los ingresos reales de los trabajadores y también la disponibilidad de alimentos y medicamentos, entre otras afectaciones severas.</p><p>Sorprendentemente para muchos en el mundo (no para nosotros) Cuba salió victoriosa de la prueba. La cohesión social no fue quebrada, la soberanía nacional se defendió con éxito, y mantuvimos los indicadores de salud y educación. Asimismo, la industria biotecnológica multiplicó sus exportaciones, y se reinició el crecimiento del PIB.</p><p>Pero aun de las batallas victoriosas, se sale con heridas. También las hay en el campo de la ciencia y sería absurdo intentar no verlas. Los indicadores de volumen y productividad de la actividad científica fueron erosionados durante el periodo especial, incluido el capital humano. Varios de estos importantes indicadores, que una vez estuvieron por encima de la media latinoamericana, hoy están por debajo. Es de esperar que, luego de etapas de grandes dificultades económicas, la ciencia, por su propia orientación al largo plazo, tienda a recuperarse más lentamente que otras esferas de la sociedad, pero hay una línea invisible después de la cual las dificultades transitorias se hacen permanentes, y a ese punto no podemos llegar.</p><p>Ahora, y en el marco de la implementación de la Política Económica y Social aprobada por el Sexto Congreso del Partido, la tarea es identificar y hacer cicatrizar cada una de las heridas y secuelas.</p><p>De poco valdría la heroica resistencia del pueblo cubano en las últimas dos décadas si de ella no hiciéramos surgir la sociedad socialista, próspera y sostenible que anhelamos y necesitamos. Para ello necesitamos la ciencia, mucha ciencia y en muchos espacios de nuestra sociedad.</p><h3><strong>Desafíos actuales</strong></h3><p>La superación del periodo especial y el emprendimiento de la construcción de un socialismo próspero y sostenible van a ocurrir; pero ello no va a ser un retorno a la década de los 80. Será diferente porque el mundo es distinto y los países pequeños no podemos asentar nuestra soberanía en una autosuficiencia económica imposible, sino en una inserción inteligente en la economía mundial, en sus flujos de bienes, servicios y conocimientos.</p><p>Ese es el desafío económico. Por el tamaño de su población Cuba no tiene, como China, una enorme demanda interna que atraiga la industrialización. Tampoco posee recursos minerales y energéticos en qué basar sus exportaciones, ni tiene, enormes extensiones de tierra para la agricultura, la ganadería y las agroexportaciones.</p><p>Nuestra palanca de crecimiento económico tendrá que ser los bienes y servicios de alto valor añadido, basados en la ciencia y la técnica. Fidel lo expresó así en 1993: “tenemos que desarrollar las producciones de la inteligencia… y ese es nuestro lugar en el mundo… no habrá otro”. Hacer esto requerirá empresas activas en la ciencia y la tecnología, e instituciones científicas conectadas con las empresas. Tendremos que inventar e implementar el marco jurídico para tales interacciones. Las entidades científicas tendrán que cambiar; las empresas también. También hay que diseñar de qué forma podrían surgir nuevas empresas de alta tecnología, a partir de organizaciones académicas o universitarias con productos y servicios maduros para esa “incubación”.</p><p>Hoy nuestra población no crece, y envejece. Aunque entre las causas de este fenómeno están innegablemente los problemas económicos, el cambio demográfico es producto también del aumento de la esperanza de vida de los cubanos y del nivel educacional de la mujer que hace reducir la natalidad. Es un problema que tiene en su base fenómenos sociales positivos, pero es un problema al fin. Ese es el desafío demográfico. Requerirá una estrategia de salud pública orientada a las enfermedades crónicas relacionadas con el envejecimiento; y una política laboral que permita a los cubanos ser socialmente productivos hasta edades avanzadas. Para ello necesitamos ciencia, y mucha.</p><p>La defensa de nuestra cultura y de nuestros valores debe ocurrir ahora en un mundo globalmente conectado, con rápidos flujos de información e influencia cultural. La pregunta de si la globalización conduce a una empobrecedora uniformidad cultural bajo la hegemonía de los que tienen más recursos para producir información, o si nos abre el camino de una diversidad cultural enriquecedora, no está todavía respondida.</p><p>Ese es el desafío social. Enfrentarlo también requerirá de enfoques científicos, particularmente en las ciencias sociales. Ello incluye construir una teoría y una práctica de lo que debe ser la empresa estatal socialista, sus relaciones internas en la microeconomía y sus conexiones con la macroeconomía.</p><p>Mientras más avancemos hacia la “alta tecnología” en las empresas, mayor será el carácter social de la producción, y más fuerte el socialismo.</p><p>Vamos a necesitar una infraestructura científica grande y eficaz para proporcionar un flujo de conocimientos y tecnologías a la medida de las tareas de la sociedad cubana.</p><p>No se trata de “mantener” las capacidades científicas, sino de hacerlas crecer. Ese es el desafío de la ciencia. La recuperación y el reinicio del crecimiento del potencial científico habrá que medirlos con indicadores objetivos, de los que se rinda cuenta al pueblo. Se requerirá un balance inteligente entre la ciencia necesariamente cortoplacista que se hace en el sector empresarial, y la ciencia con visión a mediano y largo plazos, practicada de manera básica en el sector presupuestado. Institucionalidad para la ciencia y vías de financiamiento deben existir en ambos sectores, el empresarial y el presupuestado, evitando el sesgo hacia uno u otro extremo.</p><p>Sobre estos temas fueron los debates en el pleno de la Academia de Ciencias la semana pasada y en otros espacios y sesiones de trabajo. No tenemos todo el tiempo del mundo para enfrentar con éxito tales retos. Vamos a necesitar una sociedad (no una u otra institución especializada, sino toda una sociedad) capaz de armarse con una cultura científica y utilizarla en las decisiones cotidianas, estudiar al mundo, razonar con datos, diseñar alternativas con hipótesis comprobables, evaluar el impacto de las decisiones, rechazar la improvisación, la decisión caprichosa, la pseudo-ciencia, la imitación sin crítica y la superficialidad.</p><p>Ahora es cuando más necesitamos de la ciencia.</p><p><strong>(Tomado de <a href="http://www.granma.cu/ciencia/2015-03-13/ahora-es-cuando-mas-necesitamos-de-la-ciencia" target="_blank"><em>Granma</em></a>)</strong></p></div>
2015-03-20T11:00:21-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/756
Cáncer: Descubierto el motivo por el que una proteína que previene el cáncer también promueve la metástasis
2015-03-11T09:01:23-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Una investigación demuestra que otra proteína, conocida como 14-3-3 zeta, hace que TGF-beta pase de supresor de tumores en células precancerosas a promotor de metástasis de cáncer de mama a cáncer de huesos.</p><p style="text-align: justify;">Científicos del Centro Oncológico MD Anderson de la Universidad Texas, en Estados Unidos, han hallado una posible respuesta a por qué una proteína, el factor de crecimiento transformador de beta (TGF-beta), suprime la progresión del tumor en las células premalignas pero también lleva a la propagación del cáncer.</p><p style="text-align: justify;">Desde hace mucho tiempo, ha sido un rompecabezas saber cómo y cuándo TGF-beta cambia su función de supresor de tumor a promotor de metástasis.</p><p style="text-align: justify;">El estudio dirigido por Dihua Yu, directora adjunta del Departamento de Oncología Molecular y Celular en el MD Anderson, demuestra que otra proteína, conocida como 14-3-3 zeta, puede cambiar TGF-beta de supresor de tumores en las células precancerosas a promotor de metástasis de las células de cáncer de mama a los huesos cambiando las proteínas socias del TGF-beta, como se detalla en un artículo que se publica en <a title="cancer cell 2015" href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/2015/03/10/descubierto-el-motivo-por-el-que-una-proteina-que-previene-el-cancer-tambien-promueve-la-metastasis/10.1016/j.ccell.2014.11.025" target="_blank"><em>“Cancer Cell”</em></a></p><p style="text-align: justify;">“TGF-beta tiene un doble papel tanto como supresor de tumores en las células normales y premalignas como promotor de la metástasis en el cáncer en etapa tardía”, resume Yu, quien también es presidenta distinguida de Hubert L. & Olive Stringer en Ciencia Básica. “El mecanismo molecular por el que TGF-beta cambia su papel ha sido durante mucho tiempo un misterio sin resolver para los investigadores del cáncer”, añade.</p><p style="text-align: justify;">Yu y su equipo podrían haber proporcionado una clave para resolver el misterio al explicar cómo 14-3-3 zeta desestabiliza una proteína clave, p53, que posteriormente apaga la capacidad de TGF-beta de suprimir tumores. Además, también promueve la propagación del cáncer a los huesos al estabilizar otra proteína, gli2.</p><p style="text-align: justify;">“El conocido papel de TGF-beta en el cáncer ha llevado a numerosos esfuerzos para desarrollar inhibidores de TGF-beta en las terapias contra el cáncer, pero el hecho de que sea tanto un supresor de la progresión del tumor como un trampolín para la metástasis del cáncer ha sido un gran obstáculo en el desarrollo de terapias anti-TGF-beta”, recuerda Yu. “Hemos desarrollado un modelo que propone la complicada naturaleza de TGF-beta que puede regirse por los efectos celulares de proteínas asociadas SMAD”, agrega.</p><p style="text-align: justify;">Las proteínas SMAD ayudan a regular la actividad de genes particulares, así como el crecimiento y la división celular. En esencia, estas proteínas transmiten señales de TGF-beta de fuera de la célula al núcleo, provocando un impacto en cómo la célula produce otras proteínas. SMAD se suma a esta naturaleza de ‘doctor Jekyll y mister Hyde’ de TGF-beta mediante la asociación con la proteína p53 para suprimir tumores en las células pre malignas, mientras que ayuda a la proteína Gli2 para promover la propagación del cáncer a los huesos.</p><p style="text-align: justify;">Definir mejor esta mezcla de proteínas puede conducir a nuevas terapias que se dirijan al papel fundamental de TGF-beta en el cáncer de manera más eficaz. “Debido a que TGF-beta juega un papel importante en diversas funciones fisiológicas, es crucial que nos centremos en cómo desarrollar fármacos más específicos que se dirijan selectivamente a TGF-beta en el cáncer para desactivar su capacidad de causar metástasis, manteniendo su habilidad de supresión tumoral en las células pre cancerosas”, concluye Yu.</p><p style="text-align: justify;"><a title="desvelan-el-motivo-por-el-23722" href="http://www.jano.es/noticia-desvelan-el-motivo-por-el-23722" target="_blank"><strong>Marzo 9 / 2015 (JANO)</strong></a></p>
2015-03-11T09:01:23-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/755
Enfermedades del sistema nervioso: Un estudio canadiense observa mejoría en algunos niños autistas de 6 años
2015-03-11T08:59:39-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un nuevo estudio precisó en un grupo de niños de a los que se le había diagnosticado autismo en edad pre escolar, apreciando que un 10 % mejoró de sus síntomas a la edad de 6 años mientras que en 20 % la mejoría se evidenció en el cumplimiento de sus actividades cotidianas</p><p style="text-align: justify;">La investigación ha sido publicada en “<a title="article.aspx?articleid=2091920" href="http://archpsyc.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=2091920" target="_blank"><em>JAMA Psychiatry</em></a>” , fueron estudiados un grupo de 421 niños pre-escolares, de ellos 355 varones y 66 hembras. A los que se le realizó seguimiento, desde el momento del diagnóstico efectuado entre los 2 y 4 años de edad hasta cumplir los 6 años, evaluando la evolución según los síntomas que presentaban.</p><p style="text-align: justify;">Se encontró entre un 11 y 20 % evolución satisfactoria, destacando una mejoría en los síntomas, esta mejoría no fue relacionada necesariamente con una mejoría en el funcionamiento cotidiano.</p><p style="text-align: justify;">Alrededor del 20 % de los niños autistas mejoraron en el funcionamiento adaptativo (cómo se desenvuelven en la vida diaria), a decir de los investigadores.</p><p style="text-align: justify;">No fueron idénticas las mejorías en los niños: se encontró algún niños que con el tiempo lograron aprender a hablar, otros a socializar e interactuar, otros síntomas como la agitación, el moverse de un lugar a otros, hablar en forma de repeticiones o, aquellos que no hablaban ni interactuaban, pero que presentaban síntomas como agitación. Estos síntomas se fueron reduciendo a lo largo del tiempo.</p><p style="text-align: justify;">Se evidenciaron mayores mejoras en las niñas, aunque desde los inicios las niñas presentaron una sintomatología menos grave.</p><p style="text-align: justify;">Demostraron que aquellos niños o niñas que tuvieron un diagnóstico temprano, fueron mayores las probabilidades de mejoría en su funcionamiento cotidiano.</p><p style="text-align: justify;"><a title="Neurología" href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=5031" target="_blank"><strong>Marzo 03 / 2015 (Neurología)</strong></a></p>
2015-03-11T08:59:39-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/754
Enfermedad de Alzheimer: La gota tiene potencial efecto protector en el riesgo de la enfermedad de Alzheimer
2015-03-10T09:33:31-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Las personas que padecen gota, una enfermedad producida por acumulación de cristales de urato monosódico en distintas partes del cuerpo, sobre todo en las articulaciones, tejidos blandos y riñones, tienen menos riesgos de sufrir del Mal de Alzheimer, de acuerdo a un estudio.</p><p style="text-align: justify;">Según una investigación científica elaborada por especialistas del centro de reumatología, alergias e inmunología del Hospital General de Massachusetts y del Centro Médico de la Universidad de Boston, en Estados Unidos, y que fue analizado en el Reino Unido, la gota tiene efectos protectores para el cerebro.</p><p style="text-align: justify;">Los expertos sostienen que ello se debería a un exceso de ácido úrico acumulado durante los ataques de gota.</p><p style="text-align: justify;">Los resultados del estudio realizado en los Estados Unidos fueron analizados a partir de una base de datos electrónica utilizada por los médicos de cabecera en todo el país.</p><p style="text-align: justify;">Los investigadores analizaron los casos de 3, 7 millones de personas de más de 40 años, pero excluyeron a aquellos pacientes que fueron diagnosticados con gota o demencia senil.</p><p style="text-align: justify;">Los expertos británicos extrapolaron esa información con la base de datos en el Reino Unido.</p><p style="text-align: justify;">Según el estudio, aquellos pacientes con gota tuvieron un 24 % menos riesgos de padecer del Mal de Alzheimer, incluso incluyéndose factores como la edad, el peso, el estatus socioeconómico, estilos de vida y condiciones cardíacas y respiratorias.</p><p style="text-align: justify;">“Nuestra investigación provee la primera evidencia basada en registros de población por el potencial efecto de protección de la gota en el riesgo de la enfermedad de Alzheimer, y apoya el papel neuroprotector del ácido úrico”, destacó el informe.</p><p style="text-align: justify;">“Si es confirmado por futuros estudios, una investigación terapéutica que había sido empleada para prevenir el avance de la enfermedad de Parkinson podría ser utilizada ahora para este tipo de condición devastadora y bastante común”, agregó.</p><p style="text-align: justify;">El estudio fue publicado en la revista especializada ”<a title="Annals Of The Rheumatic Diseases" href="http://www.Annals%20Of%20The%20Rheumatic%20Diseases.org" target="_blank"><em>Annals Of The Rheumatic Diseases</em></a>“</p><p style="text-align: justify;">El año pasado, el ministerio de Salud británico confirmó que el número de personas que sufre de gota en Inglaterra está en aumento, ya que los hospitales del país han registrado un incremento del 20 % en los últimos cinco años por esos casos.</p><p style="text-align: justify;">Las autoridades indicaron que una de cada 40 personas en el país se ve afectada por la enfermedad.</p><p style="text-align: justify;">Según los expertos británicos, el aumento de la enfermedad en Inglaterra podría deberse a que muchos enfermos no acceden a la medicación adecuada.</p><p style="text-align: justify;">En ese sentido, se analizó la existencia de casos de gota entre 1997 y 2012 en el país, y se concluyó que de un total de 4,5 millones de británicos, casi 116 mil padecían esa enfermedad.</p><p style="text-align: justify;">Entre 1997 y 2012, la prevalencia de la gota aumentó un 64 %, incrementándose en un 4 % cada año.</p><p style="text-align: justify;">El ataque agudo de gota típico, que afecta en la mayoría de los casos a hombres, consiste en una artritis que causa intenso dolor y enrojecimiento de inicio nocturno en la articulación metatarsofalángica del dedo gordo del pie.</p><p style="text-align: justify;">El factor fundamental que causa la gota es la hiperuricemia, el aumento de los niveles de ácido úrico en sangre.</p><p style="text-align: justify;">La enfermedad es más común en personas que sufren de sobrepeso o son obesas, como también en aquellos con hipertensión arterial o diabetes mellitus.</p><p style="text-align: justify;">Los estilos de vida poco saludables, tener alta presión sanguínea, la ingesta excesiva de alcohol o alimentos ricos en purinas, como las carnes rojas, vísceras, pescado azul o mariscos, actúan como desencadenante de la crisis gotosa.</p><p style="text-align: justify;">De todos modos, los expertos coinciden en que esos factores no son la causa de la enfermedad, la cual estaría muy condicionada por factores de origen genético en un gran número de casos.</p><p style="text-align: justify;"><strong>Marzo 5/ 2015 (ANSA)</strong></p><p style="text-align: justify;"><strong>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2015 Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A</strong></p>
2015-03-10T09:33:31-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/753
Factores de riesgo: Las estatinas elevan el riesgo de diabetes
2015-03-10T09:29:09-04:00
Revista Finlay
<p>Las estatinas elevan en un 46% el riesgo de diabetes, según un estudio</p><p>En estudio realizado en enfermos que utilizan estatinas como tratamiento muestra también que en aquellos enfermos en tratamiento de estatinas, la sensibilidad a la insulina se reduce en un 24 % y la secreción de insulina, en un 12 %</p><p>El uso de estatinas se asocia con un incremento del 46 % en el riesgo de desarrollar diabetes, incluso después de ajustar por factores de confusión, según un estudio realizado por el profesor Markku Laakso, del Instituto de Medicina Clínica de la Universidad de Finlandia Oriental y el Hospital de la Universidad de Kuopio, Finlandia, y cuyos resultados se han publicado en “<a title="noticia estatinas" href="http://www.jano.es/noticia-las-estatinas-elevan-un-46-23869" target="_blank"><em>Diabetologia</em></a>”</p><p>Trabajos anteriores habían sugerido que el uso de estatinas entrañaba un mayor riesgo de diabetes, si bien adolecían de la limitación de que las poblaciones de estudio incluían participantes con alto riesgo de enfermedad cardiovascular.</p><p>En este nuevo trabajo, los autores investigaron los efectos del tratamiento con estatinas en el riesgo de diabetes tipo 2 y el deterioro del control del azúcar en sangre en 8 mil 749 hombres no diabéticos durante 6 años, correspondientes al estudio Síndrome metabólico en hombres (METSIM). También analizaron los mecanismos de la diabetes inducidos por las estatinas mediante la evaluación de los cambios en la resistencia a la insulina y la secreción de insulina.</p><p>Los participantes, de entre 45 a 73 años, fueron seguidos durante 5, 9 años. Se diagnosticó diabetes en 625 hombres, bien con una prueba de tolerancia oral a la glucosa, con un nivel de HbA1c del 6, 5 % o superior, o la medicación antidiabética iniciada durante el seguimiento. Se evaluó la sensibilidad a la insulina y la secreción.</p><p>Los expertos encontraron que, después de ajustar los resultados por edad, índice de masa corporal (IMC), circunferencia de la cintura, actividad física, tabaquismo, consumo de alcohol, antecedentes familiares de diabetes y tratamiento beta-bloqueante y diuréticos, los enfermos tratados con estatinas presentaban un 46 % más de probabilidades de desarrollar diabetes que los que no tomaban estatinas.</p><p>Varía en función de la dosis</p><p>El riesgo fue dependiente de la dosis de simvastatina y atorvastatina. El tratamiento con estatinas aumentó significativamente 2- h glucosa (PTG 2h) durante el seguimiento, con un incremento significativo de la glucosa en ayunas (FPG). La sensibilidad a la insulina se redujo en un 24 % y la secreción de insulina, en un 12 % en personas en tratamiento con estatinas.</p><p>Además, la caída de la sensibilidad a la insulina y la secreción de insulina fueron dependientes de la dosis de simvastatina y atorvastatina. Tras ajustar todos los factores de confusión mencionados anteriormente, altas dosis de simvastatina se vincularon con un 46 % más de riesgo de desarrollar diabetes, mientras que para dosis bajas de simvastatina el aumento del riesgo fue del 28 % y para altas dosis de atorvastatina, del 37 %.</p><p>En general, el 29 % de los participantes estaba tomando simvastatina, mientras que el 53 %, tomaba atorvastatina. Los autores dicen que “la asociación del uso de estatinas con un mayor riesgo de desarrollar diabetes es más probable que esté directamente relacionada con que las estatinas disminuyen la sensibilidad a la insulina y la secreción”.</p><p>Sin embargo, destacan que mientras que el tamaño del estudio hace que sus conclusiones sean fiables, la muestra de la investigación fueron hombres de raza blanca, por lo que la aplicabilidad a las mujeres o personas de otro origen étnico no se pueden confirmar sin más investigación.</p><p>“El tratamiento con estatinas se asoció con un 46 % más de riesgo de la diabetes tipo 2 después de ajustar por factores de confusión, lo que sugiere un mayor riesgo de diabetes en la población general del que se sabía anteriormente”, concluyen los investigadores.</p><p><a title="estatinas elevan riesgo de diabetes" href="http://www.jano.es/noticia-las-estatinas-elevan-un-46-23869" target="_blank"><strong>Marzo 5/ 2015 (JANO)</strong></a></p>
2015-03-10T09:29:09-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/752
Prevención de las enfermedades crónicas: Un estudio descubre un papel fundamental de las proteínas en el ataque cardiaco
2015-03-10T09:22:34-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Investigadores de la Universidad de California, de la Escuela de Medicina de San Diego, Estados Unidos, han identificado una pieza clave del complejo puzle molecular que se esconde bajo el fallo cardiaco; un serio y fatal síndrome que afecta a más de 5 millones de personas. </p><p style="text-align: justify;">Entender mejor el mecanismo molecular puede dirigir a nuevos medicamentos.<img title="Más..." src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/wp-includes/js/tinymce/plugins/wordpress/img/trans.gif" alt="" /></p><p style="text-align: justify;">El estudio, publicado en “<a title="cell-metabolism" href="http://www.cell.com/cell-metabolism/home" target="_blank"><em>Cell Reports</em></a>“, ha explorado la progresión cardiaca desde el debilitamiento inicial hasta el fallo cardiaco, y han encontrado una proteína, conocida como RBFox2, que juega un rol crítico en el proceso.</p><p style="text-align: justify;">La insuficiencia coronaria, la tensión alta y los defectos cardiacos son algunos de los factores que pueden conllevar el fallo cardiaco, que no tiene cura y es normalmente tratado con fármacos, cambios en el estilo de vida y dispositivos cardiacos y oxígeno. En algunos casos se requiere el trasplante de corazón.</p><p style="text-align: justify;">El equipo ha estudiado los cambios celulares que ocurren durante el debilitamiento del músculo cardiaco durante la transición de bombear intensamente a mantener un flujo suficiente de sangre, conocido como el estadio compensatorio, hasta la insuficiencia en la que mantener un adecuado suministro de sangre, llamado descompensación.</p><p style="text-align: justify;">Para responder a esta pregunta el equipo ha explorado el RBFox2, un gen que sintetiza proteínas conocido por estar involucrado en el desarrollo temprano del corazón y su puesta en funcionamiento.</p><p style="text-align: justify;">Los investigadores experimentaron con una reducción de la proteína RBFox2 en ratones especialmente diseñados con esta falta. En los experimentos, los ratones con deficiencia de esta proteína desarrollaban síntomas de insuficiencias similares a los de aquellos ratones que tenían una restricción de aporte de sangre, sugiriendo una conexión funcional entre la reducción de RBFox2 y el fallo del músculo cardiaco.</p><p style="text-align: justify;">El equipo afirma que los cambios genéticos con una eliminación inducida son similares a los que ocurren durante las restricciones de aporte sanguíneo que induce el fallo cardiaco, pero lo contrario de aquellos que tienen lugar durante la remodelación cardiaca. Además consideran que estos resultados podrían abrir la puerta a conocer nuevos medicamentos contra la insuficiencia cardiaca.</p><p style="text-align: justify;"><a title="papel fundamental de las proteínas en el ataque " href="http://bioquimica-clinica.diariomedico.com/2015/03/05/area-cientifica/especialidades/bioquimica-clinica/estudio-descubre-papel-fundamental-proteinas--ataque-cardiaco" target="_blank"><strong>Marzo 05/ 2015 (Diario Médico)</strong></a></p>
2015-03-10T09:22:34-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/751
Factores de riesgo cardiovascular: Los triglicéridos, un factor de riesgo importante en la causa del infarto
2015-03-10T09:19:24-04:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">Un estudio muestra que anomalías en un gen promueven incremento de esta sustancia en sangre y favorecen el riesgo de ataque cardiaco</p><p style="text-align: justify;">El riesgo de un ataque cardiaco prematuro puede estar aumentado debido a algunas mutaciones poco frecuentes en el gen APOA5.</p><p style="text-align: justify;">Una investigación publicada en «<a title="Nature" href="http://www.nature.com/" target="_blank"><em>Nature</em></a>», plantea que esas mutaciones poco frecuentes en el gen APOA5 y que parecen desactivar el gen, puede ser la causa de un aumento de lipoproteínas ricas en triglicéridos en la sangre.</p><p style="text-align: justify;">Descubrimientos genéticos recientes, sumados a este estudio, centran la atención hacia el metabolismo genético anómalo de los triglicéridos como un factor de riesgo importante en la causa del infarto a cualquier edad.</p><p style="text-align: justify;">Se suma a los resultados que relacionan la importancia del papel de los triglicéridos en el riesgo de infarto otro gen descubierto de forma reciente, de la apolipoproteína, APOC3.</p><p style="text-align: justify;">Explica Sekar Kathiresan, del Hospital General de Massachusetts, Estados Unidos, la información que se ha obtenido sobre el gen APOA5 sugiere un aspecto muy importante: «más allá de los niveles de LDL, que se sabe que contribuyen al riesgo infarto, hemos visto que determinados defectos en el metabolismo de los triglicéridos también tienen un importante papel». Y, lo más importante: «esto abre una ventana para potenciales vías terapéuticas».</p><p style="text-align: justify;">El infarto de miocardio es una causa principal de muerte en todo el mundo y se sabe que está causado por factores genéticos y ambientales. El efecto de los factores genéticos parece más fuerte cuando la enfermedad se produce a temprana edad (a los 50 años de edad o menos en los hombres, y 60 años de edad o menos en las mujeres).</p><p style="text-align: justify;">En la mayoría de los casos y desgraciadamente el primer aviso de la enfermedad es un infarto cardiaco de grandes proporciones, implicando daños severos al corazón, que puede incluso llegar a provocar la muerte.</p><p style="text-align: justify;">Ahora Kathiresan y sus colegas han identificado mutaciones raras en dos genes que aumentan considerablemente el riesgo de padecer un infarto de miocardio de aparición temprana.</p><p style="text-align: justify;">Además el trabajo de Kathiresan guarda muchos paralelismos con otro similar llevado a cabo hace más de 40 años y publicado en 1973. Dirigido por Joseph Goldstein, ese estudio examinó varios cientos de personas de Seattle y Washington que habían sufrido un ataque al corazón antes de los 60 años de edad. Los investigadores analizaron los niveles de lípidos en la sangre e identificaron los altos niveles de colesterol total como la anomalía principal asociada con el infarto de inicio precoz. Ese trabajo estimuló décadas de investigación para tratar de desentrañar el papel de LDL, el principal portador de colesterol en el torrente sanguíneo, en la causa de la aterosclerosis, la progresiva acumulación de material graso en las paredes de los vasos sanguíneos que puede conducir a un ataque al corazón. Curiosamente la segunda anomalía más común observada por Goldstein fue la presencia de triglicéridos elevados en sangre.</p><p style="text-align: justify;">Pero el trabajo de Kathiresan no solo ha desvelado el papel de los triglicéridos elevados en riesgo de infarto; además han visto que las mutaciones del receptor LDL son más frecuentes de lo que se creía, aproximadamente dos veces más habituales de lo que se había estimado Goldstein.</p><p style="text-align: justify;">«En 1973 Goldstein nos mostró qué tipos de lípidos en la sangre son los más relevantes para tener un riesgo de infarto precoz. Ahora, después de secuenciar todos los genes en el genoma, podemos señalar directamente los genes específicos más importantes: hay una gran coherencia entre las observaciones de hace 40 años y las de hoy en día», asegura Kathiresan.</p><p style="text-align: justify;">En este estudio los investigadores han analizado exomas, la parte de la codificación de proteínas del genoma, de aproximadamente 10 mil personas, de los cuales, la mitad habían sufrido un ataque cardiaco prematuro y la otra mitad no. Los expertos se centraron en dos genes, LDLr y APOA5. Sus hallazgos implican un papel de múltiples mutaciones raras en el gen del receptor de LDL (LDLr) en el ataque cardiaco temprano, confirmando lo que ya es conocido tras décadas de investigación: que los altos niveles de LDL, el llamado colesterol ‘malo’, es un factor clave de riesgo que aumenta las posibilidades de sufrir un ataque al corazón.</p><p style="text-align: justify;">El segundo descubrimiento, que vincula raras mutaciones en el gen APOA5, que codifica una apolipoproteína, con el infarto prematuro, subraya el papel de los niveles de triglicéridos en un ataque al corazón. Kathiresan y sus colegas descubrieron que las personas portadoras de mutaciones APOA5 tienen niveles más altos de triglicéridos en la sangre y un riesgo de infarto del doble.</p><p style="text-align: justify;"><a title="triglicéridos" href="http://clinicadenutricionmadrid.es/los-trigliceridos-confirman-su-importante-papel-en-el-infarto-prematuro/" target="_blank"><strong>Marzo 2 / 2014 (Clínica de Salud )</strong></a></p>
2015-03-10T09:19:24-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/750
Factores de riesgo: Los hombres de 50 años y con sobrepeso, propensos a padecer litiasis renal
2015-03-06T00:00:00-05:00
Revista Finlay
<p>Un estudio liderado por el jefe de la Unidad de Litotricia Renal y Endourología de la Clínica La Luz, Enrique Pérez-Castro, muestra que el 66,3 % de los pacientes con litiasis son varones, con una edad media de 49 años.</p><p>En España se estima que unos dos millones de personas presentan cálculos en el sistema urinario, lo que se conoce como piedras renales, y los hombres de 50 años con sobrepeso son los que tienen más riesgo de padecerlos, según los resultados de un estudio internacional cuyos resultados publica la revista “European Urology”, de la Asociación Europea de Urología.</p><p>El estudio ha sido liderado por el jefe de la Unidad de Litotricia Renal y Endourología de la Clínica La Luz de Madrid, Enrique Pérez-Castro, y en él han participado 9681 pacientes de 32 países, a los que se realizó un seguimiento de un año.</p><p>La generación de cálculos en el sistema urinario, relacionada según los expertos con las dietas pobres en líquidos, frutas y vegetales, y con una presencia excesiva de proteínas, calcio y sal, se caracteriza por un intenso dolor en la zona del riñón, que suele extenderse hacia el abdomen y, a veces, a los genitales.</p><p>El estudio muestra que se trata de una enfermedad sobre todo masculina, ya que el 66,3 % de los pacientes con litiasis son varones, con una edad media de 49 años, frente al 33,7 % de los casos registrados en mujeres.</p><p>El sobrepeso moderado parece también jugar un papel importante a la hora de que hagan su aparición las temibles piedras urinarias ya que, según la investigación, los afectados por esta enfermedad tienen un índice de masa corporal (IMC) de 26,7, cuando las personas con un peso normal no superan un IMC de 25.</p><p>Según los datos de los pacientes incluidos en el estudio, correspondientes a 114 centros sanitarios de todo el mundo, se da la circunstancia además de que las personas que sufren de múltiples piedras a la vez suelen tener mayores índices de sobrepeso (27,4), junto a determinadas enfermedades asociadas como diabetes o cardiovascular.</p><p>Al margen de estos datos sobre los pacientes, el estudio analiza los distintos tratamientos existentes para tratar este problema y presenta como principal conclusión para los especialistas la vigencia de la ureteroscopia como un arma efectiva y segura para la mayoría de los casos de litiasis.</p><p>El uso de la utereroscopia, lo más eficaz</p><p>Esta técnica se basa en el uso del ureteroscopio, un aparato dotado de una cámara de televisión que se introduce por las vías urinarias de una forma mínimamente invasiva hasta que localiza la piedra y la destruye utilizando un láser, todo ello en el marco de una intervención que dura una media de 45 minutos.</p><p>El cada vez menor diámetro de estos dispositivos, junto con la existencia de varios tipos (rígidos y semirrígidos) convierten a la ureteroscopia en el mejor sistema para el abordaje de los cálculos situados en los tramos distal y medio del sistema urinario, mientras que la aplicación de ondas de choque (litotricia) presenta mejores resultados a la hora de tratar cálculos de localizaciones más altas, cerca del riñón o dentro del mismo.</p><p>El doctor Pérez-Castro, creador del ureteroscopio y pionero en el uso de las ondas de choque en urología, destaca que “en la actualidad ambas técnicas se llevan a cabo con elevadas tasas de éxito y unos índices de complicaciones muy bajos (menos del 1,6 %)”.</p><p>El estudio, que se centra en la ureteroscopia, concluye que el 94,2 % de los pacientes con cálculos situados en el área distal consiguen librarse por completo de los cálculos gracias a la ureteroscopia, porcentaje que es del 89,4 % en el caso de las piedras situadas en el uréter medio; y el 84,5 % de los cálculos altos, los situados cerca del riñón.</p><p>La remisión total disminuye lógicamente en los pacientes con múltiples cálculos, si bien incluso en estos casos el 76,6 % ve solucionado su problema por completo.<br /> marzo 5/2015 (JANO.es) http://www.jano.es/noticia-los-hombres-torno-los-50-21695</p>
2015-03-06T00:00:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/726
Cáncer: Campaña internacional de prevención del cáncer
2015-02-11T12:37:21-05:00
Revista Finlay
<p style="text-align: justify;">El cáncer es responsable de aproximadamente del 13 % de las muertes en el mundo, más que las causan el VIH/Sida, la tuberculosis y la malaria juntas, y para 2030 se estima que el número de casos aumentará 62 % en el mundo.</p><p style="text-align: justify;">Las cifras fueron difundidas por una coalición de organizaciones no gubernamentales y asociaciones de pacientes de Argentina (integrada por ACIAPO, ACILCO, Linfomas Argentinas, Fundación Pacientes con cáncer de pulmón, Fundación Tzedaka y MACMA) en coincidencia con el Día Mundial contra el cáncer que se conmemora el 4 de febrero de cada año.</p><p style="text-align: justify;">El Instituto Nacional del Cáncer de Argentina anunció el lanzamiento de una campaña mundial de comunicación con el objetivo de instalar al cáncer en el centro de la agenda pública de salud”.</p><p style="text-align: justify;">Según el Instituto Nacional del Cáncer, Argentina se encuentra dentro del rango de países con incidencia de cáncer media-alta, es decir que cada año habrá dos casos nuevos cada mil habitantes.</p><p style="text-align: justify;">“Cada año mueren en el país unas 60 mil personas debido a tumores y se prevé que el número de afectados seguirá creciendo.</p><p style="text-align: justify;">Para 2030 se calcula que habrá 62 % más casos en el mundo”, estimó el Instituto Nacional del Cáncer.</p><p style="text-align: justify;">A su vez, las asociaciones de pacientes enfatizaron “la necesidad de eliminar las barreras que encuentran los pacientes para tratarse: burocracia, demoras, desinformación” y advirtieron que “los más perjudicados son los pacientes de escasos recursos”.</p><p style="text-align: justify;">La campaña internacional de prevención de la enfermedad titulada “A nuestro alcance” es impulsada por la Unión Internacional para el Control del Cáncer (UICC) para que el 4 de febrero sea una jornada de concientización frente a una enfermedad que causa la muerte de 8, 2 millones de personas en todo el mundo.</p><p style="text-align: justify;">febrero 1 / 2015 (ANSA)</p><p style="text-align: justify;">Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2014 “Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina” S.A.</p>
2015-02-11T12:37:21-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/725
Factores de riesgo cardiovascular: El estrés durante el embarazo afecta al desarrollo del feto
2015-01-28T08:30:49-05:00
Revista Finlay
<span>Las hormonas del estrés en la madre pueden afectar el desarrollo del feto, según concluye un estudio que se publica en</span><em> The Journal of Physiology.</em><span> Los investigadores encontraron que el aumento de los niveles de hormonas del estrés glucocorticoides en ratones preñados llevó a la madre a comer más, pero redujo la capacidad de la placenta para transportar glucosa al feto.</span><br /><br /><span>Para probar si los niveles de estrés en ratones hembra embarazadas tienen un impacto en su descendencia, los investigadores dispensaron el glucocorticoide natural corticosterona a hembras de ratón preñadas en diferentes momentos durante el embarazo: desde el día 11 al 16 (20 hembras), del 14 al 19 días (31 hembras) o nada (74 hembras de control).</span><br /><br /><span>"Junto con el trabajo previo, los resultados muestran que los glucocorticoides maternos regulan la nutrición fetal. Niveles elevados de hormonas glucocorticoides en la madre (como se ven en condiciones de estrés), pueden reducir el transporte de glucosa a través de la placenta y llevar a una disminución en el peso fetal", señala el autor principal del estudio, Owen Vaughan, del Centro de Investigación de los Trofoblastos de la Universidad de Cambridge, Reino Unido.</span><br /><br /><span>"Los niveles de glucocorticoides en mujeres embarazadas pueden determinar la combinación específica de nutrientes que recibe el feto y, como resultado, influir en la salud metabólica a largo plazo de sus hijos. Esto podría tener implicaciones para las mujeres estresadas durante el embarazo o tratadas clínicamente con glucocorticoides, si los mecanismos son similares en los seres humanos", advierte.</span><br /><br /><span>"Nuestra investigación mostró que bajo estrés, ciertos genes en la placenta se modifican. Uno de los genes que se altera en la placenta por las hormonas del estrés materno era REDD1, que se cree que indica la disponibilidad de otras sustancias, como el oxígeno, y que interactúa con las vías intracelulares que regulan el crecimiento y la absorción de nutrientes en otros tejidos del cuerpo. Los estudios futuros pueden probar que esta molécula es importante en la placenta al vincular las señales ambientales a la nutrición del feto", concluye.</span>
2015-01-28T08:30:49-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/724
Medicamentos: Sanidad ordena retirar 29 medicamentos genéricos
2015-01-28T08:19:34-05:00
Revista Finlay
<div>El Ministerio de Sanidad, a través de la Agencia Española de Medicamentos y Productos Sanitarios (AEMPS), ha suspendido la comercialización de 29 medicamentos genéricos tras comprobarse que la empresa encargada de realizar los ensayos clínicos previos a su autorización manipuló algunas pruebas.</div><div>Con todo, la AEMPS ha remarcado que "no hay pruebas de que alguno de los medicamentos en cuestión pueda causar daño o resulte ineficaz". De hecho, el director general de la Asociación Española de Medicamentos Genéricos (AESEG), Ángel Luis Rodríguez, ha explicado a Europa Press que se trata de una medida "con carácter temporal" que "en ningún caso conllevará la retirada definitiva de estos productos del mercado".</div><div>Entre estos fármacos hay diferentes presentaciones de antihistamínicos como la 'Ebastina' de Brown o la 'Desloratadina' de Combix, Teva y Pharmagenus; los antihipertensivos 'Valsartán/hidroclorotiazida' de Codramol o 'Irbesartán/hidroclorotiazida' de Welding; el antidepresivo 'Escitalopram' de Combix; o el antidiabético 'Repaglinida' y el 'Donezepilo' para los síntomas del alzhéimer, ambos comercializados por Mylan.</div><div>La suspensión se produce a instancias de la Agencia Europea del Medicamento (EMA, en sus siglas en inglés) después de que en una inspección en la empresa GVK Biosciences en Hyderabad, de La India, se encontraran pruebas del incumplimiento de las normas de Buenas Prácticas Clínicas en los estudios de bioequivalencia realizados en esta compañía.</div><div>En concreto, se descubrió la manipulación de electrocardiogramas durante algunos ensayos de bioequivalencia de cientos de medicamentos genéricos que, al parecer, tuvo lugar durante un periodo de tiempo prolongado, lo que según las autoridades "lleva a dudar sobre la integridad de los ensayos realizados en este centro".</div><div>Como consecuencia de ello se inició un procedimiento de arbitraje y el Comité de Medicamentos de Uso Humano (CHMP) de la EMA, constituido por representantes de todas las agencias nacionales europeas, que ha revisado todos los medicamentos autorizados en los que la solicitud se basó en datos de estudios realizados por GVK Biosciences.</div><div>La auditoría incluyó a más de 1.000 presentaciones de los medicamentos genéricos involucrados, entre los que están los 29 que han sido retirados en España, si bien algunos de estos medicamentos tenían suficientes datos derivados de otros estudios y no se han visto afectados por la retirada. El CHMP ha señalado que no hay pruebas de que alguno de los medicamentos en cuestión pueda causar daño o resultar ineficaz. Sin embargo, se ha recomendado la suspensión de la autorización de comercialización en un número importante de este grupo de medicamentos hasta que se presenten nuevos estudios. La decisión supone la suspensión de 29 medicamentos en España pero, según la AEMPS, la decisión "no afecta a ninguno que sea considerado como crítico para los pacientes" ya que en todos los casos hay comercializados otros medicamentos con el mismo principio activo y forma farmacéutica.</div><div><strong>No hay riesgo para los pacientes</strong></div><div>Además, los pacientes tratados con cualquiera de los medicamentos afectados no tienen necesidad de interrumpir el tratamiento ya que, como ha insistido el CHMP en sus conclusiones, "no existe riesgo en cuanto a la seguridad o eficacia de los mismos". En ello coincide el director general de la Asociación Española de Medicamentos Genéricos (AESEG), Ángel Luis Rodríguez, que ha explicado a Europa Press que se trata de una medida "con carácter temporal". "Las investigaciones realizadas han detectado algunas deficiencias y la AEMPS ha determinado que a partir de mañana no se pueden comercializar estos fármacos. Pero la medida es temporal y no hay riesgo para el paciente ya que no afecta ni a la eficacia ni a la seguridad del producto, por lo que cuando todo se rectifique podrán venderse de nuevo", ha aclarado.</div><div>Además, este representante de la patronal de los medicamentos genéricos ha reconocido que la incidencia para las compañías afectadas es mínima y recuerda que en España la decisión sólo afecta a 29 presentaciones a pesar de que han sido miles los medicamentos auditados.</div><div><span style="text-decoration: underline;">Lista de los 29 medicamentos retirados</span></div><div>-Metoclopramida Accord 10 mg comprimidos EFG</div><div>-Desloratadina Apotex 5 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Ebastina Brown 10 mg comprimidos bucodispersables EFG</div><div>-Valsartán/Hidroclorotiazida Codramol 160 mg/12,5 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Valsartán/Hidroclorotiazida Codramol 160/25 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Valsartán/Hidroclorotiazida Codramol 320/12,5 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Valsartán/Hidroclorotiazida Codramol 320/25 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Valsartán/Hidroclorotiazida Codramol 80/12,5 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Desloratadina Combix 5 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Desloratadina Flas Combix 5 mg comprimidos bucodispersables EFG</div><div>-Escitalopram Combix 10 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Escitalopram Combix 15 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Escitalopram Combix 20 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Escitalopram Combix 5 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Ácido Alendrónico Semanal Ranbaxy 70 mg comprimidos EFG</div><div>-Donepezilo Flas Mylan Pharmaceuticals 10 mg comprimidos bucodispersables EFG</div><div>-Donepezilo Flas Mylan Pharmaceuticals 5 mg comprimidos bucodispersables EFG</div><div>-Esomeprazol Mylan 20 mg cápsulas gastrorresistentes EFG</div><div>-Esomeprazol Mylan 40 mg cápsulas gastrorresistentes EFG</div><div>-Repaglinida Mylan 0,5 mg comprimidos EFG</div><div>-Repaglinida Mylan 1 mg comprimidos EFG</div><div>-Repaglinida Mylan 2 mg comprimidos EFG</div><div>-Rizatriptan Max Mylan 10 mg comprimidos bucodispersables EFG</div><div>-Ácido Alendrónico Semanal Pensa 70 mg comprimidos EFG</div><div>-Desloratadina Pharmagenus 5 mg comprimidos bucodispersables EFG</div><div>-Desloratadina Teva 5 mg comprimidos bucodispersables EFG</div><div>-Irbesartán/Hidroclorotiazida Welding 150 mg/12,5 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Irbesartán/Hidroclorotiazida Welding 300 mg/12,5 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div><div>-Irbesartán/Hidroclorotiazida Welding 300 mg/25 mg comprimidos recubiertos con película EFG</div>
2015-01-28T08:19:34-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/723
Enfermedad de Alzheimer: Hallan una alternativa terapéutica contra la demencia frontotemporal
2015-01-07T17:06:29-05:00
Revista Finlay
<p>Investigadores belgas han identificado una nueva estrategia de tratamiento frente a la demencia frontotemporal, que provoca cerca de la mitad de los casos de demencia en adultos menores de 60 años. En células madre derivadas de pacientes con una mutación que predispone esta demencia, los científicos descubrieron un defecto que evita un desarrollo neuronal normal y que, al corregirse, recupera el aspecto original de estas células madre.</p><p>"Usar la tecnología de las células madre pluripotentes (iPS) permite modelar demencias que afectan a los pacientes en etapas tardías de su vida", ha dicho Catherine Verfaillie, investigadora principal del estudio de la Universidad Católica de Lovaina (Bélgica).</p><p>"Los modelos de células iPS pueden ser utilizados para entender mejor la demencia y, en particular, la demencia frontotemporal, y podrían ayudar al desarrollo de terapias que eliminen o reduzcan la degeneración de las neuronas corticales", ha explicado Verfaillie.</p><p>El equipo de Verfaillie y Philip Van Damme, del Instituto de Investigación de Neurociencia y Enfermedad de Lovaina (Bélgica) ha llegado a esta conclusión tras crear células iPS de tres pacientes con una mutación en el gen GRN. Estas células fueron después modificadas para convertirse en neuronas corticales, las más afectadas por la demencia frontotemporal.</p><p>Los resultados del estudio, que han sido publicados en <a href="http://www.cell.com/stem-cell-reports/abstract/S2213-6711%2814%2900358-0" target="_blank"><strong>Stem Cell Reports</strong></a>(doi.org/10.1016/j.stemcr.2014.12.001), demuestran según los investigadores que la mutación de este gen causa un defecto en la neurona cortical al alterar la vía de señalización Wnt.</p><p>"Nuestros descubrimientos sugieren que los eventos de señalización requeridos para el desarrollo neuronal podrían también tener un papel importante en la degeneración", ha dicho Van Damme, que ha asegurado que "utilizar estas vías de señalización, como en este caso la vía Wnt, podría resultar en la creación de nuevas terapias contra este tipo de demencia". <a href="http://neurologia.diariomedico.com/2015/01/02/area-cientifica/especialidades/neurologia/identifican-nueva-estrategia-terapeutica-contra-demencia-frontotemporal" target="_blank"><strong>enero 2/2015 (Diario Médico)</strong></a></p><p>Susanna Raitano,Laura Ordovàs,Louis De Muynck,Wenting Guo,Ira Espuny-Camacho,Martine Geraerts.<em><strong>Restoration of Progranulin Expression Rescues Cortical Neuron Generation in an Induced Pluripotent Stem Cell Model of Frontotemporal Dementia</strong></em>.Stem Cell Reports.Dic 31 2014</p>
2015-01-07T17:06:29-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/722
Cáncer: Un sistema de cultivo en 3D para el cáncer pancreático podría cambiar el enfoque terapéutico de esta enfermedad
2015-01-07T17:00:53-05:00
Revista Finlay
<p>Desarrollan un modelo para hacer crecer células de cáncer pancreático en laboratorio a fin de facilitar la observación de las vías utiliza el tumor para expandirse.</p><p>El "Cold Spring Harbor Laboratory" (CSHL) y la Fundación Lustgarten, en Nueva York, Estados Unidos, han anunciado el desarrollo conjunto de un modelo para hacer crecer células pancreáticas normales y cancerosas en el laboratorio. El trabajo podría cambiar la forma en la que se estudia el cáncer de páncreas, abriendo la puerta a nuevos objetivos farmacológicos.</p><p>En el estudio, publicado en<a href="http://www.cell.com/cell/abstract/S0092-8674%2814%2901592-X" target="_blank"><strong> Cell</strong></a> (.doi.org/10.1016/j.cell.2014.12.021), el equipo de investigación describe un sistema de cultivo tridimensional de un "organoide" para el cáncer de páncreas. Codirigidos por David Tuveson, profesor en CSHL y director de Investigación de la Fundación Lustgarten, y Hans Clevers, profesor y director del Instituto Hubrecht y presidente de la Real Academia Holandesa de Artes y Ciencias, los autores desarrollaron un método para hacer crecer tejido pancreático no sólo de modelos de ratones de laboratorio, sino también a partir de tejido de pacientes humanos.</p><p>Toda la investigación del cáncer se basa en la comparación de las células normales con las cancerosas para, de ese modo, identificar los cambios que llevan a la enfermedad. En el caso del cáncer de páncreas, no obstante, las células han sido difíciles de cultivar en laboratorio.</p><p>Asimismo las células ductales normales que son capaces de convertirse en cáncer de páncreas representan alrededor del 10 % de las células del páncreas, lo que complica los esfuerzos por establecer claramente los cambios que ocurren durante el desarrollo del tumor. Hasta ahora, los expertos han sido totalmente incapaces de cultivar células ductales pancreáticas humanas normales bajo condiciones estándar de laboratorio.</p><p>Debido a estas limitaciones, la mayor parte de la investigación sobre el cáncer de páncreas se basa en modelos de ingeniería genética de ratón, asimismo muy difíciles de generar. "Ahora, con este desarrollo estamos en condiciones de cultivar tanto organoides de ratón como humanos, proporcionando una herramienta muy poderosa en nuestra lucha contra el cáncer de páncreas", explica Tuveson.</p><p>Los organoides están completamente formados por células ductales, sin células circundantes que a menudo contaminan las muestras, y crecen como esferas huecas dentro de una sustancia similar a un gel complejo lleno de factores que inducen el crecimiento y fibras de conexión.</p><p>Una vez que han llegado a un tamaño suficiente, los organoides pueden ser trasplantados a ratones, donde reproducen completamente el cáncer de páncreas. "Ahora tenemos un modelo para cada etapa de la progresión de la enfermedad", celebra Chang-Il Hwang, uno de los principales autores que trabajan en el Laboratorio de Investigación del Cáncer de Páncreas de la Fundación Lustgarten en CSHL dirigido por el doctor Tuveson.</p><p>Organoides a partir de biopsias</p><p>Tradicionalmente, las células cancerosas se aíslan durante la cirugía o en las autopsias. Sin embargo, el 85 % de los pacientes de cáncer no son idóneos para la cirugía en el momento del diagnóstico, bien porque el tumor está entrelazado en la vasculatura crítica o porque la enfermedad ha progresado demasiado.</p><p>La nueva investigación proporciona una forma de que los científicos hagan crecer organoides de material de biopsia, que es relativamente fácil de obtener. "Las biopsias son el estándar para el diagnóstico -subraya Dannielle Engle, también autora del artículo-. Ahora podemos generar organoides de cualquier paciente, lo que nos ofrece la posibilidad de estudiar la enfermedad en una población mucho más amplia". El equipo trabaja ahora en coordinación con el Instituto Nacional del Cáncer para crear un repositorio de muestras de tumores de páncreas. <a href="http://www.jano.es/noticia-un-sistema-cultivo-3d-el-23513" target="_blank"><strong>enero 2/2015 (JANO.es)</strong></a></p><p>Sylvia F. Boj, Chang-Il Hwang, Lindsey A. Baker, Iok In Christine Chio, Dannielle D. Engle, David A. Tuveson.<em><strong>Organoid Models of Human and Mouse Ductal Pancreatic Cancer.</strong></em>Cell.Dic31, 2014</p>
2015-01-07T17:00:53-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/721
Ciencia y Tecnología: La acción de las ceramidas en el hipotálamo funcionaría como un interruptor de la obesidad
2014-12-21T07:19:28-05:00
Revista Finlay
<p>Un equipo científico ha descubierto un nuevo mecanismo molecular que afecta al aumento de peso y a la aparición de diabetes.</p><p>El hallazgo se centra en las ceramidas, una familia de lípidos que forma parte de las membranas celulares y que también están implicadas en procesos de señalización celular.</p><p>Los autores han demostrado que estos lípidos pueden afectar ciertas áreas del hipotálamo e interferir los mecanismos que regulan la actividad del tejido adiposo pardo, aquel que no almacena lípidos, sino que los quema para obtener energía. La acción de las ceramidas sobre el hipotálamo disminuye esta capacidad para quemar grasa, lo que conlleva la disminución del gasto calórico y el incremento de la masa corporal, sin que se haya producido un aumento de la ingesta de alimentos.</p><p>El estudio ha sido publicado en la revista<a title="Revista Cell Report" href="http://www.cell.com/cell-reports/abstract/S2211-1247%2814%2900733-5" target="_blank"><em> Cell Report</em></a></p><p>Frente a esta situación, el mismo equipo ha conseguido revertir el mecanismo por medio de la manipulación genética de una proteína implicada en el proceso. En el experimento, realizado con ratas, los animales tratados adelgazaron sin tener que comer menos, únicamente quemando más grasa en el tejido adiposo pardo, además de conseguir corregir su diabetes.</p><p>Los autores aseguran que el conocimiento de la mecánica de estos procesos moleculares permitirá identificar nuevas dianas terapéuticas para el tratamiento de la obesidad y el síndrome metabólico</p><p><a title="Revista Neurologìa" href="http://www.neurologia.com/sec/clasificados.php?clas=15&subclas=0&ap=0" target="_blank"><strong><span>diciembre 17/ 2014 Revista Neurología</span></strong></a></p>
2014-12-21T07:19:28-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/720
Ciencia y Tecnología: Científicos españoles aplican una terapia génica en ratones que aumenta en un 17% la supervivencia tras infarto
2014-12-21T06:35:57-05:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/Terapia_genica.JPG" alt="" width="189" height="132" />Investigadores del Centro Nacional de Investigaciones Oncológicas (CNIO) han utilizado una terapia génica que actúa ante la telomerasa, enzima que repara daños celulares producto del envejecimiento, para tratar y prevenir el infarto de miocardio. Los resultados en ratones han revelado un aumento de la supervivencia del 17% tras sufrir este fallo cardíaco.<br /> <br /> Esta estrategia terapéutica, detallada en un artículo publicado en <em>Nature Communications</em>, se basa en reactivar el gen de la telomerasa sólo en el corazón de ratones adultos. Había sido utilizada con éxito en ratones en terapias que alargan la vida pero no para tratar enfermedades cardiovasculares ni prevenir el fallo cardíaco tras infarto de miocardio.<br /> <br /> Según han observado los científicos, tras el infarto, los corazones que expresan telomerasa muestran menos dilatación cardíaca, mejor función ventricular y cicatrices más pequeñas, lo que redunda en un incremento de la supervivencia de un 17% en comparación con los animales control.<br /> <br /> Además, todo apunta a que en estos corazones con telomerasa se están regenerando los cardiomiocitos -las células responsables de que el corazón lata-, un objetivo largamente buscado en las terapias post-infarto. La regeneración del músculo cardiaco contrarrestaría la formación de la cicatriz consecuencia del infarto, un tejido rígido que entorpece la función cardiaca y aumenta la probabilidad de fallo.<br /> <br /> "Nuestro trabajo sugiere que la activación de la telomerasa podría ser una estrategia terapéutica para prevenir el fallo cardiaco tras el infarto de miocardio", explican los autores del trabajo, en el que también han participado investigadores de la Universidad Autónoma de Barcelona y la de Hannover, Alemania.</p><p>El trabajo que ahora se publica parte de otro de 2012 en que el mismo grupo desarrolló una terapia génica para reintroducir el gen de la telomerasa en un organismo ya adulto. Entonces se demostró que, gracias a su recuperada capacidad de sintetizar telomerasa, los ratones viven un 40% más. Ahora los autores exploran la hipótesis de que, si la telomerasa retrasa el envejecimiento, también debe de combatir las enfermedades a él asociadas, como el infarto.<br /> <br /> La enzima es capaz de resetear el reloj biológico de la célula a base de reconstruir los telómeros, los capuchones de proteína que protegen los extremos de los cromosomas. Los telómeros se acortan cada vez que la célula se divide, hasta que se han reducido tanto que ya no pueden desempeñar su función protectora.<br /> <br /> Entonces la célula deja de dividirse y envejece. A escala de todo el organismo el acortamiento de los telómeros conduce a las enfermedades asociadas al envejecimiento, incluyendo la disfunción cardiaca tanto en ratones como en humanos.</p><p><strong>Evita el acortamiento de los telómeros </strong><br /> <br /> La telomerasa evita este acortamiento de los telómeros, pero en la inmensa mayoría de las células del organismo sólo lo hace antes del nacimiento; las células de un adulto, salvo excepciones, no tienen telomerasa.<br /> <br /> Para que vuelvan a tenerla, los autores inoculan a los ratones adultos un virus modificado de forma que entre sus genes incluya el de la telomerasa. En el trabajo seminal, el gen de la telomerasa reintroducido se expresaba prácticamente en todo el organismo. Pero esta vez los investigadores infectan solo el corazón, y cuando están seguros de que los animales expresan telomerasa en este órgano, les inducen un infarto.<br /> <br /> "Estos resultados demuestran que la activación de la telomerasa en el corazón adulto es beneficiosa para la supervivencia en ratones modelo que han sufrido un infarto agudo de miocardio, un efecto que coincide con células del miocardio con telómeros más largos y la activación de varias vías asociadas a la protección cardíaca y la regeneración", expone el artículo.<br /> <br /> Es una "prueba de concepto", prosigue, "para el desarrollo de estrategias innovadoras basadas en la activación de la telomerasa para tratar el fallo cardiaco crónico y agudo, y abre la puerta al tratamiento de otras enfermedades asociadas al envejecimiento".</p><p><a href="http://www.nature.com/ncomms/2014/141218/ncomms6863/full/ncomms6863.html" target="_blank">Nature Communications (2014); doi:10.1038/ncomms6863</a></p>
2014-12-21T06:35:57-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/719
Aterosclerosis: Los glóbulos blancos "escanean" el torrente sanguíneo para provocar daño cardiovascular
2014-12-09T06:50:14-05:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Centro Nacional de Investigaciones Cardiovasculares (CNIC) en España han descubierto que un subtipo de los principales agentes defensivos del organismo, los leucocitos o glóbulos blancos, lleva a cabo un procedimiento de "escaneo" dentro de los vasos sanguíneos que desencadena múltiples tipos de accidentes cardiovasculares. Los resultados se publican en la revista <a href="http://www.sciencemag.org/content/346/6214/1234.abstract" target="_blank"><strong>Science</strong>.</a>(DOI: 10.1126/science.1256478)</p><p>Si uno le preguntara a un médico que le prediga la probabilidad de que sufra un accidente cardiovascular, como un ictus o un infarto de miocardio, este le contestaría que la respuesta no es simple porque no se conoce exactamente cómo se inician estos accidentes. Dirá también que existen ciertos marcadores que, no obstante, son altamente predictivos.</p><p>Uno de estos marcadores es el nivel de un tipo específico de leucocitos -los neutrófilos- en la sangre. El otro, es la presencia de plaquetas activadas en el torrente sanguíneo, las cuales son responsables de la coagulación y contra las que se han desarrollado drogas tan conocidas como la aspirina.</p><p>La cuestión desde el punto de vista biológico es si existe una relación meramente casual entre ambos marcadores, o si realmente es que ambos tipos celulares, neutrófilos y plaquetas, cooperan para iniciar un accidente vascular.</p><p>En colaboración con grupos de la universidad complutense, del departamento de Imagen Avanzada del CNIC, y grupos en Alemania, EE UU y Japón, el equipo de Andrés Hidalgo, investigador del departamento de Aterosclerosis, Imagen y Epidemiología del CNIC, ha descrito un sorprendente mecanismo que explica cómo ambos tipos de células, neutrófilos y plaquetas, cooperan para iniciar accidentes cardiovasculares.</p><p>Para escudriñar este fenómeno, los investigadores han mirado directamente dentro de los vasos sanguíneos de tejidos vivos con técnicas avanzadas de microscopia, las cuales permiten ver neutrófilos y plaquetas individuales durante el proceso inflamatorio.</p><p>La primera sorpresa que se llevaron fue que los neutrófilos que se pegan al vaso inflamado extienden una especie de brazo o protrusión celular hacia el interior del vaso en la que se concentra una proteína altamente adhesiva. La segunda observación inesperada es que algunas de las plaquetas de la sangre se pegaban a esta proteína presente en esta protrusión.</p><p>Sorprendentemente, solo las plaquetas que estaban activadas -uno de estos marcadores predictivos de accidentes cardiovasculares- se adherían a esta estructura. La última observación, quizás la más sorprendente, es que esta proteína adhesiva es también capaz de mandar señales al neutrófilo para que inicie una respuesta inflamatoria. Esta respuesta es, en último término, la responsable del daño vascular.</p><p>Para investigar como este proceso puede subyacer a los accidentes vasculares referidos anteriormente, los investigadores indujeron ictus, choque séptico o daño pulmonar agudo en ratones en los que la proteína adhesiva estaba ausente o se había bloqueado, y se encontraron con que en todos ellos el grado de daño a los tejidos afectados (cerebro, hígado o pulmón) estaba significativamente reducido comparado con animales no tratados.</p><p>El trabajo explica antiguas observaciones clínicas, y tiene implicaciones que pueden ser inmediatas para entender cómo se originan muchos de los tipos de accidentes cardiovasculares más prevalentes en nuestra sociedad.</p><p>Para los autores, el estudio también ilustra como el uso de técnicas de última generación ayuda a descubrir procesos biológicos previamente desconocidos, y que ahora pueden ser manipulados para prevenir o tratar enfermedades que de otra manera pueden ser devastadoras para la salud humana.<br /> <a href="http://noticiasdelaciencia.com/not/12135/los-globulos-blancos-lsquo-escanean-rsquo-la-sangre-para-provocar-ictus/" target="_blank"><strong>diciembre 5/2014 (NCYT)</strong></a></p><p>Vinatha Sreeramkumar,José M. Adrover,Ivan Ballesteros,Maria Isabel Cuartero,Jan Rossaint,Izaskun Bilbao.<em><strong>Neutrophils scan for activated platelets to initiate inflammation</strong></em>. Science.Vol. 346 no. 6214 pp. 1234-1238. 5 Dec 2014</p>
2014-12-09T06:50:14-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/718
Ciencia y Tecnología: ¿Hay diferencia entre el cerebro de una mujer y el de un hombre?
2014-12-09T04:50:36-05:00
Revista Finlay
<p>Investigadores de la Universidad de Pensilvania han realizado un estudio basado en el escaneo de cerebros de 1000 hombres, mujeres, niños y niñas, averiguando llamativas diferencias.</p><p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/12/cerebro.jpg"><img class="alignleft size-thumbnail wp-image-38569" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/12/cerebro-150x150.jpg" alt="cerebro" width="150" height="150" /></a>En el primer dibujo podemos ver que la conexión del cableado son de delante a atrás y en color azul, es un cerebro de un hombre y el segundo cableado de color naranja, donde podemos apreciar que la conexión va de un hemisferio a otro, es el de una mujer. Estas diferencias podrían explicar porque los hombres normalmente son mejores en el aprendizaje y la realización de una sola tarea, mientras que las mujeres están más equipadas para realizar varias tareas al mismo tiempo. Esta conclusión destacada por los investigadores, ha sido publicada en la revista <a href="http://www.pnas.org/content/111/2/823" target="_blank"><strong>Proceedigs de la A. Nacional de la Ciencia</strong></a>.(doi: 10.1073/pnas.1316909110)</p><p>Después de varias pruebas a ambos sexos, los resultados fueron que las mujeres tienen un alto nivel de atención, memoria y cognitación social, mientras que los hombres desempeñan mejor el procesamiento espacial y la velocidad sensora-motora.</p><p>Los mapas detallados del cerebro nos ayudan a tener una visión más clara de las raíces de los trastornos neurológicos que a menudo se relacionan con el sexo.</p><p>Según el profesor Heidi Johansen-Berg, experto neurólogo de la Universidad de Oxford, el cerebro es un órgano tan complejo que aunque no haya tal cosa como el cableado cuando se trata de las conexiones cerebrales, no se puede generalizar.<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=26611&Itemid=413" target="_blank"><strong>diciembre 5/2014 (Diario Salud)</strong></a></p><p>Madhura Ingalhalikara,Alex Smitha,Drew Parkera,Theodore D. Satterthwaiteb,Mark A. Elliottc,Ragini Vermaa.<em><strong>Sex differences in the structural connectome of the human brain</strong></em>.PNAS, vol.111 no.2. Sept 2013</p>
2014-12-09T04:50:36-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/717
Ciencia y Tecnología: La oxigenación cerebral de los atletas kenianos es una clave de su éxito
2014-12-09T04:46:04-05:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/cerebro1_540.jpg" alt="" width="195" height="132" />Cuando la oxigenación cerebral en el lóbulo prefrontal (asociado al control del movimiento y a la toma de decisiones) cae, la actividad neuronal de esa zona también cae. Según los científicos, esta caída en la activación neuronal podría explicar la caída del rendimiento observada en atletas europeos. La razón es que también cae la oxigenación cerebral.</p><p>El estudio, presentado en julio 2014 en el Congreso Europeo de Ciencia del Deporte en Amsterdam (Países Bajos) y publicado en el <a href="http://jap.physiology.org/content/early/2014/11/13/japplphysiol.00909.2014" target="_blank"><strong>Journal of Applied Physiology</strong></a> (DOI: 10.1152/japplphysiol.00909.2014), demuestra que esta caída de la actividad neuronal en atletas kenianos no ocurre.</p><p>"Creemos que la activación neuronal en el lóbulo prefrontal no se ve comprometida y quizá esa capacidad de mantener su oxigenación cerebral de manera estable pueda contribuir a su gran rendimiento en las pruebas de fondo", señala el doctor Jordan Santos-Concejero, del departamento de Educación Física y Deportiva de la Universidad del País Vasco (UPV/EHU), en España.</p><p>Con el fin de analizar la respuesta de la oxigenación cerebral a ritmo máximo y progresivo en los corredores de élite de la tribu Kalenjin (Kenia), el equipo de científicos demuestra que estos corredores son capaces de mantener su oxigenación cerebral dentro de un rango estable, contribuyendo a su éxito en carreras de larga distancia.</p><p>Las pruebas se realizaron en los laboratorios de la Unidad de Investigación para la Ciencia del Ejercicio y la Medicina del Deporte de la Universidad del Cabo y la Universidad de Stellenbosch en Sudáfrica. Para el estudio se eligieron 15 kenianos de élite (todos ellos de la tribu Kalenjin), atletas de gran nivel con marcas en media maratón entre 1.01 y 1.03. Los científicos estudiaron la oxigenación cerebral durante el ejercicio (básicamente cambios en la oxihemoglobina, deoxihemoglobina, flujo sanguíneo, saturación arterial, entre otros) a través de NiRS (Near-infrared Spectroscopy) y oximetría durante una prueba máxima de cinco kilómetros y un test máximo incremental.</p><p>"En contra de todo lo publicado en la literatura -explica Santos-Concejero-, vimos que los kenianos eran capaces de mantener su oxigenación de manera estable durante la prueba de cinco kilómetros, lo que tiene implicaciones para el rendimiento de los atletas".</p><p>Una oxigenación cerebral estable de los atletas africanos podría deberse a factores de vida tempranos como la exposición prenatal a altitudes altas y los grandes niveles de actividad física durante la niñez.</p><p>"La exposición prenatal a altitudes altas tiene unos efectos protectores sobre el feto, un mayor flujo de sangre a la arteria uterina, que podría implicar una mayor capacidad cardiopulmonar en la madurez y, por consiguiente, una menor incidencia de la desaturación arterial durante ejercicios de alta intensidad", manifiesta el estudio.</p><p>Por otra parte, la práctica de ejercicio físico de manera habitual durante la niñez implica beneficios como incrementos en la masa ventricular, coordinación motora, menores niveles de citoquinas y, lo más importante, un mayor crecimiento neuronal consecuencia de una mayor vascularización del encéfalo concluye Santos-Concejero.</p><p>"Este último punto podría explicar también parcialmente el que su oxigenación cerebral se mantenga durante esfuerzos máximos",<br /> <a href="http://noticiasdelaciencia.com/not/12127/la-oxigenacion-cerebral-de-los-atletas-kenianos-es-una-clave-de-su-exito/" target="_blank"><strong>diciembre 5/2014 (NCYT)</strong></a></p><p>Jordan Santos-Concejero, François Billaut, Lara Grobler, Jesús Oliván, Timothy David Noakes, Ross Tucker.<em>Maintained cerebral oxygenation during maximal self-paced exercise in elite Kenyan runners.</em>Nov 20, 2014</p>
2014-12-09T04:46:04-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/716
Alcoholismo: Un gran consumo de alcohol en la adolescencia puede deteriorar el cerebro de modo duradero
2014-12-04T06:01:00-05:00
Revista Finlay
<p>Beber mucho durante la adolescencia podría llevar a cambios estructurales en el cerebro y a déficits de memoria que persistan en la fase adulta, según los inquietantes resultados de un estudio hecho sobre animales.</p><p>En el estudio se encontró que, incluso como adultas, las ratas que tuvieron un acceso diario al alcohol durante su adolescencia tenían niveles reducidos de mielina. Con una función no muy distinta a la del revestimiento aislante de los cables eléctricos, la mielina conforma una capa aislante que rodea a los axones. Estos son prolongaciones filiformes de las neuronas que permiten trasmitir los impulsos nerviosos.</p><p>Esos cambios cerebrales en las ratas se observaron en una región cerebral importante para el razonamiento y la toma de decisiones. Los animales que bebían más alcohol también actuaron peor en una prueba de memoria realizada cuando fueron adultos. Los resultados sugieren que las altas dosis de alcohol durante la adolescencia podrían continuar afectando al cerebro aún cuando el individuo haya abandonado el consumo de alcohol. Se necesitan más investigaciones para determinar si se pueden aplicar estos resultados a humanos.</p><p>Según la Organización Mundial de la Salud, un número creciente de adolescentes y adultos jóvenes se entrega al hábito de beber hasta emborracharse, consumiendo cuatro (cinco para hombres) o más copas en aproximadamente dos horas. Investigaciones previas en humanos han mostrado una asociación entre un episodio de bebida en exceso (borrachera) en la adolescencia, cambios en la mielina en varias regiones cerebrales, y deterioros cognitivos en la adultez. Sin embargo, no se sabía si el alcohol estaba detrás de estas diferencias cerebrales y de comportamiento o si había factores de predisposición que pudieran explicar lo hallado.</p><p>En este estudio, Heather N. Richardson, Wanette M. Vargas, Lynn Bengston y Brian W. Whitcomb, de la Universidad de Massachusetts en la ciudad estadounidense de Amherst, así como Nicholas W. Gilpin, de la Universidad Estatal de Luisiana en Nueva Orleans, Estados Unidos, compararon la mielina en la corteza prefrontal (una zona del cerebro que es vital para razonar y tomar decisiones) en ratas macho jóvenes a las que les daban un acceso diario a alcohol edulcorado o a agua edulcorada durante dos semanas. Se constató que los animales que bebieron alcohol en su adolescencia experimentaron una reducción de los niveles de mielina en la corteza prefrontal, en comparación con aquellos que bebieron una cantidad similar de agua edulcorada. Cuando los investigadores examinaron a los animales expuestos al alcohol varios meses más tarde, encontraron que continuaban mostrando niveles de mielina reducidos como adultos.</p><p>Los investigadores también examinaron cómo los animales adultos que se emborracharon en su adolescencia se comportaban en una prueba que evaluaba la memoria de trabajo, que es la que permite mantener información en "primer plano" aunque sea nueva, por cortos períodos de tiempo. Un ejemplo del uso de la memoria de trabajo es cuando recordamos durante unos instantes, sin necesidad de tomar nota, un número telefónico que no sabíamos y que acabamos de escuchar. Gracias a esta memoria, comparable a la RAM de un ordenador, podemos teclear directamente ese número telefónico sin tener que apuntarlo primero. Esta clase de memoria la empleamos miles de veces al día. Cuanto más alcohol consumieron las ratas a lo largo del período de dos semanas en su adolescencia, peor fue su eficiencia en la tarea de memoria de trabajo como adultas.</p><p>Este estudio sugiere que la exposición a altas dosis de alcohol durante la adolescencia podría causar daños persistentes, o incluso permanentes, en ciertas fibras cerebrales. Estos daños podrían propiciar que las funciones cognitivas implicadas en el aprendizaje se vieran comprometidas de manera persistente.<br /> <a href="http://noticiasdelaciencia.com/not/12056/un-gran-consumo-de-alcohol-en-la-adolescencia-puede-deteriorar-el-cerebro-de-modo-duradero/" target="_blank"><strong>noviembre 27/2014 (NCYT)</strong></a></p><p>Wanette M. Vargas,Lynn Bengston,Nicholas W. Gilpin,Brian W. Whitcomb,Heather N. Richardson.<em><strong>Alcohol Binge Drinking during Adolescence or Dependence during Adulthood Reduces Prefrontal Myelin in Male Rats.</strong></em><a href="http://www.jneurosci.org/content/34/44/14777.abstract" target="_blank"><strong> The Journal of Neuroscience,</strong></a> 29 Oct 2014, 34(44): 14777-14782.doi: org/10.1523/JNEUROSCI.3189-13.2014</p>
2014-12-04T06:01:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/715
Cáncer: Un paso más cerca de las vacunas contra el cáncer
2014-12-04T05:30:08-05:00
Revista Finlay
<p>Un estudio en fase I muestra la seguridad y eficacia de un anticuerpo en tumor de vejiga metastásico.</p><p>El anticuerpo monoclonal MPDL3280A, que bloquea la proteína PD-L1, se ha mostrado eficaz para reducir el tamaño de los tumores secundarios en los pacientes con cáncer de vejiga metastásico, según los resultados de un estudio multicéntrico en el que ha participado Cristina Cruz, del Grupo de Desarrollo Clínico Precoz de Fármacos del Valle de Hebrón Instituto de Oncología (VHIO), que ha sido el único centro español implicado en esta investigación.</p><p>El trabajo es uno de los cinco que se publican en <a href="http://www.nature.com/nature/journal/v515/n7528/full/nature13904.html" target="_blank"><strong>Nature</strong></a> ( doi: 10.1038/nature13904.) sobre inmunoterapia en cáncer, y pone de relieve el potencial de este anticuerpo dirigido contra las proteínas control, conocidas como checkpoint, PD1 y PD-L1 en oncología.</p><p>En concreto, dos de los artículos aportan evidencia de su seguridad y eficacia tanto en cáncer de vejiga metastásico como en algunas formas cáncer de pulmón, melanoma y tumores renales, entre otros. Además, estos investigadores han podido identificar biomarcadores vinculados a las respuestas al tratamiento.</p><p>Punto de partida<br /> Otros estudios que constan en la literatura científica ya habían descubierto que la proteína PD-L1 está presente en una gran variedad de tumores y que se trata de un punto de control del sistema inmunitario. La presencia de esta proteína favorece que las células tumorales puedan evadir las defensas naturales del organismo, por lo que la enfermedad progresa.</p><p>Cruz ha explicado a Diario Médico que, según estos datos, se pensó que al bloquear a PD-L1 se podría compensar dicho efecto y restaurar la respuesta inmunológica del organismo y vencer la enfermedad.</p><p>El trabajo en el que ha colaborado el VHIO analizó datos de 68 pacientes con cáncer de vejiga metastásico que tenían la proteína PD-L1, de los cuales un 43 % respondieron de forma positiva. Posteriormente se decidió probar el fármaco biológico en el grupo de los que habían dado negativo a la proteína PD-L1, de los cuales un 11 % también mostró mejoría.</p><p>Según Cruz, el motivo por el que este anticuerpo funciona también en el grupo de los negativos "es un debate científico que aún no está contestado". Entre las principales hipótesis que se barajan está la posibilidad de que PD-L1 sea una proteína dinámica que pueda aparecer después de efectuada la prueba diagnóstica, o los posibles problemas y errores técnicos a la hora de detectarla.</p><p>Riñón, pulmón y piel<br /> Otro estudio similar que publica<a href="http://www.nature.com/nature/journal/v515/n7528/full/nature14011.html" target="_blank"><strong> Nature</strong></a> (doi:10.1038/nature14011 ), dirigido por Stephen Hoti, del Instituto Dana-Farber, en Boston (Estados Unidos), demuestra el beneficio del medicamento MPDL3280A en tumores de riñón, melanoma y pulmón. Pero, al igual que con otros medicamentos de inmunoterapia, muchos pacientes no vieron ningún beneficio.</p><p>En este trabajo también se pudo observar que el anticuerpo es más eficaz cuando las células inmunes de los pacientes que rodean los tumores expresan la proteína PD-L1 y que la reducción del tumor en pacientes fue menor en los enfermos que nunca desarrollaron una respuesta inmune al cáncer.<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2014/11/27/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/paso-mas-cerca-vacunas-contra-cancer" target="_blank"><strong>noviembre 27/2014 (Diario Médico)</strong></a></p><p>Powles T, Eder JP, Fine GD, Braiteh FS, Loriot Y, Cruz C.<em><strong>MPDL3280A (anti-PD-L1) treatment leads to clinical activity in metastatic bladder cancer.</strong></em>Nature. 2014 Nov 27;515(7528):558-62.</p><p>Roy S. Herbst,Jean-Charles Soria,Marcin Kowanetz,Gregg D. Fine,Omid Hamid.<em><strong>Predictive correlates of response to the anti-PD-L1 antibody MPDL3280A in cancer patients.</strong></em>Nature 515, 563-567.26 Nov 2014</p>
2014-12-04T05:30:08-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/714
Ciencia y Tecnología: Crean un modelo matemático que predice la respuesta inmune
2014-12-02T06:31:24-05:00
Revista Finlay
<p>Según los investigadores este modelo podría utilizarse para manipular la respuesta inmune frente a determinadas patologías o a enfermedades autoinmunes.</p><p>Un grupo de investigadores del Instituto Walter and Eliza Hall (Australia) han utilizado las matemáticas y modelos computacionales para entender por primera vez la complejidad de la respuesta de las células T, encargadas de la lucha frente a las infecciones. El uso de modelos matemáticos permite predecir la respuesta inmune y dar pistas sobre cómo modificarla beneficiando la salud del paciente.</p><p>El equipo combinó datos obtenidos en el laboratorio con modelos matemáticos para clarificar el impacto de señales externas en la proliferación de células T. Según Julia Marchingo, autora de la investigación publicada en<a href="http://www.sciencemag.org/content/346/6213/1123.abstract?sid=334c4a57-dad1-474f-8793-2032bcd15ce6#aff-1" target="_blank"><strong> Science</strong></a>,(DOI: 10.1126/science.1260044) "cuanto más se dividen las células T, mejor pueden enfrentarse a su objetivo".</p><p>La investigación ha logrado, por primera vez, predecir el grado de una respuesta inmune mediante la suma de las señales recibidas por las células T que respondieron a distintas patologías. Según Susanne Heinzel, otra de las investigadoras, los nuevos modelos proporcionan datos sobre cómo las respuestas inmunes pueden ser manipuladas para mejorar la salud, como por ejemplo en el caso del cáncer.</p><p>El coautor del artículo, Phil Hodgkin, ha señalado que su investigación muestra la contribución de los errores en el desarrollo de la respuesta inmune a enfermedades autoinmunes. "A largo plazo podríamos potenciar los esfuerzos para prevenir el riesgo de una persona de presentar una enfermedad autoinmune y mejorar el tratamiento de estas enfermedades", ha asegurado.<br /> <a href="http://inmunologia.diariomedico.com/2014/11/27/area-cientifica/especialidades/inmunologia/crean-modelo-matematico-predice-respuesta-inmune" target="_blank"><strong>noviembre 27/2014 (Diario Médico)</strong></a></p><p>Julia M. Marchingo,Andrey Kan,Robyn M. Sutherland,Ken R. Duffy,Cameron J. Wellard,Gabrielle T. Belz.<em><strong>Antigen affinity, costimulation, and cytokine inputs sum linearly to amplify T cell expansion</strong></em>.Science.Vol. 346 no. 6213 pp. 1123-1127.28 Novr 2014:</p>
2014-12-02T06:31:24-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/713
Factores de riesgo cardiovascular: Detectan anomalía cerebral en muchos bebés que sufrieron muerte súbita
2014-12-01T17:14:43-05:00
Revista Finlay
<p>Una anomalía en el cerebro podría ser responsable de más del 40 % de las muertes por el síndrome de muerte súbita del lactante (SMSL), sugiere un estudio reciente.</p><p>La anomalía se halla en el hipocampo, una parte del cerebro que influye sobre la respiración, la frecuencia cardiaca y la temperatura corporal. Esa malformación podría trastornar el control del cerebro sobre la respiración y la frecuencia cardiaca durante el sueño o durante el despertar breve que ocurre de noche, informan los investigadores.</p><p>"Esta anomalía podría poner a los bebés en riesgo de SMSL", advirtió la investigadora líder, la Dra. Hannah Kinney, profesora de patología de la Facultad de Medicina de la Universidad de Harvard, en Boston.</p><p>Kinney no puede asegurar que esta anomalía sea la causa del SMSL. "En esta etapa no lo sabemos. Es la primera observación de esta alteración", apuntó. "En este momento es solo una observación".</p><p>Antes de que esta anomalía cerebral pueda ser considerada como una causa del SMSL, dijo Kinney, hay que averiguar qué provoca la anomalía y determinar si es una causa única del SMSL.</p><p>Para el estudio, el equipo de Kinney examinó secciones del hipocampo de 153 bebés que murieron de forma súbita e inesperada entre 1991 y 2012. Las muertes se clasificaron como sin explicación (lo que incluye el SMSL) o de una causa conocida, como una infección, un accidente, asesinato o falta de oxígeno.</p><p>El grupo de Kinney encontró que el 41.2 % de los bebés que murieron de un motivo sin explicar, en comparación con el 7.7 % de aquellos cuyas muertes se pudieron explicar, presentaban una malformación en la parte del hipocampo que se conoce como giro dentado.</p><p>Entre los 86 bebés cuyas muertes se clasificaron como SMSL, el 43 % tenían la anomalía, añadieron los investigadores.</p><p>Ese cambio en el giro dentado sugiere que hubo un problema en el desarrollo en algún momento tardío de la vida del feto o en los meses tras nacer, dijo Kinney.</p><p>Kinney añadió que esta anomalía solo ha sido observada bajo el microscopio tras la muerte, de forma que no se puede evaluar la anomalía en un niño.</p><p>"No hay señales ni síntomas que predigan el SMSL ni que adviertan a las familias de que este problema existe o que ocurrirá el SMSL", lamentó.</p><p>El informe aparece en la revista <a href="http://link.springer.com/article/10.1007/s00401-014-1357-0" target="_blank"><strong>Acta Neuropathologica</strong></a>(DOI: 0.1007/s00401-014-1357-0)</p><p>"Hasta que comprendamos más sobre esta anomalía, los padres deben seguir las recomendaciones sobre un sueño seguro de la Academia Americana de Pediatría (American Academy of Pediatrics)", enfatizó Kinney.</p><p>La recomendación es poner al bebé a dormir solo en una cuna, de espaldas y sin juguetes ni almohadas como apoyos. "Los mismos mensajes que siempre hemos dado siguen aplicando", dijo.</p><p>El SMSL es la principal causa de muerte de bebés menores de un año de edad en Estados Unidos, comentaron los investigadores.</p><p>El Dr. Sayed Naqvi, neurólogo pediátrico del Hospital Pediátrico de Miami, anotó que esta anomalía cerebral se ha encontrado en la epilepsia, pero que es la primera vez que se ha vinculado con el SMSL.</p><p>"Se debe confirmar y hay que realizar más investigación para afirmar que es una causa de SMSL", afirmó.</p><p>Marian Willinger, asistente especial sobre el SMSL del Instituto Nacional de Salud Infantil y Desarrollo Humano Eunice Kennedy Shriver de los Institutos Nacionales de la Salud de Estados Unidos, dijo en una declaración que "el nuevo hallazgo amplía las evidencias crecientes de que unas anomalías cerebrales podrían subyacer a muchos casos de SMSL".</p><p>"La esperanza es que los esfuerzos de investigación en esta área en algún momento provean el medio de identificar a los bebés vulnerables, de forma que podamos reducir su riesgo de SMSL", añadió.<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_149691.html" target="_blank"><strong>noviembre 26/2014 (Medlineplus)</strong></a></p><p>Kinney HC, Cryan JB, Haynes RL, Paterson DS, Haas EA, Mena OJ. <strong><em>Dentate gyrus abnormalities in sudden unexplained death in infants: morphological marker of underlying brain vulnerability</em></strong>. <em>Acta Neuropathol</em>. 2014 Nov 25.</p>
2014-12-01T17:14:43-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/712
Obesidad: Un equipo de investigadores de la Universidad de Santiago de Compostela ha descubierto cómo las ceramidas pueden afectar a ciertas áreas del hipotálamo interfiriendo en los mecanismos que regulan la actividad del tejido adiposo pardo. La acción de las c
2014-11-21T03:34:31-05:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/obesidad1.jpg" alt="" width="183" height="121" />Un equipo de investigadores de la Universidad de Santiago de Compostela ha descubierto cómo las ceramidas pueden afectar a ciertas áreas del hipotálamo interfiriendo en los mecanismos que regulan la actividad del tejido adiposo pardo.</p><p>La acción de las ceramidas, según el artículo publicado en <a href="http://www.diariosalud.net/content/view/26568/413/" target="_blank">Cell Reports</a>, disminuye el gasto calórico, incrementa la masa corporal y dificulta la quema de calorías y la producción de calor corporal</p><p>La investigación liderada por Miguel López, ha tenido lugar en el Centro de Investigación Biomédica en Red-Fisiopatología de la Obesidad y la Nutrición (CIBERobn), ha consistido en manipular genéticamente una de las proteínas implicadas en el proceso para contrarrestar sus propiedades y su toxicidad, que afectaba al hipotálamo.</p><p>Estas proteínas manipuladas han sido después inyectadas en ratas obesas, o que habían sido engordadas con tratamientos mediante ceramidas, y se ha comprobado cómo conseguían adelgazar a pesar de recibir la misma cantidad de alimento.</p><p>Asimismo, las ceramidas generan diabetes asociada a la obesidad, que desaparece al aplicar este tratamiento.</p><p>En concreto, las ceramidas alteran los procesos de plegamiento de proteínas en las zonas de tejido adiposo pardo del hipotálamo, lo que se conoce como estrés de retículo endoplasmático.</p><p>Como consecuencia, se produce una acumulación de proteínas mal plegadas en el hipotálamo que hace que el tejido adiposo se "desconecte", queme menos grasas y promueva el aumento de peso y la aparición de diabetes.</p><p>Miguel López ha señalado que los mecanismos moleculares que regulan el funcionamiento del tejido adiposo en el cerebro "no son del todo conocidos por lo que es determinante comprenderlos" y ha destacado su posible papel como objetivo terapéutico en el tratamiento de la obesidad.</p><p><a title="nuevo mecanismo" href="http://www.diariosalud.net/content/view/26568/413/" target="_blank">noviembre 21/ 2014 (DM)</a></p>
2014-11-21T03:34:31-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/711
Tabaquismo: Los ex fumadores que ganan no más de 2 kilos, tienen un 49% menos de riesgo de muerte que los fumadores
2014-11-20T07:31:36-05:00
Revista Finlay
Un estudio presentado en el congreso de la Asociación Americana del Corazón, celebrado recientemente en Chicago, ha determinado que dejar el tabaco es beneficioso para la salud a pesar del aumento de peso. El individuo que supera la dependencia del tabaco ve aminorado en un 49% el riesgo de muerte, independientemente de los kilos que gane.<br /> <br /> Trabajos previos habían descrito la vinculación entre la cesación tabáquica y el incremento de masa corporal, y cifrado el peso medio adquirido por los exfumadores en 3-5 kilos. También los mecanismos que explican el fenómeno, en el que intervienen encimas que desempeñan un papel fundamental en el metabolismo de la grasa y que actúan en un doble sentido: aumentando el hambre y reduciendo el gasto de energía, está suficientemente documentado.<br /> <br /> El presente estudio, realizado por investigadores del Centro de Exámenes de Salud de Moriguchi, en Osaka, Japón, se centra en el beneficio para la salud de los ex fumadores que engordan frente a quienes no dejan el hábito. Para ello, los autores compararon las muertes de todo tipo de 1.305 japoneses adultos que habían dejado de fumar con las de 2.803 ciudadanos que murieron con su adicción. El 65% eran hombres y la muestra tenía una media de edad de 54 años.<br /> <br /> A partir del seguimiento de estas personas entre 1997 y 2013, el trabajo estableció tres grupos de ex fumadores: los que no ganaron peso (el 23%), los que engordaron hasta 2 kilos (35%) y los que ganaron más de 2 kilos (37%). Al comparar los historiales clínicos de estas personas con los de los fumadores, el primer grupo (los que se quedaron igual) presentó hasta un 34% menos de riesgo de muerte. Y quienes engordaron, un 49% y un 26% (los que más peso adquirieron).
2014-11-20T07:31:36-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/710
Factores de riesgo cardiovascular: La obesidad promueve enfermedades autoinmunes
2014-11-18T15:18:03-05:00
Revista Finlay
<p>Las dolencias autoinmunes, como por ejemplo la Enfermedad de Crohn y la esclerosis múltiple, en las que el sistema inmunitario ataca a su propio cuerpo en vez de a organismos invasores, afectan a entre el 5 y el 20 % de la comunidad global. Los resultados de un nuevo estudio indican que la obesidad es más importante de lo creído como causa potencial de la aparición y prolongación de estas enfermedades autoinmunes, y aportan nuevos y esclarecedores datos acerca del mecanismo por el que se produce el fenómeno.</p><p>Según las conclusiones a las que ha llegado el equipo de Yehuda Shoenfeld, profesor en la Universidad de Tel Aviv en Israel, la obesidad hace que deje de funcionar debidamente el sistema de autotolerancia defensiva del cuerpo, creando el ambiente propicio para las enfermedades autoinmunes, y generando un entorno proinflamatorio que probablemente empeora la progresión de la enfermedad y dificulta su tratamiento.</p><p>Se sabe de diversas causas potenciales para las dolencias autoinmunes, como infecciones, el tabaco, pesticidas, y la falta de vitaminas, entre otras. Pero en los últimos cinco años, tal como subraya Shoenfeld, ha emergido un nuevo e inesperado factor que no puede ser ignorado: La obesidad.</p><p>Según la Organización Mundial de la Salud, aproximadamente el 35 % de la comunidad global tiene sobrepeso o es obesa, y más de diez enfermedades autoinmunes coinciden en los sujetos afectados con su condición de personas con kilos de más. Así que es fundamental investigar a fondo los detalles de la implicación de la obesidad en la patología de tales enfermedades.</p><p>Además de sus propias investigaciones, el equipo de Shoenfeld llevó a cabo una revisión sistemática de resultados de 329 estudios de todo el mundo sobre la relación entre obesidad, adipocitoquinas (compuestos que segrega el tejido graso y que están implicados en numerosas funciones fisiológicas, incluyendo la respuesta inmunitaria), y afecciones relacionadas con el sistema inmunitario, como la artritis reumatoide, la esclerosis múltiple, la diabetes de tipo 1, la psoriasis, la enfermedad inflamatoria intestinal, la artritis psoriásica, y la tiroiditis de Hashimoto.</p><p>Según la nueva investigación y los datos clínicos y experimentales revisados, la implicación de las adipocitoquinas en la patogénesis de estas enfermedades autoinmunes está clara. Shoenfeld y sus colaboradores han podido detallar las actividades metabólicas e inmunitarias de las adipocitoquinas principales que aparecen con el desarrollo de varias dolencias inmunitarias</p><p>El equipo de Shoenfeld llevó a cabo un estudio sobre poblaciones de ratones con esclerosis múltiple a los que se les dio una dieta mediterránea rica en grasas insaturadas.</p><p>Se constató que la obesidad también era capaz de promover deficiencia de vitamina D, y que, una vez corregida, aliviaba la parálisis y el deterioro renal asociados con el trastorno. También mejoró la supervivencia de los ratones.<br /> <a href="http://noticiasdelaciencia.com/not/11940/la-obesidad-promueve-enfermedades-autoinmunes/" target="_blank"><strong>noviembre 13/2014 (NCYT)</strong></a></p><p>Versini M, Jeandel PY, Rosenthal E, Shoenfeld Y.Obesity in autoimmune diseases: not a passive bystander.<strong><a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1568997214001414" target="_blank">Autoimmun Rev</a></strong>. 13(9):981-1000. doi: 10.1016/j.autrev.2014.07.001. 2014 Ago 2.</p>
2014-11-18T15:18:03-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/709
Diabetes Mellitus: Crean nanomedicina para pie diabético
2014-11-18T10:00:51-05:00
Revista Finlay
<p>Científicos españoles y cubanos desarrollaron una nanomedicina que permite regenerar el tejido de las úlceras de pie diabético y disminuye el riesgo de amputación, informó el Consejo Superior de Investigaciones Científicas de España.</p><p>Una nota de prensa de la institución indicó que en el hallazgo y su patente colaboraron el Instituto de Ciencias Materiales de Barcelona y el Centro de Ingeniería Genética y Biotecnología de La Habana.</p><p>Los investigadores descubrieron, agregó el comunicado, que si se integra la proteína EGF (factor de crecimiento epidérmico) en nanovesículas que desarrollaron, se genera un aumento considerable de la actividad de dicha proteína sobre el tejido ulcerado.</p><p>Esta nueva nanomedicina fue probada en animales y tratamientos compasivos en personas, y se lograron cicatrizaciones completas de las úlceras en el plazo de ocho semanas, precisó el especialista español Jaume Veciana Veciana, según la nota.</p><p>Las nanovesículas, también llamadas quatsomes, consisten en nanopartículas lipídicas similares a liposomas (vesículas esféricas) pero que poseen una gran estabilidad en el tiempo, superior a tres años, precisó Veciana.</p><p>La nueva nanoformulación tiene la ventaja, según el reporte, de permitir una administración tópica del medicamento nada dolorosa para el paciente en comparación con la administración por infiltración que se realiza en algunos tratamientos.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=3270461&Itemid=1" target="_blank"><strong>noviembre 13/2014 (PL)</strong> </a></p><p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p><p>Héctor Santana, Cesar L. Avila, Ingrid Cabrera,Rolando Páez,Viviana Falcón, Jaume Veciana.How does growth hormone releasing hexapeptide self-assemble in nanotubes?.<a href="http://pubs.rsc.org/en/content/articlelanding/2014/sm/c4sm01693a/unauth" target="_blank"><strong>Soft Matter</strong></a>. 2014 Nov 5;10(46):9260-9. doi: 10.1039/c4sm01693a.</p>
2014-11-18T10:00:51-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/708
Ciencia y Tecnología: Científicos del IRB descubren cómo la conexión entre hígado y cerebro regula el apetito
2014-11-15T06:30:02-05:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/Tejido_adiposo.jpg" alt="" />Los pacientes diabéticos no almacenan bien la glucosa en el hígado, uno de los motivos –no el único- por el que sufren hiperglucemia, es decir, por el que tienen demasiado azúcar en la sangre. Un estudio liderado por Joan J. Guinovart en el Instituto de Investigación Biomédica (IRB Barcelona) ha demostrado que cuando el hígado tiene reservas altas de glucosa, los pacientes experimentan sensación de saciedad, lo que evita que engorden. Se trata de la primera vez que se observa esta conexión entre hígado y apetito. Los autores del estudio, publicado en <em>Diabetes, </em>concluyen que aumentar la producción de glucógeno hepático sería un tratamiento eficaz para mejorar la diabetes y la obesidad.<br /> <br /> “Es interesante comprobar que lo que ocurre en el hígado tiene efectos directos sobre el apetito y desvelamos lo que ocurre a nivel molecular”, explica Guinovart, quien dirige uno de los laboratorios más experimentados del mundo en metabolismo del glucógeno y patologías asociadas. “Entendiendo qué funciona mal en diabetes y obesidad a nivel molecular estaremos más cerca de proponer nuevas dianas terapéuticas y encontrar soluciones”, prosigue, no sin puntualizar que ambas patologías se pueden prevenir comiendo equilibradamente y haciendo ejercicio diario. “Ya sólo con buenos hábitos los casos de diabetes tipo 2 caerían a la mitad”, recuerda Guinovart.<br /> <br /> <strong>Conexión hígado-cerebro</strong><br /> <br /> Los científicos se preguntaron por qué los ratones que acumulaban más glucógeno en hígado, aún sometiéndolos a una dieta apetitosa, no engordaban. Así, observaron que, en el cerebro de estos ratones, había pocas moléculas estimulantes del apetito y muchas moléculas depresoras. “Y dimos por fin con la pista, con la señal que podía explicar la conexión hígado-cerebro”, explica Iliana López-Soldado, investigadora postdoctoral que ha trabajado 3 años en los experimentos. <br /> <br /> La clave de la conexión entre hígado y cerebro es el ATP, la molécula utilizada por todos los organismos vivos para proporcionar energía a las células, y que está habitualmente alterada en diabetes y obesidad. “Hemos constadado cómo se correlacionan los niveles altos de glucógeno en hígado, los niveles constantes de ATP y los niveles altos de moléculas saciantes en el cerebro de los ratones”, explica López-Soldado.<br /> <br /> Este trabajo ha sido financiado por el Ministerio de Economía y Competitividad y la red CIBER de Diabetes y Enfermedades Metabólicas (CIBERDEM) de la que forma parte el laboratorio dirigido por Joan Guinovart, también catedrático de la Universidad de Barcelona.</p><h2 class="section"><a href="http://www.jano.es/noticia-cientificos-del-irb-descubren-como-23244">Webs Relaccionadas</a></h2><a href="http://diabetes.diabetesjournals.org/content/early/2014/09/23/db14-0728.abstract" target="_blank">Diabetes (2014); doi:10.2337/db14-0728</a>
2014-11-15T06:30:02-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/707
Diabetes Mellitus: Alertan sobre notable incremento de diabetes en Cuba
2014-11-15T06:10:09-05:00
Revista Finlay
<p><strong><img src="/public/site/images/mikhail/Diabetes_medición_de_glucosa.JPG" alt="" width="167" height="138" /></strong>La doctora Ileydis Iglesias, directora del Centro de Atención al Diabético, del Instituto de Endocrinología, de referencia nacional y colaborador para las organizaciones Panamericana y Mundial de la Salud, dijo a la AIN que la última encuesta nacional de factores de riesgo arrojó que un 10 por ciento de la población mayor de 15 años es diabética.</p><p>Precisó que <strong>la mortalidad por esa causa en ese período fue de 11,3 por ciento</strong>, no obstante apuntó que gracias al Programa Nacional de Atención Integral Diabético, establecido hace más de 30 años, decrecen en más de un tres por ciento las muertes por esta dolencia.</p><p>Esos pacientes tienen una esperanza de vida cercana a quienes no la padecen, en lo cual ha influido el Médico de la Familia, al pesquisar y diagnosticar a las personas con los factores de riesgo e intervenir tempranamente antes de desarrollar la enfermedad, acotó.</p><p>El consultorio de ese galeno es el lugar ideal para que reciban los cursos de información básica, la atención y el tratamiento, y también son de vital importancia las consultas multidisciplinarias en las áreas de salud.</p><p>Agregamos a este esfuerzo, las consultas de los hospitales donde los pacientes reciben atención de otros especialistas en el manejo de las complicaciones, y el Centro de Atención al Diabético en cada provincia, y siempre se procura también educar a la familia.</p><p>La diabetes es una enfermedad con la cual se puede vivir toda una vida, pero la base está en la educación, en la prontitud con que podamos actuar sobre los factores de riesgo para prevenirla y retrasar la aparición de las complicaciones invalidantes, acotó la endocrinóloga.</p><p>Constituye la primera causa de ceguera, y de amputación de miembros no traumática en el mundo, uno de los primeros motivos de insuficiencia renal; y quienes la padecen tienen de dos a cuatro veces el doble de riesgos de presentar una enfermedad cardiovascular o cerebrovascular, advirtió.</p><p>Insistió en la importancia de trabajar en los factores que se involucran en esta dolencia para mejorar la calidad y esperanza de vida y la no aparición de las complicaciones, hoy las primeras causas de muerte en el país.</p><p>En el mundo existen unos 382 millones de diabéticos y se espera para 2025 llegue a más de 500 millones, lo cual da una orientación del progreso de este mal, pero muchas personas deambulan por las calles y no saben que lo padecen, advirtió el doctor Félix Manuel Escaño, presidente de la Asociación Latinoamericana de Diabetes.</p><p>Destacó que el programa cubano para la prevención y control de esa enfermedad ha sido tomado como ejemplo en la región.</p><p>Ambos especialistas participaron en el Curso Latinoamericano de Diabetes, que concluyó hoy en el Palacio de Convenciones de La Habana como parte del IX Congreso de Factores de Riesgo de la Aterosclerosis.</p><p><strong>(Con información de la AIN)</strong></p>
2014-11-15T06:10:09-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/706
Diabetes Mellitus: Asocian el incremento de la prevalencia de la diabetes con el avance de la obesidad
2014-11-14T07:24:06-05:00
Revista Finlay
<p>La importancia del control del peso en pacientes diabéticos y la relevancia del médico de familia como primer paso del cribado y en su papel integrador del abordaje multidisciplinar en la atención al paciente con diabetes tipo 2 han sido dos de los temas analizados en el I Curso Regional de Diabetes Tipo 2 para R3-R4 de Familia, organizado por la Red de Grupos de Estudio para la Diabetes en Atención Primaria de Salud (RedGDPS) y patrocinado AstraZeneca. Durante esta formación, dirigida específicamente a médicos residentes de tercer y cuarto año, los ponentes han actualizado los últimos avances en los tratamientos para abordar la diabetes tipo 2.<br /> <br /> “Recientemente se han comercializado nuevos grupos terapéuticos que consiguen buen control glucémico con menos efectos secundarios, especialmente menor riesgo de hipoglucemias sin ganancia de peso o incluso con reducciones significativas”, explica la Dra. Sara Artola, coordinadora de la RedGDPS. Este tipo de terapias cumplen una función destacada si se tiene en cuenta la relación entre diabetes y obesidad. “El incremento de la prevalencia de diabetes en todo el mundo está estrechamente asociado con la pandemia de obesidad que afecta tanto a países desarrollados como a muchos de los países en desarrollo”, asegura la Dra. Artola.<br /> <br /> Por otra parte, los expertos insisten en la importancia de la labor de los médicos de familia como puerta de entrada al sistema de este tipo de pacientes. “El mal control de la diabetes tipo 2 acelera las complicaciones y la mortalidad prematura; un tratamiento precoz retrasa la aparición de complicaciones y mejora la calidad y esperanza de vida de los pacientes”, explica la Dra. “El médico de Atención Primaria debe velar por el mejor control del conjunto de los factores de riesgo cardiovascular para evitar el desarrollo de complicaciones”, afirma.<br /> <br /> <strong>Formación para la calidad asistencial</strong><br /> <br /> Con ese objetivo se organiza el trabajo de la RedGDPS, al frente de actividades formativas dirigidas a médicos de Atención Primaria con interés en la diabetes desde hace más de 15 años. “La mejor formación, el dominio de la técnica y las habilidades de comunicación son elementos clave para la mejora continua de la calidad asistencial que debe estar presente en la práctica diaria”, afirma la coordinadora de la Red, quien hace hincapié en el perfil de los asistentes a esta actividad. “Especialmente los R4, pero también los R3, deben empezar a asumir las decisiones clinicoterapéuticas de la consulta diaria y es fundamental que adquieran destreza en el manejo de las patologías crónicas que habitualmente se controlan desde el ámbito de la Atención Primaria, como es el caso de la diabetes”, señala.<br /> <br /> El contenido de este curso ha girado en torno a la aplicación práctica de la formación impartida. “Se ha elegido el formato de grupos reducidos, repetidos tres veces, para favorecer la participación y discusión de casos clínicos. De forma original se han incluido los talleres de ejercicio físico, que incorporan la práctica del mismo, y el diseño de dietas individualizadas”, explica la Dra. Artola, que recuerda además la importancia de la coordinación entre los especialistas. “La comunicación y el contacto a través de nuevas plataformas entre los profesionales de los distintos ámbitos asistenciales permiten la optimización de la atención clínica y de los recursos asistenciales”, concluye.</p><p><a href="http://www.jano.es/noticia-asocian-el-incremento-prevalencia-diabetes-23240" target="_blank">Tomado de Jano</a></p>
2014-11-14T07:24:06-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/705
Tratamientos: Combinar ejercicio físico de baja intensidad y electroestimulación mejora la masa muscular en ancianos
2014-10-31T21:01:26-04:00
Revista Finlay
<p>El ejercicio moderado o de baja intensidad, frente al ejercicio intenso, mejora la masa muscular y la autonomía de las personas mayores en sus actividades cotidianas, reduciendo el riesgo de lesiones. Además, la combinación de este ejercicio moderado con técnicas de electroestimulación activa ha permitido mejorar la masa muscular del recto anterior del cuádriceps en un 42%.<br /> <br /> Éstos son los principales resultados de un estudio elaborado por el equipo de investigadores del Grado en Fisioterapia de la Universidad CEU Cardenal Herrera (CEU-UCH) de Valencia y encabezado por el profesor Vicent Benavent sobre el efecto del ejercicio físico de baja intensidad combinado con electroestimulación neuromuscular en personas mayores de 75 años. Los resultados de este trabajo se publican en <em>Experimental Gerontology.</em><br /> <br /> Tal como explican los profesores de la CEU-UCH Vicent Benavent y Pedro Rosado, codirectores de la investigación, uno de los principales efectos de la edad es "la pérdida progresiva de masa y fuerza muscular en las extremidades inferiores, lo que tiene importantes consecuencias funcionales en las actividades cotidianas de las personas mayores, reduciendo su independencia y aumentando el riesgo de caídas y hospitalizaciones".<br /> <br /> Para mejorar estas condiciones físicas en la edad adulta, el equipo de investigadores en Fisioterapia de la CEU-UCH evaluó los efectos del ejercicio de baja intensidad, combinando electroestimulación neuromuscular, que provoca contracciones musculares mediante impulsos eléctricos, con contracciones voluntarias, una forma de "ejercicio activo asistido".<br /> <br /> El estudio se realizó durante 4 meses con un grupo de 89 ancianos de entre 75 y 96 años, todos ellos con capacidad para realizar actividades cotidianas con independencia. Divididos en 3 grupos, realizaron distintos tipos de ejercicios de extensión de la rodilla de baja intensidad: el primer grupo, mediante contracción voluntaria del músculo; el segundo, con electroestimulación neuromuscular; y el tercero, a través de la combinación de ambas actividades. Los ejercicios de extensión de la rodilla permitieron comprobar los efectos de estos tres tipos de actividad de baja intensidad en el músculo recto anterior.</p><p><strong>Mejora del 42%</strong><br /> <br /> Las evaluaciones realizadas a los tres grupos mediante ultrasonografía han permitido comprobar que, mientras que los dos primeros grupos, que realizaron solo un tipo de ejercicio, registraron una mejora de la masa muscular de un 16 y un 30% respectivamente, el grupo que combinó los ejercicios voluntarios con la electroestimulación activa obtuvo un incremento de masa muscular en el recto anterior del 42%, además de mejorar sensiblemente su movilidad general con respecto a los otros dos grupos.<br /> <br /> El profesor de Fisioterapia de la CEU-UCH Vicent Benavent ha destacado que, aunque todos los grupos que realizaron algún tipo de ejercicio mejoraron su masa muscular, los mejores resultados se produjeron en el grupo que combinó los ejercicios voluntarios de baja intensidad con la electroestimulación neuromuscular, una combinación evaluada por primera vez a nivel mundial en esta investigación".<br /> <br /> Este último grupo de personas mayores fue el que mejoró en mayor medida su condición física y su capacidad para realizar de forma independiente las actividades de la vida diaria, tras los cuatro meses de ejercicios moderados combinados.<br /> <br /> Además, el profesor de la CEU-UCH Pedro Rosado ha añadido que "este tipo de ejercicio es seguro, accesible y fácil de seguir para las personas mayores, paliando los efectos de la edad en su condición física". Además, frente al ejercicio físico intenso, "la práctica de esta actividad moderada es más fácil de promover entre las personas mayores y reduce de forma clara el riesgo de sufrir alguna lesión".</p>
2014-10-31T21:01:26-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/704
Cáncer: Estudian en moscas de la fruta con cáncer de colon claves genéticas de la enfermedad en humanos
2014-10-12T08:53:56-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Instituto de Investigación Biomédica (IRB Barcelona) han logrado generar un modelo de mosca de la fruta, la "Drosophila melanogaster", que reproduce el cáncer de colon humano. El trabajo, publicado en "PLoS One" y "EMBO Reports", revela también la función de un gen clave para el desarrollo de la enfermedad.</p><p>"La novedad es que hemos generado el cáncer en un organismo adulto y a partir de células madre, que es lo mismo que ocurre en la mayoría de los cánceres humanos. El modelo nos ha permitido identificar interacciones sutiles en el desarrollo del cáncer que son prácticamente imposibles de detectar con las técnicas actuales con ratones", explica el biólogo Andreu Casali, investigador asociado del IRB Barcelona, líder del proyecto con moscas "Drosophila".</p><p>Aunque las moscas no tienen colon, sí tienen intestino. Los científicos generaron moscas mutantes para dos genes alterados en la gran mayoría de los tumores de colon humanos, APC y Ras. Los investigadores pudieron estudiar en la "Drosophila" el efecto de 250 genes alterados en estos tipos de tumores y comprobaron que de los 250 genes, el 30% afectaban el crecimiento, mientras que el resto no provocaba cambios significativos.</p><p>"La bondad del modelo es que nos permite explorar de forma rápida todas las alteraciones genéticas, determinar cuáles son importantes y cuáles no lo son y ver la función que tienen", explica Òscar Martorell, primer autor del artículo de "<a href="http://embor.embopress.org/content/early/2014/10/07/embr.201438622" target="_blank">EMBO Reports</a>". "Hacer estos experimentos genéticos con ratones es muy largo y costoso, por lo que tener este modelo en "Drosophila" nos permite analizar rápidamente nuevas vías que puedan ser relevantes para el cáncer de colon", añade el coautor del trabajo, Francisco Barriga, estudioso del cáncer de colon en modelos vertebrados. La investigación, que ha llevado 5 años, es fruto de la colaboración entre el Laboratorio de Morfogénesis en "Drosophila" y el Laboratorio de Cáncer Colorrectal, los dos en el IRB Barcelona.</p><p>De todos los genes con una función relevante, el grupo centró su atención en el gen denominado mirror en "Drosophila" e irx en humanos. Los estudios con moscas condujeron a determinar que este gen favorece el crecimiento de los tumores en las etapas iniciales del cáncer en humanos. "El problema con el cáncer humano es que sabemos muy poco de lo que ocurre en los estadios iniciales. Nuestro modelo puede ayudar a entender mejor su evolución". Casali aventura además, que el gen humano lrx podría convertirse en una buena diana contra la que dirigir un fármaco "para prevenir, por ejemplo, que los adenomas benignos vayan más allá". Primero, no obstante, debería probarse en ratones que el gen es válido como diana terapéutica</p><p>Una buena probeta en vivo de fármacos</p><p>Los investigadores también concluyen que la "Drosophila" podría servir como plataforma intermedia entre las fases "in vitro" y vertebrado. Por un lado, reúne las ventajas del "in vitro" porque se pueden testar muchas moléculas con una dosis mínima de medicamento; y por el otro, tiene las virtudes de los modelos animales porque al ser un organismo vivo se descartarían rápidamente las moléculas letales o las que se absorban mal.</p><p>"Si de un millón de moléculas que se prueban "in vitro", hay 2000 que son prometedoras, en vez de testarlas todas en ratones, la "Drosophila" podría ser una buena opción para señalar las dos o tres más aptas. Se reducirían tiempo y costes", asegura Casali.<br /> <a href="http://www.jano.es/noticia-estudian-moscas-fruta-con-cancer-23013" target="_blank">octubre 10/2014 (Jano.es)</a></p>
2014-10-12T08:53:56-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/703
Prevención de las enfermedades crónicas: Una activa vida sexual podría mejorar la inteligencia
2014-10-12T08:47:37-04:00
Revista Finlay
<p>El sexo reduce la probabilidad de afecciones cardiacas, mejora la calidad de la piel, el ritmo cardiaco, y la inteligencia, según nuevas investigaciones al respecto.</p><p>Dos estudios realizados por científicos de las universidades de Maryland, Estados Unidos, y de Konkuk, en Seúl, Corea del Sur, hallaron que la actividad sexual en ratones y ratas mejora su rendimiento mental y aumenta la neurogénesis (producción de nuevas neuronas) en el hipocampo, donde se forman los recuerdos a largo plazo.</p><p>El equipo de Maryland concluyó que las ratas de mediana edad con relaciones sexuales continuas y a largo plazo mostraron signos de mejoría de la función cognitiva y la función del hipocampo.</p><p>Esos resultados sugieren a los estudiosos que la experiencia sexual repetida puede estimular la neurogénesis adulta y restaurar la función cognitiva en ratas de mediana edad.</p><p>Tras ese primer trabajo, el grupo de la Universidad de Konkuk halló que la actividad sexual en los ratones contrarresta los efectos negativos que el estrés crónico tenía sobre su memoria.<br /> octubre 11/2014 (PL)</p><p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p>
2014-10-12T08:47:37-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/702
Medicamentos: Niños que toman antibióticos antes de dos años pueden volverse obesos
2014-10-03T17:23:14-04:00
Revista Finlay
<p>Los niños tratados con antibióticos de amplio espectro antes de los dos años sufren mayor riesgo de padecer obesidad infantil, reveló un estudio el lunes.</p><p>La investigación publicada en la revista pediátrica de la asociación médica estadounidense ("<a href="http://archpedi.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1909801" target="_blank">JAMA</a>") halló un vínculo entre la obesidad y los antibióticos, que si bien eliminan las infecciones bacterianas también matan la microflora intestinal.</p><p>Expertos del hospital de niños de Filadelfia analizaron los registros de cerca de 65 000 niños que fueron tratados entre 2001 y 2013 y siguieron durante cinco años a los que fueron seleccionados para el estudio.</p><p>Más de dos tercios de los niños estudiados tomaron antibióticos antes de los dos años. En ellos, el aumento en el riesgo de obesidad varió de 2 a 20 % y fue particularmente notorio entre los niños que habían sido tratados con antibióticos cuatro o más veces antes de esa edad.</p><p>Los que recibieron antibióticos de amplio espectro, que ataca un gran número de bacterias, también tuvieron más riesgos de sufrir problemas de obesidad en su infancia.</p><p>"No se observó una asociación entre la obesidad y los antibióticos de espectro reducido", indicó el estudio, que describió el uso de los de amplio espectro en niños de menos de dos años como "uno de los factores" que inciden en la obesidad.</p><p>El estudio pidió que se emitan directrices para limitar el uso de antibióticos y la preferencia por los medicamentos de espectro reducido.</p><p>El uso desmesurado de los antibióticos de amplio espectro también ha sido vinculado a la emergencia de bacterias resistentes a los medicamentos.</p><p>En años recientes, las autoridades sanitarias estadounidenses han estado urgiendo a los médicos a reducir sus prescripciones de antibióticos y han intentado educar a los padres para que no intenten curar virus comunes con ellos.</p><p>"Este estudio ofrece otra razón de peso para considerar cuidadosamente el uso de antibióticos y evitarlo siempre que sea posible", dijo Patricia Vuguin, pediatra endocrinóloga del Centro Médico Infantil Cohen en New Hyde Park, Nueva York.</p><p>"Si bien el estudio es sólido, no pudo considerar otras variables que pueden haber contribuido al riesgo de obesidad, como la dieta, el ejercicio y la historia de obesidad de la familia", añadió Vuguin, quien no estuvo involucrada en la investigación.<br /> octubre 2/2014 (AFP)</p><p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2014 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2014-10-03T17:23:14-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/701
Prevención de las enfermedades crónicas: Descubren por qué el ejercicio reduce el riesgo de depresión por estrés
2014-10-01T04:39:47-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Instituto Karolinska han descrito los mecanismos que provocan que el ejercicio físico reduzca el riesgo de sufrir depresión asociada al estrés. El estudio, publicado en la revista <a href="http://www.cell.com/cell/abstract/S0092-8674%2814%2901049-6" target="_blank"><strong>Cell</strong></a>, (doi: 10.1016/j.cell.2014.07.051.)ahonda en la influencia del deporte en la salud mental.</p><p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/09/ejercicios.jpg"><img class="alignleft size-thumbnail wp-image-36806" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/09/ejercicios-150x106.jpg" alt="ejercicios" width="150" height="106" /></a>El ejercicio físico posee una gran cantidad de beneficios para la salud humana, incluida la protección frente a la depresión generada por el estrés. Sin embargo, hasta ahora se desconocían los mecanismos que lo hacían posible.</p><p>Un nuevo estudio en ratones, realizado por los investigadores del Instituto Karolinska de Suecia, muestra cómo el ejercicio físico induce cambios en el músculo esquelético -un tipo de músculo unido al esqueleto- que ocasionan la limpieza de una sustancia que se acumula en la sangre durante los momentos de estrés y que es perjudicial para el cerebro.</p><p>"Aunque seguimos sin saber qué es la depresión, nuestro estudio forma parte de una pieza más del rompecabezas, ya que damos una explicación a los cambios bioquímicos que protegen al cerebro del estrés gracias al ejercicio físico", explica Mia Lindskog, investigadora del departamento de Neurociencia de la institución sueca.</p><p>Anteriores investigaciones ya mostraron que la proteína PGC-1a1 se incrementa en el músculo cuando se realiza ejercicio. En este trabajo los investigadores utilizaron ratones genéticamente modificados con altos niveles de PGC-1a1 en el músculo esquelético, que desarrollaron músculos bien entrenados (incluso sin ejercicio).</p><p>Tanto estos ratones como los que no fueron modificados con la proteína fueron expuestos a un ambiente estresante, como ruidos altos, luces intermitentes y alteraciones en el ritmo circadiano. Después de cinco semanas, los ratones sin tratar mostraron un comportamiento depresivo, mientras que los ratones genéticamente modificados no presentaban dichos síntomas.</p><p>"La hipótesis inicial era que los músculos entrenados podrían producir una sustancia con efectos beneficiosos para el cerebro. Ahora nos encontramos lo contrario: los músculos bien entrenados producen una enzima que depura el cuerpo de sustancias perjudiciales. En este contexto, la función del músculo recuerda a la del riñón o el hígado", explica Jorge Ruas, principal investigador y miembro del departamento de Psicología y Farmacología del Instituto Karolinska.</p><p>Relación con las enfermedades mentales</p><p>La proteína PGC-1a1, que se activa en el músculo por el ejercicio aeróbico, regula la expresión de los genes KAT. Por ello, los científicos descubrieron que los ratones con altos niveles de dicha proteína en los músculos también tenían altos niveles de la enzima KAT.</p><p>Esta enzima convierte a la quinurenina -una sustancia que se genera en momentos de estrés- en ácido quinurénico, incapaz de pasar de la sangre al cerebro y, por tanto, no afecta a este órgano. Aunque no se conoce la función exacta de la quinurenina, los pacientes con enfermedades mentales tienen altos niveles de esta sustancia.</p><p>"Hasta ahora los mecanismos precisos de la depresión son poco conocidos, pero se sabe que el estrés induce cambios en el cerebro que pueden provocarla, como perturbaciones en la neurotransmisión y la inflamación del cerebro", indica a SINC Jorge Rúas. "Así, al administrar quinurenina los ratones mostraron actitudes depresivas".</p><p>Por el contrario, los ratones con niveles aumentados de PGC-1a1 en músculos no parecían afectados. De hecho, estos animales nunca mostraron altos niveles de quinurenina en la sangre, pues la enzima KAT rápidamente la convertía en ácido quinurénico, protegiendo al cerebro de la sustancia.</p><p>"Nuestro trabajo muestra que al entrenar los músculos a través de la actividad física para incrementar los niveles de PGC-1a1, se activa un mecanismo de "desintoxicación" que protege de la depresión producida por estrés", añade Rúas. "Será muy interesante ver si podemos desarrollar medicamentos que activen el mismo proceso en aquellos pacientes que no puedan realizar ejercicio", concluye.<br /> <a href="http://www.agenciasinc.es/Noticias/Descubren-por-que-el-ejercicio-reduce-el-riesgo-de-depresion-por-estres" target="_blank"><strong>septiembre 25/2014 (SNIC)</strong></a></p><p>Agudelo LZ, Femenía T, Orhan F, Porsmyr-Palmertz M, Goiny M, Ruas JL.Skeletal Muscle PGC-1a1 Modulates Kynurenine Metabolism and Mediates Resilience to Stress-Induced Depression.Cell. 2014 Sep 25;159(1):33-45.</p>
2014-10-01T04:39:47-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/700
Enfermedad de Alzheimer: Idean test de agilidad mental que detecta el riesgo de alzhéimer antes de que aparezcan los síntomas
2014-09-29T15:35:38-04:00
Revista Finlay
<p>En un ensayo para evaluar su eficacia, el 81,8 % de quienes padecían la enfermedad o tenían antecedentes familiares mostraban más dificultades para desempeñar la tarea.</p><p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/09/alzh%C3%A9imer.jpg"><img class="alignleft size-thumbnail wp-image-36699" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/09/alzh%C3%A9imer-150x120.jpg" alt="alzhéimer" width="150" height="120" /></a>Investigadores de la Universidad de York, en Estados Unidos, han ideado un test de agilidad mental que predice el riesgo de desarrollar alzhéimer incluso antes de que aparezcan los primeros signos reveladores de algún tipo de demencia.</p><p>Según detallan los científicos en <strong><a href="http://iospress.metapress.com/content/h61h4445r1r0777u/?p=6c9cdffab5124c9ba552b81391b2b2a1&pi=30" target="_blank">Journal of Alzheimer's Disease</a></strong> (DOI:10.3233/JAD-140051 ), la prueba consiste en un ejercicio de ordenador que mide la capacidad visual-espacial y cognitivo-motora. "Incluimos una tarea que implica mover el ratón en la dirección opuesta a la de un objetivo visual en la pantalla, lo que requiere que el cerebro de la persona piense antes y durante los movimientos de su mano", ha explicado Lauren Sergio, autor del trabajo.</p><p>En el estudio para evaluar la eficacia del test, los participantes fueron divididos en tres grupos: uno con pacientes con deterioro cognitivo leve, otros con individuos con antecedentes de alzhéimer en la familia y un grupo control de personas sanas sin antecedentes familiares. El 81,8 % de los participantes de los dos primeros grupos tenían más dificultades para desempeñar la tarea.</p><p>Ello puede deberse, según indica Sergio, a que "la capacidad del cerebro para asimilar la información visual y sensorial y transformarla en movimientos físicos requiere la comunicación entre la zona parietal de la parte posterior del cerebro y de las regiones frontales". A juicio del autor del estudio, las deficiencias observadas en estos pacientes pueden reflejar una alteración cerebral inherente o una neuropatología temprana que perturba la comunicación recíproca entre el hipocampo, y las regiones frontales y parietal del cerebro, relacionadas con esta enfermedad.</p><p>Sergio puntualiza que el test no sirve para predecir con precisión quién desarrollará la enfermedad pero, al menos, muestra que hay algo común en el cerebro de la mayoría de los afectados con un deterioro cognitivo leve y en las personas con antecedentes familiares, un rasgo coincidente que puede utilizarse como punto de partida para estar alterta.<br /> <a href="http://www.jano.es/noticia-idean-un-test-agilidad-mental-22906" target="_blank"><strong>septiembre 22/2014 (JANO)</strong></a></p><p>Kara M. Hawkins, Lauren E. Sergio .Visuomotor Impairments in Older Adults at Increased Alzheimer's Disease Risk.Journal of Alzheimer's Disease.Pag 607-621Volume 42, Number 2. Jun</p>
2014-09-29T15:35:38-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/699
Diabetes Mellitus: Hay que medir más que las cifras de glucosa en diabetes
2014-09-20T11:18:32-04:00
Revista Finlay
<p>Medir de forma aislada la cifra de glucosa para ver la evolución del paciente diabético es cosa del pasado. La tendencia actual se dirige a manejar el estado general del sujeto, donde el riesgo vascular ocupa un lugar importante para el control de la diabetes. También es necesario vigilar otros efectos adversos como son el aumento de peso y las hipoglucemias.</p><p>Por eso, tal y como ha comentado a Diario Médico Fernando Gómez Peralta, endocrino del Hospital General de Segovia, ahora se busca un objetivo terapéutico combinado, donde se contemple la hemoglobina glucosilada con el control de la hipertensión, del peso y teniendo en cuenta siempre el riesgo de hipoglucemia.</p><p>El especialista ha presentado un estudio en la L Reunión Anual de la Asociación Europea para el Estudio de la Diabetes (EASD), que se está celebrando esta semana en Viena, sobre liraglutida, un análogo de GLP-1 desarrollado por Novo Nordisk y comercializado bajo el nombre de Victoza, en 158 diabéticos tipo 2 con un índice de masa corporal alto, superior a 35, con síndrome de apnea obstructiva del sueño (SAOS). "Hemos constatado que la calidad del sueño está afectada por la diabetes y que el SAOS genera más diabetes, por el aumento de la resistencia a la insulina", ha apuntado Gómez Peralta.</p><p>Riesgo vascular<br />Se sabe que el SAOS favorece la enfermedad cardiovascular y constituye un factor de riesgo en el desarrollo de alteraciones vasculares. Por eso, este grupo trabaja sobre la hipótesis de que existen efectos mediados por el sueño que intervienen en la fisiopatología de esos pacientes. Los datos iniciales muestran que el tratamiento con liraglutida mejora el SAOS, efecto que ya se observa en los primeros días del tratamiento. Además, se consigue una reducción del peso y se observa una mejora metabólica. Así, el estudio presentado en Viena sostiene la relación entre SAOS y diabetes.</p><p>El endocrinólogo también ha destacado que uno de los aspectos que están cobrando protagonismo en la diabetes es la genética. "En esta reunión se están presentando trabajos que muestran la importancia de los polimorfismos de un paciente para conocer así la evolución de su enfermedad y poder definir los tratamientos en función de ellos. Es una aproximación que tardará en aplicarse en clínica". Gómez Peralta ha dejado claro que habrá que esperar unos años para ver cómo evoluciona esta línea de trabajo, aunque cree que sucederá como en otras enfermedades en las que se están aplicando los polimorfismos para ver la respuesta terapéutica.<br /><a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2014/09/19/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/hay-que-medir-mas-cifras-glucosa-diabetes" target="_blank">septiembre 19/2014 (Diario Médico)</a></p>
2014-09-20T11:18:32-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/698
Cáncer: Comienza un ensayo clínico para tratar tumores avanzados con vacunas elaboradas con células del paciente
2014-09-13T05:42:04-04:00
Revista Finlay
<p>Especialistas del Departamento de Pediatría y del Área de Terapia Celular de la Clínica Universidad de Navarra han puesto en marcha un ensayo de un tratamiento con vacunas elaboradas con células del sistema inmune del propio paciente (células dendríticas). Dichas unidades celulares se preparan en el laboratorio para "enseñar" a los linfocitos (células responsables de la defensa del organismo) a luchar contra las células tumorales en tumores sólidos avanzados. Entre ellos figuran los sarcomas recidivados y/o metastásicos y los tumores del sistema nervioso central (SNC).<br /> <br /> La Clínica Universidad de Navarra es la institución promotora de la investigación y el único centro que la desarrollará. El Ministerio de Sanidad ha autorizado recientemente este ensayo clínico cuyo objetivo es probar la seguridad y eficacia de este tratamiento. En su financiación participa el Instituto de Salud Carlos III, según ha explicado la Clínica en un comunicado.<br /> <br /> Los sarcomas son tumores malignos que surgen en hueso o tejido blando del organismo, como puede ser cartílago, grasa, músculo o vasos sanguíneos, entre otros. Su incidencia más elevada se detecta en la etapa adolescente y en el adulto joven. Pese a que haya una buena respuesta a la primera línea de tratamiento, el sarcoma es susceptible de recidiva o metástasis.<br /> <br /> En los criterios de inclusión de pacientes para ser tratados con esta terapia experimental figura una horquilla de edad desde los 3 hasta los 40 años. Además, al nuevo tratamiento tendrán acceso también pacientes con tumores de alto grado que afecten al sistema nervioso central (SNC).<br /> <br /> Inicialmente, el equipo de la Clínica anticipó la administración de este tratamiento en los primeros pacientes como uso compasivo autorizado con resultados esperanzadores. Estos primeros pacientes han supuesto la antesala del ensayo clínico fase I-II que ahora se pone en marcha y con el que se comprobará la seguridad y eficacia de esta terapia en un total de 10 pacientes.<br /> <br /> El equipo de investigadores está integrado por la doctora Ana Patiño, del Departamento de Pediatría e investigadora principal, y por el doctor Luis Sierrasesúmaga, especialista y catedrático en Pediatría e integrante del Área de Tumores Musculoesqueléticos del centro hospitalario.<br /> <br /> La labor del Área de Terapia Celular está coordinada por las doctoras Susana Inogés y Ascensión López Díaz de Cerio, investigadoras de la Clínica y del Centro de Investigación Médica Aplicada (CIMA) de la Universidad de Navarra. Integra también el equipo la doctora Marta Alonso, directora del Laboratorio de Terapias Biológicas en Tumores Cerebrales del CIMA.</p><p><strong>Objetivo del ensayo</strong><br /> <br /> Según describe la doctora Ana Patiño, el objetivo de la investigación reside en "ofrecer una herramienta terapéutica -cuya eficacia queremos comprobar y cuya toxicidad descartamos- a pacientes que según el protocolo convencional de la enfermedad presentan unas posibilidades de supervivencia muy escasas".<br /> <br /> Los pacientes con sarcomas o tumores del SNC tratados en primera instancia con las terapias convencionales tienen más de un 70% de posibilidades de que el tratamiento resulte efectivo. Sin embargo, recuerda la especialista, si desarrollan metástasis o recidivan, "la supervivencia se torna bajísima a costa de una morbilidad muy elevada, ya que se trata de pacientes que han recibido anteriormente altas dosis de tratamientos diversos de quimioterapia, radioterapia y cirugías, a veces, muy agresivas".<br /> <br /> El tratamiento con vacunas de células dendríticas autólogas tiene la finalidad de que el propio sistema inmune del paciente "desarrolle una inmunovigilancia específica contra las células tumorales del propio tumor".<br /> <br /> Se trata de una terapia que, por sus características, no está indicada para el control de grandes cantidades de tumor. Por este motivo, los pacientes que pueden formar parte del ensayo clínico son aquellos que presentan tumor recidivado o metastásico operable, "de forma que la cirugía pueda dejar reducido a dimensiones mínimas el tejido tumoral, a la vez que proporciona muestra suficiente para elaborar el tratamiento", concluye la doctora Patiño.</p><p><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/comienza/ensayo/clinico/tratar/tumores/avanzados/vacunas/elaboradas/celulas/paciente/_f-11+iditem-22845+idtabla-1" target="_blank">Tomado de Jano</a></p>
2014-09-13T05:42:04-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/697
Nutrición: El consumo de té o café no perjudica al corazón
2014-09-07T20:38:42-04:00
Revista Finlay
<p>consumo de té, consumo de café, enfermedades cardiovasculares,<br /> cardiología</p><p>El consumo de café o de té no perjudica al corazón ni tiene relación con otras causas de muerte, como infecciones, según un estudio de la Sociedad Europea de Cardiología, presentado en un congreso organizado por esta sociedad.</p><p>El encuentro reunió hasta el 3 de septiembre a más de 30 000 cardiólogos de todo el mundo en Barcelona, noreste de España.</p><p>La investigación se basa en el seguimiento de 130 000 pacientes de entre 18 y 95 años durante tres años y medio.</p><p>La cardióloga Almudena Castro, que fue la encargada de presentar el estudio, explicó que "el resultado de la investigación permite desmitificar la relación que se ha establecido históricamente entre el consumo de café o té y el desarrollo de enfermedades cardiovasculares".</p><p>Castro subrayó que "del estudio también se desprende que los consumidores de café también son de tabaco, mientras que los de té acostumbran a tener unos hábitos cardiovasculares más saludables".</p><p>En el congreso también se presentó un estudio, elaborado por la Agencia Francesa de Seguridad Alimentaria, que alerta sobre el consumo de grandes cantidades de bebidas energéticas, fundamentalmente entre los más jóvenes.</p><p>El cardiólogo Eduardo Alegría subrayó que "hay que tener en cuenta que este tipo de bebidas no son inocuas, como se ha querido hacer creer, y muchos jóvenes están sustituyéndolas por el alcohol".</p><p>Alegría destacó que "hay que tener mucha precaución con el consumo de este tipo de bebidas, "suelen ser muy endulcoradas y carbónicas y además tienen un alto contenido en sodio, por lo que contribuyen a la subida de la tensión arterial".</p><p>Su consumo en grandes cantidades puede provocar taquicardias, temblores, ansiedad o dolor de cabeza.</p><p>Los responsables de la Sociedad Europea de Cardiología también destacaron la importancia del consumo regular de fruta, que puede disminuir un 40 % el riesgo cardiovascular.</p><p>Según un estudio elaborado por la Universidad de Oxford, después de analizar durante siete años a medio millón de personas de diversas zonas de China, quienes consumían de manera regular fruta reducen entre un 25 y un 40 % el riesgo cardiovascular.</p><p>"Lo interesante ha sido comprobar cómo este riesgo iba disminuyendo a medida que aumentaba el consumo de fruta, con lo que cuanta más fruta se consuma, más disminuirá el riesgo", según Alegría, que subraya que "no está de más confirmar lo que ya sabíamos en un gran grupo de población".</p><p>Los expertos también destacaron que la exposición a episodios de estrés agudo puede derivar en un incremento de la presión arterial y de la frecuencia cardiaca, causando un accidente cardiovascular.</p><p>Según un estudio presentado en el congreso, el huracán Sandy en Estados Unidos provocó un aumento del 23 % del caso de infartos en las zonas más afectadas.</p><p>El cardiólogo del Xavier García-Moll destacó que "la elevación espontánea de factores como la frecuencia cardiaca, la presión arterial y los mediadores neurohormonales pueden favorecer la ruptura de las placas arteroscleróticas, lo que a su vez puede desencadenar en la formación de coágulos que provocan infartos".<br /> septiembre 5/2014 (EFE)</p><p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina Copyright 2014 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p>
2014-09-07T20:38:42-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/696
Factores de riesgo cardiovascular: La desnutrición dobla el riesgo de muerte en pacientes con insuficiencia cardíaca
2014-09-04T07:25:53-04:00
Revista Finlay
<p>La desnutrición --dieta deficiente o mala absorción de nutrientes-- en enfermos con insuficiencia cardiaca (IC) dobla el riesgo de morir o ingresar por este motivo, según un estudio del Hospital Germans Trias i Pujol de Badalona, presentado este martes en el congreso de la Sociedad Europea de Cardiología (ESC) 2014 que se celebra hasta este miércoles en el recinto de Fira de Barcelona.<br /> <br /> Lo ha explicado este martes en una rueda de prensa sobre diversas investigaciones llevadas a cabo en centros españoles el coordinador de la Unidad de Insuficiencia Cardiaca del Hospital Germans Trias i Pujol y coautor del trabajo, Josep Lupón, que ha detallado que se ha tenido en cuenta la edad, el género, la presencia de diabetes y la situación funcional.<br /> <br /> Ha revelado que una de las conclusiones del estudio --desarrollado en dos años con 214 pacientes de 69 años de media-- es que "la desnutrición es más potente como factor pronóstico que el índice de masa corporal (IMC) y el porcentaje de grasa.<br /> <br /> La investigación también ha arrojado luz sobre la llamada "paradoja de la obesidad" en pacientes con IC: la obesidad aumenta la posibilidad de insuficiencia cardiaca y muerte cardiovascular, pero cuando ya se tiene, los obesos tienen un mejor pronóstico, lo que se explica porque la prevalencia de la desnutrición es mucho menor que en pacientes con sobrepeso y con menos peso.<br /> <br /> Otro aspecto desconocido que ha señalado Lupón es que la desnutrición también se puede encontrar en personas con obesidad; según la definición que incluye las mediciones de los pliegues cutáneos y la albúmina, todos los participantes de bajo peso estaban desnutridos, de los pacientes con obesidad un 3% estaban desnutridos, de los pacientes con sobrepeso, un 11%, y de los normales, un 44%.<br /> <br /> El Hospital Germans Trias ha presentado un segundo estudio sobre la anemia transitoria --la existente que desaparece al cabo de seis meses--, el cual concluye que aumenta un 40% el riesgo de muerte por IC respecto a los pacientes no anémicos, por lo que Lupón ha avisado que, aunque la anemia se resuelva, se debe hacer igualmente "un seguimiento persistente" del enfermo.</p><p><strong>Otros estudios</strong><br /> <br /> El estudio 'AMITIE' del Institut Hospital del Mar d'Investigacions Mèdiques (IMIM) ha visto que la incidencia y la mortalidad del infarto agudo de miocardio (IAM) en pacientes de 35 a 74 años de regiones de Finlandia, Estonia, Alemania, Francia, Italia y España ha disminuido por las mejoras en prevención primaria y secundaria, especialmente en Finlandia por su estrategia de prevención, y España ha registrado el mayor descenso en mujeres.<br /> <br /> El presidente de la Sociedad Española de Cardiología (SEC), José Ramón González-Juanatey, y el investigador del Hospital de Santiago de Compostela, Emad Abu Assi, han presentado el CarioCHUS, el primer score que valora el riesgo de sangrado en pacientes con síndrome coronario agudo (SCA) y fibrilación auricular (FA), lo que evita "de forma significativa" sangrados que empeoren el pronóstico de los pacientes.<br /> <br /> Otro score, el SAME-TT2R2, creado por el investigador Gregory Lip del Birmingham City Hospital y validado también por el Hospital Virgen de la Arrixaca y el General Universitario Morales Meseguer en población española, permitirá pronosticar qué pacientes sufrirán complicaciones embólicas o hemorrágicas antes de iniciar el tratamiento.</p>
2014-09-04T07:25:53-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/695
Nutrición: La dieta mediterránea reduce hasta en un 30% el riesgo de cáncer de mama
2014-09-04T06:37:27-04:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/alimentación_saludable1.jpg" alt="" />Investigadores del Instituto de Salud Carlos III y el Grupo Español de Investigación en Cáncer de Mama (GEICAM) han realizado un estudio epidemiológico que demuestra que la dieta mediterránea, rica en pescado, verduras, frutas o legumbres, puede reducir hasta un 30 por ciento el riesgo de desarrollar cáncer de mama.<br /> <br /> En su trabajo, cuyos resultados publica la revista <em>British Journal of Cancer, </em>analizaron los patrones alimenticios de más de 2.000 mujeres y observaron que esta dieta es especialmente beneficiosa para los tumores mamarios más agresivos, los triple-negativos, para los que de momento no existe un tratamiento quimiopreventivo.<br /> <br /> Además, han constatado que la dieta occidental -basada en un alto consumo de productos grasos, dulces y bebidas calóricas- es "la mas perjudicial" para estos tumores, ya que puede aumentar en torno a un 40% el riesgo de desarrollarlos, según ha explicado Marina Pollán, investigadora del Centro Nacional de Microbiología del Carlos III que ha coordinado el estudio.<br /> <br /> En el trabajo han participado un total de 23 unidades de Oncología de hospitales españoles que se encargaron de reclutar a 1.017 pacientes ya diagnosticadas con este tumor y de unos 50 años de media, y otras 1.017 mujeres sanas de edades similares.<br /> <br /> Todas ellas se sometieron a un riguroso cuestionario en el que tenían que detallar al máximo la alimentación que habían seguido en los últimos cinco años. En total se tuvieron en cuenta un centenar de marcadores, lo que sirvió para definir tres patrones de dieta diferentes.<br /> <br /> La calificada como dieta mediterránea se caracterizaba por un consumo variado de pescado, verduras, legumbres, patatas, frutas y aceite de oliva, y por un bajo consumo de zumos y bebidas calóricas. Y en la medida que cumplían más con este patrón, menor era el riesgo de desarrollar cáncer de mama.<br /> <br /> Lo contrario sucedió con las mujeres que seguían una dieta más "occidental", como la han calificado los autores del estudio, caracterizada por un alto consumo de productos grasos, carne procesada, dulces y bebidas calóricas, y un bajo consumo de cereales. En estos casos, el riesgo de desarrollar cáncer de mama podía aumentar hasta en un 40%.<br /> <br /> Los investigadores distinguieron un tercer patrón alimenticio, que calificaron como dieta "prudente", basado en un consumo de productos bajos en grasa, frutas, verduras y zumos. Pero en estos casos, no se ha podido constatar que esté relacionada con una mayor o menor probabilidad de desarrollar estos tumores a pesar de consumir menos grasa.</p><p><strong>También ha grasas buenas </strong><br /> <br /> "Esto podría determinar que la grasa 'per se' no es un factor determinante de riesgo de estos tumores", según reconoce Pollán, que ha recordado además la necesidad de distinguir entre grasas 'buenas', entre las que se podría incluir el aceite de oliva, o las grasas 'malas' como las trans, presentes en bollería industrial.<br /> <br /> En el estudio se hizo un análisis pormenorizado por grupos de alimentos pero no ha habido "ningún alimento que genere por si solo un efecto tan importante como para provocar cambios sustanciales", ha añadido esta investigadora.<br /> <br /> Asimismo, en el trabajo se analizaron los efectos positivos o negativos de dichas dietas en los diferentes subtipos de estos tumores y vieron que en el caso de los triple-negativos la protección de la dieta mediterránea era mayor.<br /> <br /> Una circunstancia que, como ha reconocido el presidente de GEICAM, Miguel Martín, podría explicar por qué estos tumores son menos frecuentes en España, donde solo representan al 12% de los casos de cáncer de mama, la mitad que en otros países como Estados Unidos, donde su incidencia asciende a más del 20%.</p><p><strong>Puede reducir el riesgo de otros tumores</strong><br /> <br /> Este oncólogo reconoce que se trata de uno de los estudios epidemiólogos más importantes que se han hecho en España con el cáncer de mama, y cree que si se realizara con otros tumores de elevada prevalencia, como los de próstata en hombres, se observarían resultados similares.<br /> <br /> Martín ha avanzado que el trabajo recoge muchos más datos sobre hábitos de vida de estas mujeres que pueden afectar al riesgo de cáncer de mama, como el consumo de alcohol, tabaco o el ejercicio físico, que se irán desgranando próximamente. Además, Pollán ha reconocido que también se podría analizar si estos factores pueden relacionarse con el pronóstico de estas mujeres o con el riesgo de segundos tumores.<br /> <br /> El trabajo ha sido financiado por la Asociación Española contra el Cáncer (AECC), cuya presidenta Isabel Oriol ha destacado que este hallazgo prueba que "con una buena alimentación se podrían evitar miles de casos de este cáncer". Asimismo, ha contado con la financiación de otras entidades como la Sociedad Española de Oncología Médica (SEOM), la Federación de Asociaciones de Mujeres con Cáncer de Mama (FECMA) y la Fundación Cerveza y Salud.</p><br /><a href="http://www.nature.com/bjc/journal/vaop/ncurrent/full/bjc2014434a.html" target="_blank">British Journal of Cancer (2014); doi:10.1038/bjc.2014.434</a>
2014-09-04T06:37:27-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/694
Nutrición: Una dieta rica en ácidos grasos omega 3 podría prevenir la esclerosis lateral amiotrófica
2014-09-02T09:57:07-04:00
Revista Finlay
<p>Una dieta rica en ácidos grasos omega 3 podría ayudar a reducir el riesgo de esclerosis lateral amiotrófica (ELA). Estos ácidos grasos (habituales en ciertos pescados) son conocidos porque reducen la inflamación y el estrés oxidativo en las células.</p><p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/08/Omega-3.jpg"><img class="alignleft size-thumbnail wp-image-36114" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/08/Omega-3-150x150.jpg" alt="Omega 3" width="150" height="150" /></a>Los investigadores realizaron un análisis observacional longitudinal basado en 1 002 082 participantes (479 114 mujeres y 522 968 hombres) de cinco cohortes distintas. Finalmente documentaron 995 casos de ELA, que se distribuyeron en quintiles. Una mayor ingesta de ácidos grasos omega 3 se asoció con una reducción del riesgo de ELA. Las personas que quedaron encuadradas dentro del 20 % de quienes ingirieron más ácidos grasos omega 3 redujeron sus probabilidades de contraer ELA en un tercio, en comparación con los que quedaron incluidos dentro del quintil correspondiente a quienes tomaron menos ácidos grasos omega 3.</p><p>Una mayor ingesta de ácido a-linolénico, un tipo de ácido graso presente en los aceites vegetales y en los frutos secos, también se asoció con un riesgo de ELA menor.</p><p>Sin embargo, el estudio sólo observó el riesgo de contraer ELA. No se sabe si un elevado nivel alto de ingesta de ácidos grasos omega 3 podría ayudar a las personas que ya sufren la enfermedad.<br /> <a href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=4736" target="_blank"><strong>agosto 21/2014 (Neurologia.com)</strong></a></p><p>Fitzgerald KC, O'Reilly EJ, Falcone GJ, McCullough ML, Park Y, Kolonel LN.Dietary ?-3 Polyunsaturated Fatty Acid Intake and Risk for Amyotrophic Lateral Sclerosis.<a href="http://archneur.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1886776" target="_blank"><strong>JAMA Neurol</strong></a>. Jul 14, 2014. doi:10.1001/jamaneurol.2014.1214</p>
2014-09-02T09:57:07-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/693
Factores de riesgo cardiovascular: El riesgo cardiovascular persiste 2 años tras un infarto de miocardio
2014-09-01T06:51:45-04:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/Ima.jpg" alt="" width="140" height="177" />La vulnerabilidad a sufrir un nuevo infarto, un ictus o morir por causa cardíaca se mantiene elevada incluso dos años después del primer episodio, según un estudio realizado en Suecia y presentado ayer en el Congreso Anual de la Sociedad Europea de Cardiología, que se celebra hasta el martes en Barcelona.<br /> <br /> El trabajo, liderado por el Instituto Karolinska de Suecia, tenía como objetivo estimar el riesgo de enfermedad cardiovascular durante el primer y el segundo año tras un infarto. Para ello, se realizó un seguimiento de los pacientes suecos que lo habían sufrido entre julio de 2006 y junio de 2011 ajustando los ratios de riesgo por edad, género, o episodios previos de ictus, infarto de miocardio, diabetes e insuficiencia cardíaca.<br /> <br /> "Se trata de un estudio muy interesante porque, al estar realizado a partir de un registro nacional, algo poco frecuente, refleja muy bien la práctica clínica habitual", ha explicado el doctor Antonio Fernández Ortiz, presidente de la Sección de Cardiopatía Isquémica y Cuidados Agudos Cardiovasculares de la SEC y cardiólogo del Hospital Clínico San Carlos de Madrid.<br /> <br /> Este estudio, que incluyó 97.254 pacientes con una media de edad de 74 años, ha constatado que todas las variables citadas son factores de riesgo independientes, asociados a una mayor vulnerabilidad (un 18,3%) de padecer un evento cardiovascular durante el primer año tras el infarto.<br /> <br /> No obstante, a pesar de que mejore el control de algunos factores de riesgo y se produzca una recuperación tras el primer infarto, aquellos pacientes que superan los primeros doce meses sin un nuevo evento no reducen de forma significativa su vulnerabilidad durante el segundo año, en el que las probabilidades de un segundo infarto, de ictus o de mortalidad cardiovascular son del 11,3%.<br /> <br /> En este sentido, el doctor Fernández Ortiz ha recomendado que "las medidas de prevención para evitar nuevos eventos después de un infarto deberían durar más de un año y mantenerse a largo plazo". Ahora bien, los resultados de este estudio están en línea con el debate actual sobre si se debe ampliar el tiempo de administración del doble tratamiento antiagregante (con 'Aspirina' más prasugrel o ticagrelor) después de un infarto, tratamiento que normalmente se indica durante un año.<br /> <br /> "El problema es que los nuevos antiagregantes tienen un balance riesgo-beneficio que al cabo de los años se podría volver menos favorable debido al riesgo de hemorragias, algo que no ocurre, por ejemplo, con las estatinas, que son seguras a largo plazo --ha señalado--. Por tanto, para el riesgo más allá de un año, el control de los factores de riesgo debería mantenerse siempre, y los tratamientos con un balance de riesgo-beneficio claramente demostrado, como las estatinas, deben continuar, si bien no está tan claro todavía para los nuevos antiagregantes".</p><p><strong>Micropartículas endoteliales para la enfermedad vascular</strong><br /> <br /> Por otra parte, en el terreno de la ciencia básica, se ha presentado un estudio alemán que sugiere que la administración de micropartículas endoteliales ricas en microRNA-126 es capaz de reducir la formación neointimal (engrosamiento de los vasos sanguíneos), que es uno de los principales mecanismos de desarrollo de las enfermedades vasculares.<br /> <br /> La doctora Gemma Vilahur, investigadora del Instituto Catalán de Ciencias Cardiovasculares (ICCC, Barcelona) ha explicado que "la administración sistémica de micropartículas endoteliales ricas en microRNA-126 logra frenar la migración y proliferación de las células musculares lisas vasculares tras la inducción de daño vascular en un modelo de ratón, reduciendo así la formación de neoíntima (el engrosamiento del vaso)".<br /> <br /> La experta ha matizado que "una de las dianas del microRNA-126, la proteína LRP6, involucrada en la proliferación de las células musculares vasculares lisas, reduce su expresión tras el tratamiento con micropartículas endoteliales".<br /> <br /> La doctora Vilahur ha apuntado que los resultados de esta investigación, que también recoge datos en 176 pacientes con enfermedad arterial coronaria, revelan que "aquellos pacientes con un alto nivel de microRNA-126 en sus micropartículas circulantes presentan menor tasa de revascularización durante los seis años de seguimiento del estudio".<br /> <br /> Con todo, la experta ha remarcado que "el uso de los microRNA como dianas terapéuticas es muy prometedor. Sin embargo, es necesario ser cauteloso dado que los microRNAs participan en una amplia red de mecanismos regulatorios pudiendo desencadenar funciones ambivalentes. Por ello, es necesario un conocimiento exhaustivo de los genes regulados por los microRNA en cada contexto, así como su validación en modelos animales con revelancia traslacional".</p>
2014-09-01T06:51:45-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/692
Enfermedades cardiovasculares: Aumenta la mortalidad por enfermedades cardiovasculares tras 20 años de descenso
2014-09-01T06:43:13-04:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/corazon1.jpg" alt="" width="222" height="222" />La mortalidad por enfermedades cardiovasculares en España aumentó en 2012 tras 20 años de descensos consecutivos, según ha explicado el presidente de la Sociedad Española de Cardiología (SEC), José Ramón González-Juanatey, que lo ha atribuido a los efectos de la crisis.<br /> <br /> "La crisis está afectando a la salud de los ciudadanos", ha señalado en rueda de prensa González-Juanatey, y ha añadido que puede explicarse porque se destinan menos recursos a la prevención, aunque se mantiene la dotación para asistencia e innovación de tratamientos.<br /> <br /> Además, ha destacado que todavía queda "mucho margen" para mejorar la equidad del servicio de salud público sin tener que destinar más recursos, sino mediante la racionalización y ordenación de este.<br /> <br /> "El Sistema Nacional de Salud es uno de los mayores logros sociales del país. La prioridad de la SEC es asegurar el acceso igualitario a la sanidad pública", ha afirmado, y ha destacado que el objetivo no pasa por garantizar unos resultados y no un acceso cerca del domicilio.<br /> <br /> También ha elogiado el protocolo de actuación para infartos que ha desarrollado el Govern, y ha instado a las demás autonomías a tomar "ejemplo porque es inaceptable que en algunos lugares exista una gran diferencia de resultados según el hospital que asista, aunque estén separados a menos de un kilómetro de distancia".</p><p><strong>Récord de estudios</strong><br /> <br /> El congreso de cardiología que se celebra en Barcelona del 30 de agosto hasta el 3 de septiembre ha batido el récord de estudios presentados, con 11.444 de más de 100 países, entre los que España entra dentro de los cinco primeros, con 300 trabajos.<br /> <br /> Del total de presentados, un grupo de expertos ha seleccionado un 40% (4.500) para someterlos a debate durante el congreso, en el que se anunciarán novedades de métodos y tratamientos de enfermedades cardiovasculares.</p>
2014-09-01T06:43:13-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/691
Prevención de las enfermedades crónicas: El deterioro mental es un factor de riesgo de ACV, según un estudio
2014-08-27T06:46:50-04:00
Revista Finlay
<img src="/public/site/images/mikhail/brain2_280.jpg" alt="" />Las habilidades mentales deterioradas al parecer aumentan las probabilidades de una persona de sufrir un accidente cerebrovascular (ACV), según un estudio reciente.<p>Los investigadores analizaron los datos de 18 estudios (la mayoría de los cuales se realizaron en Europa y en América del Norte) y descubrieron que las personas con problemas de memoria y de pensamiento tenían un 39 por ciento más de probabilidades de sufrir un ACV que los que tenían un funcionamiento mental normal.</p><p>Cuando el equipo amplió su definición de deterioro mental (conocido clínicamente como "deterioro cognitivo"), la conexión con el ACV se fortaleció aún más.</p><p>"Este riesgo aumentó hasta el 64 por ciento cuando se usó una definición de deterioro cognitivo que se adopta generalmente", escribió un equipo dirigido por el Dr. Bruce Ovbiagele, catedrático del departamento de neurología de la Universidad Médica de Carolina del Sur.</p><p>"Dado el aumento sustancial previsto de la cantidad de personas mayores en todo el mundo, se espera que las tasas de prevalencia de deterioro cognitivo y ACV aumenten mucho en las próximas décadas, sobre todo en los países de ingresos altos", añadieron los investigadores.</p><p>¿Por qué una habilidad mental deteriorada se vincula con el riesgo de ACV? Una capacidad mental debilitada probablemente no provoque un ACV, pero el equipo de Ovbiagele cree que los problemas circulatorios (como los bloqueos de los vasos sanguíneos del cerebro, el estrechamiento de las arterias y la inflamación) se asocian con un mayor riesgo de ACV.</p><p>Un empeoramiento de la capacidad de pensamiento y de la memoria podría por lo tanto ser "una posible manifestación clínica temprana" de este tipo de problema en el cerebro, sugirieron.</p><p>Eso significa que una gestión mejor de las enfermedades cardiacas y los problemas circulatorios "puede instituirse para prevenir futuros casos de ACV y evitar un mayor deterioro de la salud [cerebral]", reportaron los investigadores el 25 de agosto en la revista <em>CMAJ (Canadian Medical Association Journal)</em>.</p><p>Los hallazgos se hacen eco de otro estudio reciente, publicado a principios de este mes en la revista <em>Stroke</em>.</p><p>Esa investigación fue dirigida por Kumar Rajan, profesor asistente de medicina interna del Centro Médico de la Universidad de Rush, en Chicago. Su equipo dio seguimiento a más de 7,200 estadounidenses a partir de los 65 años que recibieron pruebas cada tres años para evaluar su memoria a corto y a largo plazo, atención, conciencia y otras funciones mentales.</p><p>Los que obtuvieron las puntuaciones más bajas en las pruebas tenían un 61 por ciento más de probabilidades de sufrir un ACV que los que tuvieron puntuaciones más altas, hallaron los investigadores.</p>
2014-08-27T06:46:50-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/690
Prevención de las enfermedades crónicas: La vacuna contra el Chagas podría estar lista en menos de 3 años
2014-08-25T08:44:08-04:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Un grupo de investigadores de México y de Estados Unidos trabajan en el desarrollo de un tratamiento que, por el momento, ha demostrado mejor tolerancia y efectos más rápidos que el benznidazol.</p><p> </p><form name="vars"></form><p>Un grupo de investigadores de México y de Estados Unidos están trabajando en el desarrollo de una vacuna terapéutica que sea capaz de detener la enfermedad de Chagas y esperan poder ponerla al alcance de la población antes de 3 años.<br /> <br /> En esta investigación científica participan el Baylor College Medicine, el Centro de Investigación y de Estudios Avanzados, la Universidad Autónoma de Yucatán, el laboratorio Birmex y Sabin Vaccine Institute, mientras que la financiación corre a cargo del Instituto Carlos Slim de la Salud.<br /> <br /> Según ha explicado una de las principales investigadoras, la estadounidense María Elena Bottazzi, en la revista <em>Investigación y Desarrollo,</em> la vacuna "ha demostrado mejor tolerancia, tiempo de eficacia" que el medicamento que mejores resultados está dando contra esta enfermedad, el benznidazol, con el que se podría utilizar conjuntamente.<br /> <br /> El problema de este fármaco, según esta experta, es que "cuando se administra en personas recién infectadas tiene una efectividad del 60 por ciento al detener el avance de la enfermedad. Además aun manifiesta ciertos efectos secundarios que propician que el afectado abandone muchas veces el tratamiento".<br /> <br /> Con la nueva vacuna que están desarrollando se han realizado pruebas de laboratorio con roedores y perros infectados por<em> Trypanosoma cruzi </em>y se observó que la enfermedad se detuvo en 80%, y que administrada de manera preventiva protege de la presencia del parásito en la sangre.</p><p><strong>Se transmite por transfusión o por la picadura de un chinche</strong></p><p>El mal del Chagas es también conocida como la enfermedad de los pobres, pues afecta a la población de escasos recursos en zonas rurales. Esta patología es provocada por el parásito <em>Trypanosoma cruzi </em>y transmitido por transfusión sanguínea o por la picadura de la chinche hocicona o besucona.<br /> <br /> Según los datos de la organización Médicos sin Fronteras, en América Latina ocho millones de personas padecen esta enfermedad. Sin embargo, en la actualidad, la enfermedad puede tratarse con medicamentos, pero menos de un uno por ciento de los enfermos tienen acceso a ellos.<br /> <br /> Los síntomas del mal de Chagas pueden ir desde mareos y problemas digestivos, hasta dolores abdominales, palpitaciones y dificultad para degluir. Al paso del tiempo se presenta una insuficiencia cardiaca por deformación del miocardio, y en los casos más graves, una anomalía de ritmos cardiacos que pueden llegar a causar la muerte súbita.<br /> <br /> Si la enfermedad no es detectada durante los dos primeros meses, o fase temporal, pasa a su fase crónica, en la que los parásitos se trasladan por el torrente sanguíneo hacia los tejidos del corazón y al sistema digestivo, a los cuales irán minando paulatinamente.</p><br /><br /><a href="http://www.invdes.com.mx/salud-mobil/5127-especialistas-de-mexico-y-eu-esperan-obtener-en-menos-de-tres-anos-vacuna-contra-enfermedad-de-chagas" target="_blank">Investigación y Desarrollo; 21 de agosto de 2014</a>
2014-08-25T08:44:08-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/689
Medicamentos: Vinculan la digoxina, con un riesgo de muerte más elevado en algunas personas
2014-08-25T08:35:46-04:00
Revista Finlay
<p>La digoxina, un fármaco que se ha usado para tratar problemas del corazón durante unos 200 años, podría aumentar el riesgo de muerte en ciertos pacientes.</p><p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/08/ekg_MIC069ML.jpg"><img class="alignleft size-thumbnail wp-image-35899" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/08/ekg_MIC069ML-127x150.jpg" alt="ekg_MIC069ML" width="127" height="150" /></a>Una investigación reciente sugiere que para las personas que sufren de una arritmia cardiaca en particular, conocida como fibrilación auricular, tomar digoxina podría aumentar el riesgo de morir en más de un 20 %.</p><p>"Hallamos en 122 000 pacientes de fibrilación auricular que los tratados con digoxina tenían más probabilidades de morir (durante el periodo del estudio) que los pacientes a quienes se recetaron otros fármacos", apuntó el investigador líder, el Dr. Mintu Turakhia, profesor asistente de cardiología de la Facultad de Medicina de la Universidad de Stanford en Palo Alto, California.</p><p>Aunque la investigación actual halló una asociación entre la digoxina y un mayor riesgo de muerte en las personas con fibrilación o aleteo auricular, el estudio no muestra que el fármaco provocara el aumento en el riesgo de muerte.</p><p>Pero Turakhia cree que el riesgo podría ser el resultado de que la digoxina provoque otras arritmias cardiacas peligrosas.</p><p>"Aunque quizá se le haya recetado el medicamento para ralentizar el ritmo cardiaco en la fibrilación auricular, quizá esté causando otros problemas en el corazón que podrían aumentar el riesgo de muerte", advirtió.</p><p>La digoxina se produce de extractos de la planta digital, también conocida como dedalera. Hace mucho que es un tratamiento estándar para la fibrilación auricular, según la información de respaldo del estudio.</p><p>Dado que hay otros tratamientos para la fibrilación auricular, Turakhia dijo que se pregunta por qué la digoxina debe ser el tratamiento preferido para esos pacientes. "Hay otros medicamentos más seguros disponibles", dijo.</p><p>Las alternativas más seguras pueden incluir fármacos conocidos como bloqueadores beta o los bloqueadores del canal del calcio, aseguró Turakhia. "Esos no se han vinculado nunca con un aumento en el riesgo de muerte ni con preocupaciones importantes sobre la seguridad", señaló.</p><p>Turakhia cree que los pacientes que toman digoxina para la fibrilación auricular deben hablar con el médico sobre la posibilidad de cambiar a otro fármaco.</p><p>"La digoxina quizá tenga un rol, pero quizá valga la pena discutir si es el medicamento adecuado cuando hay otras alternativas", planteó.</p><p>Turakhia apuntó que la digoxina podría ser beneficiosa para algunos pacientes. "Unos estudios recientes han mostrado que la digoxina podría evitar que las personas con insuficiencia cardiaca tengan que ser internadas en un hospital", comentó. "Pero la mayoría de pacientes de fibrilación auricular no sufren de insuficiencia cardiaca", añadió.</p><p>El informe aparece en la revista <a href="http://content.onlinejacc.org/article.aspx?articleID=1895457" target="_blank"><strong>Journal of the American College of Cardiology</strong></a> (doi: 10.1016/j.jacc.2014.03.060.).</p><p>El Dr. Gregg Fonarow, profesor de cardiología de la Universidad de California, en Los Ángeles, dijo que "aunque la digoxina se haya usado durante décadas para tratar a los pacientes de fibrilación auricular, hay disponibles unos datos muy limitados a partir de ensayos clínicos, y su seguridad y efectividad para la fibrilación auricular siguen siendo controversiales".</p><p>Aunque varios estudios sugieren que la digoxina podría estar asociada con un mayor riesgo de muerte, los hallazgos de estos estudios podrían estar sesgados porque es más probable que se utilice digoxina para tratar a pacientes con una insuficiencia cardiaca grave y en pacientes que no pueden tomar bloqueadores beta ni bloqueadores del canal del calcio, planteó.</p><p>Los hallazgos de este estudio actual tampoco son definitivos, y plantean más preguntas de las que responden, dijo Fonarow. Cree que se necesitan ensayos clínicos que comparen la digoxina de forma directa con otros tratamientos para la fibrilación auricular para responder a esta pregunta.</p><p>Fonarow enfatizó que mientras tanto "los pacientes de fibrilación auricular no deben alterar su régimen farmacológico sin hablar con su cardiólogo y sopesar con cuidado los riesgos y los beneficios de las distintas opciones de tratamiento".</p><p>Para el estudio, Turakhia y sus colaboradores usaron los expedientes médicos del sistema de atención médica del Departamento de Asuntos de Veteranos de EE. UU. de 2003 a 2008. Recolectaron datos de más de 120 000 personas con fibrilación auricular recién diagnosticada. Casi todos eran hombres.</p><p>Casi una cuarta parte tomaban digoxina. El 70 % de los que tomaban el fármaco seguían tomándolo tras un año, anotaron los investigadores.</p><p>El equipo de Turakhia halló que los que tomaban digoxina tenían casi un 20 % más de probabilidades de morir, en comparación con los pacientes que tomaban otros fármacos para controlar la fibrilación auricular.</p><p>Los investigadores tomaron en cuenta otros factores, como tomar otros medicamentos, que incluían a los bloqueadores beta, un medicamento para las arritmias cardiacas llamado amiodarona y el anticoagulante warfarina. También tomaron en cuenta la edad y otras afecciones médicas, como la enfermedad renal, el ataque cardiaco o la insuficiencia cardiaca. Pero el riesgo de muerte vinculado con la digoxina siguió siendo el mismo, según el estudio.<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_147824.html" target="_blank"><strong>agosto 12/2014 (MedlinePlus)</strong></a></p><p>Turakhia MP, Santangeli P, Winkelmayer WC, Xu X, Ullal AJ, Than CT.Increased Mortality Associated With Digoxin in Contemporary Patients With Atrial Fibrillation: Findings From the TREAT-AF Study.J Am Coll Cardiol. 2014 Ago 19;64(7):660-8.</p>
2014-08-25T08:35:46-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/688
Tabaquismo: Fumar durante el embarazo puede condicionar el crecimiento de los nietos
2014-08-25T08:31:02-04:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Según revela un estudio, los niños cuyas abuelas paternas fumaron en la gestación eran en general más altos y tenían una mayor masa ósea y muscular.</p><p> </p><form name="vars"></form><p>Las consecuencias negativas para la salud derivadas del consumo de tabaco durante el embarazo son numerosas, tanto para la mujer como para el feto, pero ahora un equipo de investigadores de la Universidad de Bristol han ido más allá y han observado que fumar en estos 9 meses puede acabar condicionando el crecimiento de los nietos.<br /> <br /> En concreto, según los resultados del estudio, publicado en el <em>American Journal of Human Biology,</em> los niños cuyas abuelas paternas fumaron durante el embarazo eran en general más altos y tienen una mayor masa ósea y muscular. Y si la que fumaba había sido la abuela materna, los nietos presentaban un exceso de peso en la adolescencia.<br /> <br /> Además, observaron que en los casos en que fumaron tanto la abuela materna como la madre, las niñas medían y pesaban menos que aquellas en las que sólo fumaba la madre, pero no la abuela.<br /> <br /> "Estos posibles efectos intergeneracionales de fumar durante el embarazo deben tenerse en cuenta en futuros estudios sobre los efectos del tabaquismo materno en el crecimiento y desarrollo del niño", ha aseverado Marcus Pembrey, autor del estudio.</p><br /><a href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/ajhb.22594/abstract" target="_blank">American Journal of Human Biology (2014); doi: 10.1002/ajhb.22594</a>
2014-08-25T08:31:02-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/687
Tabaquismo: Los fumadores de tabaco de liar tienen mayor concentración de monóxido de carbono que los usuarios de tabaco convencional
2014-08-21T07:51:05-04:00
Revista Finlay
<p>Los fumadores de tabaco de liar presentan concentraciones más altas de monóxido de carbono en su aire espirado que los fumadores de tabaco manufacturado a pesar de que estos últimos consumen un número más alto de cigarrillos diarios (18,5 frente a 27,9), según Carlos Jiménez Ruiz, director del Programa de Investigación en Tabaquismo de la Sociedad Española de Neumología y Cirugía Torácica (SEPAR).<br /> <br /> Pese a que la investigación, publicada en la revista <em>Prevención del Tabaquismo,</em> revela que un 30% de los fumadores de tabaco de liar confiesan que cambiaron al consumo de este tipo de tabaco pensando que era más saludable, "con el tabaco de liar se quema más papel en cada calada, lo que hace que aumente la concentración de monóxido de carbono".<br /> <br /> En cuanto al perfil del consumidor de este tipo de tabaco, se asocia con hombres generalmente jóvenes, con menores recursos económicos, con un menor nivel educacional, que viven en el medio rural y que cambiaron al tabaco de liar pensando que era más saludable. Jiménez señala que "este tipo de fumadores tienen una mayor dependencia por la nicotina y presentan una menor motivación para abandonar el hábito que los fumadores de cigarrillos convencionales. Además, poseen un grado más alto de auto-eficacia, lo que dificulta aún más el intento de abandono".<br /> <br /> <strong>Altas tasas de abstinencia a los 6 meses de seguimiento</strong></p><p>A pesar de ello, en ambos grupos de fumadores se han obtenido unas "altas tasas de abstinencia a los seis meses de seguimiento", llegando a cifras superiores al 60% en los que utilizaron el tratamiento farmacológico con vareniclina.<br /> <br /> Finalmente, otro dato relevante es que el 33% de las marcas indican los contenidos de nicotina y alquitrán en el paquete del producto. "En el caso del monóxido de carbono el etiquetado es nulo". "Es imprescindible que la administración sanitaria extreme la vigilancia para el cumplimiento de la ley por parte de las empresas que comercializan el tabaco de liar, así como para lograr que la población general reciba la información adecuada sobre la composición del producto que están consumiendo", asegura Jiménez Ruiz</p>
2014-08-21T07:51:05-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/686
Factores de riesgo cardiovascular: Alertan de que el exceso de ejercicio puede ser perjudicial para la salud
2014-08-16T07:55:54-04:00
Revista Finlay
<p>Un estudio publicado en <em>Mayo Clinic Proceedings </em>revela un incremento de las muertes cardiovasculares en sobrevivientes de ataques cardiacos que hacen ejercicio en exceso. Paul T. Williams, de la División de Ciencias de la Vida del Laboratorio Nacional Lawrence Berkeley, en California, Estados Unidos, y Paul D. Thompson, del Departamento de Cardiología del Hospital de Hartford, en Connecticut, Estados Unidos, analizaron la relación entre el ejercicio y las muertes relacionadas con la enfermedad cardiovascular en cerca de 2.400 sobrevivientes de ataques cardíacos físicamente activos.<br /> <br /> Estos expertos realizaron un estudio prospectivo a largo plazo empleando las bases de datos de los 'National Walkers and Runners Health Studies'. Su trabajo confirma informes anteriores que indican que los beneficios cardiovasculares de caminar y correr son equivalentes, siempre y cuando los gastos de energía sean los mismos, aunque caminar, en comparación con correr, necesita el doble de tiempo para quemar el mismo número de calorías.<br /> <br /> Se observaron reducciones importantes dependientes de la dosis en las muertes por eventos cardiovasculares de hasta un 65% entre los pacientes que corrían menos de 30 millas (48 kilómetros) o caminaban menos de 46 millas (74 kilómetros) por semana. Sin embargo, más allá de ese punto, se perdió gran parte del beneficio del ejercicio, en lo que se describe como un patrón de curva en J inversa.<br /> <br /> "Los resultados sugieren que los beneficios de correr o caminar no se acumulan indefinidamente y que, por encima de cierto nivel, tal vez 30 millas (48 kilómetros) por semana corriendo, hay un aumento significativo del riesgo. Las carreras de competición también parecen aumentar el riesgo de un evento agudo", afirman Williams y Thompson. Pero advierten de que su población de estudio fueron supervivientes de ataques cardiacos, por lo que los resultados no se pueden generalizar fácilmente a toda la población que realiza ejercicio en exceso.<br /> <br /> En el mismo artículo, investigadores de España informan de los resultados de un metaanálisis de diez estudios de cohorte que proporciona una visión general precisa de la mortalidad en los deportistas de élite. Los estudios incluyeron a más de 42.000 atletas de alto rendimiento (707 mujeres) que habían participado en una variedad de deportes, como fútbol, béisbol, atletismo y ciclismo, entre los cuales había atletas de nivel olímpico y participantes en el Tour de Francia.<br /> <br /> "Lo que encontramos en la evidencia disponible era que los atletas de élite (en su mayoría hombres) viven más que la población general, lo que sugiere que los efectos beneficiosos para la salud del ejercicio, sobre todo en la disminución de las enfermedades cardiovasculares y el riesgo de cáncer, no se limitan necesariamente a dosis moderadas --comenta el investigador principal, Alejandro Lucía, de la Universidad Europea de Madrid--. Sin embargo se necesita más investigación, usar cohortes más homogéneas y una representación más proporcional de ambos sexos".<br /> <br /> "La extrapolación de los datos del actual estudio de Williams y Thompson a la población en general sugiere que aproximadamente una de cada 20 personas está exagerando a la hora de hacer ejercicio", subraya James H. O'Keefe, del Instituto del Corazón Mid America en Kansas City, Estados Unidos, y primer autor de un editorial que aparece en la misma edición.</p><p><strong>Entre 30 y 40 minutos diarios</strong><br /> <br /> Junto a los coautores Carl Lavie y Barry Franklin, explica que estos expertos sugieren el término 'lesión por sobrecarga cardiaca' para esta consecuencia cada vez más común por creer que "más ejercicio es la mejor estrategia". No obstante, estos autores indican que alrededor de 10 de cada 20 personas no están practicando la cantidad mínima recomendada de actividad física (>150 minutos/semana de ejercicio moderado).<br /> <br /> O'Keefe, Franklin y Lavie señalan que se ha identificado en varios estudios que una dosis acumulada semanal de ejercicio vigoroso de no más de cinco horas es el rango máximo seguro para la salud y la esperanza de vida cardiovascular a largo plazo y que puede también ser beneficioso tomarse uno o dos días libres a la semana sin ejercicio vigoroso y abstenerse de practicar ejercicio de alta intensidad a diario.<br /> <br /> Estos expertos proponen que los individuos de ambos extremos del espectro de la práctica deportiva (personas sedentarias y con excedente de ejercicio) probablemente proporcionará beneficios para la salud a largo plazo si llevan sus niveles de actividad física al rango moderado.<br /> <br /> "Para los pacientes con enfermedades del corazón, casi todo debe ser ejercicio y, en general, la mayoría debe hacer entre 30 y 40 minutos de ejercicio casi todos los días", dice Lavie, cardiólogo del Instituto Cardiaco y Vascular John Ochsner, en Nueva Orleans, Estados Unidos. "Como dijo Hipócrates hace más de 2.000 años, si pudiéramos dar a cada individuo la cantidad adecuada de alimento y ejercicio, no demasiado poco ni en exceso, habríamos encontrado el camino más seguro para la salud", concluye.</p><br /><br /><a href="http://www.mayoclinicproceedings.org/article/S0025-6196%2814%2900638-7/abstract" target="_blank">Mayo Clinic Proceedings (2014); doi:10.1016/j.mayocp.2014.07.007</a>
2014-08-16T07:55:54-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/685
Medicamentos: La aspirina podría reducir el cáncer de estómago e intestino
2014-08-16T07:26:21-04:00
Revista Finlay
<p>Tomar una aspirina diaria durante una década podría reducir las posibilidades de contraer cáncer de estómago e intestino o de morir a causa de esas enfermedades, según los hallazgos de un estudio.</p><p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/08/Asa.jpg"><img class="alignleft size-full wp-image-35691" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/08/Asa.jpg" alt="Asa" width="148" height="141" /></a>La investigación desarrollada por expertos de la Universidad Queen Mary de Londres, que difunde hoy la publicación médica <a href="http://annonc.oxfordjournals.org/content/early/2014/08/08/annonc.mdu225.abstract?sid=060f0809-a5df-48e0-9d25-2aa12c3dfbe2" target="_blank"><strong>Annals Of Oncology</strong></a> (doi: 10.1093/annonc/mdu225), señala que si todas las personas de 50 años y mayores en el Reino Unido tomaran ese fármaco durante un periodo de diez años, podrían prevenirse 122v000 muertes por los citados cánceres a lo largo de dos décadas.</p><p>No obstante, los científicos alertan a la vez de que la aspirina puede ocasionar efectos secundarios que no pueden ignorarse, como sangrado interno, por lo que antes de tomarla se debe consultar con un médico.</p><p>Para llegar a esas conclusiones, los científicos analizaron unos 200 estudios que investigaban los beneficios y perjuicios de consumir aspirina, un área de continuo debate médico.</p><p>Esos expertos encontraron que ese fármaco reduce entre un 30 y un 40 % el número de casos y de muertes por cáncer de intestino, estómago y esófago.</p><p>En cambio, no lograron evidencias tan sólidas que pudieran corroborar que la aspirina pueda disminuir además muertes por cáncer de pecho, próstata y pulmón.</p><p>En sus investigaciones, los científicos precisaron que las personas debían tomar la aspirina durante al menos un periodo de cinco años para poder apreciarse beneficios.</p><p>El responsable del citado estudio, Jack Cuzick, de la Queen Mary University de Londres, instó a todas las personas sanas mayores de 50 años a considerar tomar una pequeña dosis (de 75 miligramos) de aspirina diaria durante una década.</p><p>"Al tiempo que hay algunos efectos secundarios graves que no pueden ignorarse, tomar aspirina a diario parece ser lo más importante que podemos hacer para reducir el cáncer después de dejar de fumar y reducir la obesidad, y probablemente será mucho más fácil de implementar", señaló Cuzick, quien lleva tomándola desde hace cuatro años, a la BBC.</p><p>En su estudio, los expertos encontraron beneficios continuados incluso en casos en los que las personas dejaron de tomar el fármaco y tampoco se sabe si consumir otras dosis de aspirina podría ofrecer más protección al paciente.</p><p>Julie Sharp, de la organización Cancer Research UK -Investigación para el Cáncer del Reino Unido- opinó, en declaraciones que recoge el citado canal de televisión, que si bien la aspirina arroja datos prometedores para prevenir ciertos tipos de cáncer, "es vital equilibrarlo con las complicaciones que puede causar".<br /> agosto 6/2014 (EFE).-</p><p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013<strong> "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p><p>J. Cuzick, M. A. Thorat, C. Bosetti, P. H. Brown, J. Burn, N. R. Cook.Estimates of benefits and harms of prophylactic use of aspirin in the general population.Ann Oncol . Ago 5, 2014</p>
2014-08-16T07:26:21-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/684
Cáncer: Destruyen celulas cancerosas cerebrales con una tecnología de nanopartículas de oro
2014-08-13T09:23:35-04:00
Revista Finlay
<p>Una tecnología consistente en llevar nanopartículas de oro a las células cancerosas del cerebro se ha revelado eficaz en laboratorio para destruir el tumor. Esta técnica podría ser utilizada para tratar el glioblastoma multiforme, que es el tumor cerebral más común y agresivo en los adultos</p><p>En la investigación, se usaron nanoestructuras de ingeniería que contienen oro y cisplatino, un fármaco de quimioterapia convencional, y que fueron liberadas en células tumorales que habían sido tomadas de pacientes de glioblastoma y cultivadas en el laboratorio. Una vez dentro, estas nanoesferas fueron expuestas a radioterapia, de forma que el oro libera electrones que dañan el ADN de la célula cancerosa y su estructura global, mejorando de este modo el impacto del medicamento de quimioterapia.</p><p>El proceso fue tan eficaz que 20 días después, el cultivo de células no mostró evidencia de ningún avivamiento, lo que sugiere que las células tumorales se habían destruido. Aunque queda trabajo por hacer antes de la que esta tecnología se pueda utilizar para tratar a las personas con glioblastoma, los resultados ofrecen una base muy prometedora para terapias futuras. Es importante destacar que la investigación se llevó a cabo en líneas celulares derivadas directamente de los pacientes de glioblastoma, lo que permite el equipo probar el enfoque en tumores resistentes a los fármacos.</p><p>El estudio, publicado en la revista de la Real Sociedad de Química <em>Nanoscale,</em> fue dirigido por Mark Welland, profesor de Nanotecnología y miembro del 'St. John's College' de la Universidad de Cambridge, en Reino Unido, y el doctor Colin Watts, científico médico y neurocirujano honorario en el Departamento de Neurociencias Clínicas.</p><p>"La terapia combinada que hemos ideado parece ser increíblemente eficaz en el cultivo de células en vivo", subraya el profesor Welland. "No es una cura, pero demuestra lo que la nanotecnología puede lograr en la lucha contra estos cánceres agresivos. Al combinar esta estrategia con materiales celulares objetivo del cáncer, deberíamos ser capaces de desarrollar en el futuro una terapia para el glioblastoma y otros cánceres desafiantes", augura.</p><p>Hasta la fecha, el glioblastoma multiforme (GBM) ha demostrado ser muy resistente a los tratamientos, entre otras cosas, debido a que las células tumorales invaden el tejido cerebral sano circundante, lo que hace de la extirpación quirúrgica del tumor prácticamente imposible. Los fármacos de quimioterapia pueden provocar la reducción de la tasa a la cual el tumor se disemina, pero, en muchos casos, esto es temporal, ya que la población de células luego se recupera.</p><p>"Tenemos que ser capaces de atacar las células cancerosas directamente con más de un tratamiento al mismo tiempo -reclama el doctor Watts--. Esto es importante porque algunas células cancerosas son más resistentes a un tipo de tratamiento que otro. La nanotecnología ofrece la oportunidad de dar a las células de cáncer este 'doble golpe' y abrir nuevas opciones de tratamiento en el futuro".</p><p>En un esfuerzo más exhaustivo por vencer a los tumores, los científicos han estado investigando formas en que las nanopartículas de oro pueden ser utilizadas en los tratamientos desde hace algún tiempo. El oro es un material benigno que en sí mismo no representa ninguna amenaza para el paciente y el tamaño y forma de las partículas puede controlarse con mucha precisión.</p><p>Cuando se expone a la radioterapia, las partículas emiten un tipo de electrones de baja energía, conocidos como electrones Auger, capaces de dañar el ADN de la célula enferma y otras moléculas intracelulares. Esta emisión de baja energía significa que sólo tienen un impacto a corta distancia, por lo que no causan ningún daño serio a las células sanas que están cerca.</p><p><strong>Estimulación mediante radioterapia estándar</strong></p><p>En el nuevo estudio, los investigadores primero envolvieron nanopartículas de oro dentro de un polímero cargado positivamente, polietilenimina, que interactuó con las proteínas en la superficie celular (proteoglicanos), que hicieron que las nanopartículas fueran ingeridas por la célula. Una vez allí, fue posible estimularlas usando radioterapia estándar, de forma que se liberan electrones para atacar el ADN de la célula.<br /> Mientras las nanoesferas de oro, sin ningún tipo de fármacos, causaron un daño celular significativo, las poblaciones de células resistentes al tratamiento se recuperaron con el tiempo varios días después de la radioterapia. Como resultado, los investigadores diseñaron una segunda nanoestructura que fue bañada con cisplatino.</p><p>El efecto quimioterapéutico del cisplatino en combinación con el efecto radiosensibilizador de las nanopartículas de oro se tradujo en una mayor sinergia que permite un daño celular más eficaz. Pruebas posteriores revelaron que el tratamiento había reducido la población de células visibles por un factor de 100.000, en comparación con un cultivo de células sin tratar en el espacio de sólo 20 días. No se detectó ninguna renovación de la población.</p><p>Los expertos creen que modelos similares se podrían utilizar para tratar otros tipos de cánceres difíciles, pero, en primer lugar, el método en sí tiene que convertirse en un tratamiento aplicable a pacientes con GBM. Este proceso, que será el foco de gran parte de la próxima investigación del equipo, implicará necesariamente ensayos extensos, además del trabajo que hay que hacer para determinar la mejor manera de dispensar el tratamiento y en otras áreas, como modificar el tamaño y la superficie química de la nanomedicina a la que el cuerpo pueda acomodarse de forma segura.</p><p><br /><br /><a href="http://pubs.rsc.org/en/content/articlelanding/2014/nr/c4nr03693j#%21divAbstract" target="_blank">Nanoscale (2014); doi: 10.1039/C4NR03693J </a></p><p><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/destruyen/celulas/cancerosas/cerebrales/tecnologia/nanoparticulas/oro/_f-11+iditem-22688+idtabla-1" target="_blank">Tomado de Jano</a></p>
2014-08-13T09:23:35-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/683
Cáncer: Ensayan con veneno de avispa para tratar el cáncer de mama
2014-08-06T07:21:15-04:00
Revista Finlay
<p>Científicos del Instituto de Investigación Biomédica (IRB Barcelona) han diseñado una terapia basada en un péptido -unión de aminoácidos- procedente del veneno de avispa para su uso potencial contra el cáncer de mama.<br /> <br /> "Este péptido tiene la capacidad de formar poros en la membrana plasmática celular, penetrar dentro de la célula y, finalmente, provocar su muerte, ya sea por necrosis o desencadenando apoptosis, una destrucción celular programada", ha comentado el autor principal de la investigación, Miguel Moreno, cuyos resultados han sido publicados en<em> Journal of Controlled Release </em>y recogidos por la plataforma Sinc.<br /> <br /> Sin embargo, prosigue, esta "potente arma natural" no se podría utilizar debido a su alta toxicidad e inespecificidad celular. Es decir, según ha explicado Moreno, no solo dañaría a las células tumorales sino que también afectaría a las células sanas del paciente.<br /> <br /> Por ello, los expertos han diseñado un medio para transportar el péptido al tumor y hacer que se acumule de manera específica y controlada. En concreto, el sistema consiste en un polímero portador decorado con dos componentes: un péptido que se une a un receptor de las células tumorales; y el péptido citotóxico del veneno de avispa.<br /> <br /> Los experimentos 'in vitro' muestran que la sustancia se distribuye de forma adecuada dentro de las células tumorales y provoca su muerte, mientras que las células sanas, como los glóbulos rojos, permanecen a salvo.<br /> <br /> Aunque los resultados aún son muy preliminares, los expertos han informado de que el siguiente paso es comprobar su eficacia en ensayos 'in vivo' en ratones. De hecho, son "muy optimistas" respecto a la posibilidad de que la investigación llegue a "buen cauce" y este sistema antitumoral pueda utilizarse en un futuro como terapia complementaria a las ya existentes.</p><br /><a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0168365914001394" target="_blank">Journal of Controlled Release (2014); doi: 10.1016/j.jconrel.2014.03.005</a>
2014-08-06T07:21:15-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/682
Cáncer: Descubren nuevas regiones del material genético implicadas en el cáncer de colon
2014-07-25T18:04:00-04:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/cáncer_de_conlon.JPG" alt="" width="167" height="178" />Una investigación internacional, en la que ha participado el director del Programa de Epigenética y Biología del Cáncer del Instituto de Investigaciones Biomédicas de Bellvitge (Idibell), Manel Esteller, ha descubierto nuevas regiones del material genético implicadas en el desarrollodel cáncer de colon, ha informado este jueves el instituto.<br /> <br /> La mayor parte de las investigaciones sobre los genes en cáncer humano, se han centrado en las en las regiones que se traducen en forma de aminoácidos y por tanto de proteínas, pero justo antes de cada gen, existe una región reguladora o activadora que controla la expresión y actividad del gen colindante, de la que hasta ahora se conocía muy poco.<br /> <br /> Ahora, el citado artículo, que publica<em> Nature,</em> demuestra que estas regiones se encuentran también alteradas en el cáncer: "Los resultados del estudio revelan que las regiones reguladoras que preceden al gen como tal, son variables, pueden mutar y modificarse químicamente, como por ejemplo con la metilación del ADN, en las células de la transformación tumoral", ha declarado Esteller, coautor del trabajo.<br /> <br /> "Estudiando una extensa cohorte de pacientes de cáncer de colon, un tipo de tumor muy frecuente en nuestra sociedad, nos dimos cuenta de que éstas zonas de control de los genes estaban tan lesionadas como los genes y causaban una función alterada del gen diana", ha explicado. Según Esteller, el trabajo muestra una nueva lista de genes implicados en la aparición del cáncer, desconocidos hasta ahora, que son aberrantes simplemente por un mal control de estas regiones promotoras".<br /> <br /> Estos descubrimientos pueden tener una importancia profunda en la comprensión de la biología del cáncer ya que subrayan la necesidad no sólo de centrarse en la región de los genes más clásica (exoma), sino también interrogarnos sobre las regiones reguladoras de oncogenes y genes supresores de tumores.</p><a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature13602.html" target="_blank">Nature (2014); doi:10.1038/nature13602</a>
2014-07-25T18:04:00-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/681
Factores de riesgo: Llaman a bajar consumo de sal en el Caribe para prolongar la vida
2014-07-21T13:15:18-04:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/Consumo_de_sal.JPG" alt="" width="135" height="142" />Un llamado a los ciudadanos caribeños y de las Américas a disminuir el consumo de sal para ayudar a reducir la hipertensión, por de la Organización Panamericana de la Salud (OPS), es centro de debate en la región.<br /> <br /> <a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/07/sal.jpg"><img class="alignleft size-thumbnail wp-image-35159" style="margin: 5px; border: 0px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/07/sal-150x125.jpg" alt="sal" width="150" height="125" /></a>De acuerdo con ese organismo internacional, disminuir el consumo de sal es la principal vía para reducir la hipertensión "uno de los mayores factores de riesgo para la enfermedad cardiovascular.<br /> <br /> Al afirmar que la reducción del consumo de sal podría salvar a 8,5 millones de vidas en todo el mundo durante los próximos 10 años, la OPS instó a poner en marcha iniciativas para prevenir la hipertensión y las enfermedades cardiovasculares.<br /> <br /> La OPS resaltó que una docena de países de las Américas y el Caribe han implementado campañas de reducción de la sal como parte de la iniciativa regional.<br /> <br /> El proyecto se basa en investigaciones que muestran que el consumo excesivo de sal en la dieta contribuye a la hipertensión arterial, el principal factor de riesgo para la muerte y la segunda causa de riesgo de discapacidad en el mundo.<br /> <br /> Según la organización, la reducción de solo un gramo diario por persona en el consumo de sal, en 10 años sería más rentable que el uso de medicamentos para bajar la presión arterial en quienes padecen de hipertensión.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=2887851&Itemid=1" target="_blank"><strong>julio 16/2014(PL)</strong> </a></p><p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 "<em>Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</em></p>
2014-07-21T13:15:18-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/680
Nutrición: El ácido oleico promueve la migración de las neuronas y la formación de sinapsis
2014-07-08T04:40:21-04:00
Revista Finlay
<p>El ácido oleico promueve la migración de las neuronas y esto, a su vez, facilita la formación de sinapsis, el contacto entre estas células que permite transmitir los impulsos nerviosos. Un equipo de investigación del Instituto de Neurociencias de Castilla y León (INCYL) de la Universidad de Salamanca explica este hallazgo en un artículo publicado en la revista<a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0006899314005861" target="_blank"> <em><strong>Brain Research</strong></em></a> (doi: 10.1016/j.brainres.2014.04.038.).</p><p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/07/ac.-ol%C3%A9ico.jpg"><img class="alignleft size-thumbnail wp-image-34922" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/07/ac.-ol%C3%A9ico-150x150.jpg" alt="ac. oléico" width="150" height="150" /></a>Esta publicación "reafirma toda nuestra investigación anterior", comenta José María Medina, investigador principal del grupo, que previamente había demostrado que el ácido oleico promueve el crecimiento de las neuronas y que ahora revela que también influye en la migración neuronal y en la sinapsis.</p><p>En los experimentos in vitro, las neuronas se agrupaban en presencia del ácido oleico.</p><p>Hace años los científicos del INCYL estudiaban el metabolismo de las células nerviosas cuando vieron que los astrocitos liberaban una sustancia en cantidades apreciables. La sorpresa llegó cuando la identificaron, ya que es uno de los ácidos más ubicuos que hay en la naturaleza, el oleico, el componente principal del aceite de oliva.</p><p>Además, "comprobamos que se concentraba en los axones y las dendritas", las prolongaciones de las neuronas. Otro aspecto interesante de los experimentos in vitro es que en presencia del ácido oleico las neuronas se agrupaban.</p><p>Utilizando animales de experimentación, los expertos pudieron añadir nueva información. Las ratas, al igual que los humanos y a diferencia de los monos, nacen sin haber completado su sistema nervioso y, curiosamente, la concentración de ácido oleico sube de manera muy notable en torno al nacimiento, por lo que parece que el papel que cumple esta sustancia es importante.</p><p>Para averiguar si era así, el equipo de José María Medina trabajó con cultivos organotípicos, caracterizados por un corte de cerebro más grueso que los que se utilizan para las placas de cultivo, y en ellos suprimieron la enzima que sintetiza el ácido oleico, llamada estearoil-coA desaturasa. De esta manera, comprobaron que cuando se silencia o se suprime su actividad se paraliza la migración y, en buena medida, la formación de sinapsis, tal y como recoge el artículo.</p><p>Numerosas implicaciones<br /> Este hallazgo tiene muchas implicaciones. "Existe una zona del cerebro en la que proliferan las neuronas después del nacimiento y, si se daña, los niños mueren o sufren problemas de retraso mental irreversibles", comenta Medina. Aunque se pensaba que esto se producía por hipoxia o falta de oxígeno en niños prematuros, parece que la explicación puede ser más compleja y estar relacionada con la imposibilidad de sintetizar ácido oleico.</p><p>Por otra parte, a raíz de esta línea de investigación, el INCYL está estudiando otras patologías que podrían estar relacionadas, especialmente el síndrome de Down. La investigadora Ana Velasco ha descrito cómo la sobreexpresión de una proteína cuando hay trisomía del par 21 impide que el ácido oleico cumpla su función como factor neurotrófico, es decir, como agente que promueve el crecimiento y la diferenciación de las neuronas.</p><p>Asimismo, aunque este grupo no trabaja en ello en la actualidad, también podría tener implicaciones en investigaciones relacionadas con el alzhéimer. Anteriormente, el equipo de Medina había comprobado que una proteína denominada albúmina se une al beta-amiloide, sustancia que degrada las neuronas, e impide que entre en estas células del sistema nervioso.</p><p>Precisamente, el ácido oleico se sintetiza en los astrocitos en presencia de albúmina. Los efectos de las dos moléculas podrían ser muy positivos y, de hecho, experimentos de otros investigadores apuntan a una posible reparación del cerebro en animales, pero en el cerebro adulto no pueden pasar la barrera hematoencefálica, que divide los vasos sanguíneos y el sistema nervioso.<br /> <a href="http://www.agenciasinc.es/Noticias/El-acido-oleico-promueve-la-migracion-de-las-neuronas-y-la-formacion-de-sinapsis" target="_blank"><strong>julio 2/2014 (SINC)</strong></a></p><p>Polo-Hernández E, Tello V, Arroyo AA, Dominguez-Prieto M, Castro F, Tabernero A, Medina JM.Oleic acid synthesized by stearoyl-CoA desaturase (SCD-1) in the periventricular zone of the lateral Developing rat brain mediates neuronal growth, migration and the arrangement of prospective synapses.<em>Brain Res</em> 2014 Jun 27;.1570:13-25. 2014 May 15.</p>
2014-07-08T04:40:21-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/679
Cáncer: Nuevo y esperanzador concepto de tratamiento del cáncer
2014-07-08T04:35:37-04:00
Revista Finlay
<p>El hallazgo es obra de investigadores de cinco universidades suecas, dirigidos desde el Instituto Karolinska en Estocolmo y el centro SciLifeLab, ambas instituciones en Suecia también.</p><p>Para acelerar el desarrollo de esta estrategia de tratamiento y proceder con los ensayos clínicos en pacientes tan pronto como sea posible, el equipo de Thomas Helleday, del Instituto Karolinska, está trabajando con un modelo de innovación abierta. Incluso antes de la publicación oficial de los resultados de su estudio, estos científicos enviaron inhibidores de MTH1 a diversos grupos de investigación en todo el mundo.</p><p>En las últimas décadas, el desarrollo de nuevos agentes anticancerígenos se ha centrado en buscar, en las células cancerosas, puntos débiles en la forma de defectos genéticos explotables como blancos de ataque. Explotar estos defectos es a menudo eficaz inicialmente, pero pronto surgen problemas en forma de una rápida resistencia. En el reciente estudio, los investigadores analizaron una actividad enzimática general presente en todos los cánceres y que parece ser independiente de los cambios genéticos que se dan en los cánceres específicos. El equipo de investigación ha demostrado que todos los tumores cancerosos investigados necesitan la enzima MTH1 para sobrevivir. En este rasgo clave, las células cancerosas difieren de las células normales, que no necesitan esa enzima.</p><p>Ya se ha elaborado un potente inhibidor de MTH1 que, en los experimentos realizados hasta ahora, elimina selectivamente células cancerosas en tumores que han sido extirpados de pacientes con cáncer de piel.</p><p>Sin embargo, queda mucho trabajo por hacer antes de que pueda comenzar la fase de los ensayos clínicos, lo que probablemente consumirá uno o dos años.<br /> <a href="http://noticiasdelaciencia.com/not/10813/nuevo-y-esperanzador-concepto-de-tratamiento-del-cancer/" target="_blank"><strong>julio 3/2014 (NCYT)</strong></a></p><p>Helge Gad, Tobias Koolmeister, Ann-Sofie Jemth, Saeed Eshtad, Sylvain A. Jacques, Cecilia E. Ström.MTH1 inhibition eradicates cancer by preventing sanitation of the dNTP pool.<a href="http://www.nature.com/nature/journal/v508/n7495/full/nature13181.html" target="_blank"><em><strong>Nature</strong></em><em><strong></strong></em></a><em> </em>508, 215-221.10 Abril 2014 doi:10.1038/nature13181</p><p>Kilian V. M. Huber, Eidarus Salah, Branka Radic, Manuela Gridling, Jonathan M. Elkins, Alexey Stukalov.Stereospecific targeting of MTH1 by (S)-crizotinib as an anticancer strategy. <a href="http://www.nature.com/nature/journal/v508/n7495/full/nature13194.html" target="_blank"><em><strong>Nature</strong></em></a> 508, 222-227.10 Abril 2014. doi:10.1038/nature13194</p>
2014-07-08T04:35:37-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/678
Tabaquismo: Luces y sombras del cigarrillo electrónico
2014-06-29T07:16:06-04:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/Cigarros_electronicos.JPG" alt="" width="273" height="197" />El cigarrillo electrónico (e-cig) se ha convertido en un auténtico fenómeno social. Su consumo y promoción ha crecido de forma mucho más rápida que los intentos de regulación de un producto destinado a llenar algunos de los espacios que ha dejado vacíos la regulación del consumo de tabaco. En el estudio que comentamos, los autores, como grandes expertos en tabaquismo y miembros del Tobacco Research and Education Institute de la Universidad de California, realizan una revisión de la literatura publicada hasta la fecha sobre el e-cig.<br /><br />Se trata de una revisión bien estructurada y muy útil para los profesionales sanitarios, que nos vemos en la necesidad de posicionarnos sobre el uso de este dispositivo, intentando aclarar las dudas sobre su seguridad y su eficacia como estrategia para dejar de fumar. <br /><br />Los autores resaltan que el e-cig es un producto en constante evolución, con gran variedad de tipos y de recargas, lo que unido a un vacío de regulación, hace que sea difícil establecer conclusiones extrapolables a todos. Estas distintas características también pueden influir en la biodisponibilidad de los productos contenidos en el e-cig que son inhalados en forma de vapor. Los líquidos generalmente contienen distintas cantidades de nicotina, propilenglicol, glicerina, saborizantes y otros aditivos. En las recargas se han encontrado también trazas de nitrosaminas y metales pesados, aunque en cantidad menor que en el cigarrillo convencional. También se han encontrado micropartículas en cantidades similares al cigarrillo. Muchos de los saborizantes prohibidos en el cigarrillo convencional son un reclamo en el e-cig, con un marketing especialmente enfocado a la gente joven.<br /><br />Otro aspecto importante para la salud pública es que la publicidad y la promoción de estos productos, incluso a través de celebrities, aseguran un crecimiento rápido de su uso, atrayendo a los colectivos tradicionalmente más sensibles a estos mensajes mediáticos (mujeres y jóvenes). Otros reclamos publicitarios como que no producen mal olor, pueden utilizarse en lugares donde está prohibido fumar, o que son “más sanos” y más baratos, también funcionan como potentes vectores de su uso. En la revisión realizada por los autores, en 64% de las páginas web que promocionan e-cig encontraron aseveraciones directas o indirectas de que el dispositivo ayuda a dejar de fumar, cuando en realidad no hay evidencia sólida que lo apoye. Después de varios años sin ver publicidad directa de tabaco en la televisión y radio, hemos asistido a una invasión de anuncios publicitarios de e-cig que nos producen una sensación de déjà-vu. En un estudio reciente se constató que la visión de un anuncio de e-cig aumentaba las ganas de fumar en fumadores habituales. Ante este fenómeno de marketing, es inevitable percibir con cierta preocupación el avance de este producto que puede constituir una nueva puerta de entrada a la adicción a la nicotina, especialmente en jóvenes atraídos por un producto de moda.<br /><br />Los autores revisan los principales puntos de interés relativos al cigarrillo electrónico:<br /><br />Prevalencia de consumo: se estima que se ha duplicado tanto en adultos como adolescentes entre 2008 y 2012, situándose en torno al 7% en Estados Unidos en 2012 (6,8% en adolescentes), con cifras crecientes. Es bastante común el consumo dual de e-cig y cigarrillo convencional, lo que favorece la bi-direccionalidad de las dos formas de consumo de nicotina.<br /><br />Seguridad del e-cig: los umbrales para la toxicidad de las sustancias potencialmente tóxicas del e-cig se desconocen. La exposición a propilenglicol puede causar irritación ocular y respiratoria. Existen escasos estudios sobre los efectos biológicos de la exposición a e-cig, algunos apuntan a que puede causar aumento de la resistencia de la vía aérea. Los efectos a largo plazo se desconocen, dado que no se ha acumulado suficiente evidencia. En cualquier caso no hay que olvidar que la nicotina es una potente sustancia psicoactiva además de un potencial tóxico cardiovascular.<br /><br />Vapeo de segunda mano: en estudios experimentales, se han encontrado trazas de nicotina y algunas toxinas aunque en cantidades menores que en las emitidas por el consumo de tabaco. En cambio al no mediar combustión, no se produce emisión de CO.<br /><br />Eficacia del e-cig para dejar de fumar: en un metaanálisis de 4 estudios poblacionales longitudinales y un estudio transversal el uso del e-cig en fumadores se asoció a una menor tasa de abstinencia (OR 0,61, IC 95% 0,50-0,75). Existen 4 ensayos clínicos publicados hasta la fecha, con escasos pacientes, algunos sin grupo control y otras deficiencias metodológicas, y con resultados a veces discordantes. Las tasas de abstinencia son en general bajas, y un estudio no encontró diferencias significativas entre el e-cig y el parche de nicotina. Los autores concluyen que hasta la fecha no existe evidencia sólida que apoye el uso de e-cig como herramienta para dejar de fumar.<br /><br />Sobre el uso del e-cig como estrategia de reducción de riesgos, los autores resaltan que la tendencia al consumo dual en usuarios de cigarrillo electrónico difícilmente conduce al cese total, que debería ser el objetivo prioritario tanto en la prevención cardiovascular como en la de la patología cancerosa relacionada con el tabaco.<br /><br />Finalmente los autores hacen un repaso de los intentos de regulación del cigarrillo electrónico a nivel internacional, resaltando que en la revisión de la Directiva Europea de Productos de Tabaco, recientemente ratificada, se ha regulado la cantidad máxima de nicotina de estos dispositivos (20 mg/mL, cantidad similar a la de un paquete de cigarrillos), y se han aprobado restricciones a la publicidad y promoción equiparables a las del tabaco. Los Estados Miembro tienen dos años para aplicar las medidas. Los autores establecen unas recomendaciones regulatorias para evitar un crecimiento descontrolado de un producto que aún no ha demostrado su seguridad y eficacia, y que pone en peligro la tendencia a la desnormalización del consumo de tabaco, abriendo un nuevo espacio de permisividad y una nueva puerta de entrada a la adicción a la nicotina.<br /><br />El cigarrillo electrónico está suscitando un gran debate social, creando división de opiniones incluso entre profesionales sanitarios. Lo que para algunos supone una amenaza, para otros supone una oportunidad. Recientemente, 129 autoridades de salud pública a nivel mundial, han solicitado a Margaret Chan, directora general de la Organización Mundial de la Salud, un posicionamiento más contundente que ponga en alerta a las autoridades sanitarias sobre lo que consideran un paso atrás en la prevención del tabaquismo.</p><p><a href="http://www.secardiologia.es/practica-clinica-investigacion/blog-cardiologia-hoy/circulation/5391-luces-y-sombras-del-cigarrillo-electronico?utm_source=Sociedad+Espa%C3%B1ola+de+Cardiolog%C3%ADa&utm_campaign=93ed3378aa-RSS_resumen_web+%2A%7CRSSFEED%3ADATE%7C%2A&utm_medium=email&utm_term=0_255d8eca74-93ed3378aa-209967737">Tomado de la sociedad Española de Cardiología</a></p>
2014-06-29T07:16:06-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/677
Enfermedades del colágeno: Caminar 6000 pasos al día podría ayudar a la artritis de la rodilla
2014-06-23T14:47:07-04:00
Revista Finlay
<p>Caminar el equivalente a una hora al día podría ayudar a mejorar la artritis de la rodilla y a prevenir la discapacidad, sugiere una investigación reciente.</p><p>La artritis de la rodilla dificulta que muchos adultos mayores caminen, suban las escaleras o incluso se pongan de pie desde una silla. Pero los hallazgos de este estudio equiparan caminar más con un mejor funcionamiento diario.</p><p>"Las personas con o en riesgo de artritis de la rodilla deben caminar unos 6000 pasos al día, y mientras más caminen, menor será el riesgo de contraer dificultades para funcionar", apuntó el autor líder del estudio, Daniel White, profesor asistente de investigación del departamento de fisioterapia y entrenamiento atlético de la Universidad de Boston.</p><p>Todos los pasos que se dan durante el día cuentan para el total, explicó. La clave es usar un podómetro y dar hasta 6000 pasos al día, dijo.</p><p>"Las personas en promedio dan unos 100 pasos por minuto cuando caminan así que (6000 pasos) es aproximadamente caminar una hora al día", planteó White. "De qué proceden esos pasos no parece hacer una diferencia".</p><p>Para alguien con artritis de la rodilla que apenas comienza a hacer ejercicio, White recomendó fijarse una meta inicial de 3000 pasos.</p><p>Casi 27 millones de estadounidenses a partir de los 25 años de edad han sido diagnosticados con osteoartritis, la forma de desgaste de la artritis, según los Institutos Nacionales de la Salud de EE. UU. El dolor articular y la rigidez resultantes limitan el movimiento en el 80 % de los pacientes de artritis, según la información de respaldo del informe.</p><p>El estudio de casi 1800 adultos halló que 6000 pasos era el umbral que predecía quién luego contraería discapacidades y quién no. "Si usa un podómetro y llega a hasta 6000 pasos, está en buena forma", dijo White.</p><p>Otras directrices recomiendan caminar considerablemente más para una buena salud, pero White dijo que estaba buscando el mínimo de pasos que ayudaría a estos pacientes a permanecer móviles.</p><p>El estudio, que aparece en la revista <a href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/acr.22362/abstract" target="_blank"><em><strong>Arthritis Care & Research</strong></em></a> ( doi: 10.1002/acr.22362.), controló el número de pasos que daban los adultos en riesgo de artritis de la rodilla o que ya sufrían de la enfermedad. Todos usaron podómetros y formaban parte de un gran estudio sobre la osteoartritis.</p><p>Dos años después, los investigadores evaluaron cualquier limitación funcional relacionada con la artritis. Hallaron que por cada mil pasos dados, las limitaciones funcionales se reducían entre un 16 y un 18 %.</p><p>Caminar no solo fomenta la fuerza muscular y la flexibilidad, sino que también ayuda a reducir el dolor de la artritis, señalan White y otros expertos.</p><p>"Este estudio simplemente amplía la gran cantidad de investigación y sentido común que nos dice que tenemos que salir del sofá y por la puerta", aseguró Samantha Heller, fisióloga del ejercicio del Centro Médico Langone de la NYU en la ciudad de Nueva York.</p><p>Caminar "es gratis y ya sabemos cómo se hace", añadió. "Con un p r de zapatillas atléticas y la ropa adecuada, se puede caminar básicamente en todos los momentos del año".</p><p>Heller dijo que tiene pacientes que le dicen que no pueden caminar porque las rodillas, las caderas u otras articulaciones les duelen. "Lo que les explico es que mientras menos se mueve uno, más se debilitan los músculos, y menos estables son las articulaciones, lo que aumenta la inflamación y el dolor", advirtió.</p><p>"Estar sentado también aumenta el riesgo de aumentar de peso, lo que puede afectar las articulaciones adversamente", agregó Heller.</p><p>Los podómetros y las aplicaciones de los teléfonos celulares están ampliamente disponibles en la actualidad, anotaron White y Heller.</p><p>"Busque un podómetro u obtenga una aplicación que le ayude a ver cuántos pasos toma cada día", sugirió Heller.</p><p>La Dra. Natalie Azar, profesora clínica asistente de los departamentos de medicina y reumatología del Centro Médico Langone de la NYU, sugirió que los hallazgos del nuevo estudio podrían ayudar a animar a las personas a hacerse más activas.</p><p>"En general, estos son datos excelentes sobre los beneficios del ejercicio moderado y la vida activa para la calidad de vida de las personas con, o en riesgo de, artritis", aseguró Azar. "Es una literatura más que usaré para convencer a mis pacientes para que se muevan".<br /> <strong><a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=26405&Itemid=413" target="_blank">Junio 17/2014 (Diario Salud)</a></strong></p><p>White DK, Tudor-Locke C, Zhang Y, Fielding R, LaValley M, Felson DT.Daily walking and the risk of incident functional limitation in knee OA: An observational study.<em>Arthritis Care Res (</em>Hoboken). 2014 Jun 12.</p>
2014-06-23T14:47:07-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/676
Nutrición: El 60% del calcio que se consume se elimina de forma natural, sin que llegue a incorporarse a la masa ósea
2014-06-23T14:31:49-04:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/Cristales_de_calcio.JPG" alt="" />El 60% del calcio que se consume se elimina de forma natural, sin que llegue a incorporarse a la masa ósea, según ha informado la directora del Departamento de Investigación Clínica del Instituto Palacios, Nancy Salas.<br /> <br /> La experta se ha pronunciado en estos términos durante la mesa 'El papel de la dieta en la salud ósea. Ingesta de calcio durante la menopausia: recomendación vs. realidad', organizada por la Asociación Española para el Estudio de la Menopausia (AEEM) y el Instituto Puleva, en el marco del 13º Congreso Nacional de la AEEM.<br /> <br /> El organismo sólo absorbe el 32% del calcio que contiene la leche, el 21% de las almendras, el 17% de las legumbres y el 5% de las espinacas. De hecho, según han señalado los expertos, 8 de cada 10 mujeres en edad adulta no toman las cantidades de calcio necesarias para asegurar la buena salud de sus huesos.<br /> <br /> "El colectivo con los mayores índices de prevalencia de enfermedades óseas sigue siendo el de las mujeres, que supone un 66 por ciento por ciento de los pacientes tratados por este tipo de afecciones", ha indicado el responsable de la Unidad de Nutrición Comunitaria en FISABIO y coordinador del II Plan de Prevención y Control de Osteoporosis de la Comunidad Valenciana, Joan Quiles.<br /> <br /> Asimismo, diferentes estudios científicos llevados a cabo en España muestran que la población, desde los menores hasta los adultos, no consume las cantidades de calcio recomendadas por la Organización Mundial de la Salud (OMS). Además, en el caso de los recién nacidos, la organización cifra en 400 miligramos al día las necesidades de calcio que deben cubrir. Una aportación que varía según la edad y que llega hasta los 1.300 miligramos al día a partir de los 60 años para evitar pérdidas.<br /> <br /> En el caso de España, el 76% de los niños de entre siete y 11 años no cumple con estas recomendaciones y, a pesar de que a partir de los nueve años el consumo de lácteos debería ser de tres raciones al día, la ingesta es menor, lo que afecta directamente en el calcio que reciben a través de su dieta.</p><p><strong>Complementar la ingesta de calcio con vitamina D y K</strong><br /> <br /> Por ello, y con el fin de facilitar que el calcio se fije al hueso, Salas ha recomendado complementar la ingesta de estos alimentos con otros nutrientes como la vitamina D, que facilita su absorción desde el sistema digestivo a la sangre, y de vitamina K, que logra su fijación en los huesos.<br /> <br /> Ahora bien, un estudio científico llevado a cabo en 2013 por nutricionistas de varias universidades madrileñas muestra que casi el 50 por ciento de los españoles no consume la suficiente cantidad de frutas y verduras, principal fuente de esta vitamina.<br /> <br /> Sin embargo, las carencias son aún mayores en el caso de la vitamina D, ya que según la Agencia Española de Consumo, Seguridad Alimentaria y Nutrición (AECOSAN), el 85% de la población no cumple con las recomendaciones sobre este nutriente primordial para tener sanos el corazón y los huesos.</p>
2014-06-23T14:31:49-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/675
Factores de riesgo cardiovascular: Demuestran cómo el magnesio previene y revierte el endurecimiento de los vasos sanguíneos
2014-06-23T14:22:33-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Grupo Metabolismo del Calcio y Calcificación Vascular perteneciente al Instituto Maimónides de Investigación Biomédica de Córdoba (Imibic) y al Hospital Universitario Reina Sofía de la capital cordobesa han demostrado cómo el magnesio previene y revierte determinados procesos relacionados con la rigidez de los vasos sanguíneos.<br /> <br /> Esto procesos, conocidos como calcificación vascular, se producen cuando las células musculares de las arterias comienzan a acumular calcio y adquirir características más propias del hueso que del músculo. De esa forma, pierden la elasticidad que necesitan para contraerse y transmitir el pulso, lo que está asociado a procesos de hipertensión y otras disfunciones cardiovasculares.<br /> <br /> Según apuntan los investigadores, se trata de una enfermedad que está asociada a alteraciones del metabolismo mineral que desarrollan enfermos renales crónicos en estado avanzado, provocándoles problemas de salud graves e incluso la muerte.<br /> <br /> En el artículo 'Magnesium Inhibits Wnt/B-Catenin Activity and Reverses the Osteogenic Transformation of Vascular Smooth Muscle Cells', publicado en la revista <em>PlosOne,</em> los científicos han estudiado los estímulos y mecanismos que hacen aumentar y disminuir la calcificación de las células presentes en las arterias y han demostrado que un aporte adicional de magnesio disminuye y revierte esta calcificación.<br /> <br /> "Cuando los niveles de fósforo de los pacientes renales aumentan las arterias comienzan a perder sus propiedades musculares y a transformarse en células similares a las encontradas en los huesos, los osteoblastos, incrementando la expresión de genes específicos de estas células", según explica a la 'Fundación Descubre' uno de los responsables del estudio, Juan R. Muñoz-Castañeda, investigador de la Universidad de Córdoba y miembro del Imibic.<br /> <br /> En este sentido, agrega, "partiendo de ahí decidimos investigar qué factores eran capaces de impedir ese proceso y probar si el aporte adicional de magnesio tiene un efecto beneficio sobre estas células".<br /> <br /> Para comprobar el efecto del magnesio se han realizado experimentos 'in vitro', es decir, con células aisladas. "Dosis crecientes de magnesio consiguieron descender el nivel de calcificación de las células musculares del vaso sanguíneo y, además, comprobamos que este hecho coincidía con el incremento en la expresión de genes que protegen frente a la calcificación", señala Muñoz-Castañeda.<br /> <br /> Asimismo, estudiaron los mecanismos por los cuales se desarrolla esta patología con especial interés en el papel de la ruta imprescindible para la formación de los huesos, la llamada 'Wnt/beta-catenina'. "Por un lado observamos que el fósforo interviene en el proceso de calcificación activando esta ruta. Posteriormente, comprobamos que al añadir magnesio se inhibían los efectos del fósforo y de forma específica la activación de la ruta 'Wnt/beta-catenina'", precisa.<br /> <br /> Además, demostraron que el magnesio era "capaz de reducir las lesiones de calcificación una vez éstas fueron formadas. Así, las células que habían comenzado a tener características óseas volvían a ser musculares y a su estado inicial, revirtiendo el proceso de calcificación", según detalla Muñoz-Castañeda.</p><p><strong>Investigación con pacientes</strong><br /> <br /> Paralelamente a este proyecto, se han realizado otros estudios 'in vivo', es decir, en animales que validan las conclusiones obtenidas 'in vitro'. Según apuntan los expertos, el siguiente paso sería comprobarlo en pacientes, ya que aún no hay ensayos controlados donde se evalúe el efecto de aumentar el magnesio en pacientes.<br /> <br /> "No obstante, estos resultados deben ser validados in vivo dado que la compleja regulación del metabolismo mineral desencadenada durante la enfermedad renal puede verse alterada por lo que la consecuencias de estos cambios deben ser cuantificadas y evaluadas", apunta Muñoz-Castañeda.<br /> <br /> Estos resultados se enmarcan en el proyecto de excelencia financiado por la Consejería de Innovación, Ciencia y Empresa de la Junta de Andalucía titulado 'Papel de las células madre adultas y el músculo liso vascular en el daño inducido por la calcificicación vascular. Relación entre fósforo, Wnt/Beta-cateninta y osteogénesis', cuyo investigador principal es Mariano Rodríguez Portillo, catedrático del departamento de Medicina de la Universidad de Córdoba y director del grupo de investigación Metabolismo del Calcio y Calcificación Vascular del Imibic.</p>
2014-06-23T14:22:33-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/674
Factores de riesgo cardiovascular: La mala salud cardiovascular, relacionada con el déficit de memoria y aprendizaje
2014-06-19T06:16:11-04:00
Revista Finlay
<p>Una mala salud cardiovascular incide en el deterioro cognitivo, según revela un nuevo estudio que aparece en "<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24919926" target="_blank"><strong>Journal of the American Heart Association</strong></a>". El riesgo de sufrir deterioro cognitivo, especialmente en el aprendizaje y la memoria, es significativamente mayor en personas con trastornos cardiovasculares que en los individuos con salud cardiovascular buena o idónea.</p><p>El trabajo que así concluye se ha realizado sobre 17 761 personas con 45 años o más, que al estudiarse presentaban una función cognitiva normal y no tenían antecedentes de accidente cerebrovascular; a todos se les evaluó la función mental cuatro años más tarde.</p><p>Un 55 % de las personas estudiadas eran mujeres, un 42 %, negros, un 58 %, blancos, y un 56 % residían en los estados del llamado "cinturón del ictus" (Alabama, Arkansas, Georgia, Louisiana, Mississippi, Carolina del Norte, Carolina del Sur y Tennessee). Tras ajustar las diferencias de edad, sexo, raza y educación, los investigadores identificaron un menoscabo cognitivo en el 4,6 % de las personas con la peor salud cardiovascular; el 2,7 %, en los perfiles de salud intermedios, y el 2,6 % de los que estaban en la categoría de mejor salud cardiovascular.</p><p>"Incluso si no se logra una salud cardiovascular ideal, son preferibles niveles intermedios de salud cardiovascular que bajos para una mejor función cognitiva", señala el investigador principal, Evan L. Thacker, epidemiólogo de la Universidad Brigham Young (Utah).<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2014/06/12/area-cientifica/especialidades/cardiologia/factores-de-riesgo/mala-salud-cardiovascular-relacionada-deficit-memoria-aprendizaje" target="_blank">junio 18/2014 (Diario Médico) </a></p>
2014-06-19T06:16:11-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/673
Medicamentos: Las autoridades europeas revisan los riesgos cardiovasculares del uso de ibuprofeno a dosis altas
2014-06-17T06:00:35-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El Comité de Evaluación del Riesgo en Farmacovigilancia de la Agencia Europea de Medicamentos (PRAC, por sus siglas en inglés) ha iniciado una revisión para evaluar los riesgos cardiovasculares del consumo del ibuprofeno a altas dosis. Se revisa únicamente el consumido vía oral, no los fármacos tópicos, como cremas o geles.</div><div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según ha informado la Agencia Europea de Medicamentos (EMA), se están evaluando los riesgos en su consumo en dosis altas (2.400 mg por día) y tomado con regularidad durante períodos largos.</div><div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El ibuprofeno se suele tomar en dosis más bajas y por períodos cortos de tiempo. Por tanto, explica que no existe indicación de riesgo cardiovascular en el uso habitual que hace la mayoría de los pacientes. De hecho, recuerda la EMA, ibuprofeno es uno de los medicamentos más utilizados contra el dolor y la inflamación y tiene un perfil de seguridad conocido, sobre todo a las dosis habituales.</div><div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El ibuprofeno pertenece a la familia de medicamentos conocidos como antiinflamatorios no esteroides (AINE) y su seguridad, incluidos los riesgos cardiovasculares, ha estado bajo revisión por parte de la EMA y las autoridades nacionales de reglamentación durante muchos años.</div><div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los resultados de un análisis publicado por<em> The Lancet</em> en agosto de 2013 sobre datos de ensayos clínicos, sugerían que el riesgo cardiovascular del diclofenaco y el ibuprofeno en dosis altas (2.400 mg) puede ser similar al riesgo ya conocido de los inhibidores COX-2, también de la familia de los antiinflamatorios. El pasado año, el PRAC considera emitió recomendaciones para reducir al mínimo sus riesgos.</div><div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El PRAC también evaluará las pruebas de la interacción de ibuprofeno con dosis bajas de 'Aspirina' para reducir el riesgo de ataques cardíacos y accidentes cerebrovasculares, al objeto de decidir si el asesoramiento actual a los profesionales sanitarios es suficiente.</div><div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Las autoridades europeas apuntan que, mientras se realiza la revisión, los pacientes deben seguir utilizando sus medicamentos según las instrucciones en el prospecto o como lo indique el médico o el farmacéutico.</div>
2014-06-17T06:00:35-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/672
Anuncio: El Centro Virtual para el Aprendizaje y la Investigación en Salud propone los secretos de una revolución en los recursos de información clínica
2014-06-12T06:51:00-04:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/ciencia1.jpg" alt="" />Estimados lectores:</p><p>El Centro Virtual para el Aprendizaje y la Investigación en Salud</p><p>(<a href="http://www.hlg.sld.cu/alfin/">www.hlg.sld.cu/alfin/</a>) anuncia la publicación de ClinicalKey: los secretos de una revolución en los recursos de información clínica, donde se exponen las novedades tecnológicas y de contenido de ClinicalKey, y se provee una guía de uso para la adecuada explotación del sistema.</p><p>ClinicalKey es un buscador diseñado para facilitar el acceso más rápido y eficiente a información clínica pertinente, confiable y exhaustiva en correspondencia con las exigencias de las necesidades de información y las características de la actividad asistencial de los servicios de atención médica.</p><p>ClinicalKey es hoy una herramienta de referencia obligatoria para la actividad diaria del profesional de la salud, en particular para la asistencia y la docencia médica a escala mundial.</p><p>Entre sus recursos se destacan obras tan conocidas como:</p><p>Nelson Textbook of Pediatrics,</p><p>Campbell’s Operative Orthopaedics,</p><p>Sabiston Textbook of Surgery,</p><p>Conn’s Current Therapy,</p><p>Goldman’s Cecil Medicine,</p><p>Gray’s Anatomy,</p><p>Shackelford’s Surgery of the Alimentary Tract, Rutherford’s Vascular Surgery, Braunwald’s Heart Disease: A Textbook of Cardiovascular Medicine, Guyton and Hall Textbook of Medical Physiology, Robbins Basic Pathology, Sleisenger and Fordtran’s Gastrointestinal and Liver Disease, Campbell-Walsh Urology, Miller’s Anesthesia, Youmans Neurological Surgery, Cummings Otolaryngology Head & Neck Surgery, Clinical Ophthalmology: A Systematic Approach, Manson’s Tropical Diseases, Kelley’s Textbook of Rheumatology, Emery’s Elements of Medical Genetics y Pediatric Surgery.</p><p>además de las populares clínicas de Norteamérica</p><p> </p><p>El uso adecuado de ClinicalKey posibilitaría un aumento de la calidad de la atención al paciente y de los servicios médicos en general, elevaría la competencia y la profesionalidad del personal de salud y potenciaría el desarrollo de una docencia médica y una investigación clínica superiores en el Sistema Nacional de Salud.</p><p> </p><p>Usted puede consultar el material referido en:</p><p> </p><p><a href="http://www.hlg.sld.cu/alfin/2014/06/09/clinicalkey-los-secretos-de-una-revolucion-en-los-recursos-de-informacion-clinica/">http://www.hlg.sld.cu/alfin/2014/06/09/clinicalkey-los-secretos-de-una-revolucion-en-los-recursos-de-informacion-clinica/</a></p><p> </p><p>Información ofrecidad por:</p><p>Lic. Rubén Cañedo Andalia<br />CVAIS<a href="mailto:ruben@infomed.sld.cu"><br />ruben@infomed.sld.cu</a></p><p> </p>
2014-06-12T06:51:00-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/671
Diabetes Mellitus: Hallan posible tratamiento para diabetes que ralentiza el consumo de insulina
2014-05-29T06:00:05-04:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/Insulina.JPG" alt="" />El descubrimiento de un compuesto que ralentiza la degradación natural de la insulina en animales podría dar lugar a un nuevo tratamiento para la diabetes en humanos, según un estudio publicado por la revista británica "<a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature13297.html" target="_blank"><strong>Nature</strong></a>".</p><p>Un equipo de científicos de la Universidad de Harvard (Estados Unidos) descubrió el inhibidor 6bK, el primero que bloquea la enzima que degrada la insulina (IDE), probado en un experimento con ratones.</p><p>Hasta ahora, los tratamientos para la diabetes trataban de compensar la resistencia a la insulina con la inyección directa de esta hormona o mediante la administración de fármacos que estimulaban su secreción o hacían al cuerpo más sensible.</p><p>Sin embargo, no se había logrado reducir la degradación natural de la insulina, a pesar de que, desde hace décadas, se trabaja con la hipótesis de que el bloqueo del IDE era una puerta a nuevos tratamientos, especialmente contra la diabetes tipo 2, en la que el organismo presenta resistencia a la insulina.</p><p>La investigación revela también que el IDE regula los niveles de azúcar en sangre mediante el control de las hormonas peptídicas glucagón y amilina, implicadas en el proceso de regulación de la glucosa.</p><p>El catedrático de Química y Biología Química de la Universidad de Harvard David Liu, investigador en este proyecto, comentó que este estudio demuestra que la ralentización de la degradación de la insulina presenta "beneficios en los animales" y que, por lo tanto, "es útil como terapia".</p><p>La aplicación del inhibidor en los ratones permitió la señalización de la hormona "in vivo" y dio como resultado un aumento de los niveles de insulina en su organismo, lo que incrementó la tolerancia a la glucosa.</p><p>Como consecuencia, el compuesto logró reducir el azúcar en sangre después de su ingesta oral -equivalente al consumo en una comida-, un proceso que se interrumpe en la diabetes.</p><p>Los científicos matizan que hay un largo camino hasta conseguir que este compuesto se comercialice como fármaco, pero subrayan que su descubrimiento apunta al IDE como nuevo objetivo para alcanzar nuevos tratamientos contra la diabetes.<br /> mayo 29/2014 (EFE)</p><p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p>
2014-05-29T06:00:05-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/670
Factores de riesgo cardiovascular: Tener depresión y no tratarla duplica la probabilidad de reinfarto
2014-05-29T05:50:40-04:00
Revista Finlay
<p>La Fundación Española del Corazón (FEC) recordó ayer en una mesa redonda la "imperiosa" necesidad de tratar la depresión en pacientes que han sufrido un infarto para evitar un segundo episodio. El debate estuvo moderado por el Dr. José Luis Palma, vicepresidente de la FEC, y presidido por el Dr. Leandro Plaza, presidente de la FEC. También intervinieron el Dr. Esteban López de Sa, miembro de la SEC, y la Dra. Julia Vidal Fernández, psicóloga clínica y colaboradora de la FEC.<br /> <br /> Según los estudios realizados por Van-Melle et cols. (2004) y Sarham (2003), aquellas personas que, tras haber sufrido un infarto, no se tratan la depresión, duplican la probabilidad de sufrir un segundo infarto. Por esta razón, señalan los expertos, el abordaje de la angustia, el miedo u otros síntomas depresivos es esencial para la correcta recuperación del paciente. No en vano, el estrés psicosocial, la falta de apoyo social, la ansiedad, la ira y la depresión son factores de riesgo en la aparición y cronificación de las enfermedades cardiovasculares.</p><p>Según el Dr. López de Sa, "no se conoce el porqué de la relación entre las personas que sufren depresión y el aumento de la probabilidad de sufrir eventos cardíacos como el infarto agudo de miocardio, pero es cierto que existe y que estos pacientes tienen peor pronóstico. Las personas depresivas siguen menos controles, ya que adoptan una actitud más negativa ante la enfermedad. Además, hay antidepresivos que pueden tener efectos cardiovasculares adversos, especialmente los antiguos”.</p><p>Para determinar si un paciente sufre depresión es necesario realizar una evaluación detallada de su situación, ya que cada persona reacciona de manera diferente tras el evento cardíaco. No obstante, conviente tener en cuenta algunos síntomas, como los cambios en el carácter y el ánimo (suelen estar más apáticos, tienen menos ganas de salir y realizar las actividades habituales o pueden estar tristes, malhumorados e inseguros); los cambios en los hábitos (duermen peor, comen mucho más o mucho menos que antes, se sientes más débiles o más cansados), y los cambios cognitivos (tienen más dificultad para concentrarse o pueden olvidar algunas cosas con más frecuencia que antes).</p><p>En palabras de Vidal Fernández, "es fundamental entender que no solamente debe existir un abordaje médico sino que los aspectos psicológicos y conductuales son importantísimos para la recuperación del paciente. Los aspectos emocionales, psicológicos y conductuales son los que van a permitir que el paciente llegue a adoptar hábitos de vida saludables, que 'olvide' que ha padecido un infarto y se centre en cuidarse y en vivir. Para ello es esencial que el paciente reconozca cómo está sin tener miedo, que no deje de hacer su vida (dentro de sus posibilidades físicas tras el infarto), que no reciba sobreprotección y, sobre todo, que no adopte la etiqueta de enfermo".</p><p><strong>¿Cumplimos los españoles con la medicación después de un infarto?</strong></p><p>Otro de los temas que se abordaron fue el cumplimiento de la medicación tras el infarto. Más del 50% de los pacientes abandona algunos de los fármacos a los 2 o 3 años de haber padecido un infarto agudo de miocardio. Estas cifras oscilan dependiendo de si el enfermo ha sido tratado en una unidad de rehabilitación cardíaca además de otros factores como su nivel cultural (aquellos que son atendidos mediante programas específicos en unidades de rehabilitación cardíaca abandonan menos el tratamiento). </p><p>A este respecto, el Dr. Esteban López de Sa explica que “hay tratamientos que se abandonan más que otros. Los fármacos que se dejan de tomar con más frecuencia son los que regulan los niveles de colesterol ya que cuando los análisis muestran resultados positivos, el enfermo considera que ya está bien y que no necesita tomarlos. Es importante que continúe el tratamiento ya que las personas que ya han sufrido un infarto deben tener los niveles de colesterol muy bajos pues esto les ayuda a reducir la arteriosclerosis. En segundo lugar se suele abandonar el tratamiento con betabloqueantes, siendo el que menos se abandona el uso de la aspirina (el más barato)”.</p><p>Para algunos pacientes, dejar de tomar la medicación es un mecanismo de negación, ya que no aceptan la situación de padecer la enfermedad y consideran que no necesitan tomar ningún medicamento, añade este especialista. Además, intervienen aspectos relacionados con la personalidad del paciente (a algunos les cuesta mantener el hábito). "Otro hecho destacable es que los pacientes toman la medicación correspondiente a aquellas patologías que producen síntomas y la mayoría de las medicinas que se toman después del infarto son preventivas, tienen el objetivo de evitar recaídas. Al no responder a un dolor concreto, quedan en un segundo plano", señala el Dr. López de Sa.</p>
2014-05-29T05:50:40-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/668
Cáncer: Descubren cómo las células eligen alimentarse de azúcares o grasas
2014-05-28T11:33:02-04:00
Revista Finlay
<p>Para garantizar un uso eficiente de los alimentos que reciben, las células tienen sistemas que les permiten capturar y transportar a su interior aquellos nutrientes de los que disponen. Pero si tienen a su disposición varios tipos, pueden seleccionar aquellos que más les interesan y eliminar los productos no deseados.</p><p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/05/%C3%ADndice11.jpg"><img class="alignleft size-thumbnail wp-image-34245" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/05/%C3%ADndice11-150x150.jpg" alt="índice1" width="120" height="110" /></a>Científicos del Centro Nacional de Investigaciones Cardiovasculares (CNIC) han descrito en la última edición de <a href="http://www.cell.com/cell-metabolism/abstract/S1550-4131%2814%2900181-8" target="_blank"><em><strong>Cell Metabolism</strong></em></a> ( DOI: org/10.1016/j.cmet.2014.04.015 ) el proceso por el que las células optimizan y regulan molecularmente su capacidad de utilizar azúcares o grasas indistintamente para alimentarse.</p><p>Dentro de las células, los alimentos se distribuyen hacia las mitocondrias, donde los nutrientes se queman para extraer la energía que contienen</p><p>Como explica el principal autor de la investigación, José Antonio Enríquez, "la verdadera digestión de los alimentos se produce en todas y cada una de las células del cuerpo". Mientras unas consumen preferentemente azúcares, otras se alimentan fundamentalmente de grasas y otras pueden cambiar de uno a otro nutriente.</p><p>En el interior de las células, los alimentos son distribuidos hacia las mitocondrias, la parte celular especializada donde los nutrientes se queman para extraer la energía que contienen. Tanto los azúcares (glucosa) como las grasas (ácidos grasos) terminan quemándose en ellas, pero estas deben ajustarse de manera diferente si su principal combustible proviene de unos u otras. "Este ajuste es equivalente al que necesitamos hacer en una caldera de gas, cuyos quemadores se adapta a la utilización de butano o gas ciudad", subraya Enríquez.</p><p>Así, añade el experto, al cambiar la alimentación, al hacer ejercicio o después de un periodo de ayuno, la disponibilidad de alimentos suministrados a las células cambia y estas deben ser capaces de adaptarse. En situaciones concretas, como al activarse las células inmunitarias para defender al organismo de una infección, las células cambian de actividad aunque la disponibilidad de alimentos no lo haga y este cambio puede ir acompañado del cambio en la utilización preferente de glucosa por ácidos grasos o viceversa.</p><p>Para ellos, la mitocondria debe adaptar sus "quemadores", llamados técnicamente "cadena de transporte electrónico (CTE)". "La adaptación de la CTE mitocondrial era conocida, pero no las señales que promovían este cambio y las moléculas responsables de él", enfatiza el principal responsable de la investigación.</p><p>La importancia de la adaptación</p><p>Al cambiar la alimentación, hacer ejercicio o tras un periodo de ayuno, la disponibilidad de alimentos en las células cambia y estas deben adaptarse</p><p>En su estudio se describen las señales y las moléculas que regulan esta adaptación. En el proceso de quemado de los alimentos en la mitocondria se necesita oxígeno, por lo que se produce normalmente tanto agua (H2O) como CO2, además de energía. Sin embargo, cuando la CTE no está perfectamente ajustada al tipo de alimento que está quemando (cuando pasa de quemar azúcar a ácidos grasos) se producen además unos derivados del oxígeno llamados especies reactivas de oxígeno (ROS), entre ellos agua oxigenada (H2O2).</p><p>La producción de H2O2 activa un sensor molecular llamado Fgr (Fgr-tyrosina kinasa), que interpreta que la organización de los quemadores en la CTE no es adecuada para quemar los ácidos grasos que le están llegando a la mitocondria y da la alarma. Lo hace modificando uno de los elementos de los quemadores (mediante la unión de un fosfato), haciéndolo más activo y causando el cambio en la organización de los quemadores para que sea más adecuado a quemar ácidos grasos. Esta modificación, denominada fosforilación, es reversible.</p><p>Los autores postulan que debe existir otra molécula (aún no descubierta) responsable de revertir esta modificación (defosforilación) cuando los quemadores de la mitocondria deban readaptarse para quemar glucosa de nuevo.</p><p>Según concluyen, este trabajo demuestra la importancia de este mecanismo en la adaptación de las células al ayuno, a la disminución de oxígeno (isquemia) y su importancia en la activación de las células del sistema inmunitario.<br /> <a href="http://www.agenciasinc.es/Noticias/Descubren-como-las-celulas-eligen-alimentarse-de-azucares-o-grasas" target="_blank"><strong>mayo 22/2014 (SNIC)</strong></a></p><p>Acín-Pérez et al.: "ROS-triggered phosphorylation of Complex II by Fgr kinase regulates cellular adaptation to fuel use". <em>Cell Metabolism</em>. May 22 2014</p>
2014-05-28T11:33:02-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/667
Cáncer: Identifican biomarcadores útiles para predecir la evolución del cáncer colorrectal
2014-05-28T11:26:32-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Instituto Catalán de Oncología-Instituto de Investigación Biomédica de Bellvitge (ICO-IDIBELL) liderados por David García-Molleví han identificado 108 genes expresados de forma diferencial en las células normales acompañantes presentes en los tumores y sus equivalentes en el tejido sano adyacente al tumor.</p><p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/05/largeintestine.jpg"><img class="alignleft size-thumbnail wp-image-34239" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/05/largeintestine-150x150.jpg" alt="largeintestine" width="125" height="125" /></a>El perfil genético de estas células normales no tumorales presentes en los tumores proporciona información sobre la progresión del cáncer y puede contribuir a una clasificación de pacientes con cáncer colorrectal. Los resultados del estudio se han publicado en <a href="http://www.moloncol.org/article/S1574-7891%2814%2900087-8/abstract" target="_blank"><em><strong>Molecular Oncology </strong></em></a>(doi:10.1016/j.molonc.2014.04.006 ).</p><p>El perfil genético de estas células normales no tumorales presentes en los tumores proporciona información sobre la progresión del cáncer</p><p>El cáncer es un tejido complejo donde conviven las células malignas con otras células normales, principalmente células inflamatorias y fibroblastos, que constituyen un microambiente particular llamado estroma. Desde hace unos años, grupos de investigación de todo el mundo investigan el estroma en busca de biomarcadores que puedan ser útiles en la lucha contra la enfermedad ya sea como nuevas dianas terapéuticas o como factores pronóstico.</p><p>David García-Molleví forma parte del grupo de investigación en quimiorresistencia y factores predictores de respuesta tumoral y medio ambiente estromal del ICO-IDIBELL y ha coordinado este estudio que, por primera vez, ha analizado las diferencias de expresión de genes entre los fibroblastos asociados al carcinoma y los fibroblastos de la mucosa sana adyacente al tumor.</p><p>Nuevos biomarcadores</p><p>"Hemos encontrado 108 genes que se expresan de forma diferente en estas dos poblaciones celulares", ha explicado García-Molleví, quien ha añadido que "estos marcadores son específicos de estas dos poblaciones de células".</p><p>El cáncer es un tejido complejo donde conviven las células malignas con otras células normales, principalmente células inflamatorias y fibroblastos</p><p>"Estas diferencias podrían ser la consecuencia de dos situaciones", dice el investigador, "o bien las células sanas van modificando su expresión adaptándose al nuevo entorno tumoral que se aproxima o bien el tejido sano cambia para defenderse ante la expansión de las células tumorales".</p><p>En todo caso, García-Molleví añade que la importancia del hallazgo es su utilidad para predecir con mucha precisión cuál será la evolución del paciente de cáncer colorrectal.</p><p>"De este centenar de marcadores, estamos trabajando para encontrar un mínimo número de genes que nos proporcione la misma información sobre el pronóstico de los pacientes, con el fin de desarrollar una herramienta aplicable a la clínica mediante técnicas estándar rutinarias, y que serviría para clasificar a los pacientes afectados por cáncer colorrectal en función de su riesgo de recaer una vez que han sido intervenidos quirúrgicamente".<br /> <a href="http://www.agenciasinc.es/Noticias/Identifican-un-centenar-de-biomarcadores-utiles-para-predecir-la-evolucion-del-cancer-colorrectal" target="_blank"><strong>mayo 22/2014 (SNIC)</strong></a></p><p>Berdiel-Acer M., Sanz-Pamplona R, Calo A., Cuadras D., Berenguer A., Sanjuan X. Differences between CAFs and their paired NCF from adjacent colonic mucosa reveal functional heterogeneity of CAFs, providing prognostic. <em>Molecular Oncology.</em> May 9 2014</p>
2014-05-28T11:26:32-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/666
Medicamentos: Descubren que el ácido oleico mitiga el dolor asociado al nervio periférico
2014-05-06T13:15:33-04:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/oleico.gif" alt="" width="318" height="203" />Un grupo de investigadores coordinado por el científico del Hospital Nacional de Parapléjicos Julián Taylor ha descubierto el alto valor terapéutico del ácido oleico para tratar la ansiedad y el dolor asociado al nervio periférico. La molécula, registrada por la Fundación del Hospital Nacional de Parapléjicos como una patente de uso, ha sido licenciada a la empresa biofarmacéutica Lipopharma para su explotación industrial y comercial, informa el Sescam .<br /> <br /> El estudio, publicado en la revista científica <em>European Journal of Pain, </em>expone la idea de que los ácidos grasos tipo omega 9 podrían ser modificados para aliviar algunos síntomas psicológicos del dolor. El descubrimiento lo han realizado Gerardo Ávila, Iriana Galán y Águeda Donato, de Parapléjicos; Pablo Escribá y Xavier Busquets, de la Universidad de las Islas Baleares, y Julio Gómez, de la Universidad de Castilla La Mancha.<br /> <br /> Los investigadores han observado en roedores cómo este compomente no sólo inhibe la hipersensibilidad al dolor, sino que también controla el nivel de ansiedad que produce, algo que, de confirmarse en los ensayos clínicos, podría aportar un valor añadido muy importante a su efecto analgésico.<br /> <br /> Según el experto en dolor del Departamento de Farmacología y Nutrición de la Universidad Rey Juan Carlos, Carlos Goicoechea, "este compuesto ha demostrado un importante efecto analgésico en uno de los dolores más difíciles de tratar que existe, el dolor neuropático: es capaz de disminuir tanto la hiperalgesia (hipersensibilidad al estímulo doloroso) como la alodinia, situación en la que se desencadena una respuesta dolorosa ante estímulos que comúnmente no lo provocan, por ejemplo, el simple tacto".<br /> <br /> Por su parte, el experto en aplicación de moléculas relacionadas con ácidos grasos de la Universidad escocesa de Aberden, Wenlong Huang, asegura que "los resultados destacan el mecanismo de acción de la molécula modificada del aceite de oliva sobre la inflamación, particularmente las células microgliales, que juegan un papel importante sobre el desarrollo y mantenimiento del dolor neuropático".</p><p><strong>Análisis de la seguridad del fármaco</strong></p><p>Los investigadores del HNP y otras entidades colaboradoras han encontrado que el compuesto induce un efecto antiinflamatorio sin que se produzcan reacciones adversas importantes, debido a sus contrastadas propiedades de seguridad y tolerabilidad. En este sentido, el doctor Taylor destaca que "como la molécula ha sido administrada por vía oral este tratamiento podría tener una alta posibilidad de traslación al ámbito clínico".<br /> <br /> Se da además la circunstancia de que la molécula con la que se han llevado a cabo los experimentos se deriva de un ácido graso natural que es especialmente abundante en las aceitunas de variedad cornicabra que se cultivan en la denominación de origen Montes de Toledo.</p>
2014-05-06T13:15:33-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/665
Nutrición: El aceite de oliva virgen ayuda a prevenir la fibrilación auricular
2014-05-05T09:31:13-04:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/dietamediterranea.jpg" alt="" width="177" height="143" />El aceite de oliva virgen ayuda a prevenir la fibrilación auricular, según un estudio coordinado por la Universidad de Navarra y cuyos resultados se publican en la revista <em>Circulation.</em></p><p>En los 4,7 años de seguimiento de media a que fueron sometidos los participantes, se observó que esta patología fue significativamente inferior en los individuos asignados a la dieta mediterránea suplementada con aceite de oliva virgen extra, en comparación con la dieta control. Por el contrario, no se encontró efecto de la dieta mediterránea suplementada con frutos secos.<br /> <br /> Para Miguel Ángel Martínez-González, catedrático de Medicina Preventiva y Salud Pública de la Universidad de Navarra, "los efectos anti-inflamatorios y anti-oxidantes del aceite de oliva virgen extra en el contexto de una dieta mediterránea pueden explicar este efecto, aunque se necesitan más estudios que repliquen estos resultados y exploren los mecanismos subyacentes".<br /> <br /> "Este estudio es el primer ensayo aleatorizado", ha subrayado el profesor Martínez-González, quien ha añadido que "los resultados evidencian que recomendar una dieta mediterránea rica en aceite de oliva virgen extra puede ser una estrategia adecuada para la prevención primaria de la fibrilación auricular".</p><p><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/aceite/oliva/virgen/ayuda/prevenir/fibrilacion/auricular/_f-11+iditem-22009+idtabla-1" target="_blank">Tomado de Jano</a></p>
2014-05-05T09:31:13-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/664
Cáncer: Científicos del IBEC describen cómo las células cancerígenas del tumor mamario se adhieren al tejido endurecido
2014-05-05T09:25:38-04:00
Revista Finlay
<p><img src="/public/site/images/mikhail/cancer_de_mama.JPG" alt="" width="252" height="188" />Investigadores del Instituto de Bioingeniería de Catalunya (Ibec) han descrito el mecanismo que utilizan las células cancerígenas del tumor mamario para adherirse a tejido endurecido y, de ese modo, reatroalimentar el surgimiento de nódulos.<br /> <br /> El hallazgo, que publica este domingo la revista <em>Nature Materials, </em>se centra en este "mecanismo pernicioso de retroalimentación", ha explicado en rueda de prensa el autor principal de la investigación, Pere Roca-Cusachs.<br /> <br /> Las células cancerígenas interaccionan con el tejido a través de unas moléculas denominadas 'integrinas', capaces de detectar y adaptarse a la rigidez de aquél, y aunque su presencia ya había sido descrita, los investigadores han conseguido ahora explicar el mecanismo.<br /> <br /> El trabajo ha sido impulsado por la Obra Social La Caixa y cuenta con la colaboración del Barts Cancer Institute de la Queen Mary University de Londres, cuyo equipo ha constadado una "altísima correlación positiva" entre la presencia de estas moléculas alteradas y la agresividad del tumor.<br /> <br /> El Ibec, por su parte, ha medido las propiedades adhesivas de estas células, la fuerza que aplican para adaptarse al tejido y cómo lo logran, lo que abre la puerta al desarrollo futuro de terapias para frenar el proceso.</p><p><strong>Otras enfermedades</strong><br /> <br /> Los investigadores han recordado que el endurecimiento anormal del tejido se presenta también en otros tipos de cáncer, como el de páncreas, el de próstata y el melanoma, además de otras enfermedades, como la fibrosis, por lo que conocer mejor este mecanismo podría tener un "gran potencial".<br /> <br /> En todo caso, la presencia de nódulos endurecidos no es sinónimo de cáncer, ya que éstos también pueden ser benignos, por lo que todavía es prematuro aventurar las posibilidades de aplicación de este hallazgo en la práctica clínica. El grupo del Ibec se centrará ahora en determinar hasta qué punto la regulación de las integrinas es un mecanismo general de control mecánico de los tejidos.</p><br /><br /><a href="http://www.nature.com/nmat/journal/vaop/ncurrent/full/nmat3960.html" target="_blank">Nature Materials (2014); doi:10.1038/nmat3960</a>
2014-05-05T09:25:38-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/663
Factores de riesgo cardiovascular: Los episodios de hipoglicemia se vinculan a problemas cardiacos
2014-05-05T09:05:07-04:00
Revista Finlay
<p>Los episodios de hipoglicemia nocturnos pueden causar alteraciones del ritmo cardiaco potencialmente letales en personas diabéticas, advierten investigadores.</p><p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/05/477768903.jpg"><img class="alignleft size-full wp-image-33762" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/05/477768903.jpg" alt="477768903" width="114" height="112" /></a>Según un nuevo estudio, la repercusión en el corazón puede explicar por qué algunas personas jóvenes con diabetes mueren en forma inesperada.</p><p>Investigadores en Sheffield estudiaron a pacientes que al parecer tenían pocos problemas con su diabetes.</p><p>La mayoría decía que no tenía problemas de disminución de la glucosa en la sangre o de irregularidad de los latidos cardiacos.</p><p>Sin embargo, la vigilancia de la glucosa y los electrocardiogramas resaltaron que los episodios de hipoglicemia nocturnos eran un problema frecuente.</p><p>Esto, a su vez, desencadenaba una disminución de la frecuencia cardiaca y causaba el riesgo de infarto de miocardio.</p><p>Los pacientes que participaron en el estudio, comunicado en la revista <a href="http://diabetes.diabetesjournals.org/content/63/5/1738.abstract?sid=2317d257-51be-4e0e-8449-b55c1091f37a" target="_blank"><em><strong>Diabetes</strong></em></a> (doi: 10.2337/db13-0468), tenían diabetes tipo 2 y un antecedente de cardiopatía.</p><p>El investigador profesor Simon Heller, de la Universidad de Sheffield, dijo: "No queremos alarmar a los pacientes, pero lo que hemos observado puede ser importante para explicar un posible mecanismo por el cual los episodios de hipoglicemia nocturnos desencadenaron bradiarritmias prolongadas que podrían alterar el flujo sanguíneo del corazón y ocasionar infartos de miocardio potencialmente mortales.</p><p>"Aunque esperábamos descubrir algunos episodios de hipoglicemia nocturna nos sorprendió ver con cuánta frecuencia estaban ocurriendo y que a veces se prolongaban por varias horas. Cuando ocurría esto, también observamos signos de periodos prolongados de bradiarritmias importantes en los pacientes".</p><p>"Si bien son causa de inquietud, estas frecuencias cardíacas lentas no se relacionaron con una alteración grave del ritmo cardíaco en el estudio".</p><p>"Sin embargo, los hallazgos parecen indicar que incluso los pacientes con insulinoterapia con objetivos de glucosa intensivos debieran tener presente el riesgo de presentar episodios de hipoglicemia por la noche, sobre todo si tienen enfermedades cardiovasculares documentadas".<br /> <a href="http://www.medcenter.com/contentnews.aspx?pageid=128787&langtype=15370&id=146423&esp_id=216" target="_blank"><strong>mayo 2/2014 (Medcenter.com)</strong></a></p><p>Chow E, Bernjak A, Williams S, Fawdry RA, Hibbert S, Heller SR.Risk of cardiac arrhythmias during hypoglycemia in patients with type 2 diabetes and cardiovascular risk.<em>Diabetes</em>. 2014 May;63(5):1738-47.</p>
2014-05-05T09:05:07-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/662
Factores de riesgo cardiovascular: El 50 % de los deportistas jóvenes presentan riesgo de enfermedad cardiovascular
2014-05-02T06:59:22-04:00
Revista Finlay
<p>Prevenir las muertes por infarto entre los atletas jóvenes es el objetivo de Vida Saludable, un proyecto de investigación que fomenta el conocimiento, la prevención y la detección precoz de las enfermedades cardiovasculares en el deporte.</p><p>Sus resultados se han presentado en el Ayuntamiento de Majadahonda, que ha participado en el estudio junto con la Sociedad Médica Global Health Premium, el Hospital Puerta de Hierro y Rovi.</p><p>Los investigadores comenzaron hace un año a estudiar la hipertensión arterial (HTA), la hipercolesterolemia y las funciones cardiacas y renales en 28 jugadores de entre 21 y 24 años, pertenecientes al Club Deportivo Rayo Majadahonda. Para ello, los participantes se han sometido a diversas pruebas como un holter de 24 horas, un electrocardiograma o un índice tobillo-brazo.</p><p>Los resultados del estudio han demostrado que en este grupo de pacientes, "un 25 % puede padecer HTA oculta y el 50 % tiene algún problema relacionado con la salud cardiovascular, como alteraciones de la presión arterial, colesterol, triglicéridos o problemas renales" ha explicado José Antonio García Donaire, nefrólogo en el Hospital Clínico San Carlos y director médico de Global Health Premium.</p><p>Prevención<br /> "Se trata de enfermedades que los pacientes desconocen que tienen, ya que la enfermedad cardiovascular (CV) no da síntomas", ha explicado García Donaire. Puesto que es imprescindible la prevención con la ayuda de hábitos de vida saludables se han realizado a lo largo del año charlas de concienciación a monitores y familiares de los jugadores del C.F. Rayo Majadahonda, sobre la importancia de una alimentación sana y los factores que permiten detectar estas enfermedades CV.</p><p>En la próxima fase del estudio, el objetivo es "su proyección más allá del club, con su implantación en otros equipos e incluso en otros atletas de élite, que someten al organismo a situaciones de esfuerzo intenso y mantenido", ha dicho García Donaire, quien también ha adelantado que se realizará un estudio genético en los pacientes en los que se han detectado anomalías para evitar que sufran un episodio de muerte súbita.<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/2012/12/10/area-profesional/entorno/50-ciento-deportistas-jovenes-presentan-riesgo-cv" target="_blank">mayo 2/2014 (Diario Médico) </a></p>
2014-05-02T06:59:22-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/661
Nutrición: El consumo de fibra tras un infarto reduce el riesgo de muerte en un 25%
2014-05-02T06:51:58-04:00
Revista Finlay
<p>Las personas que sobreviven a los infartos de miocardio tienen una mayor probabilidad de vivir más tiempo si aumentan la ingesta dietética de fibra, tal como recoge una investigación publicada en el <em>British Medical Journal.</em> Según este trabajo, los individuos que comen más fibra tienen una probabilidad un 25% menor de morir en los 9 años siguientes al ataque frente a los que toman menos fibra. Cada aumento de 10 gramos diarios de ingesta de fibra se asocia con un riesgo un 15% menor de morir durante dicho periodo.<br /> <br /> El equipo de investigación, con sede en Boston, Estados Unidos, analizó dos grandes estudios en Estados Unidos, el 'Estudio de Salud de las Enfermeras', que incluye datos de 121.700 mujeres, y el 'Estudio de Seguimiento de los Profesionales de la Salud', que incluye datos de 51.529 hombres. En ambos estudios, los participantes respondieron, cada dos años, a cuestionarios sobre hábitos.<br /> <br /> Los científicos analizaron a 2.258 mujeres y 1.840 hombres que sobrevivieron a un primer infarto de miocardio. Los participantes fueron seguidos durante los 9 años siguientes al ataque como promedio, durante los cuales murieron 682 mujeres y 451 hombres murieron.<br /> <br /> Los participantes se dividieron en cinco grupos (quintiles) de acuerdo con la cantidad de fibra que comían tras el infarto. Los individuos del quintil superior (los que comían más fibra) presentaron un 25% menos de riesgo de morir por cualquier causa durante los 9 años siguientes al ataque frente a los individuos del quintil más bajo.</p><br /><br /><a href="http://www.bmj.com/content/348/bmj.g2659" target="_blank">British Medical Journal (2014); doi:10.1136/bmj.g2659</a>
2014-05-02T06:51:58-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/660
Cáncer: Relacionan el gas radón acumulado en las casas con el cáncer de esófago
2014-04-26T22:57:09-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Laboratorio de Radón de Galicia de la Universidad de Santiago de Compostela (USC) han confirmado la relación entre mayores niveles de concentración de gas radón en los domicilios y el cáncer de esófago. El estudio, publicado en <em>International Journal of Radiaton Biology,</em> muestra una relación directa entre la acumulación de gas residencial y la mortalidad por esta enfermedad.<br /> <br /> Para realizar el trabajo, los investigadores midieron la concentración de este gas en más de 3.500 domicilios gallegos y lugares de trabajo y descubrieron que los municipios con una mayor concentración de radón residencial presentan también mayor mortalidad por cáncer de esófago entre los varones no fumadores.<br /> <br /> El profesor Alberto Ruano de la USC lidera esta investigación, en la que también participaron expertos del Centro Nacional de Epidemiología del Instituto de Salud Carlos III. Este mismo equipo publicó recientemente los resultados de otro estudio que concluye que existe una fuerte asociación entre radón residencial y cáncer pulmonar, y actualmente trabaja en una investigación que se centra en sujetos nunca fumadores y que también relaciona el radón residencial con un mayor riesgo de padecer cáncer de pulmón.<br /> <br /> El Laboratorio de Radón de Galicia acaba de conseguir la financiación necesaria para profundizar en el proceso biológico por el cual el radón produce este cáncer. Dirigida por el profesor Miguel Barros, la investigación analizará durante los próximos 3 años a 1.400 sujetos.<br /> <br /> El gas radón es un carcinógeno humano reconocido por la Organización Mundial de la Salud que se acumula de manera natural en el interior de los domicilios y otros ambientes cerrados. De hecho, el radón residencial es la primera causa de cáncer de pulmón en sujetos no fumadores y el segundo factor de riesgo de esta enfermedad en fumadores.</p><br /><br /><a href="http://informahealthcare.com/doi/abs/10.3109/09553002.2014.886792" target="_blank">International Journal of Radiaton Biology (2014); doi:10.3109/09553002.2014.886792</a>
2014-04-26T22:57:09-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/659
Factores de riesgo cardiovascular: Investigadores encuentran por qué el alcoholismo debilita los músculos
2014-04-23T08:23:39-04:00
Revista Finlay
<p>El impacto del alcoholismo en la fusión de las mitocondrias de las células, contribuye al debilitamiento de los músculos, según un estudio encabezado por la bioquímica chilena Verónica Eisner.</p><p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/04/alcohol.jpg"><img class="alignleft size-full wp-image-33558" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/04/alcohol.jpg" alt="alcohol" width="160" height="73" /></a>La debilidad muscular es un síntoma común tanto de las personas que han sido alcohólicas durante mucho tiempo como de los pacientes con enfermedad de las mitocondrias, los orgánulos celulares que suministran la mayor parte de la energía necesaria para la actividad celular.</p><p>En un artículo que publica la revista <a href="http://jcb.rupress.org/content/early/2014/04/15/jcb.201312066.abstract?sid=f0745615-5538-460a-9c2d-785e67bac9a9" target="_blank"><em><strong>Journal of Cell Biology</strong></em></a> (doi:10.1083/jcb.201312066 ), Eisner, de la Universidad Thomas Jefferson, y sus colegas describen un eslabón común en ambas condiciones: mitocondrias que no pueden repararse.</p><p>Las mitocondrias reparan sus componentes rotos fusionándose con otras mitocondrias e intercambiando sus contenidos. En este proceso las partes dañadas se separan para un reprocesamiento y son reemplazadas por proteínas de la mitocondria sana que funcionan de manera apropiada.</p><p>El tejido muscular depende constantemente de la energía que proveen las mitocondrias, lo cual hace que la labor de reparación sea una necesidad frecuente.</p><p>Pero como las mitocondrias están muy apretadas entre las fibras de células musculares, la mayoría de los científicos creía que la fusión de mitocondrias era imposible en estos tejidos.</p><p>Eisner creó un sistema para "etiquetar" las mitocondrias en los músculos de esqueleto de las ratas de laboratorio con dos colores diferentes y luego observó si se combinaban.</p><p>Según el artículo, Eisner primero creo un modelo de estudio con ratas cuyas mitocondrias expresaban el color rojo en todo momento, y también mediante ingeniería genética hizo que las mitocondrias en las células se tornaran verdes cuando eran alcanzadas por rayo láser.</p><p>De esta forma creó cuadrados de mitocondrias verdes brillantes sobre un fondo rojo.</p><p>Sorprendentemente las mitocondrias verdes se combinaron con las rojas, intercambiando sus contenidos, y también fueron capaces de ir a otras áreas donde sólo había antes mitocondrias de color rojo.</p><p>"Los resultados mostraron por primera vez que la fusión de mitocondrias ocurre en las células musculares", indicó Eisner.</p><p>Luego el equipo investigador encabezado por Gyorgy Hajnoczky, director del Centro MitoCare en Jefferson, demostró que de las proteínas en la fusión de mitocondrias denominada Mfn1 era la más importante en las células de los músculos del esqueleto.</p><p>Los científicos observaron que la abundancia de Mfn1 disminuía hasta un 50 % en las ratas con una dieta de contenido alcohólico regular, en tanto que las otras proteínas en la fusión no se alteraban.</p><p>Esta disminución apareció acompañada con una reducción sustancial de la fusión de mitocondrias, y los investigadores relacionaron la mengua de la Mfn1 y la fusión de mitocondrias con el aumento de la fatiga muscular.<br /> abril 21/2014 (EFE).-</p><p>Verónica Eisner,Guy Lenaers,György Hajnóczky.Mitochondrial fusion is frequent in skeletal muscle and supports excitation-contraction coupling<em> J Cell Biol </em>jcb.201312066. Abril 21, 2014</p><p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013<em> "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</em></p>
2014-04-23T08:23:39-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/658
Ciencia y Tecnología: Científicos identifican el secreto del óvulo
2014-04-21T22:11:28-04:00
Revista Finlay
<p>El elemento clave del óvulo que le permite al espermatozoide reconocerlo y venir a anclarse, etapa inicial de la fecundación, fue identificado al término de una decena de años de investigación, según sus trabajos publicados en la revista científica <a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature13203.html" target="_blank"><em><strong>Nature</strong></em></a> (doi: 10.1038/nature13203).</p><p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/04/%C3%B3vulo.jpg"><img class="alignleft size-full wp-image-33509" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/04/%C3%B3vulo.jpg" alt="óvulo" width="160" height="101" /></a>Este descubrimiento podría ayudar a mejorar el tratamiento de la infertilidad o el desarrollo de nuevos contraceptivos, estiman los científicos.</p><p>Para que se produzca la fecundación, es necesario que el óvulo y el espermatozoide se amarren uno a otro.</p><p>Este reconocimiento recíproco y su capacidad para unirse uno a otro, primer paso hacia su fusión y la formación del embrión, dependen de la presencia de proteínas y de su interacción.</p><p>Unos científicos japoneses descubrieron en 2005 la proteína en juego en el espermatozoide, bautizada Izumo (alusión a un santuario japonés que celebra el matrimonio), pero su atractivo para el óvulo era un misterio, que acaba de resolverse.</p><p>En efecto, científicos del Wellcome Trust Sanger (Gran Bretaña) señalan el descubrimiento de la proteína situada en la membrana del óvulo, que han llamado Junon (Juno en inglés), nombre de la diosa de la fertilidad.</p><p>Los ratones machos, cuyo esperma no contiene Izumo, son infértiles.</p><p>Las hembras desprovistas de la proteína receptora Junon también son estériles porque sus óvulos deficientes son incapaces de fusionar con esperma normal para formar un huevo, según el estudio de Gavin Wright y sus colegas.</p><p>Las observaciones indican que la interacción entre Junon e Izumo es esencial para la fecundación normal en los mamíferos.</p><p>Los científicos sugieren además que la proteína Junon, que desaparece rápidamente después del engarce, tiene un papel en el bloqueo que previene la fusión con un espermatozoide suplementario.</p><p>Izumo ha resultado ser una buena candidata para el desarrollo de una vacuna contraceptiva, según el especialista Paul Wassarman, de la Mount Sinai Medical School de Nueva York, en un editorial de la revista.</p><p>Pero añade que el conocimiento detallado de la estructura en tres dimensiones del complejo formado por Junon e Izumo facilitaría la puesta a punto, con fines contraceptivos, de pequeñas moléculas susceptibles de impedir su unión.<br /> abril 17/2014 (AFP) -</p><p>Bianchi E, Doe B, Goulding D, Wright GJ.Juno is the egg Izumo receptor and is essential for mammalian fertilization.<em>Nature</em>. 2014 Abr 16.</p><p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <em>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</em></p>
2014-04-21T22:11:28-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/657
Cáncer: Identifican factores epigenéticos asociados a un mayor riesgo de desarrollar cáncer
2014-04-17T23:28:43-04:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">El hallazgo se basa en el estudio de un millón de cambios genéticos en relación con medio millón de cambios epigenéticos en 3.500 tumores que incluyen los trece cánceres más comunes, entre ellos los de mama, pulmón y colon.</p><p> </p><form name="vars"></form><p>Investigadores del Instituto de Investigación Biomédica de Bellvitge (Idibell) han identificado la presencia en el 25% de los tumores humanos de factores epigenéticos que están asociados a un mayor riesgo de desarrollar cáncer.<br /> <br /> El estudio demuestra la existencia, en uno de cada cuatro tumores humanos, de polimorfismos genéticos asociados a un mayor riesgo de cáncer que causan un cambio epigenético que cambia la expresión de los genes colindantes.<br /> <br /> "Hemos estudiado un millón de cambios genéticos en relación a medio millón de cambios epigenéticos en 3.500 tumores que incluyen los trece cánceres más comunes, entre ellos los de mama, pulmón y colon", ha explicado el director del Programa de Epigenética y Biología del Cáncer del Idibell, Manel Esteller.<br /> <br /> En el 25% de los casos se ha observado la existencia de polimorfismos genéticos asociados a un incremento del cáncer "que en lugar de alterar directamente al gen, lo que provocaban era un cambio de metilación del ADN, apagando el gen sin romperlo", ha afirmado Esteller.<br /> <br /> Según el Idibell, estos resultados permiten añadir los cambios epigenéticos como otro factor a considerar en la herencia del cáncer y la contribución del componente familiar a la enfermedad.</p><br /><br /><a href="http://www.cell.com/cell-reports/abstract/S2211-1247%2814%2900194-6" target="_blank">Cell Reports (2014): doi: 10.1016/j.celrep.2014.03.016, 2014. </a>
2014-04-17T23:28:43-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/641
Obesidad: Un estudio resuelve el enigma hereditario de la obesidad
2014-03-16T07:31:19-04:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/obesidad4.jpg" alt="" width="160" height="105" />Las mutaciones en el gen FTO se han considerado los determinantes genéticos más relevantes en el riesgo de obesidad en los seres humanos, pero se desconocía el mecanismo que había tras esta relación. Ahora, un equipo internacional de científicos, con participación española, ha descubierto que los elementos asociados a la obesidad de FTO interactúan con Irx3, que parece ser el gen funcional de la obesidad.<br /> <br /> Esto indicaría que, por sí mismo, el gen FTO sólo tiene un efecto periférico sobre la obesidad, según las conclusiones de este trabajo, que publica <em>Nature</em>. "Nuestros datos sugieren que Irx3 controla la masa corporal y regula la composición del cuerpo", afirma el autor principal del estudio, Marcelo Nobrega, profesor asociado de Genética Humana en la Universidad de Chicago, en Estados Unidos. "Cualquier asociación entre FTO y la obesidad parece que se debe a la influencia de Irx3", agrega el investigador.<br /> <br /> Se han estudiado ampliamente las mutaciones en los intrones (porciones no codificantes del ADN) del gen FTO después de que las investaciones de asociación del genoma revelaran una fuerte relación entre FTO, la obesidad y la diabetes. Sin embargo, la sobreexpresión o eliminación de FTO en modelos animales afecta a toda la masa corporal, no sólo a la grasa, y los experimentos no han podido demostrar que estos intrones relacionados con la obesidad afectan a la función en sí del gen FTO.<br /> <br /> Nobrega y su equipo descubrieron que el promotor que activa FTO no interacciona con intrones FTO asociados a la obesidad. "En su lugar, vimos que el promotor de Irx3, un gen a varios cientos de miles de pares de bases de distancia, se relaciona con estos intrones, así como con un gran número de otros elementos a lo largo del gran tramo genético que estudiamos", relata el coautor José Luis Gómez-Skármeta, genetista en el Centro de Biología del Desarrollo en Sevilla, España. Los científicos hallaron un patrón similar de interacciones en los seres humanos después de analizar los datos del proyecto ENCODE, que se confirmaron con experimentos en células humanas.<br /> <br /> Así, y a partir de 153 muestras de cerebro de personas de ascendencia europea, los investigadores observaron que las mutaciones en los intrones FTO que afectaron al peso corporal se asocian con la expresión Irx3, pero no con FTO. Los intrones de FTO relacionados con la obesidad aumentaron la expresión de Irx3, operando como elementos reguladores, por lo que el gen FTO en sí no parece desempeñar función alguna en esta interacción.<br /> <br /> "Los elementos reguladores son los interruptores que activan genes dentro y fuera. Lo que hemos encontrado es que los interruptores que controlan Irx3 están lejos del gen y dentro del gen FTO", matiza Nobrega. Para verificar el papel de Irx3, los expertos diseñaron ratones sin ese gen, con un peso un 30 por ciento inferior al de los ejemplares normales debido a que tenían menos grasa.<br /> <br /> Cuando se les alimentó con una dieta alta en grasa, los ratones sin Irx3 conservaron el mismo peso e iguales niveles de grasa que con las dietas normales, mientras que los roedores normales alimentados con una dieta alta en grasas ganaron casi el doble de peso. Las células de grasa en ratones deficientes de Irx3 eran más pequeñas y no se observaron mayores niveles de grasa marrón, además de que estos animales eran más capaces de procesar la glucosa.</p> <p><strong>Función Irx3 alterada en el hipotálamo</strong><br /> <br /> "Estos ratones están delgados. Pierden peso principalmente por la pérdida de grasa. Pero no son enanos", afirma el coautor Chin-Chung Hui, profesor de Genética Molecular en la Universidad de Toronto, Canadá. "También son completamente resistentes al alto contenido de grasa de las dietas que llevan a la obesidad. Tienen mucho mejor capacidad para manejar la glucosa y parecen protegidos contra la diabetes", resume.<br /> <br /> Los investigadores también vieron que los ratones con la función Irx3 alterada en el hipotálamo, la parte del cerebro conocida por regular el comportamiento relativo a la alimentación y el gasto de energía, mostraron un patrón idéntico de delgadez al de los ratones que carecían por completo de este gen. Por lo tanto, la función de Irx3 en el hipotálamo parece controlar la masa corporal y la composición en estos animales, lo que indica que la predisposición genética a la obesidad está conectada en el cerebro.<br /> <br /> Irx3 codifica una proteína que regula otros genes y está presente tanto dentro como fuera del cerebro, en órganos y células como las de la grasa. Nobrega y su equipo están investigando cómo Irx3 interactúa con los genes y las moléculas que regula con la esperanza de identificar objetivos para desarrollar nuevas terapias contra la obesidad y la diabetes.<br /> <br /> "Irx3 es probablemente un regulador maestro de los programas genéticos en las células donde se expresa", subraya Nobrega. "Estamos muy interesados ??en saber cuáles son sus objetivos y qué alteran. La intención es identificar dianas de Irx3 que se conviertan en modelos para el diseño de fármacos", concluye este investigador.</p> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature13138.html" target="_blank">Nature (2014); doi:10.1038/nature13138</a>
2014-03-16T07:31:19-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/638
Ciencia y Tecnología: Reprograman células de la piel para secretar insulina
2014-03-04T05:18:17-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Científicos de los Institutos Gladstone, en San Francisco, California, Estados Unidos, han desarrollado una técnica en modelos animales que podría reponer las células destruidas por la diabetes tipo 1. El hallazgo, publicado en<a href="http://www.cell.com/cell-stem-cell/abstract/S1934-5909%2814%2900007-1" target="_blank"><em><strong> Cell Stem Cell</strong></em> </a>(doi: 10.1016/j.stem.2014.01.006.), es un paso importante con vistas a liberar a los pacientes de las inyecciones que deben administrarse de por vida.</p> <p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/03/PIIS1934590914000071.fx1_.lrg_.jpg"><img class="alignleft size-full wp-image-32751" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/03/PIIS1934590914000071.fx1_.lrg_.jpg" alt="ke" width="188" height="187" /></a>La diabetes tipo 1, que suele manifestarse durante la infancia, es causada por la destrucción de las células beta, un tipo de células que normalmente se alojan en el páncreas y producen una hormona llamada insulina sin la cual los órganos del cuerpo tienen dificultad para absorber los azúcares, como la glucosa, de la sangre. La enfermedad se puede controlar midiendo los niveles de glucosa y mediante inyecciones de insulina, aunque una mejor solución sería recolocar las células beta que faltan. Sin embargo, estas células son difíciles de conseguir, por lo que los investigadores se han centrado en la tecnología de células madre como una manera de fabricarlas.</p> <p>"La medicina regenerativa puede proporcionar una fuente ilimitada de células beta funcionales productoras de insulina que pueden ser trasplantadas en el paciente", destaca el doctor Sheng Ding, quien también es profesor en la Universidad de California, San Francisco (UCSF). "Pero los intentos anteriores para producir grandes cantidades de células beta saludables y desarrollar un sistema viable no han tenido un éxito total. Así que adoptamos un enfoque algo diferente", explica.</p> <p>Uno de los principales desafíos para la generación de grandes cantidades de células beta es que estas células tienen una capacidad regenerativa limitada, por lo que, una vez que maduran, es difícil fabricar más. Así que el equipo de investigadores de este trabajo decidió dar un paso atrás en el ciclo vital de la célula.</p> <p>Los científicos reunieron células de la piel, llamadas fibroblastos, de ratones de laboratorio y, luego, mediante un "cóctel" de moléculas y factores de reprogramación, transformaron estos fibroblastos en células similares a las del endodermo, que son un tipo de células que se encuentra en el embrión temprano y que finalmente maduran en los órganos principales del cuerpo, incluyendo el páncreas.</p> <p>"Mediante el uso de otro cóctel químico, transformamos estas células del endodermo en células que imitaban las células del páncreas como al principio, que denominamos PPLC", relata la académica postdoctoral de Gladstone Ke Li, autora principal del artículo.</p> <p>"Nuestro objetivo inicial era ver si podíamos lograr que estas PPLC maduraran para convertirse en células que, al igual que las células beta, respondan a las señales químicas correctas y, lo más importante, secreten insulina. Y nuestros experimentos iniciales, realizados en una placa de Petri, revelaron que lo hicieron", prosigue.</p> <p>El equipo de investigación entonces quería ver si ocurría lo mismo en modelos de animales vivos, así que trasplantaron PPLC en ratones modificados para tener hiperglucemia (altos niveles de glucosa), un indicador clave de la diabetes.</p> <p>Una "relación directa" entre el trasplante de la PPLC y la reducción de la hiperglucemia</p> <p>"Apenas una semana después del trasplante, los niveles de glucosa de los animales empezaron a descender acercándose gradualmente a niveles normales -continúa Ke Li-. Y cuando retiramos las células trasplantadas, vimos un pico inmediato de glucosa, lo que revela una relación directa entre el trasplante de la PPLC y la reducción de la hiperglucemia."</p> <p>Cuando el equipo analizó los ratones ocho semanas después del trasplante, observó que la PPLC había dado paso a células betas secretoras de insulina completamente funcionales. "Estos resultados no hacen sino resaltar el poder de las pequeñas moléculas en la reprogramación celular y son una prueba de principio de que algún día podrían ser usadas como un enfoque terapéutico personalizado en los pacientes", sostiene Sheng Ding.</p> <p>"Estoy particularmente entusiasmado con la idea de traducir estos resultados al sistema humano -afirma Matthias Hebrok, uno de los autores del estudio y director del Centro de Diabetes de UCSF--. En lo inmediato, esta tecnología en células humanas podría proporcionar avances significativos en nuestra comprensión de cómo los defectos inherentes en células beta provocan diabetes, acercándonos notablemente a la tan necesaria cura."<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=26234&Itemid=413" target="_blank"><strong>febrero 8/2014 (Diario Salud)</strong></a></p> <p>Li K, Zhu S, Russ HA, Xu S, Xu T, Zhang Y.Small molecules facilitate the reprogramming of mouse fibroblasts into pancreatic lineages.<em><strong>Cell Stem Cell</strong></em>. 2014 Feb 6;14(2):228-36.</p> </span>
2014-03-04T05:18:17-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/636
Ciencia y Tecnología: Descubren nueva terapia contra tumores resistentes
2014-02-24T12:22:35-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Investigadores argentinos hallaron un nuevo avance en la lucha contra el cáncer, al encontrar un mecanismo que "permite tratar tumores hasta ahora resistentes a las terapias convencionales", limitando la intensidad del riego sanguíneo necesaria para su desarrollo.</p> <p>La investigación fue realizada por el centífico argentino Gabriel Rabinovich y su equipo del Centro Nchas investigaciones terapéuticas contra el cáncer apuntan a reducir el suministro de sangre al tumor, pero los remedios existentes no siempre son efectivos.</p> <p>El estudio publicado por los investigadores revela la naturaleza de uno de los mecanismos de resistencia tumoral y explica cómo revertirlo.</p> <p>El hallazgo se fundamenta en la relación entre dos proteínas, el Factor de Crecimiento Endotelial Vascular (VEGF) y la Galectina-1 (Gal-1), claves en la división de las células endoteliales para crear nuevos vasos sanguíneos.</p> <p>El grupo de trabajo del CONICET descubrió que en tumores refractarios, las técnicas secuestro del VEGF no sólo no limitan la proliferación de vasos sanguíneos sino que la estimulan, al promover la asociación entre las dos proteínas.</p> <p>"En tumores sensibles a estos fármacos, el anticuerpo que captura al VEGF tiene efectos positivos. Pero en aquellos que son resistentes a estas drogas, al poco tiempo de administrarlos entra en escena un mecanismo compensador que dispara nuevamente la creación de vasos", señala Rabinovich en el comunicado.</p> <p>"El equipo de investigación trabajó entonces con un grupo de tumores refractarios y logró revertir su sensibilidad al administrar conjuntamente dos anticuerpos: uno que 'secuestra' a VEGF y otro a Gal-1", añadió la nota.</p> <p>"A los 7 días de comenzado el tratamiento mixto disminuye la angiogénesis", precisó en el texto Diego Croci, investigador asistente del CONICET.</p> <p>Sin embargo, el equipo científico advierte que aunque los resultados en laboratorio y animales de experimentación son "muy positivos", aún no está disponible como tratamiento.</p> <p>"Conocer este mecanismo permite volver sensibles tumores que hasta ahora eran refractarios", dijo Rabinovich, quien puntualizó que "todavía es necesario realizar más estudios antes de que llegue a los pacientes".</p> <p>El descubrimiento fue portada del último número de la revista estadounidense especializada <a href="http://www.cell.com/abstract/S0092-8674%2814%2900136-6" target="_blank"><em><strong>Cell</strong></em></a> (doi: 10.1016/j.cell.2014.01.043.), y presentado ayer por el equipo de investigación y el ministro argentino de Ciencia, Tecnología e Innovación, Lino Barañao.<br /> <strong>febrero 14/2014 (EFE).-</strong></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Croci DO, Cerliani JP, Dalotto-Moreno T, Méndez-Huergo SP, Mascanfroni ID, Rabinovich GA.Glycosylation-Dependent Lectin-Receptor Interactions Preserve Angiogenesis in Anti-VEGF Refractory Tumors<strong>.<em>Cell</em>. </strong>2014 Feb 13;156(4):744-58.</p> </span>
2014-02-24T12:22:35-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/634
Ciencia y Tecnología: Revelan que la sustancia blanca ejerce de "andamio" cerebral
2014-02-18T04:51:05-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Investigadores de la Universidad de Carolina del Sur (EE UU) han descubierto que la materia blanca del cerebro funciona como un "andamio" del órgano, al actuar como red de comunicaciones de la función cerebral. En su estudio, han observado cómo no todas las conexiones cerebrales tienen la misma importancia, lo que les lleva a pensar que este descubrimiento puede tener "importantes" implicaciones para la comprensión de las lesiones cerebrales.</p> <p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/02/cerebro.jpg"><img class="alignleft wp-image-32489" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/02/cerebro.jpg" alt="cerebro" width="201" height="161" /></a>El trabajo, publicado en <a href="http://www.frontiersin.org/Journal/10.3389/fnhum.2014.00051/abstract" target="_blank"><em><strong>Frontiers in Human Neuroscience</strong></em> </a>(doi: 10.3389/fnhum.2014.00051 )y del que se hace eco el Servicio de Información y Noticias Científicas (SINC), "ha mostrado no sólo un mapa de las vías centrales de la materia blanca del cerebro, sino también qué conexiones pueden ser más vulnerables a los daños".</p> <p>Al simular los efectos del daño en cada vía de la materia blanca, vieron que las áreas más significativas de la materia blanca y gris no siempre se superponen. "Hemos acuñado el término de sustancia blanca "andamio" porque esta red define la arquitectura de la información que da soporte a la función cerebral", explica John Darrell Van Horn, autor principal del estudio, quien destaca que "si bien todas las conexiones en el cerebro tienen su importancia, existen vínculos particulares que son especialmente relevantes".</p> <p>Los investigadores estudiaron mediante resonancias magnéticas a 110 personas, y simularon los efectos de daño en cada vía de la materia blanca. Así, encontraron que las áreas más significativas de la materia blanca y gris no siempre se superponen.</p> <p>Los expertos señalan que antes ya se habían identificado las áreas de materia gris que se ven desproporcionadamente afectadas por una lesión. Sin embargo, esta investigación muestra que las vías más vulnerables de la materia blanca no son necesariamente solo las conexiones entre las zonas más vulnerables de la materia gris, ayudando a explicar por qué aparentemente pequeñas lesiones cerebrales que pueden tener efectos devastadores.</p> <p>"A veces las personas experimentan una lesión en la cabeza que parece grave, pero de la que son capaces de recuperarse. Por otro lado, algunas personas tienen una aparentemente pequeña lesión que tiene efectos clínicos muy graves", explica Van Horn, quien cree que este descubrimiento ayudará a "responder mejor a los retos clínicos de una lesión cerebral traumática y a determinar qué hace particularmente vulnerables a determinadas vías de la materia blanca".</p> <p>Los investigadores no se centraron únicamente en los más importantes nodos de materia gris, ni se limitaron a mirar cómo estaban conectados los nodos. Así, examinaron la fuerza de las conexiones de la materia blanca. "Del mismo modo que cuando se quita la conexión a Internet no se recibirá correo electrónico, existen vías de la materia blanca que dan lugar a fallos de comunicación a gran escala en el cerebro cuando está dañado", concluye Van Horn.<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=26240&Itemid=413" target="_blank"><strong>febrero 13/2014 (Diario Salud)</strong></a></p> <p>Andrei Irimia and John Darrell Van Horn.<em><strong>Systematic network lesioning reveals the core white matter scaffold of the human brain.Front. Hum. Neurosci.</strong></em>11 Feb 2014</p> </span>
2014-02-18T04:51:05-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/632
Medicamentos: Altas dosis de vitamina C aumentan efectos de quimioterapia
2014-02-13T06:30:05-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/vitamina_C1.JPG" alt="" />Altas dosis de vitamina C incrementan los efectos de la quimioterapia para combatir el cáncer, según una investigación de científicos estadounidenses realizada en laboratorio y con ratones.</p> <p>Los expertos de la Universidad de Kansas, en el centro de Estados Unidos, indicaron que las inyecciones de vitamina C podrían terminar siendo potencialmente el tratamiento más seguro, efectivo y de menor costo contra el cáncer de ovario y de otros tipos.</p> <p>La investigación fue publicada en la revista especializada "Science Translational Medicine".</p> <p>Los científicos pidieron ahora al gobierno llevar a cabo ensayos clínicos a gran escala para confirmar la evidencia.</p> <p>Sin embargo, es improbable que las empresas farmacéuticas realicen ensayos clínicos con pacientes debido a que las vitaminas no pueden ser patentadas.</p> <p>La vitamina C ya era utilizada como terapia alternativa contra el cáncer.</p> <p>En los años 70, el químico Linus Pauling reportó que suministrar vitamina C de forma intravenosa era un tratamiento efectivo contra el cáncer.</p> <p>De todos modos, los ensayos clínicos de vitamina C suministrada por vía oral no lograron replicar esos efectos y las investigaciones al respecto fueron abandonadas.</p> <p>Ahora se sabe que el cuerpo humano excreta rápidamente la vitamina C cuando es tomada por vía oral.</p> <p>Pero los científicos de la Universidad de Kansas indicaron que cuando esa vitamina es inyectada de forma intravenosa, es absorbida por el cuerpo de forma inmediata y puede eliminar células cancerosas sin dañar las células normales.</p> <p>Los expertos inyectaron vitamina C en células cancerígenas ováricas, tanto en ensayos en laboratorio como en ratones, y también en pacientes con cáncer de ovario muy avanzado.</p> <p>Descubrieron que las células cancerígenas del ovario eran muy sensibles al tratamiento de vitamina C y que las células normales no se veían afectadas.</p> <p>El tratamiento se aplicó además en conjunto con drogas de quimioterapia para reducir el crecimiento de tumores en estudios con ratones. Mientras, un pequeño grupo de pacientes reportaron menos efectos colaterales al recibir dosis de vitamina C durante los tratamientos convencionales de quimioterapia.</p> <p>Jeanne Drisko, coautora de la investigación, declaró que cada vez más aumenta el interés en el uso de la vitamina C por parte de los oncólogos.</p> <p>"Los pacientes prefieren tratamientos más seguros y menos costosos a la hora de luchar contra el cáncer", dijo la experta a la BBC.</p> <p>"Las dosis intravenosas de vitamina C tienen ese potencial de acuerdo a nuestra investigación científica básica y a las primeras evidencias de ensayos clínicos", agregó.</p> <p>Los científicos explicaron que uno de los principales obstáculos es que es improbable que las farmacéuticas lleven a cabo los ensayos clínicos.</p> <p>"Debido a que la vitamina C no tiene la posibilidad de ser patentada, su desarrollo no será apoyado por las compañías farmacéuticas", destacó Qi Chen, autor principal del estudio.</p> <p>"Creemos que ha llegado el momento que las agencias de investigación apoyen de forma vigorosa los ensayos clínicos de forma profunda y meticulosa sobre las dosis de vitamina C suministradas por vía intravenosa", continuó.</p> <p>Para la oncóloga Kat Arney, del grupo Cancer Research UK, los tratamientos anticáncer con vitamina C tienen una larga data.</p> <p>"Es difícil decir con un grupo tan pequeño de ensayo- solo 22 pacientes- si las altas dosis de vitamina C inyectadas tienen el efecto de prolongar la vida. Pero es interesante el hecho de que parezcan reducir los efectos secundarios de la quimioterapia", indicó la experta británica.</p> <p>"Cualquier potencial tratamiento contra el cáncer debe ser evaluado ampliamente en ensayos clínicos a gran escala, para asegurarse que sea seguro y efectivo, y por ello son necesarios más estudios para saber con certeza qué beneficios tendrían las altas dosis de vitamina C en los pacientes", concluyó Arney.<br /> febrero 11/2014 (ANSA)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p><a href="http://stm.sciencemag.org/content/6/222/222ra18" target="_blank"><em><strong> High-Dose Parenteral Ascorbate Enhanced Chemosensitivity of Ovarian Cancer and Reduced Toxicity of Chemotherapy</strong></em></a></p> </span>
2014-02-13T06:30:05-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/631
Diabetes Mellitus: Descubren siete regiones genéticas vinculadas con la diabetes tipo 2
2014-02-13T06:01:12-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/Diabetes_mellitus_simbolo1.JPG" alt="" />Un nuevo estudio ha identificado siete nuevas regiones genéticas asociadas a la diabetes tipo 2. Se utilizaron datos del ADN de más de 48 000 pacientes y 139 000 personas sanas para el grupo de control de cuatro grupos étnicos diferentes.</p> <p>La investigación, llevada a cabo por un consorcio internacional de científicos de 20 países, fue liderado por el Centro Wellcome Trust de Genética humana de la Universidad de Oxford (Reino Unido).</p> <p>Una de las principales características de este trabajo es el estudio de los ADN de grupos no solo europeos, sino también asiáticos e hispanos. Los investigadores consideran que cuantos más datos genéticos tengan de poblaciones de descendientes de asiáticos orientales y africanos, será más fácil realizar mapas genéticos más precisos implicados en la enfermedad.</p> <p>Entre las regiones identificadas por los investigadores se encuentran dos, cerca de los genes ARL15 y RREB1, que también muestran signos de niveles elevados de insulina y glucosa en el organismo, dos de las características de la enfermedad. Este hallazgo proporciona una idea de cómo los procesos bioquímicos básicos están involucrados en el riesgo de padecer la diabetes tipo 2.</p> <p>"Aunque los efectos genéticos pueden ser pequeños, cada señal nos dice algo nuevo sobre la biología de la enfermedad", explica Anubha Mahajan, de la Universidad de Oxford. "Estos resultados pueden dirigirnos a nuevas formas de pensamiento sobre la enfermedad, con el objetivo último de desarrollar terapias novedosas para tratar y prevenir la diabetes tipo 2", añade.</p> <p>"Existen razones para esperar que los medicamentos que actúen en estos procesos biológicos tendrán un impacto mayor en la diabetes individual que en los efectos genéticos que hemos descubierto", concluye Mahajan.<br /> <a href="http://genetica.diariomedico.com/2014/02/10/area-cientifica/especialidades/genetica/descubren-siete-regiones-geneticas-vinculadas-diabetes-tipo-2" target="_blank">febrero 11/2014 (Diario Médico) </a></p> </span>
2014-02-13T06:01:12-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/630
Medicamentos: La terapia hormonal reduce la reintervención de cadera y rodilla
2014-02-13T05:56:31-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/farmacos_280.jpg" alt="" width="188" height="141" />Las mujeres que reciben terapia hormonal durante al menos seis meses tras una intervención de rodilla o cadera tienen hasta un 40 % menos riesgo de repetir la cirugía respecto a las no tratadas, según concluye un estudio en el que ha participado Daniel Prieto, del Instituto de Investigación en Atención Primaria (Idiap) Jordi Gol, en Cataluña.</p> <p>El trabajo, que publica la "Annals of the Rheumatic Diseases", analiza datos del seguimiento durante más de tres años de mujeres que ya se habían sometido a una cirugía de prótesis de rodilla o de cadera entre los años 1986 y 2006 para valorar su riesgo de reintervención.</p> <p>Más de 21 000 de las participantes que cumplieron con los criterios no habían usado la terapia hormonal, mientras que más de 3500 lo habían hecho durante al menos seis meses después de pasar por el quirófano y se pudo comprobar que en el segundo grupo fueron casi un 40 % menos propensas a la repetición de la cirugía que aquellas que no habían tomado la terapia hormonal.</p> <p>Por otra parte, la reducción del riesgo de repetir la intervención en los tres años siguientes al implante de la prótesis de cadera o de rodilla llegaba al 54 % en aquellas pacientes que tomaron regularmente terapia hormonal durante 12 meses o más después de la primera intervención.</p> <p>El estudio también demuestra que seguir este tratamiento clínico antes de la cirugía no supuso ninguna diferencia en el riesgo de fracaso de los implantes.</p> <p>En palabras de Prieto, "tenemos claro que los bajos niveles de las hormonas estrógenicas femeninas se han relacionado con una disminución y pérdida de la densidad de los huesos, mientras que con la terapia hormonal creemos que ayudamos a conservar la densidad ósea. Por ello, consideramos este estudio muy importante, ya que es el primero en demostrar tal efecto".</p> <p>Los datos van en la línea de hallazgos previos de este grupo de investigación, que ya había observado una asociación entre el uso de bisfosfonatos y una reducción del riesgo de repetición de la cirugía de artroplastias de rodilla o cadera. "Ahora es el momento de comprobar si estos efectos son o no causales en estudios aleatorizados y controlados con placebo".<br /> <a href="http://reumatologia.diariomedico.com/2014/02/10/area-cientifica/especialidades/reumatologia/terapia-hormonal-reduce-reintervencion-cadera-rodilla" target="_blank">febrero 11/2014 (Diario Médico) </a></p> <p><a href="http://ard.bmj.com/content/early/2014/01/07/annrheumdis-2013-204043.short?g=w_ard_ahead_tab" target="_blank"><em>Hormone replacement therapy and mid-term implant survival following knee or hip arthroplasty for osteoarthritis: a population-based cohort study</em></a></p> </span>
2014-02-13T05:56:31-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/629
Ciencia y Tecnología: La edad no es un obstáculo para la regeneración de neuronas
2014-02-10T08:45:15-05:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/2010121323_neuron23.jpg" alt="" />En los gusanos estudiados, la insulina es lo que inhibe la capacidad de las neuronas motoras para repararse, un descubrimiento que sugiere que el deterioro de la salud del sistema nervioso podría no ser inevitable.</p> <p>A medida que envejecen, todos los organismos sufren una reducción de su capacidad para regenerar porciones dañadas del sistema nervioso. Un nuevo estudio, realizado por el equipo de Marc Hammarlund y Alexandra Byrne, de la Universidad Yale en New Haven, Connecticut, Estados Unidos, sugiere que este déficit no se debe específicamente a las acciones destructivas comúnmente provocadas por el paso del tiempo.</p> <p>El sistema nervioso regula su propia respuesta ante la edad, independientemente de cómo lo haga el resto del cuerpo. Mediante manipulación de la vía en la que participa la insulina, es factible obtener animales que vivan más tiempo de lo normal pero cuyo sistema nervioso envejezca al ritmo normal, o, a la inversa, obtener animales que mueran a edades normales pero cuyo sistema nervioso se mantenga joven hasta el final.</p> <p>En la investigación se identificaron dos vías genéticas que regulan la actividad de la insulina y que son responsables de la reducción, asociada con la edad, de la habilidad de regenerar axones (ramificaciones) en neuronas de gusanos. El equipo también identificó otras dos vías que regulan la capacidad de las neuronas para regenerarse, pero que no tienen conexión con la edad de los gusanos.</p> <p>El gusano<em> C. elegans</em> es un excelente modelo de estudio para el análisis genético del envejecimiento. Mediante la manipulación de familias de genes que regulan la actividad de la insulina, ya se observó en estudios anteriores que se incrementa drásticamente la expectativa de vida de este organismo. Este nuevo estudio revela que la señalización mediada por insulina también afecta directamente al sistema nervioso.</p> <p>El objetivo de esta fascinante línea de investigación es averiguar más detalladamente cómo vías diferentes de señalización regulan de manera coordinada el envejecimiento neuronal, y más específicamente, cómo conseguir regenerar neuronas sin que la edad de la persona sea un impedimento.<br /> <a href="http://noticiasdelaciencia.com/not/9476/la_edad_no_es_un_obstaculo_para_la_regeneracion_de_neuronas/" target="_blank"><strong>febrero 4/2014 (NCYT)</strong></a></p> <p>Byrne AB, Walradt T, Gardner KE, Hubbert A, Reinke V, Hammarlund M.<em><strong>Insulin/IGF1 Signaling Inhibits Age-Dependent Axon Regeneration.<a href="https://www.cell.com/neuron/abstract/S0896-6273%2813%2901087-8" target="_blank">Neuron</a></strong></em>. 2014 Ene 15. doi:S0896-6273(13)01087-8. 10.1016/j.neuron.2013.11.019.</p>
2014-02-10T08:45:15-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/628
Hipertensión arterial: Los efectos de la hipertensión podrían ser tan devastadores como los del sida
2014-02-10T08:36:21-05:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/hta4.JPG" alt="" width="217" height="156" />A juicio de estos investigadores, pese a que las políticas, en general, están bien orientadas, se tiende a infravalorar el impacto sanitario de la hipertensión arterial, una patología que en los próximos 20 años puede exceder, en número de víctimas, a las que se atribuyen al sida. Los firmantes del estudio, publicado en International <a href="http://ije.oxfordjournals.org/content/early/2014/01/31/ije.dyu019.full" target="_blank"><em><strong>Journal of Epidemiology</strong></em></a> (Doi: 10.1093/ije/dyu019) , plantean en sus conclusiones que la hipertensión podría ser una epidemia de proporciones semejantes a la del VIH.</p><p>"La respuesta de los gobiernos a la epidemia mundial de la hipertensión parece algo mejor que la que hizo frente al VIH/sida hace dos décadas, pero hace falta un mayor esfuerzo para evitar que aquélla acabe con la vida de millones de personas", reza el artículo. "El VIH", argumentan, "es una de las principales prioridades de la salud mundial y es reconocida como una seria amenaza para muchos países en desarrollo. La hipertensión, en cambio, es vista como una enfermedad propia de Occidente, de los países prósperos, y, por tanto, de poca relevancia para los países pobres, y ello a pesar de que las evidencias acerca de la prevalencia en los países más pobres han aumentado".</p><p>El profesor Peter Lloyd-Sherlock, de la Universidad de East Anglia (UEA), Norwich, Norfolk, Inglaterra, y los profesores Shah Ebrahim y Heiner Grosskurth, de la Escuela Londinense de Higiene y Medicina Tropical (LSHTM), en Reino Unido, sostienen que el hecho de que la hipertensión sea una enfermedad no transmisible y esté asociada a factores como la obesidad, la falta de ejercicio o una dieta deficiente que sea difícil convencer a los gobiernos y agencias de salud de la importancia de ayudar a las personas que "comen y fuman demasiado".</p><p>"El VIH se enfrentó, en los primeros años de la pandemia, a la negación política y a la incomprensión del público, especialmente en los países más pobres. Hay un patrón similar de negación de la hipertensión, basada en la creencia errónea de que no afecta a los grupos sociales más pobres. Sin embargo, hay pruebas sustanciales de que es altamente prevalente entre los grupos de población con menores recursos y, por consiguiente, menos probabilidades de acceder a un tratamiento eficaz", agregan.</p><p>Sudáfrica, a la cabeza de la pandemia<br /> De hecho, el estudio revela que Sudáfrica tiene el índice más elevado de hipertensión arterial entre las personas de 50 años y supera al de que cualquier país del mundo en cualquier momento de la historia. Sirva como dato que, en una prueba realizada en dicho país, el 78 % de los participantes dio positivo en hipertensión, pero apenas una de cada diez personas controlaban su condición con medicamentos.</p><p>El "Estudio Global sobre el Envejecimiento y la Salud del Adulto (SAGE) , llevado a cabo por la Organización Mundial de la Salud (OMS), encuestió a más de 35 000 personas de 50 años en adelante en Sudáfrica, China, Ghana, India, México y Rusia.</p><p>El trabajo tiene como objetivo llenar un vacío crucial en la comprensión acerca de la prevalencia, los conocimientos, las posibles causas y el tratamiento de la presión arterial alta, la principal causa de muerte en el mundo en países de ingresos bajos y medios. Sus autores, entre los que figuran investigadores de la OMS, el Instituto de Neurociencias de Padua, Italia, y la Escuela de Higiene y Medicina Tropical de Londres, en Reino Unido, advierten de las consecuencias potencialmente "catastróficas" para la salud de las personas y el bienestar si los esfuerzos globales para hacer frente al impacto de la presión arterial alta no se potencian de inmediato.<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=26228&Itemid=36" target="_blank"><strong>febrero 5/2014 (JANO)</strong></a></p><p>Peter Lloyd-Sherlock, John Beard, Nadia Minicuci, Shah Ebrahim, Somnath Chatterji.<em><strong>Hypertension among older adults in low- and middle-income countries: prevalence, awareness and control.</strong> <strong><a href="http://ije.oxfordjournals.org/content/early/2014/02/06/ije.dyt215.full" target="_blank">Int. J. Epidemiol</a>.</strong></em> Feb 6, 2014, doi: 10.1093/ije/dyt215</p><p>Peter Lloyd-Sherlock, Shah Ebrahim, Heiner Grosskurth.<em><strong>Is hypertension the new HIV epidemic?.Int. J. Epidemiol</strong></em>.Feb 3, 2014</p>
2014-02-10T08:36:21-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/627
Diabetes Mellitus: El consumo de yogur reduce en un 28% el riesgo de diabetes tipo 2
2014-02-07T22:40:50-05:00
Revista Finlay
En concreto, científicos de la Universidad de Cambridge (Reino Unido) descubrieron que, de hecho, un mayor consumo de productos lácteos fermentados de bajo contenido en grasa, que incluyen todas las variedades de yogur y algunos quesos bajos en grasa, también disminuyen el riesgo relativo de diabetes en un 24 por ciento en general.<br /> <br /> La investigadora principal de este estudio, la doctora Nita Forouhi, del Consejo de Investigación Médica de la Unidad de Epidemiología de la Universidad de Cambridge, explica: "Esta investigación pone de manifiesto que determinados alimentos pueden tener un papel importante en la prevención de la diabetes tipo 2 y son relevantes para los mensajes de salud pública".<br /> <br /> Los productos lácteos son una fuente importante de proteínas de alta calidad, vitaminas y minerales. Sin embargo, también son una fuente de grasa saturada, por lo que las directrices dietéticas actualmente aconsejan a la gente no consumir en grandes cantidades, en lugar de recomendar que consuman estos productos en las opciones bajas en grasa.<br /> <br /> Estudios previos sobre los vínculos entre el consumo de productos lácteos (de alto contenido en grasa o bajo en grasa ) y la diabetes tuvieron resultados no concluyentes. Por lo tanto, la naturaleza de la asociación entre la ingesta de productos lácteos y la diabetes tipo 2 aún no está clara, lo que llevó a los autores a realizar esta nueva investigación, utilizando evaluación mucho más detallada del consumo de productos lácteos que la que se hizo en los análisis anteriores.<br /> <br /> La investigación se basó en el estudio 'EPIC-Norfolk', que incluyó a más de 25.000 hombres y mujeres que viven en Norfolk, Reino Unido, y en ella se analizó un registro diario detallado de toda la comida y bebida consumida durante más de una semana en el momento del ingreso en el estudio entre 753 personas que desarrollaron diabetes tipo 2 durante más de 11 años de seguimiento con 3.502 participantes en el estudio seleccionados al azar. Esto permitió a los autores examinar el riesgo de diabetes en relación con el consumo de productos lácteos en total y los tipos de productos lácteos individuales. <p><strong>El consumo de productos lácteos no se asocia con riesgo de diabetes</strong><br /> <br /> El consumo de productos lácteos total (el total de productos lácteos de alto contenido graso o total de productos lácteos bajos en grasa) no se asoció con la diabetes de nueva aparición después de tener en cuenta factores importantes como estilos de vida saludables, educación, niveles de obesidad, otros hábitos alimenticios e ingesta total de calorías. La ingesta total de leche y queso tampoco se asoció con riesgo de diabetes .<br /> <br /> Por el contrario, los participantes en el estudio que consumían más productos lácteos fermentados con bajo contenido en grasa (como yogur, queso fresco y requesón bajo en grasa) fueron un 24 por ciento menos propensos a desarrollar diabetes tipo 2 durante los 11 años, en comparación con los no consumidores.<br /> <br /> Cuando se examinaron por separado los productos lácteos fermentados bajos en grasa, el yogur, que representa más del 85 por ciento de estos productos, se vinculó con un 28 por ciento menos de riesgo de desarrollar diabetes. En concreto, se observó esta reducción del riesgo entre las personas que consumían un promedio de cuatro recipientes y medio estándar de 125g de yogur a la semana.<br /> <br /> Lo mismo se aplica a otros productos lácteos fermentados bajos en grasa como quesos no madurados, incluyendo el queso fresco y el queso cottage o requesón. Otro hallazgo fue que el consumo de yogur en lugar de una porción de otros aperitivos como las patatas fritas también redujo el riesgo de desarrollar diabetes tipo 2.</p> <p><strong>Bacterias probióticas</strong><br /> <br /> Si bien este tipo de estudio no puede probar que el consumo de productos lácteos hace que el riesgo de diabetes se reduzca, los productos lácteos contienen componentes beneficiosos tales como la vitamina D, el calcio y el magnesio. Los productos lácteos fermentados pueden ejercer efectos beneficiosos contra la diabetes a través de las bacterias probióticas y una forma especial de la vitamina K (de la familia menaquinona) asociada con la fermentación.<br /> <br /> Los autores reconocen las limitaciones de la investigación sobre la dieta que se basa en pedir a la gente que informe de lo que comen y no tener en cuenta el cambio en la dieta a lo largo del tiempo, pero señalan que su estudio era grande, con un seguimiento a largo plazo y había una evaluación detallada de las dietas de las personas que se recogió en tiempo real, en el momento en que la gente consume los alimentos, en lugar de depender de la memoria pasada.<br /> <br /> Los autores concluyen que su estudio, por tanto, ayuda a proporcionar pruebas sólidas de que el consumo de productos lácteos fermentados con bajo contenido en grasa, en gran parte la ingesta de yogur, se relaciona con un menor riesgo de desarrollar diabetes tipo 2 en el futuro.</p>
2014-02-07T22:40:50-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/626
Ciencia y Tecnología: Reprograman células de la piel para secretar insulina y así combatir la diabetes tipo 1
2014-02-07T22:36:51-05:00
Revista Finlay
<p>Científicos de los Institutos Gladstone, en San Francisco, California, Estados Unidos, han desarrollado una técnica en modelos animales que podría reponer las células destruidas por la diabetes tipo 1. El hallazgo, publicado en <em>Cell Stem Cell, </em>es un paso importante con vistas a liberar a los pacientes de las inyecciones que deben administrarse de por vida.<br /> <br /> La diabetes tipo 1, que suele manifestarse durante la infancia, es causada por la destrucción de las células beta, un tipo de células que normalmente se alojan en el páncreas y producen una hormona llamada insulina sin la cual los órganos del cuerpo tienen dificultad para absorber los azúcares, como la glucosa, de la sangre. La enfermedad se puede controlar midiendo los niveles de glucosa y mediante inyecciones de insulina, aunque una mejor solución sería recolocar las células beta que faltan. Sin embargo, estas células son difíciles de conseguir, por lo que los investigadores se han centrado en la tecnología de células madre como una manera de fabricarlas.<br /> <br /> "La medicina regenerativa puede proporcionar una fuente ilimitada de células beta funcionales productoras de insulina que pueden ser trasplantadas en el paciente", destaca el doctor Sheng Ding, quien también es profesor en la Universidad de California, San Francisco (UCSF). "Pero los intentos anteriores para producir grandes cantidades de células beta saludables y desarrollar un sistema viable no han tenido un éxito total. Así que adoptamos un enfoque algo diferente", explica.<br /> <br /> Uno de los principales desafíos para la generación de grandes cantidades de células beta es que estas células tienen una capacidad regenerativa limitada, por lo que, una vez que maduran, es difícil fabricar más. Así que el equipo de investigadores de este trabajo decidió dar un paso atrás en el ciclo vital de la célula.<br /> <br /> Los científicos reunieron células de la piel, llamadas fibroblastos, de ratones de laboratorio y, luego, mediante un 'cóctel' de moléculas y factores de reprogramación, transformaron estos fibroblastos en células similares a las del endodermo, que son un tipo de células que se encuentra en el embrión temprano y que finalmente maduran en los órganos principales del cuerpo, incluyendo el páncreas.<br /> <br /> "Mediante el uso de otro cóctel químico, transformamos estas células del endodermo en células que imitaban las células del páncreas como al principio, que denominamos PPLC", relata la académica postdoctoral de Gladstone Ke Li, autora principal del artículo.<br /> <br /> "Nuestro objetivo inicial era ver si podíamos lograr que estas PPLC maduraran para convertirse en células que, al igual que las células beta, respondan a las señales químicas correctas y, lo más importante, secreten insulina. Y nuestros experimentos iniciales, realizados en una placa de Petri, revelaron que lo hicieron", prosigue.<br /> <br /> El equipo de investigación entonces quería ver si ocurría lo mismo en modelos de animales vivos, así que trasplantaron PPLC en ratones modificados para tener hiperglucemia (altos niveles de glucosa), un indicador clave de la diabetes.</p> <p><strong>Una 'relación directa' entre el trasplante de la PPLC y la reducción de la hiperglucemia</strong><br /> <br /> "Apenas una semana después del trasplante, los niveles de glucosa de los animales empezaron a descender acercándose gradualmente a niveles normales -continúa Ke Li-. Y cuando retiramos las células trasplantadas, vimos un pico inmediato de glucosa, lo que revela una relación directa entre el trasplante de la PPLC y la reducción de la hiperglucemia."<br /> <br /> Cuando el equipo analizó los ratones ocho semanas después del trasplante, observó que la PPLC había dado paso a células betas secretoras de insulina completamente funcionales. "Estos resultados no hacen sino resaltar el poder de las pequeñas moléculas en la reprogramación celular y son una prueba de principio de que algún día podrían ser usadas como un enfoque terapéutico personalizado en los pacientes", sostiene Sheng Ding.<br /> <br /> "Estoy particularmente entusiasmado con la idea de traducir estos resultados al sistema humano -afirma Matthias Hebrok, uno de los autores del estudio y director del Centro de Diabetes de UCSF--. En lo inmediato, esta tecnología en células humanas podría proporcionar avances significativos en nuestra comprensión de cómo los defectos inherentes en células beta provocan diabetes, acercándonos notablemente a la tan necesaria cura."</p> <br /><br /><a href="http://www.cell.com/cell-stem-cell/abstract/S1934-5909%2814%2900007-1" target="_blank">Cell Stem Cell (2014); doi: 10.1016/j.stem.2014.01.006</a>
2014-02-07T22:36:51-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/625
Obesidad: Un trabajo presenta tres factores de riesgo importantes relacionados con la obesidad infantil
2014-01-28T07:53:02-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un estudio de la Universidad de Illinois (Estados Unidos) ha descubierto cuáles son los tres factores más importantes relacionados con la obesidad infantil en preescolares y los resume en: un sueño deficiente; un pariente cercano, madre o padre que posea sobrepeso u obesidad; y un control excesivo del peso del niño por parte de sus padres.</p> <p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/01/%C3%ADndice.jpg"><img class="alignleft size-full wp-image-32145" style="border: 0px none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2014/01/%C3%ADndice.jpg" alt="índice" width="89" height="90" /></a>"Lo revelador es que estos factores de riesgo son maleables y proporcionan una hoja de ruta que posibilita la reducción de peso de estos niños. Asimismo, debemos centrarnos en convencer a los padres para mejorar su propio estado de salud, para cambiar la distribución de los alimentos en casa para que, de esta manera, los alimentos saludables sean fácilmente disponibles y los alimentos poco saludables no lo sean, y también animarles a acostar a sus hijos temprano", explica Brent McBride, director del estudio.</p> <p>Los investigadores analizaron sus conclusiones después de compilar los resultados de una amplia encuesta distribuida a 329 padres e hijos, que formaban parte de un programa de investigación nutricional y de obesidad de la Universidad de Illinois. Los resultados se basan en la primera oleada de los datos generados en un estudio longitudinal, tomadas cuando los niños tenían dos años de edad. La encuesta dio una amplia información sobre la demografía, la historia de salud del niño y de los padres, y las prácticas de alimentación. Posteriormente estos datos se sometieron a análisis estadísticos.</p> <p>Una vez conocidos los resultados de la encuesta y los facores de riesgo más importantes, McBride ha ofrecido una serie de recomendaciones para las familias, que se basan principalmente en cambiar los hábitos alimenticios de la casa dejando de lado las patatas fritas para añadir más frutas y verduras a la dieta, pasar tiempo libre con el niño jugando en vez de dejarle ver la tele toda la tarde o no utilizar "la comida para consolar a sus hijos cuando están heridos o decepcionados", concluye el investigador.<br /> <a href="http://pediatria.diariomedico.com/2014/01/15/area-cientifica/especialidades/pediatria/descubren-tres-factores-riesgo-importantes-relacionados-obesidad-infantil" target="_blank"><strong>enero 15/2013 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Dev DA, McBride BA, Fiese BH, Jones BL, Cho H.<em><strong>Risk factors for overweight/obesity in preschool children: an ecological approach.<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24020790" target="_blank">Child Obes</a>.</strong> </em>2013 Oct;9(5):399-408. doi: 10.1089/chi.2012.0150.</p> </span>
2014-01-28T07:53:02-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/624
Cáncer: Descubren gen supresor de tumores en un cáncer de pulmón muy agresivo
2014-01-14T14:09:17-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><span class="textonormal"><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/adn4_540.jpg" alt="" width="286" height="215" /></span>El gen MAX está inactivado genéticamente en el cáncer de pulmón de célula pequeña y su restitución reduce muy significativamente el crecimiento celular. Este nuevo hallazgo pone de manifiesto que MAX actúa como un gen supresor de tumores en uno de los tipos de cáncer pulmonar más agresivos y con peor pronóstico.</p> <p>Investigadores del grupo de Genes y Cáncer del Instituto de Investigación Biomédica de Bellvitge (Idibell) han descubierto que el gen MAX está inactivado genéticamente en el cáncer de pulmón de célula pequeña y que su restitución reduce muy significativamente el crecimiento celular.</p> <p>Este hallazgo, publicado en la revista <a href="http://cancerdiscovery.aacrjournals.org/content/early/2013/12/20/2159-8290.CD-13-0799.abstract?sid=bcf1fc5c-bd75-49ae-8a98-093fcbd5a1bd" target="_blank"><em><strong>Cancer Discovery</strong></em></a> ( doi: 10.1158/2159-8290.CD-13-0799), pone de manifiesto que MAX actúa como un gen supresor de tumores en uno de los tipos de cáncer pulmonar más agresivos y con peor pronóstico.</p> <p>Además de identificar el papel supresor tumoral de MAX en cáncer de pulmón, el grupo dirigido por Montse Sánchez-Cespedes ha observado una relación funcional entre este gen y otro supresor tumoral, BRG1.</p> <p>Así, BRG1 regula la expresión de MAX. No obstante, la conexión funcional es todavía más compleja. Por una parte, la presencia de BRG1 es necesaria para que MAX pueda activar muchas de sus dianas, incluyendo genes relacionados con el metabolismo de la glucosa y genes de diferenciación neuroendocrina.</p> <p>Por otra parte, la eliminación de BRG1 en células cancerosas que no tienen MAX produce mortalidad celular, lo que sugiere una interacción letal sintética entre ambas proteínas. Esto sucede únicamente en líneas celulares de cáncer pulmón con mutaciones en MAX y no en aquellas otras que tienen activación de los oncogenes MYC.</p> <p>Esta interacción del tipo letal sintético es especialmente relevante desde el punto de vista clínico ya que inhibidores de la actividad de BRG1 podrían constituir una terapia efectiva en pacientes con cáncer de pulmón de célula pequeña con mutaciones inactivadoras en MAX.</p> <p>El equipo de Sánchez-Cespedes ha identificado varios genes alterados en cáncer pulmonar. Entre ellos destaca BRG1 (también denominado SMARCA4) que está inactivado de forma general en muchos tipos de cáncer.</p> <p>El grupo había demostrado previamente que la pérdida de BRG1 está íntimamente relacionada con la activación de MYC. Ambas alteraciones son mutuamente excluyentes y actúan permitiendo la pérdida de diferenciación celular durante el desarrollo de cáncer de pulmón.</p> <p>El nuevo descubrimiento apoya la existencia de una conexión funcional entre el complejo SWI/SNF y los complejos MYC/MAX en el control de la diferenciación celular y el desarrollo del cáncer de pulmón.<br /> <a href="http://www.agenciasinc.es/Noticias/Descubren-un-gen-supresor-de-tumores-en-un-cancer-de-pulmon-muy-agresivo" target="_blank"><strong>enero 9/2014 (SINC)</strong></a></p> <p>Romero OA, Torres-Diz M, Pros E, Savola S, Gomez A, Sanchez-Cespedes M.<em><strong>MAX inactivation in small-cell lung cancer disrupts the MYC-SWI/SNF programs and is synthetic lethal with BRG1. Cancer Discov.</strong></em> 2013 Dic 20.</p> <p>Romero OA, Sanchez-Cespedes M.<em><strong>The SWI/SNF genetic blockade: effects in cell differentiation, cancer and developmental diseases. <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23752187" target="_blank">Oncogene</a></strong></em><a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23752187" target="_blank">.</a> 2013 Jun 10.</p> <p>Romero OA, Setien F, John S, Gimenez-Xavier P, Gómez-López G, Sanchez-Cespedes M.<em><strong>The tumour suppressor and chromatin-remodelling factor BRG1 antagonizes Myc activity and promotes cell differentiation in human cancer.<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22407764" target="_blank">EMBO Mol Med.</a></strong> </em>2012 Jul;4(7):603-16.</p> </span>
2014-01-14T14:09:17-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/623
Nutrición: Las dietas hiperproteicas alteran la salud renal
2014-01-13T22:53:55-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><span class="textonormal"><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/dieta_hipercalorica.JPG" alt="" width="393" height="225" /></span>Las dietas hiperproteicas elevan el riesgo de padecer patologías renales y empeoran los marcadores urinarios y morfológicos del riñón, según un estudio realizado por investigadores de la Universidad de Granada, que se publica en <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23808456" target="_blank"><em><strong>Nutrición Hospitalaria</strong></em></a> (doi: 10.3305/nh.2013.28.1.6165.).</p> <p>El trabajo muestra que la hiperfiltración renal que genera la ingesta excesiva de proteínas e insuficiente de hidratos de carbono se relaciona con la aparición de nefrolitiasis, debido a una disminución drástica del citrato urinario, a un aumento del calcio urinario, para compensar la acidez metabólica que provoca el exceso de proteína, y a un descenso del pH de la orina, además de que se eleva el riesgo de hipertrofia renal y puede aumentar el área glomerular. Según ha explicado a DM Virginia Aparicio García Molina, del Departamento de Fisiología de la Universidad de Granada, y una de las autoras del estudio, el trabajo se realizó con 20 ratas. "A un grupo se le administró proteínas de gimnasio -hidrolizados proteicos- para que el 45 % de su dieta estuviera formada por proteínas en lugar del 15 % habitual. El otro grupo recibió una dieta normoproteica -con un 12 por ciento% de proteínas- durante doce semanas". Los resultados son extrapolables a humanos.</p> <p>Se analizaron los marcadores de acidez en sangre y orina, se realizó una histología renal y se observó la cantidad de calcio que contenían los huesos. Las ratas que siguieron una dieta hiperproteica perdieron hasta un 10 por ciento de peso corporal, pero sin que se produjera una mejora paralela en el perfil de lípidos en plasma. Además, el citrato urinario fue un 88 % inferior, y el pH urinario, un 15 % más ácido. El peso del riñón de los animales sometidos a una dieta hiperproteica aumentó un 22 %, y se incrementaron en un 13 % el área glomerular y un 32 el área mesangial.</p> <p>"Las dietas en las que sólo se obtiene energía a partir de las grasas ayudan a perder peso, pero alteran el proceso metabólico y producen muchos cuerpos cetónicos, debido a la ruptura del equilibrio ácido base", dice Aparicio.Sumado a la ausencia de prescripción de ejercicio y a la eliminación de frutas y verduras, "principal fuente alcalina, y que ayudan a regular el pH..., es un doble crimen porque no compensan lo que eliminan. Además, son una fuente importante de antioxidantes, por lo que su ausencia produce importantes deficiencias nutricionales".</p> <p>Otro trabajo en el que ha participado Aparicio, que se publica en Food and Function, establece que no está demostrada la relación entre un mayor riesgo de osteoporosis y dietas hiperproteicas, ya que "cuando hay más pérdidas de calcio en el hueso, siempre que haya un aporte adecuado del mineral y de verduras y hortalizas, se absorbe más cantidad por vía intestinal".<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/2014/01/07/area-profesional/entorno/dietas-hiperproteicas-alteran-salud-renal" target="_blank"><strong>enero 7/2014 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>V. A. Aparicio, E. Nebot, R. García-del Moral, M. Machado-Vílchez, J. M. Porres, C. Sánchez.<em><strong> "High-protein diets and renal status in rats". Nutr Hosp</strong></em>. 2013 Ene Feb;28(1):232-7.</p> </span>
2014-01-13T22:53:55-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/622
Medicamentos: Aprueban medicamento para diabetes mellitus
2014-01-11T08:22:39-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><span class="textonormal"><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/medicamentos23.jpg" alt="" /></span>Farxiga es una tableta que se toma una vez al día que tiene por objeto ayudar a los pacientes con diabetes a eliminar el exceso de glucosa a través de la orina. Eso la diferencia de otros medicamentos que reducen la cantidad de glucosa que se absorbe de los alimentos y que se almacena en el hígado.</p> <p>Se trata del segundo producto aprobado en Estados Unidos de la nueva clase de medicamentos conocidos como drogas del tipo SGLT2. En marzo, la Administración de Alimentos y Fármacos (FDA) aprobó el fármaco Invokana, de Johnson & Johnson, que también ayuda a la eliminación del exceso de azúcar a través de la orina La agencia autorizó las pastillas Farxiga para pacientes con diabetes del tipo 2. La FDA aprobó el medicamento después que fuera rechazada el año pasado a raíz de que los estudios provocaron preocupación por la posible relación con cáncer de vejiga y toxicidad hepática.</p> <p>Diez casos de cáncer de vejiga fueron detectados en pacientes que tomaron el medicamento en pruebas clínicas, por lo cual, Farxiga lleva etiquetas de advertencia para su administración a pacientes que padecen el mal. Una comisión de asesores del FDA dijo el mes pasado que el repunte de casos de cáncer fue probablemente debido a fallas estadísticas y no relacionado con el fármaco. Pero la FDA ha obligado a Bristol y AstraZeneca mantenga atención sobre la tasa de cáncer de vejiga en pacientes que participan en un estudio a largo plazo. Las empresas asimismo mantendrán un estudio sobre los índices de males cardiacos, un control de seguridad frecuente con los nuevos medicamentos para diabetes.</p> <p>Los efectos secundarios más comunes con relación a Farxiga incluyen infecciones de las vías urinarias y hongos. El fármaco puede usarse solo o en combinación con otras sustancias para el tratamiento de la diabetes, tales como la insulina y la metformina.</p> <p>Las personas afectadas de diabetes tipo 2 no tienen capacidad de sintetizar los carbohidratos, ya sea porque sus organismos no producen suficiente insulina o porque tienen resistencia a la hormona, que controla el nivel de glucosa en la sangre. Los diabéticos a menudo requieren de varios medicamentos con diferentes mecanismos de acción para controlar su nivel de glucosa en la sangre.</p> <p>Las empresas Bristol-Myers Squibb Co., de Nueva York, y AstraZeneca PLC, de Londres, ya tienen en venta el fármaco Onglyza, que aumenta la producción de insulina a la vez que reduce la producción de glucosa.<br /> enero 10/2014 (PL)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2014-01-11T08:22:39-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/621
Obesidad: La grasa puede estar controlada por el reloj biológico
2014-01-11T08:14:11-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/obesidad3.jpg" alt="" width="265" height="176" />Los resultados de un estudio sugieren que un gen específico que regula el reloj biológico puede tener un papel importante en determinar cuánto engordan las personas. El trabajo, publicado en "Cell", muestra que los ratones tienen un receptor adicional del sistema neuropéptido Y: el Y6. Este receptor se produce en una región del cerebro muy pequeña que regula el reloj biológico, así como el aumento de la producción hormonal.</p> <p>Herbert Herzog, del Instituto de Investigación Médica Garvan de Sydney (Australia), y su equipo eliminaron el gen Y6 de los ratones para comprender sus efectos. El estudio reveló que los ratones sin el gen Y6 eran más pequeños y tenían menos tejido magro que los ratones normales. Por otra parte, cuando crecían engordaban más, especialmente cuando comían una dieta con alto contenido en grasas. En ese caso, se convertían en obesos y desarrollaban problemas metabólicos similares a la diabetes.</p> <p>"Ahora está claro que la señalización a través del sistema del receptor Y6 es crítica para la forma en la que utiliza la energía en diferentes momentos del día. El gen Y6 está muy expresado en el núcleo supraquiasmático y estimula grandes niveles de determinados péptidos, incluido el péptido intestinal vasoactivo", dice Herzog.</p> <p>"Nuestra investigación muestra que el polipéptido pancreático tiene mucha afinidad por el Y6 en los ratones. Es una señal de saciedad y probablemente controla el aspecto circadiano del consumo de comida", añade. "Sin embargo, aunque no está claro si el receptor Y6 es activo en humanos, el polipéptido pancreático está muy expresado y es posible que otro receptor por el que el péptido tenga mucha afinidad haya asumido esa función", concluye.<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2014/01/07/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/grasa-controlada-por-reloj-biologico" target="_blank">enero 9/2014 (Diario Médico) </a></p> <p><strong>Artículo relacionado</strong>:</p> <p><a href="http://www.cell.com/abstract/S0092-8674%2813%2901485-2" target="_blank"><em>Reprogramming of the Circadian Clock by Nutritional Challenge</em></a></p> </span>
2014-01-11T08:14:11-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/620
Aterosclerosis: Una molécula que provoca ateroesclerosis también activa trastornos autoinmunes
2014-01-10T14:48:37-05:00
Revista Finlay
<p>El endurecimiento de las arterias, también llamada ateroesclerosis, que puede conducir a un ataque al corazón o un derrame cerebral también está relacionado con trastornos autoinmunes. Hasta ahora no ha quedado claro por qué estas enfermedades están vinculadas, pero un nuevo estudio revela que una molécula que provoca la enfermedad vascular activa además los glóbulos blancos llamados linfocitos T, provocando el empeoramiento de los síntomas clínicos de enfermedad autoinmune en ratones.</p> <p>Los hallazgos de esta investigación, publicada en <em>Immunity</em>, arrojan luz sobre el estrecho vínculo entre la autoinmunidad y la aterosclerosis, abriendo nuevas vías para el tratamiento de trastornos autoinmunes. "La lección es que las enfermedades inmunes no son siempre una cuestión del sistema inmunológico por sí solo", afirma el autor principal del estudio, Yeonseok Chung, del Centro de Ciencias de la Salud de la Universidad de Texas en Houston, Estados Unidos.<br /> <br /> La aterosclerosis es una enfermedad inflamatoria crónica y la principal causa de muerte en los países desarrollados. Los pacientes aquejados de esta patología tienen niveles elevados de una molécula llamada lipoproteína de baja densidad (oxLDL), que se conoce por activar el sistema inmune. Dado que los pacientes con trastornos autoinmunes en los que median las células T como la psoriasis y la artritis reumatoide tienen un riesgo mucho mayor de desarrollar aterosclerosis, Chung y su equipo especularon con que el vínculo estrecho entre estos trastornos podría explicarse por oxLDL .<br /> <br /> En el nuevo estudio, los investigadores encontraron que LDL-ox aumenta el número de células T auxiliares 17 (Th17) en un modelo de ratón de aterosclerosis y expusieron a los roedores a una molécula que causa la enfermedad autoinmune. Cuando estos ratones se trataron con un agente que inhibe la actividad de las células Th17, mejoraron los síntomas clínicos de la enfermedad autoinmune.<br /> <br /> "Nuestro estudio sugiere que deberíamos considerar factores circulatorios en los enfoques terapéuticos actuales para el tratamiento de enfermedades autoinmunes --dice Chung--. Por ejemplo, se espera que el control de los niveles de oxLDL en la circulación podría mejorar en gran medida la eficacia terapéutica del tratamiento inmunológico o farmacológico de las enfermedades autoinmunes".</p> <br /><br /><a href="http://www.cell.com/immunity/abstract/S1074-7613%2813%2900563-3" target="_blank">Immnunity (2014); doi: 10.1016/j.immuni.2013.11.021</a>
2014-01-10T14:48:37-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/619
Prevención de las enfermedades crónicas: Descubren la molécula que está detrás de los efectos beneficiosos del ejercicio en el metabolismo
2014-01-09T05:59:51-05:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/Acci%C3%B3n_del_BAIBA.JPG" alt="" width="240" height="218" />Aunque está claro que el ejercicio puede mejorar la salud y la longevidad, los cambios que se producen en el cuerpo para facilitar estos beneficios están menos claros. Un equipo de investigadores norteamericanos ha descubierto una molécula que se genera durante el ejercicio y contribuye a los efectos beneficiosos del ejercicio sobre el metabolismo, tal y como describen en la edición de enero de la revista <em>Cell Metabolism.</em><br /> <br /> "Nuestro hallazgo refuerza la idea subyacente de que las señales generadas en un órgano están relacionadas con la circulación y la influencia de otros tejidos tales como las células de grasa y el hígado", apunta el autor principa del trabajo, el doctor Robert Gerszten, de la División de Cardiología y Cardiovascular del Centro de Investigación en el Hospital General de Massachusetts y la Escuela de Medicina de Harvard, en Estados Unidos.<br /> <br /> Estudios iniciales del laboratorio de Spiegelman, que colaboró en este estudio, han demostrado que una proteína denominada PGC-1alfa regula genes metabólicos en el músculo y contribuye a la respuesta del músculo al hacer ejercicio. En experimentos realizados en células y ratones, Gerszten y sus colegas forzaron la expresión de PGC-1alfa en las células musculares y luego buscaron metabolitos que se secretan de las células.<br /> <br /> Así, identificaron el ácido beta aminoisobutírico (BAIBA) como uno de esos metabolitos y encontraron que aumenta la expresión de los genes que están involucrados en la quema de calorías en las células de grasa. Asimismo, ayuda a equilibrar los niveles de azúcar en sangre en ratones.<br /> <br /> Los análisis realizados en estudios sobre el ejercicio en humanos y participantes en el Estudio del Corazón de Framingham revelaron que los niveles de BAIBA aumentan durante el ejercicio y se asocian inversamente con factores de riesgo metabólicos. En concreto, los niveles de BAIBA se correlacionaron inversamente con los niveles de azúcar en sangre en ayunas, insulina, triglicéridos y colesterol total y hubo una tendencia hacia una asociación inversa con el índice de masa corporal (IMC).<br /> <br /> Los hallazgos sugieren que BAIBA puede contribuir a la protección frente a las enfermedades metabólicas inducida por el ejercicio. "La manipulación de BAIBA o las enzimas que generan BAIBA puede tener un potencial terapéutico -asevera Gerszten-. La quema de grasa podría influir en múltiples aspectos de la salud metabólica relacionados con la diabetes, enfermedades cardiacas y otras condiciones".</p> <a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S155041311300497X" target="_blank">Cell Metabolism (2014); 19(1) pp. 96 - 108 </a>
2014-01-09T05:59:51-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/618
Diabetes Mellitus: Descubren relaciones entre la diabetes mellitus tipo II y el alzhéimer
2014-01-09T05:52:20-05:00
Revista Finlay
<p>Investigadores de la Universidad de Cádiz, en colaboración el Hospital Puerta del Mar, la Harvard Medical School y el Instituto de Salud Carlos III de Madrid, han conseguido relacionar la diabetes mellitus tipo 2 con enfermedades que poseen algún tipo de demencia vascular como, por ejemplo, el Alzheimer.<br /> <br /> "Nos hemos centrado en analizar una relación que cada vez tiene más aceptación dentro de la comunidad científica, hemos analizado mucha bibliografía que muestra una relación muy estrecha entre diabetes y Alzheimer, y en la que se afirma que la diabetes es un factor de riesgo importante para este patología u otro tipo de demencia vascular", ha explicado una de las autoras del estudio, Mónica García-Alloza.<br /> <br /> Los investigadores, cuyo trabajo ha sido publicado en la revista<em> Psychoneuroendocrinology</em> y recogido por la plataforma Sinc, comenzaron a trabajar con un ratón sin receptor para la lectina (un animal que no siente saciedad en ningún momento, por lo que es obeso y come compulsivamente), lo que lo lleva a desarrollar resistencia a la insulina, favoreciendo así la aparición de diabetes de forma muy temprana.<br /> <br /> "Comenzamos a trabajar con estos ratones para ver cómo estaba su sistema nervioso central y, curiosamente, vimos un modelo experimental que estaba caracterizado muy bien a nivel periférico para estudios de síndrome metabólico o para analizar modelos de obesidad o diabetes, pero que a nivel central realmente no lo estaba", ha aseverado García-Alloza.<br /> <br /> En este sentido, la experta ha reconocido que lo que más les sorprendió fue que en el momento en el que sacaron el primer cerebro de un ratón afectado por diabetes mellitus tipo II vieron que tenía una "brutal" atrofia cerebral. "Los cerebros eran muchísimo menores que los cerebros de otros ratones de la misma edad que sí tenían lectores para la lectina", ha apostillado.<br /> <br /> Así, los científicos han comprobado que los ratones que padecen diabetes sufren daños primero en la corteza y luego el hipocampo, dos regiones cerebrales especialmente relevantes en los procesos de aprendizaje y memoria.<br /> <br /> "En nuestro modelo parece que antes se afecta la corteza y conforme avanza la patología diabética se afecta también el hipocampo. También observamos que el cerebro de estos ratones tiene un aumento muy importante de hemorragias espontáneas, lo que nos lleva a relacionar la diabetes con un tipo de demencia vascular", ha apostillado.<br /> <br /> Por todo ello, los expertos han asegurado que estos ratones tienen características patológicas similares a lo que se observa en la enfermedad de Alzheimer, dado que la fosforilación de tau, que es una proteína que al hiperfosforilarse termina dando lugar a ovillos neurofibrilares (conglomerados anormales de proteínas), también está aumentada.<br /> <br /> Este hecho aumenta con la edad y también afecta preferentemente a la corteza. "Primero se ve afectada la corteza y después el hipocampo. Pero eso no es todo, estos ratones también tienen limitaciones cognitivas muy importantes, como ocurre en los pacientes que tienen Alzheimer. Es más, se observan que van empeorando a medida que la enfermedad va avanzando. Cuando la diabetes mellitus está muy cronificada, los problemas cognitivos son muy importantes", ha zanjado García-Alloza.</p> <br /><br /><a href="http://www.psyneuen-journal.com/article/S0306-4530%2813%2900187-X/abstract" target="_blank">Psychoneuroendocrinology (2013); doi:10.1016/j.psyneuen.2013.05.010</a>
2014-01-09T05:52:20-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/617
Hipertensión arterial: Diferencias entre sexos en las causas de la hipertensión arterial
2014-01-05T15:04:35-05:00
Revista Finlay
<p><span class="textonormal"><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/hta3.jpg" alt="" /></span>El estudio realizado por el centro médico Wake Forest Baptist (Estados Unidos) y publicado en la edición de diciembre en "Therapeutic Advances in Cardiovascular Disease" ha encontrado diferencias en las causas de hipertensión arterial (HTA) entre sexos.</p><p>Las aparentes diferencias, relativas al género, en las enfermedades y la ausencia de conocimiento sobre los mecanismos biológicos básicos has sido los dos objetos de estudio de esta investigación.</p><p>Las prueban calculan las características hormonales de los componentes involucrados en la HTA de hombres y mujeres.</p><p>Los investigadores descubrieron entre un 30 y un 40 % más de enfermedades cardiovasculares en mujeres comparadas con hombres del mismo nivel de HTA. Además, había diferencias significativas en el sistema cardiovascular de las mujeres, incluidas en los tipos y niveles de hormonas involucradas en la regulación de la presión sanguínea, que contribuyen a que aparezcan graves y frecuentes enfermedades cardiacas. "La comunidad médica pensó que la HTA era igual para ambos sexos y los tratamientos estaban basados en esa premisa", declaró Carlos Ferrario, médico y profesor de cirugía de Wake Forest Baptist y autor principal del estudio. "Este es el primer estudio que considera el género de la persona como un elemento importante a la hora de establecer el tratamiento".<span class="textonormal"><br /> <p>El trabajo evaluó a 100 hombres y mujeres de 53 años o más con HTA, que no habían recibido tratamiento previo ni tenían enfermedades graves. Fueron analizados a través de diversos pruebas especializadas que indicaban si los vasos sanguíneos del corazón o la sangre estaban involucrados en un aumento de la presión de la sangre.</p><p><br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2014/01/02/area-cientifica/especialidades/cardiologia/factores-de-riesgo/presion-alta-sangre-mas-peligrosa-para-mujeres-hombres" target="_blank">enero 4/2014 (Diario Médico) </a></p> <p>Carlos M. Ferrario, Jewell A. Jessup, Ronald D. Smith. Hemodynamic and hormonal patterns of untreated essential hypertension in men and women. Ther Adv Cardiovasc Dis, December 2013; vol. 7, 6: pp. 293-305.<br /> http://tak.sagepub.com/content/7/6/293.abstract</p></span></p>
2014-01-05T15:04:35-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/616
Cáncer: Desarrollan alternativa para detener crecimiento de tumores
2014-01-03T10:27:18-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Científicos de la Facultad de Estudios Superiores (FES) Iztacala de la Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) desarrollaron una alternativa farmacológica para inhibir por completo el crecimiento de ciertos tumores malignos, incluso los más agresivos, en combinación con un medicamento convencional.</p> <p>En un comunicado, la UNAM señaló que al estudiar los mecanismos moleculares del cáncer, los investigadores observaron que al proliferar a una velocidad acelerada, las células tumorales transforman toda su glucosa en lactato.</p> <p>El investigador Carlos Pérez Plasencia, quien dirige al equipo, explicó que las células sanas obtienen energía mediante el proceso metabólico de la glucólisis, en el cual la glucosa se divide en dos moléculas de piruvato, que son oxidadas a CO2 y agua en las mitocondrias.</p> <p>Mientras que en las células tumorales, la enzima lactato deshidrogenasa (LDHA) captura el piruvato (compuesto orgánico clave para generar energía y para la descomposición de la glucosa) para transformarlo en lactato, de manera reversible.</p> <p>"Con este conocimiento, desarrollamos un fármaco ya patentado, homólogo al piruvato, para bloquear la enzima", explicó el universitario.</p> <p>En las células tumorales, la LDHA tiene un sitio de reconocimiento para el piruvato y lo transforma en lactato. "La sustancia que desarrollamos se une en este sitio y ya no se libera, rompiendo la línea de producción energética", agregó.</p> <p>A la par, continuó, se utiliza metformina (medicamento usado en diabéticos a fin de disminuir sus niveles de glucosa) para obstruir las vías de abastecimiento de las células tumorales.</p> <p>Este Tratamiento fue probado en ratones, y el resultado fue la desaparición de los tumores sin que presentaran efectos adversos.<br /> diciembre 28/2013 (Notimex)<br /> <strong> </strong><br /> <strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2014-01-03T10:27:18-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/615
Diabetes Mellitus: Descubren una mutación genética que aumenta el riesgo de desarrollar diabetes tipo II
2013-12-27T11:35:22-05:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/Diabetes_mellitus_simbolo.JPG" alt="" />Un equipo de investigadores de México y Estados Unidos ha descubierto, en el genoma de un neandertal recientemente secuenciado, una mutación genética que aumenta el riesgo de desarrollar diabetes tipo 2. Se trata del gen SLC16A11 que, a pesar de que juega un papel importante en la enfermedad, no había sido detectado en estudios anteriores.<br /> <br /> Los expertos forman parte del Consorcio SIGMA de la diabetes tipo 2 y han realizado este estudio genético en la población mexicana y americana, publicando sus resultados en la revista <em>Nature</em>, recogidos por la plataforma Sinc.<br /> <br /> De esta forma, han mostrado que las personas que portan la versión de mayor riesgo del gen tienen un 25 por ciento más de probabilidades de tener diabetes, y las personas que heredan copias de ambos padres son un 50 por ciento más propensas a sufrirla.<br /> <br /> Ahora bien, el mayor riesgo se ha encontrado en casi la mitad de la gente con ascendencia indígena, incluyendo los latinoamericanos. Además, la variante se encuentra en alrededor del 20 por ciento de los asiáticos del este y es poco frecuente en las poblaciones de Europa y África.<br /> <br /> Como consecuencia de ello, los autores del trabajo han comentado que la frecuencia elevada de este gen de riesgo en los latinoamericanos podría ser responsable de hasta un 20 por ciento de la prevalencia en estas poblaciones de diabetes tipo 2.<br /> <br /> "Hasta la fecha, los estudios genéticos han utilizado, en gran medida, muestras de personas de ascendencia europea o asiática, lo que permite que genes causantes puedan alterarse en otras poblaciones", ha explicado el profesor en la Facultad de Medicina de Harvard (Estados Unidos) y uno de los autores, José Florez.</p> <p><strong>Coincidencia con el genoma neandertal </strong></p> <p>Por otra parte, el equipo llevó a cabo análisis genómicos adicionales, en colaboración con el investigador del Instituto Max Planck de Antropología Evolutiva, Svante Pääbo, y descubrió que la secuencia asociada con el riesgo de diabetes tipo 2 se encuentra en el genoma de los neandertales.<br /> <br /> En concreto, los análisis indicaron que la versión de mayor riesgo de SLC16A11 se introdujo en los humanos modernos a través de la mezcla con neandertal. Para los autores, heredar un gen de un neandertal es bastante común ya que aproximadamente entre el 1 por ciento al 2 por ciento de las secuencias presentes en todos los seres humanos fuera de África fueron heredados de los neandertales.<br /> <br /> No obstante, los expertos han advertido de que ni las personas con diabetes ni las poblaciones de nativos americanos o de ascendencia latinoamericana tienen un exceso de ADN neandertal en relación con otras poblaciones.<br /> <br /> "Hemos descubierto una nueva pista sobre la biología de la diabetes. Ahora tratamos de averiguar qué compuestos son transportados, cómo esto influye en el metabolismo de los triglicéridos, y los pasos que conducen al desarrollo de la diabetes", ha zanjado el coautor principal y profesor de la Escuela de Medicina de Harvard, David Altshuler.</p> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature12828.html" target="_blank">Nature (2013); doi:10.1038/nature12828</a>
2013-12-27T11:35:22-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/614
Cáncer: Un equipo del VHIO descubre que un subgrupo de tumores de mama constituye un tipo de cáncer único en sí mismo
2013-12-18T06:27:29-05:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhailb/tipo_de_c%C3%A1ncer_de_mama.jpg" alt="" />Un estudio liderado por el Grupo de Genómica Traslacional del Vall d’Hebron Instituto de Oncología (VHIO) de Barcelona ha demostrado que el tipo de cáncer de mama conocido como basal-like tiene unas características moleculares que hacen que pueda considerarse un tipo de cáncer único. Además, el equipo de investigación ha observado que este subgrupo de cáncer de mama es más parecido genómicamente al cáncer de pulmón de células escamosas que al resto de tumores de mama.</p> <p>Los autores han analizado genómicamente seis tipos de cáncer y han identificado ciertas alteraciones moleculares que ocurren en distintos grupos de tumores independientemente de su órgano de origen. La identificación de estas alteraciones comunes entre dos o tres tipos de cáncer podría ser importante para el diseño de fármacos contra dianas terapéuticas más específicas e independientes del órgano de origen del tumor.<br /> <br /> La revista<em> Scientific Reports</em> ha publicado el trabajo, dirigido por el Dr. Aleix Prat, investigador principal del Grupo de Genómica Traslacional del Vall d’Hebron Instituto de Oncología (VHIO) y oncólogo de la Unidad de Cáncer de Mama del Hospital Universitario Vall d’Hebron, que dirige el Dr. Javier Cortés.</p> <p>El estudio ha comparado el perfil molecular de 18.000 genes en 6 tipos distintos de cáncer (cáncer de mama, de ovario, cerebral y colorrectal, adenocarcinoma de pulmón y cáncer de pulmón de células escamosas). Una de las primeras conclusiones de la investigación es que el cáncer de mama del tipo basal-like es más distinto del resto de tumores de mama de lo que se pensaba: “Este hallazgo implica que el grupo de tumores basal-like ya no debe considerarse un subtipo más de cáncer de mama, sino que se trata de un verdadero tipo de cáncer con unas características biológicas únicas, las cuales son más similares a las del cáncer de pulmón de células escamosas que a las del resto de tumores de mama”, afirma el Dr. Prat. <br /> <br /> Hoy en día, el tipo de cáncer de mama basal-like equivale clínicamente al llamado cáncer de mama triple negativo, caracterizado por no expresar los dos receptores hormonales ni el receptor HER2. El curso clínico y la respuesta a los tratamientos de los tumores triple negativos es muy diferentes del resto de tumores de mama (los HER2 positivos o el cáncer de mama hormonosensible). El Dr. Javier Cortés explica: “Estos resultados genómicos refuerzan la observación clínica que siempre hemos tenido: que los tumores de mama triple negativos tienen una respuesta a los tratamientos y un comportamiento muy distinto al resto de los tumores de mama y es más parecido a tumores de otros órganos. En nuestro centro tenemos actualmente ensayos clínicos en marcha para este subgrupo de pacientes”.</p> <p><strong>Similitudes con el cáncer de pulmón</strong><br /> <br /> Sorprendentemente, los tumores de mama basal-like comparten muchas similitudes genómicas con el cáncer de pulmón de células escamosas. Esto sugiere que la célula de origen de cada uno de estos dos tipos de cáncer tiene una función y una localización muy similares, tanto en el pulmón como en la mama. De hecho, los datos apuntan a que esta célula de origen podría hallarse en la capa basal del epitelio de ambos órganos. A nivel clínico, los dos tipos de tumores también tienen muchas similitudes ya que suelen responder a los mismos esquemas de quimioterapia y suelen presentar un mal pronóstico en general si no responden al tratamiento.<br /> <br /> En el marco del proyecto 'The Cancer Genome Atlas (TCGA)', destinado a averiguar las bases moleculares del cáncer, este estudio ha analizado datos genómicos de 18.000 genes y 1.707 tumores pertenecientes a 6 tipos de cáncer. Además de los hallazgos del estudio referente al cáncer de mama basal-like, el equipo del Dr. Prat ha observado que hay alteraciones moleculares presentes en varios grupos de tumores independientemente de su órgano de origen. Este hecho fue ya apuntado en una publicación reciente liderada por el Dr. Cortés, en la que se ponía de manifiesto un cambio conceptual en el abordaje del cáncer. El Dr. Josep Tabernero, Director del VHIO, comenta: “Estos datos refuerzan la necesidad de realizar ensayos clínicos en base a la presencia o no de una alteración genómica y no tanto en base a la localización u origen del tumor del paciente. En el VHIO se están llevando a cabo ensayos clínicos con este concepto y con resultados muy prometedores. Por ejemplo, tratamientos en pacientes con tumores diferentes pero con el nexo común de tener una alteración en un oncogén determinado como HER2 o BRAF, tratados en un mismo estudio, lo que se denomina estudios paraguas o basket”.</p>
2013-12-18T06:27:29-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/613
Anuncio: CONVOCATORIA AL FORUM DE DIABETES
2013-12-17T20:19:34-05:00
Revista Finlay
<p><img class="attachment-post-thumbnail wp-post-image" title="image003" src="http://www.ucm.cfg.sld.cu/wp-content/uploads/2013/12/image003-150x150.png" alt="image003" width="150" height="150" />Con el propósito de abordar temas relacionados con dicha enfermedad y motivados por el 55 Aniversario del Triunfo de la Revolución, el 91 Cumpleaños de la Federación Estudiantil Universitaria y el Séptimo Aniversario del Programa de Atención Integral al Paciente con Úlcera de Pie Diabético con el uso del Heberprot-P, el Consejo Científico Estudiantil y el Consejo de Dirección de la Universidad de Ciencias Médicas de Camagüey “Dr. Carlos J Finlay” convocan al II Fórum Territorial Estudiantil de Diabetes Mellitus y Enfermedades Asociadas que se celebrará entre los días 7, 8 y 9 de febrero de 2014.</p> <p>Aspiramos que estos días de ciencia estudiantil, se caractericen por la calidad científica de las investigaciones presentadas, la responsabilidad y disciplina de estudiantes y profesores participantes, la justa decisión de los tribunales respaldados por su mayor arma, la ética científica, pero sobre todo abogamos por la obtención de experiencias que nos permitan desde la ciencia, crecernos más como verdaderos Profesionales de la Salud, seamos fieles a la premisa de Julio Antonio Mella : “…Para los jóvenes comprometidos con su época, todo tiempo es corto para hacer.”</p> <p>Las investigaciones presentadas deberán abordar los temas: prevención, diagnóstico y manejo de la diabetes, diabetes y embarazo, diabetes y fertilidad, el niño y adolescente con diabetes, convivencias para niños con diabetes, diabetes y osteoporosis, complicaciones micro vasculares y macro vasculares de la diabetes mellitus y la atención integral del paciente con diabetes en los centros diurnos, entre otros.</p> <p>Los trabajos deberán ser enviados al correo electrónico <a href="mailto:cmginv@infomed.sld.cu" target="_blank">cmginv@infomed.sld.cu</a> , y serán recibidos hasta el 10 enero de 2014.</p> <p>Normas de presentación:</p> <p>Los trabajos deben entregarse en ficheros Word para Windows, escritos en tipografía Arial, a 12 puntos, a un espacio de interlineado 1.5, tamaño carta (8 ½ x 11 ó 21.59 cm. x 27.94 cm.) y márgenes de 2.5 cm. por cada lado. La alineación de los párrafos es justificada.</p> <p>Formato de los trabajos:</p> <p>Título.(En mayúscula).</p> <p>Autor y coautores (no más de tres, consignando las categorías científicas y docentes, institución a la que pertenecen, provincia de procedencia y correos electrónicos).</p><p>Texto del Trabajo: En correspondencia con las normas EPIC.</p><p> </p><p><a href="http://progaleno.cmw.sld.cu/index.php/revista/announcement/view/2" target="_blank">Más información</a></p>
2013-12-17T20:19:34-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/612
Obesidad: La obesidad puede afectar al oído
2013-12-17T09:02:01-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los investigadores dieron seguimiento a más de 68 000 mujeres que participaron en el Estudio de salud de las enfermeras de la Universidad de Harvard. Cada dos años entre 1989 y 2009, las mujeres respondieron a preguntas detalladas sobre su salud y sus hábitos cotidianos. En 2009, se les preguntó si habían experimentado una pérdida auditiva, y si respondían que sí, a qué edad.</p> <p>Una de cada seis mujeres reportó pérdida auditiva en el periodo del estudio, apuntaron los investigadores.</p> <p>Las que tenían un índice de masa corporal (IMC) o una cintura con una circunferencia más grande se enfrentaban a un mayor riesgo de problemas auditivos, en comparación con las mujeres de peso normal. El IMC es una medida de la grasa corporal basada en la estatura y el peso.</p> <p>Las mujeres que eran obesas, con IMC de entre 30 y 39, eran entre un 17 y un 22 % más propensas a reportar pérdida auditiva que las mujeres cuyos IMC eran inferiores a 25.</p> <p>Las mujeres que cayeron en la categoría de obesidad extrema (IMC superior a 40) tenían el mayor riesgo de problemas auditivos, de alrededor de un 25 % superior al de las mujeres de peso normal.</p> <p>El tamaño de la cintura también se vinculó con la pérdida auditiva. Las mujeres con unas cinturas de más de 34 pulgadas (86.3 centímetros) tenían un aumento de alrededor del 27 % en las probabilidades de reportar pérdida auditiva frente a las mujeres con cinturas de menos de 28 pulgadas (71.1 centímetros). El tamaño de la cintura siguió siendo un factor de riesgo de la pérdida auditiva incluso después de que los investigadores incluyeran los efectos de tener un IMC más alto, lo que sugiere que tener mucha grasa abdominal podría afectar a la audición.</p> <p>Esas diferencias permanecieron incluso después de que los investigadores controlaran otros factores que se sabe que afectan al oído, como fumar cigarrillos, el uso de ciertos fármacos y la calidad de la dieta de una persona.</p> <p>Una cosa que pareció cambiar la relación fue el ejercicio. Cuando los investigadores incluyeron la actividad física en la ecuación, el riesgo de pérdida auditiva disminuyó. Las mujeres que caminaban cuatro o más horas cada semana experimentaron una reducción en el riesgo de pérdida auditiva de más o menos el 15 % en comparación con las que caminaban menos de una hora por semana. Los investigadores dijeron que eso sugiere que el ejercicio protege de la pérdida auditiva.</p> <p>Los hallazgos aparecen en la edición de diciembre de la revista<a href="http://preview.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24125639http://" target="_blank"> <em><strong>American Journal of Medicine</strong></em></a> ( doi: 10.1016/j.amjmed.2013.04.026.).</p> <p>Pero el estudio solo mostró una asociación, no probó que la obesidad dañe directamente al oído. Los investigadores dijeron que no están seguros de por qué las dos afecciones podrían estar relacionadas, pero dijeron que tienen ciertas teorías.</p> <p>"El oído es muy metabólicamente activo, y eso significa que realmente depende de tener un riego sanguíneo adecuado", señaló la autora del estudio, la Dra. Sharon Curhan, instructora de medicina del Hospital Brigham and Women's, en Boston.</p> <p>La obesidad puede afectar el riesgo sanguíneo al estrechar a los vasos sanguíneos. Las personas que son obesas también son más propensas a tener hipertensión, otra afección que puede afectar al flujo sanguíneo.</p> <p>"La obesidad y los factores que la obesidad conlleva podrían afectar el flujo sanguíneo a la cóclea", apuntó Curhan. La cóclea es la cámara de audición del oído interno. Curhan dijo que la falta de riego sanguíneo podría evitar que la cóclea se restaure tras el daño, disminuyendo gradualmente su función.</p> <p>Un experto que no participó en el estudio dijo que la investigación planteó preguntas importantes.</p> <p>"Se trata de un excelente punto de inicio, y una sugerencia firme", afirmó el Dr. Ian Storper, director del programa de otología del Centro de Trastornos del Oído y del Equilibrio del Instituto de la Cabeza y el Cuello de Nueva York en el Hospital Lenox Hill, en la ciudad de Nueva York.</p> <p>Storper dijo que el estudio dependió de los informes de pérdida auditiva de las mismas participantes. No se les administraron pruebas auditivas, lo que podría haber sesgado los resultados.</p> <p>Otro experto dijo que quizá haya llegado el momento de incluir la pérdida auditiva entre los daños que la obesidad provoca en el cuerpo.</p> <p>"Me resulta interesante y preocupante", afirmó el Dr. Michael Weitzman, profesor de medicina ambiental y pediatría del Centro Médico Langone de la Universidad de Nueva York.</p> <p>En junio, Weitzman publicó un estudio en la revista Laryngoscope que halló que los adolescentes obesos tenían casi el doble de riesgo de pérdida auditiva temprana que los adolescentes de peso normal.</p> <p>"(El nuevo estudio) respalda lo que hallamos", señaló.</p> <p>"Creo que hay motivos para comenzar a pensar que esto es un problema asociado con la obesidad", planteó Weitzman. "Quizá sea deseable que los niños o adultos obesos que presentan... problemas académicos se revisen el oído".<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_143349.html" target="_blank"><strong>diciembre 10/2013 (Medlineplus)</strong></a></p> <p>Curhan SG, Eavey R, Wang M, Stampfer MJ, Curhan GC.<em><strong>Body mass index, waist circumference, physical activity, and risk of hearing loss in women.Am J Med</strong></em>. 2013 Dec;126(12):1142.e1-8. 2013 Oct 11.</p></span>
2013-12-17T09:02:01-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/611
Cáncer: Identifican las células cancerígenas que lideran el inicio de la metástasis en tumores mamarios
2013-12-16T04:23:32-05:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/0600_cancer_cells3.jpg" alt="" />Biólogos de la Universidad Johns Hopkins, en Baltimore, Maryland, Estados Unidos, han identificado un tipo de células de cáncer de mama que dirigen el proceso de invasión en los tejidos circundantes, por lo que podrían haber dado con una probable nueva diana para el tratamiento de la enfermedad.<br /> <br /> "La metástasis es lo que más amenaza a las pacientes con cáncer de mama y hemos encontrado una manera de detener la primera parte del proceso en ratones", explica el profesor asistente de Biología Celular en la Escuela de Medicina de Johns Hopkins Andrew Ewald, uno de los autores de esta investigación, publicada en la edición digital de este jueves de la revista<em> Cell.</em><br /> <br /> Antes de que se desencadene la metástasis, las células del borde del tumor, denominadas células líder, forman protuberancias en el tejido circundante, señala Ewald. Y añade: "Si las condiciones son adecuadas, las células líderes actúan como guías, con muchas células tumorales siguiéndolas detrás, escapando de los confines del tumor hacia el tejido sano".<br /> <br /> A partir de la idea de que algunas células tumorales pueden ser más invasivas que otras, el equipo de Ewald hizo crecer tumores de ratón en el laboratorio en geles especiales en 3D que imitan el entorno que rodea a los tumores de mama en pacientes humanos.<br /> <br /> Otro de los autores del trabajo, Kevin Cheung, investigador de Oncología Médica en el laboratorio de Ewald, observó que las células cancerosas se infiltraron en los geles en grupos, con unas pocas células al frente y el resto detrás. Buscando una causa molecular para el aparente "liderazgo" observado en esas células, Cheung buscó proteínas que estuvieran singularmente presentes en las células líder.</p> <p><strong> Citoqueratina 14 o K14</strong><br /> <br /> Los investigadores identificaron una proteína, citoqueratina 14 o K14, que estaba presente en casi todas las células líder, pero era muy poco frecuente en las partes no invasivas del tumor. Cuando el equipo analizó los tumores de los ratones que tenían otros tipos de cáncer de mama, unos más propensos a la invasión y otros menos propensos, todos poseían células líderes con K14. Cuanto más invasivo era un tumor, más células K14 tenía.<br /> <br /> Posteriormente, el equipo estudió tumores de mama de diez pacientes con cáncer de mama en geles de 3 -D y vio que las células líder en estos tumores humanos también contenían K14. "Nuestra investigación muestra que las células más invasoras en los tumores de mama expresan K14 en todos los tipos de cáncer de mama", resume Cheung, quien aboga ahora por aprender cómo eliminar estas células líder de los tumores de mama en los pacientes.<br /> <br /> K14 es una proteína que ayuda a formar el 'esqueleto' interno de muchos tipos de células, dándoles estructura y ayudándoles a moverse. Aunque parecía probable que la presencia de células líder tuviera su implicación en el proceso de invasión, los investigadores llevaron a cabo más experimentos para determinar si era esencial para el proceso o una simple coincidencia.</p> <p><strong>Un trabajo 'sucio'</strong><br /> <br /> Los científicos extrajeron los tumores de mama de ratones con cáncer de mama y los dividieron en un grupo experimental y un grupo control. Cada grupo de tumores fue expuesto a virus que habían sido reprogramados para llevar piezas de material genético en las células, de forma que el grupo experimental recibió el material genético diseñado para evitar la producción de K14 y el control, el material genético que no afecta a las células, trasplantándose posteriormente ambos grupos de tumores en ratones sanos.<br /> <br /> Después de dejar que los tumores crecieran durante algún tiempo, el equipo los eliminó y examinó. Como era de esperar, en el grupo de control, las células líder estaban presentes, contenían K14 y conducían invasiones en el tejido normal. En los tumores experimentales, cuyas células no tenían K14, los límites del tumor eran lisos, esencialmente sin invasiones.<br /> <br /> "Todavía estamos s varios años de distancia de ser capaces de utilizar esta información para ayudar a los pacientes con cáncer de mama pero ahora sabemos que las células tumorales son las más peligrosas y conocemos algunas de las proteínas de las que dependen para hacer su trabajo sucio", resume Ewald. "Sólo unas pocas células líder son suficientes para iniciar el proceso de metástasis y requieren K14 para liderar la invasión", concluye este investigador, señalando que K14 está presente en las células dentro de muchos otros órganos, por lo puede jugar un papel similar en otros tipos de cáncer.</p><p><br /><a href="http://www.cell.com/abstract/S0092-8674%2813%2901480-3" target="_blank">Cell (2013); doi: 10.1016/j.cell.2013.11.029</a></p><p><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/identifican/celulas/cancerigenas/lideran/inicio/metastasis/tumores/mamarios/_f-11+iditem-21120+idtabla-1">Tomado de Jano</a></p>
2013-12-16T04:23:32-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/610
Ciencia y Tecnología: Cada célula madre tiene su tiempo y su espacio
2013-12-15T18:46:17-05:00
Revista Finlay
<p><span class="textonormal"><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/300px-Mouse_embryonic_stem_cells1.jpg" alt="" /></span>En los últimos años, las células madre de distintas fuentes de procedencia se han convertido en una de las puntas de lanza de la investigación en medicina regenerativa y de construcción de tejidos. Las expectativas terapéuticas que se han puesto sobre ellas están empezando a dar resultados alentadores, excelentes en casos concretos. Pero no todo está dicho en este tipo de terapia. Quedan flecos, pequeños matices, cuya resolución, a corto y largo plazo, consolidará a las células madre como medicamentos de probada y elevada efectividad.</p>La selección de los segmentos o poblaciones celulares más eficaces de cada una de las fuentes de donde se obtienen para medicina regenerativa, así como la obtención del mayor grado de viabilidad en el momento de su implantación, son dos de los aspectos que se han tratado, y despejado, en un estudio publicado <em>Tissue Engineering</em> y que ha sido llevado a cabo por científicos de las universidades de Granada y de Alcála de Henares, en Madrid. En concreto, se han centrado en uno de los distintos tipos de células madre existentes en el cordón umbilical, las denominadas células madre de la gelatina de Wharton, como las más idóneas para su posterior aplicación terapéutica. También se ha confirmado que, además de seleccionar la subpoblación más viable, es necesario concretar un periodo ventana de implantación para obtener su máximo grado de viabilidad.<span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><br /></span></span></span></span><p>Antonio Campos, catedrático de Ingeniería Tisular e Histología de la Facultad de Medicina de la Universidad de Granada y director del grupo granadino que ha realizado la investigación, ha explicado a DM que hay que tener en cuenta que en el organismo humano existen distintas células madre en los diversos tejidos. Y no todas tienen el mismo grado de viabilidad, en diferentes momentos, cuando se extraen para su posterior uso en la construcción de tejidos artificiales. Por ejemplo, y en el caso de las células de Wharton de cordón umbilical, no empleadas en clínica,"su máxima viabilidad se encuentra entre la tercera y cuarta semana en cultivo. Es posible que los queratinocitos o las células madre de la grasa, por ejemplo, tengan otros periodos distintos de viabilidad".</p><strong>Hipótesis acertada</strong><br /><p>En este sentido, Julia Buján, catedrática de Histología de la Facultad de Medicina de la Universidad de Alcalá de Henares, y coodinadora del grupo madrileño de investigación, ratifica que "todas las células madre, sean de la fuente que sean, tienen que ser protocolizadas y es casi seguro que requerirán de condiciones y tiempos diferentes para cada situación clínica".</p>Esta máxima especificidad celular dentro de un grupo concreto de células y el conocimiento del periodo de implantación de mayor viabilidad podrían explicar los resultados contradictorios que pueden darse entre ensayos con terapia celular. "Una hipótesis que barajamos es que los pobres resultados del uso de ciertas células madre, cuando se comparan con otros tratamientos, obedecen a que se están utilizando las células que no son las más viables, lo que vuelve a poner de relieve la necesidad de seleccionar la población más viable, dentro de la línea celular madre concreta, para su utilización terapéutica", según Miguel Alaminos, del Departamento de Histología de la Universidad de Granada.Estas consideraciones han abierto, por tanto, una nueva vía de estudio y de selección de subgrupos de células en otras poblaciones de células madre de tejidos diferentes con el fin de aumentar la eficacia terapéutica. Por ejemplo, el grupo de Granada, entre otros, y como consecuencia de las investigaciones en córneas artificiales, ya han trabajado y publicado en el <em>Journal of Celular Physiolgy</em> resultados con células endoteliales, "en las que se verificaron diferencias. Los estudios con células endoteliales vasculares, pulpa dental y cartilaginosas han mostrado que el principio de heterogeneidad de las poblaciones celulares de cada línea celular se cumple", según Campos y Alaminos.<span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><br /></span></span></span></span><p>Los investigadores de la Universidad de Alcalá de Henares también han ahondado en esta cuestión en modelos experimentales. Concretamente el grupo trabaja con células no condicionadas y con células condicionadas al ambiente en el que van a ser trasplantadas "y la diferencia es notoria", según Buján.</p><strong>Técnicas específicas</strong><br /><p>Otro de los muchos grupos internacionales que estudian cuál es la fuente de células troncales idónea es el de Jan E. Brinchmann, de la Universidad de Oslo (Noruega), que ha comparado, en modelo animal, las células madre mesenquimales musculoesqueléticas de las obtenidas del tejido adiposo para la regeneración del tejido cardiaco. Según han publicado en <em>Cell Transplantation</em>, ambos tipos celulares reducían el tamaño de la lesión cardiaca y mejoraban la función ventricular izquierda, aunque aún hay que investigar más para determinar si las mesenquimales aisladas de diferentes órganos logran resultados funcionales distintos. El siguiente paso para la catalogación exacta del segmento celular más eficaz es, según Campos, trabajar con técnicas más específicas (las actuales son estandarizadas), que permitan una evaluación celular óptima.</p>El mundo de la ingeniería tisular abrió la puerta cuando consideró a la células como herramienta terapéutica excepcional. Pero de igual forma, nos ha enseñado que no todas las células son iguales, ni están todas en las mismas condiciones (diferenciación, edad, momento funcional) como para generar una respuesta homogénea y adecuada a cada caso. "Por ello es necesario y fundamental ajustar el tratamiento celular a cada actuación concreta", ha señalado a DM Julia Buján, catedrática de Histología e Ingeniería Tisular de la Facultad de Medicina de la Universidad de Alcalá, en Madrid, y coautora del estudio publicado en <em>Tissue Engineering</em>. A su juicio, ello precisa de una serie de protocolos que garanticen que las células que van a ser trasplantadas a otro nicho cumplen con los requisitos necesarios para su supervivencia y adaptación para recrear el tejido buscado. La mejora real de la terapia celular, al menos en lo que al componente celular se refiere, es el logro futuro en cuanto a su aplicación clínica. "Otra cosa son las matrices y las señales necesarias para que estas células tengan el medio ambiente idóneo para poder estabilizarse y ser capaces de diferenciarse en un tejido adulto".<br /><p><br /> <a href="http://biotecnologia.diariomedico.com/2012/12/10/area-cientifica/especialidades/biotecnologia/actualidad/cada-celula-madre-tiene-tiempo-espacio" target="_blank">diciembre 14/2013 (Diario Médico) </a></p><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><br /></span></span></span></span><p>Abu Kasim NH, Govindasamy V, Gnanasegaran N, Musa S, Pradeep PJ, Srijaya TC, Aziz ZA. <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23229816" target="_blank"><strong><em>Unique molecular signatures influencing the biological function and fate of post-natal stem cells isolated from different sources</em></strong></a>. J Tissue Eng Regen Med. 2012. doi: 10.1002/term.1663.</p><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><br /></span></span></span></span><p><span style="text-decoration: underline;"><strong>Artículos Relacionados</strong></span>:</p><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><br /></span></span></span></span><p><a href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/jcp.22062/abstract" target="_blank"><strong><em>Transdifferentiation potentiality of human Wharton's jelly stem cells towards vascular endothelial cells</em></strong></a></p><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><br /></span></span></span></span><p>Szöke K, Brinchmann JE. <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23197872" target="_blank"><strong><em>Concise review: therapeutic potential of adipose tissue-derived angiogenic cells</em></strong></a>. <em>Stem Cells Transl Med</em>. 2012 Sep;1(9):658-67. doi: 10.5966/sctm.2012-0069.</p><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><br /></span></span></span></span><p>Otto Beitnes J, Oie E, Shahdadfar A, Karlsen T, Müller RM, Aakhus S, Reinholt FP, Brinchmann JE. <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22410280" target="_blank"><strong><em>Intramyocardial injections of human mesenchymal stem cells following acute myocardial infarction modulate scar formation and improve left ventricular function</em></strong></a>. <em>Cell Transplant</em>. 2012;21(8):1697-709. doi: 10.3727/096368911X627462.</p><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><span class="textonormal"><br /></span></span></span></span><p>Szöke K, Beckstrøm KJ, Brinchmann JE. <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21669039" target="_blank"><em><strong>Human adipose tissue as a source of cells with angiogenic potential</strong></em></a>. <em>Cell Transplant</em>. 2012;21(1):235-50. doi: 10.3727/096368911X580518.</p>
2013-12-15T18:46:17-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/609
Ciencia y Tecnología: Una técnica basada en el consumo de glucosa detecta el cáncer en fase temprana
2013-12-10T05:27:25-05:00
Revista Finlay
<p>Expertos de la Universidad de Cambridge (Reino Unido), liderados por el científico portugués Tiago Brandão Rodrigues –quien también trabajó en Madrid en el Consejo Superior de Investigaciones Científicas–, han creado una técnica capaz de detectar de forma rápida y concluyente el cáncer.<br /> <br /> “Para sostener su crecimiento, la mayoría de los tumores utilizan mucha más glucosa que los tejidos sanos, lo que provoca el aumento de la concentración de lactato, que es la base de muchos de los avances científicos en el diagnóstico de cáncer”, explica a SINC Rodrigues. “Así, hemos relacionado el elevado consumo de glucosa en un tumor con un mal pronóstico”, añade.<br /> <br /> Su hallazgo, publicado en la última edición de la revista <em>Nature Medicine, </em>comenzó con la medición del lactato, que aparecía en los tumores, pero no en los tejidos circundantes, y cuyo nivel se reducía notablemente a las 24 horas después de la quimioterapia.<br /> <br /> Esta técnica, probada en ratones, podría dar lugar a una nueva forma de medir la respuesta al tratamiento del cáncer de forma temprana. También serviría para medir su actividad, gracias a la producción de imágenes del consumo de glucosa y del metabolismo de los tumores en un corto periodo de tiempo.<br /> <br /> “Este nivel de precisión puede utilizarse para detectar tumores y para entender si una determinada terapia está funcionando eficazmente en una fase temprana del tratamiento, lo cual puede tener considerables implicaciones para la supervivencia de los pacientes”, apunta Rodrigues. Uno de los problemas de los tratamientos es que, aunque estén dando resultado, pueden pasar semanas hasta que el tumor deje de crecer o empiece a encogerse.<br /> <br /> <strong>Fundamental para la práctica clínica</strong><br /> <br /> El nuevo abordaje puede ser particularmente importante para evaluar cómo responden a las terapias los pacientes con cáncer en el cerebro o en la próstata, zonas en las que la tomografía por emisión de positrones (PET) presenta un bajo contraste.<br /> <br /> “Como este método no utiliza radiación ionizante, se pueden hacer escaneos sucesivos de un paciente para llevar a cabo un seguimiento del tratamiento que está siguiendo”, añade el investigador portugués.<br /> <br /> Rodrigues confía en que los ensayos clínicos que se están empezando a implementar muestren que su técnica es útil para aplicarla en pacientes. “Si se prueba que esta técnica es segura y eficaz, puede convertirse en una herramienta crucial para detectar el cáncer de una forma más temprana, y evaluar si el tratamiento está funcionando”, concluye.</p> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/nm/journal/vaop/ncurrent/full/nm.3416.html" target="_blank">Nature Medicine (2013); doi:10.1038/nm.3416</a>
2013-12-10T05:27:25-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/608
Diabetes Mellitus: La mitad de los diabéticos tipo II no alcanza el control glucémico, según pronostican médicos de todo el mundo en una encuesta
2013-12-09T20:30:09-05:00
Revista Finlay
<p>Los médicos creen que sólo el 50 por ciento de los diabéticos tipo II alcanzan sus objetivos de glucosa en sangre, según revela el estudio 'Time 2 Do More in Diabetes', realizado por Novartis y presentado en el marco del Congreso Mundial de Diabetes 2013, organizado por la Federación Internacional de la Diabetes. La investigación ha sido realizada en Estados Unidos, Reino Unido, España, la India, Japón y Brasil y en ella han participado 337 médicos y 652 pacientes.</p> <p>Los resultados muestran que sólo la mitad de los enfermos ha introducido cambios en su estilo de vida y que únicamente el 40 por ciento ha aumentado la frecuencia de la actividad física tras el diagnóstico, a pesar de recibir recomendaciones periódicas sobre la importancia de modificar sus hábitos.<br /> <br /> Del mismo modo, sólo a una cuarta parte de los pacientes con DM2 le preocupa desarrollar complicaciones por su enfermedad, mientras que al resto no le preocupa o considera que el riesgo es remoto.<br /> <br /> Ahora bien, el 50 por ciento reconoce que su principal preocupación es desarrollar algún tipo de problema en la visión, aunque sólo el 21 por ciento ve preocupante padecer alguna cardiopatía, a pesar de que la mitad de los enfermos fallece por esta causa.<br /> <br /> Además, el estudio revela que unos nueve de cada diez médicos dicen discutir los riesgos y complicaciones en el momento del diagnóstico, aunque sólo la mitad de los pacientes con DM2 recuerda los temas abordados.<br /> <br /> En este sentido, los médicos encuestados indicaron que los principales desencadenantes de un cambio en el tratamiento de la DM2 fueron el riesgo de hipoglicemia (47%) o la falta de control de glucosa en sangre (46%).</p>
2013-12-09T20:30:09-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/607
Ciencia y Tecnología: Crean escáner que detecta minúsculos tumores en el organismo
2013-12-04T04:38:06-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un grupo de científicos creó un escáner capaz de detectar tumores muy pequeños, invisibles ante los dispositivos que se usan para identificar el cáncer en su etapa más precoz.</p> <p>Denominado PET/CT Imaging, el equipo utiliza un nuevo método radiológico que detecta las anomalías de forma más precisa y con menor dosis de radiación, asegura Pablo R. Ros, jefe del Departamento de Radiología de la Universidad Hospital Case Medical Center de Cleveland, en Estados Unidos.</p> <p>Durante la presentación del escáner, el experto afirmó que su utilización no incrementará notablemente el costo del tratamiento para los pacientes y permitirá un diagnóstico precoz que se traducirá en salvar más vidas.</p> <p>Según el Instituto Nacional del Cáncer de Estados Unidos, esta afección alude a una serie de enfermedades en las que células anormales se dividen sin control y pueden invadir otros tejidos.</p> <p>Estudios previos plantean que las células cancerosas pueden diseminarse a otras partes del cuerpo por los sistemas sanguíneo y linfático lo que conlleva a que existan más de 100 tipos diferentes de cáncer.</p> <p>De ahí que su diagnóstico precoz permita a los especialistas contrarrestar esta diseminación con diferentes técnicas entre las que se encuentran la quimioterapia.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=2137651&Itemid=1" target="_blank"><strong>diciembre 2/2013 (PL)</strong> </a></p> <p>Partovi S, Robbin MR, Steinbach OC, Kohan A, Rubbert C, Ros PR.<em><strong>Initial experience of MR/PET in a clinical cancer center.<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24006287" target="_blank">J Magn Reson Imaging.</a></strong> </em>2013 Sep 4.doi: 10.1002/jmri.24334.</p> </span>
2013-12-04T04:38:06-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/606
Celebraciones: Felicidades a todos los trabajadores de la salud por el 3 de diciembre, Día de la Medicina Latinoamericana
2013-12-03T12:59:02-05:00
Revista Finlay
<br /> <a href="http://articulos.sld.cu/editorhome/files/2011/12/finlay_resize.jpg"><img class="alignleft size-full wp-image-8609" src="http://articulos.sld.cu/editorhome/files/2011/12/finlay_resize.jpg" alt="Carlos J. Finlay" width="70" height="63" /></a>En inhóspitos rincones donde jamás arribó médico alguno, la presencia de galenos, enfermeras y técnicos de la salud cubana ha estado y está presente. Este día, los trabajadores de la salud reciben el reconocimiento de todo el pueblo.<br /> En igual fecha de 1833 nació en Cuba, Carlos Juan Finlay y Barrés, descubridor del agente transmisor de la fiebre amarilla. Por sus relevantes aportes, a Finlay se le considera Benefactor de la Humanidad, y el más grande científico cubano de todos los tiempos, por lo que al cumplirse el centenario de su nacimiento se instituyó el Día de la Medicina Latinoamericana (1933).<br /> Al homenajear hoy a Carlos Juan Finlay, también le dedicamos todo el reconocimiento y la admiración que merecen las diferentes generaciones de trabajadores de la medicina cubana, combatientes por la salud y por la vida.<br /> <a href="http://files.sld.cu/editorhome/files/2013/12/binder1.pdf" target="_blank">Mensaje del Dr. Roberto Morales Ojeda, Ministro de Salud Pública, para todos los trabajadores de la salud</a>.
2013-12-03T12:59:02-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/605
Factores de riesgo cardiovascular: La esperanza de vida en niños obesos es diez años menor
2013-12-02T06:22:28-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>En México, los menores con sobrepeso u obesidad podrían sufrir un retroceso en la esperanza de vida de hasta 10 años, de acuerdo con lo que informan expertos en el tema .</p> <p>Según el Instituto Nacional de Estadística y Geografía (INEGI), el promedio de vida actual en el país es de 73 años para hombres y 76 años para las mujeres. Sin embargo, el doctor Arturo Perea Martínez, miembro de la Asociación Internacional de Pediatría, destacó que los obesos desde niños pueden desarrollar diabetes temprana al llegar a los 30 años y, dependiendo si se cuidan o no, reducir su esperanza de vida.</p> <p>De acuerdo con los estudios llamados generacionales que se han realizado en el ambiente médico, en el individuo que padece sobrepeso u obesidad la situación es clara, ya que en etapa adulta vivirá 10 años menos que sus predecesores.</p> <p>"Los niños con obesidad tienen un exceso de tejido adiposo, el cual secreta una serie de sustancias toxicas que van degenerando el organismo y con el tiempo provocan el desarrollo de enfermedades crónicas a temprana edad", explicó el pediatra.</p> <p>Esta disminución de esperanza de vida, especificó Perea Martínez, va a depender de varios factores; según diversos estudios realizados desde fines de la década de los 80 y principios de los 90, el factor genético influye entre 40 y 70 % en todos los casos, los cuales si se conjuntan con un mal estilo de vida favorecen que el niño padezca obesidad o diabetes de manera temprana.</p> <p>El especialista dijo que en el país la obesidad infantil se sitúa en el primer escaño de las naciones que conforman este organismo, pues uno de cada tres niños mexicanos tiene sobrepeso o es obeso.</p> <p>A su vez, la doctora Maricarmen Oses mencionó que esta generación es la más afectada con el problema de obesidad, ya que fue gestada en la década de los 80, cuando se dio el boom del desorden alimentario con la oferta tan grande de productos chatarra y el crecimiento de porciones, además de un mayor sedentarismo y estrés.</p> <p>La nutrióloga destacó que de los niños con obesidad, el 25 % también sufren de hipertensión, el 22 % hígado graso y del 4 al 6 % diabetes. Por esa razón insistió en la necesidad de que los padres fomenten en los pequeños una alimentación balanceada y ejercicio diario para evitar esa problemática.</p> <p>Finalmente, añadió que tomando como base la realidad que vive México en relación al sedentarismo y los malos hábitos alimenticios es de suma importancia la intervención de los profesionales de la salud para guiar a la población en su alimentación.<br /> <a href="http://noticiasdelaciencia.com/not/8865/la_esperanza_de_vida_en_ninos_obesos_es_diez_anos_menor/" target="_blank"><strong>noviembre 26/2013 (NYCT)</strong></a></p> </span>
2013-12-02T06:22:28-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/604
Factores de riesgo cardiovascular: Medicamentos con alto contenido en sodio aumentan riesgo de enfermedad cardiovascular
2013-12-02T06:12:00-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><span class="textonormal"><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/medicamentos22.jpg" alt="" /></span>Algunos medicamentos incluyen cierta cantidad de sodio para aumentar su absorción en el organismo. Aunque aún no existe consenso sobre sus consecuencias, un estudio británico con más de 1,2 millones de pacientes ha demostrado que tomar las versiones ricas en sodio de los fármacos aumenta en un 16% el riesgo de sufrir un infarto e incrementa siete veces la probabilidad de desarrollar hipertensión.</p> <p>En el trabajo, publicado en la revista <a href="http://www.bmj.com/content/347/bmj.f6954" target="_blank"><em><strong>British Medical Journal</strong></em></a> ( doi:org/10.1136/bmj.f6954 ), estos expertos de las universidades de Dundee y Londres (Reino Unido) han confirmado que el consumo de las dosis diarias máximas de ciertos medicamentos, como el paracetamol y la aspirina efervescentes y el ibuprofeno soluble, hace que los pacientes superen los niveles de sodio recomendados.</p> <p>Los investigadores compararon el riesgo de sufrir alguna enfermedad o accidente cardiovascular en individuos que tomaban medicamentos efervescentes, solubles o dispersables con alto contenido en sodio y en aquellos que consumían las mismas medicinas sin el añadido.</p> <p>Los autores consideraron 24 medicamentos con sodio, y 116 versiones de estos con una formulación estándar.</p> <p>Para descartar la influencia de factores que pudieran interferir en los resultados, se tuvieron en cuenta el índice de masa corporal, el consumo de tabaco o alcohol, el historial de enfermedades crónicas y el uso de otros medicamentos.</p> <p>En el estudio se utilizaron los datos de 1 292 337 pacientes británicos mayores de edad que fueron controlados durante siete años, entre enero de 1987 y diciembre de 2010. De ellos, 61 072 sufrieron algún tipo de accidente cardiovascular durante este periodo, tras haber seguido el tratamiento una media de cuatro años.</p> <p>Los resultados revelan que los pacientes que tomaban la medicación con dosis extra de sodio tenían un 16% más de riesgo de sufrir un ataque al corazón, un infarto cerebral o una muerte por accidente cardiovascular que quienes usaban los fármacos sin este elemento.</p> <p>Además, los medicados con las fórmulas ricas en sodio tenían una probabilidad siete veces mayor de sufrir alta presión arterial. Entre ellos, el número de muertes aumentó en un 28% debido al mayor riesgo de hipertensión y otros problemas cerebrovasculares.</p> <p>Aunque los autores admiten que aún no existe consenso sobre la relación que existe entre el sodio de los medicamentos y los accidentes cardiovasculares, afirman que sus hallazgos "son muy relevantes para la salud pública".</p> <p>Los expertos alertan de que "los consumidores deberían estar avisados sobre los riesgos potenciales de una ingesta excesiva de sodio a través de las medicinas" y las formulaciones con una alta concentración de esta sustancia "deben ser recetadas con precaución y solo cuando los beneficios superen a los riesgos".</p> <p>Por esta razón, los investigadores señalan que el contenido en sodio de las medicinas debería estar indicado en la etiqueta al igual que en el caso de los alimentos.<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=26114&Itemid=36" target="_blank"><strong>noviembre 28/2013 (Diario Salud)</strong></a></p> <p>Jacob George, Waseem Majeed, Isla S Mackenzie, Thomas M MacDonald, Li Wei<em><strong>.Association between cardiovascular events and sodium-containing effervescent, dispersible, and soluble drugs: nested case-control study.BMJ</strong> </em>2013;347:f6954.Nov 2013</p> </span>
2013-12-02T06:12:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/603
Nutrición: Estudio cuestiona los efectos neuroprotectores de los ácido grasos omega 3
2013-11-30T07:43:31-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/omega-32.jpg" alt="" width="186" height="179" />Un estudio no ha hallado diferencia alguna en las puntuaciones de las pruebas de memoria y pensamiento en función de los niveles de ácidos grasos omega 3 en la sangre, lo que cuestiona que la ingesta de aceite de pescado mejore la salud cerebral.</p> <p>La hipótesis inicial era que los ácidos grasos omega 3 tendrían un efecto protector sobre el pensamiento y la memoria de las mujeres mayores de 65 años. Los datos procedían de un estudio estadounidense que contaba con la información de 2157 mujeres de 65-80 años, con procesos de pensamiento y de memoria normales al inicio del estudio.</p> <p>Las mujeres realizaron pruebas de pensamiento y memoria cada año durante un promedio de seis años. En general, los investigadores no encontraron ningún cambio en la función mental en base a los niveles de omega 3 en la sangre. Dos pruebas (velocidad de las habilidades motoras finas y fluidez verbal) mostraron una diferencia ligeramente significativa entre los niveles altos y los niveles bajos de omega 3.</p> <p>Los autores afirman que la muestra constaba de un grupo selecto de mujeres mayores y en un buen estado de salud y que los resultados buscaban el efecto a corto plazo de los omega 3, por lo que se desconoce si para alguien con niveles más elevados durante un periodo mayor, eso tendría un efecto más gradual y acumulativo a lo largo del tiempo.<br /> <a href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=4350" target="_blank"><strong>noviembre 27/2013 (Neurologia.com)</strong></a></p> <p>Ammann EM, Pottala JV, Harris WS, Espeland MA, Wallace R, Denburg NL<em><strong>.Omega-3 fatty acids and domain-specific cognitive aging: Secondary analyses of data from WHISCA.<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24068783" target="_blank">Neurology</a></strong></em>. 2013 Oct 22;81(17):1484-91. doi: 10.1212/WNL.0b013e3182a9584c.</p> </span>
2013-11-30T07:43:31-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/602
Diabetes Mellitus: La diabetes previa al embarazo aumenta el riesgo de muerte del feto
2013-11-30T07:31:25-05:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/medici%C3%B3n_de_la_glucemia.jpg" alt="" />Un estudio publicado en <em>Diabetologia </em>muestra que la diabetes preexistente en mujeres embarazadas aumenta en unas cuatro veces y media el riesgo de muerte del feto , en comparación con las mujeres embarazadas que no tienen diabetes, además de que casi duplica el riesgo de muerte de los bebés después del nacimiento.<br /> <br /> Aunque una investigación anterior había analizado los vínculos entre la diabetes preexistentes en las madres y la muerte de los fetos no nacidos y los niños pequeños, no se habían excluido anomalías congénitas en las causas de muerte. En este nuevo trabajo, los autores utilizaron fuentes únicas de datos de varios registros poblacionales de larga duración del norte de Inglaterra para comprobar la asociación entre la diabetes preexistente y el riesgo de muerte fetal e infantil en la descendencia y sin anomalías congénitas.<br /> <br /> Se identificaron los niños de partos únicos normalmente formados de mujeres con diabetes preexistente (1.206 con diabetes tipo 1 y 342 con diabetes tipo 2) en el norte de Inglaterra durante 1996 a partir de una encuesta poblacional. El riesgo relativo de muerte fetal (es decir, la muerte de un feto a partir de la vigésima semana de gestación) y muerte infantil (muerte durante el primer año de vida) se calculó a partir de la comparación con los datos de población de la 'Encuesta del Norte de Morbilidad y Mortalidad Perinatal', y se examinaron los predictores de muerte fetal e infantil en las mujeres con diabetes preexistente.<br /> <br /> Los científicos encontraron que las mujeres con diabetes preexistente eran 4,56 veces más propensas a sufrir la muerte de sus fetos no nacidos en comparación con aquéllas sin la condición, además de que sus bebés eran 1,86 veces más propensos a morir. No hubo diferencias en el riesgo de muerte fetal o infantil en las mujeres con diabetes tipo 1 en comparación con el tipo 2.<br /> <br /> Además, se detectó que las mujeres con la hemoglobina glucosilada (una medida estándar de control de azúcar en la sangre) por encima de 6,6 por ciento, las que presentan retinopatía del preembarazo (una complicación de la diabetes) y la falta de suplementación con ácido fólico presentaban un mayor riesgo de sufrir una muerte de su lactante o del feto.<br /> <br /> La prevalencia de muerte fetal fue del 3 por ciento en las mujeres con diabetes preexistente y la de mortalidad infantil fue de 0,7 por ciento, en comparación con el 0,7 y 0,4 por ciento, respectivamente, en quienes no tenían la condición. Los investigadores no encontraron evidencia de que el aumento del riesgo de muerte fetal e infantil asociada a la diabetes preexistente hubiera disminuido con el tiempo, ni de que el riesgo relativo de muerte fetal variara según la edad gestacional.<br /> <br /> El nivel promedio de hemoglobina glucosilada en las mujeres embarazadas estudiadas fue del 7,8 por ciento. El Instituto Nacional de Inglaterra para la Salud y el Cuidado (NICE, en sus siglas en inglés), ha fijado el umbral del 6,1 por ciento para las mujeres, mientras que la Asociación Americana de la Diabetes (ADA) lo ha establecido en el 7 por ciento. Si las mujeres del estudio hubieran alcanzado el objetivo de la ADA o el de NICE, los autores estiman que la prevalencia de muerte fetal e infantil habría sido un 40 por ciento menor.</p> <br /><br /><a href="http://link.springer.com/article/10.1007/s00125-013-3059-x" target="_blank">Diabetologia (2013); doi:10.1007/s00125-013-3059-x</a>
2013-11-30T07:31:25-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/601
Cáncer: Niveles altos de un subproducto del colesterol incrementan el riesgo de desarrollar cáncer de mama
2013-11-29T07:44:25-05:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/cancer_mama.jpg" alt="" />Un subproducto del colesterol que funciona como la hormona estrógeno impulsa el crecimiento y la propagación de los tipos más comunes de cáncer de mama, según concluyen investigadores del Instituto del Cáncer de Duke, en Durham, en Carolina del Norte, Estados Unidos. Los científicos también encontraron que los medicamentos contra el colesterol, como las estatinas, parecen disminuir el efecto de esta molécula similar al estrógeno.<br /> <br /> El estudio, que se publica en la edición de este viernes de la revista <em>Science</em> y para que el que se utilizaron modelos de ratón, sugiere que los cambios en la dieta o las terapias para reducir el colesterol también pueden ofrecer una forma sencilla y accesible de rebajar el riesgo de cáncer de mama.<br /> <br /> "Una gran cantidad de estudios ha demostrado una relación entre la obesidad y el cáncer de mama y, en concreto, que el colesterol elevado está asociado con el riesgo de cáncer de mama, pero no se ha identificado ningún mecanismo", señala el autor principal, Donald McDonnell, director del Departamento de Farmacología y Biología del Cáncer en Duke. "Lo que ahora hemos encontrado es una molécula, no el colesterol en sí, sino un metabolito abundante en el colesterol, denominado 27HC, que imita a la hormona estrógeno y puede accionar de forma independiente el crecimiento del cáncer de mama", agrega.<br /> <br /> La hormona estrógeno alimenta un estimado 75 por ciento de todos los cánceres de mama. En una búsqueda anterior del laboratorio de McDonnell, los investigadores determinaron que el 27-hidroxicolesterol o 27HC se comporta de manera similar a los estrógenos en los animales. En su actual trabajo, estos expertos querían determinar si esta actividad era suficiente para promover el crecimiento del cáncer de mama y la metástasis y si el control tendría un efecto contrario.<br /> <br /> En modelos de ratón que son altamente predictivos de lo que ocurre en los seres humanos, McDonnell y sus colegas demostraron la participación directa de 27HC en el crecimiento del tumor de mama, así como la agresividad con la que el cáncer se propaga a otros órganos. También observaron que la actividad de este metabolito del colesterol fue inhibido cuando los animales fueron tratados con antiestrógenos o cuando se interrumpió la administración de suplementos de 27HC.<br /> <br /> Los estudios fueron corroborados en tejido de cáncer de mama humano, donde se vio una correlación directa entre la agresividad del tumor y una abundancia de la enzima que genera la molécula 27HC y se detalló que 27HC podría fabricarse en otros lugares en el cuerpo y transportarse al tumor.</p> <p><strong>Reduce la eficacia de algunas terapias</strong><br /> <br /> Según el autor principal, Erik Nelson, socio postdoctoral en Duke, los estudios de expresión génica revelaron una posible asociación entre la exposición a 27HC y el desarrollo de resistencia al antiestrógeno tamoxifeno. Los datos también pone de relieve cómo el aumento de 27HC puede reducir la eficacia de los inhibidores de la aromatasa, que están entre las terapias más frecuentes contra el cáncer de mama.<br /> <br /> "Este es un hallazgo muy importante --recalcó McDonnell--. Los tumores de mama humanos, debido a que expresan esta enzima para hacer 27HC, están fabricando una molécula similar al estrógeno que pueden promover el crecimiento del tumor. En esencia, los tumores han desarrollado un mecanismo para usar una fuente diferente de combustible".<br /> <br /> No obstante, este experto considera que los hallazgos sugieren que puede haber una manera simple de reducir el riesgo de cáncer de mama al mantener el colesterol bajo control, ya sea con estatinas o una dieta saludable. Además, para las mujeres que tienen cáncer de mama y el colesterol alto, tomar estatinas puede retrasar o prevenir la resistencia a los tratamientos endocrinos como el tamoxifeno o los inhibidores de la aromatasa.</p> <br /><br /><a href="http://www.sciencemag.org/content/342/6162/1094" target="_blank">Science (2013); doi: 10.1126/science.1241908 </a>
2013-11-29T07:44:25-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/600
Medicamentos: Antiinflamatorios podrían prevenir problemas de memoria causados por el uso médico del cannabis
2013-11-29T07:35:29-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/medicamentos12.jpg" alt="" />Los efectos secundarios del consumo de marihuana, como la pérdida de memoria, pueden evitarse con el consumo de los antiinflamatorios más comunes. Así lo indica un estudio, realizado en ratones, que revela que estos fármacos impiden el desarrollo de las alteraciones neuronales provocadas por la exposición continuada al cannabis.</p> <p>El uso de la marihuana en medicina es siempre polémico debido a los efectos secundarios que provoca en el paciente. Sin embargo, esto podría solucionarse con el simple consumo de un antiinflamatorio común.</p> <p>Científicos de varios países han identificado los mecanismos moleculares por los que esta droga influye en el aprendizaje y la memoria, y señalan que se podrían evitar con los inhibidores de la enzima COX-2 -una proteína mediadora de la inflamación-, como los antiinflamatorios no esteroideos (AINE).</p> <p>El estudio, realizado en ratones y publicado esta semana en la revista <a href="http://www.cell.com/abstract/S0092-8674%2813%2901360-3" target="_blank"><em><strong>Cell Press</strong></em></a> ( doi: 10.1016/j.cell.2013.10.042.), indica que las alteraciones neuronales y de memoria provocadas por la marihuana se producen por la activación de dicha enzima. Por ello, medicamentos inhibidores de esta proteína, como paracetamol o ibuprofeno, pueden prevenir estos problemas.</p> <p>"Hemos demostrado que los cambios en el cerebro inducidos por la marihuana se generan por el aumento de la COX-2, por lo que podemos usar inhibidores de esta enzima para reducir los efectos secundarios no deseados y conservar los efectos beneficiosos del cannabis", explica a SINC Chu Chen, investigador del Instituto de Ciencias de la Salud de la Universidad de Luisiana (EE UU) y uno de los autores del estudio.</p> <p>"Podemos usar inhibidores de esta enzima para reducir los efectos secundarios no deseados y conservar los efectos beneficiosos del cannabis"</p> <p>"Durante mucho tiempo, los mecanismos moleculares responsables de los déficits neuronales causados por la exposición a la marihuana eran grandes desconocidos. Ahora hemos resuelto el enigma", asegura Chu Chen.</p> <p>Hipocampo, el objetivo<br /> Los científicos descubrieron que el tratamiento con THC, principal psicoactivo de la marihuana, aumentaba los niveles de la enzima COX-2 en el hipocampo de los ratones, una región del cerebro involucrada en el aprendizaje y la memoria.</p> <p>Además, comprobaron que los fármacos y las técnicas genéticas que reducían los niveles de COX-2 en los ratones también impedían las alteraciones neuronales causadas por la exposición al THC.</p> <p>"El ibuprofeno puede reducir el deterioro de la memoria provocado por la marihuana, aunque en nuestro estudio no usamos ibuprofeno, pero sí otros inhibidores selectivos de esta enzima similares", explica Chen.</p> <p>El autor recuerda que durante miles de años los seres humanos han usado el cannabis como tratamiento médico para el dolor crónico en esclerosis múltiple, cáncer, trastornos convulsivos, náuseas, anorexia, o enfermedades neurodegenerativas, entre otras dolencias.</p> <p>"Los efectos secundarios neuropsicológicos y cognitivos indeseables limitan en gran medida el uso medicinal de la marihuana, particularmente para el tratamiento a largo plazo", destaca.</p> <p>"Los efectos secundarios neuropsicológicos y cognitivos indeseables limitan en gran medida el uso medicinal de la marihuana"</p> <p>Estos efectos provocan una disfunción en la transmisión sináptica del cerebro, la estructura molecular que une entre sí las neuronas, y produce un mal funcionamiento de las comunicaciones entre las células. "Los déficits en la función sináptica causan alteraciones en el aprendizaje y la memoria", recalca Chen.</p> <p>Aplicaciones contra el alzhéimer<br /> El estudio también aportó nuevos datos relacionados con el alzhéimer. Los investigadores descubrieron que el mismo tratamiento con THC redujo el daño neuronal en ratones afectados por esta enfermedad neurodegenerativa. Los efectos se mantuvieron incluso con los inhibidores de la enzima COX-2.</p> <p>"No existen medicamentos eficaces para prevenir y tratar el alzhéimer. Nuestros resultados indican que se pueden mantener los efectos beneficiosos del cannabis sin los adversos para tratamientos de dolencias médicas irresolubles como esta", apunta Chen.<br /> <a href="http://www.agenciasinc.es/Noticias/Los-antiinflamatorios-podrian-prevenir-los-problemas-de-memoria-causados-por-el-uso-medico-del-cannabis" target="_blank"><strong>noviembre 21/2013 (SINC)</strong></a></p> <p>Rongqing Chen, Jian Zhang, Ni Fan, Zhao-qian Teng,Yan Wu, Chu Chen. <em><strong>"Delta 9-THC-Caused Synaptic and Memory Impairments Are Mediated through COX-2 Signaling" . Cell Press </strong> </em>21 de nov de 2013.</p> </span>
2013-11-29T07:35:29-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/599
Ciencia y Tecnología: Descubierto un factor clave en la vascularización de los tumores
2013-11-29T07:25:53-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Además de ser un factor esencial en la formación de vasos sanguíneos durante el desarrollo embrionario, la proteína quinasa GRK2 desempeña un papel crucial en la vascularización tumoral. Así lo demuestra un trabajo que se publica en <a href="http://www.jci.org/articles/31768" target="_blank"><em><strong>The Journal of Clinical Investigation</strong></em></a> (doi: 10.1172/JCI67333. ), liderado por investigadores del Centro de Biología Molecular Severo Ochoa (CBMSO), centro mixto de la Universidad Autónoma de Madrid (UAM) y el CSIC.</p> <p>Los científicos identificaron, mediante el empleo de modelos celulares y ratones transgénicos, que la disminución de los niveles de expresión vascular de GRK2 altera los mensajes enviados por importantes estímulos relacionados con la angiogénesis (proceso de formación de vasos sanguíneos nuevos a partir de vasos preexistentes), como el factor TGFbeta.</p> <p>Del mismo modo, los investigadores identificaron que la disminución de los niveles de expresión vascular de GRK2 también provoca defectos en la maduración de los vasos sanguíneos, debidos específicamente a un mal reclutamiento de las células murales que deben recubrir los vasos.</p> <p>La ausencia de GRK2 en el endotelio da lugar a malformaciones vasculares</p> <p>Malformaciones vasculares<br /> De acuerdo con el estudio, la ausencia específica de GRK2 en el endotelio (un tejido que recubre la zona interna de todos los vasos sanguíneos) da lugar a malformaciones vasculares en múltiples tejidos embrionarios y promueve una vascularización aberrante en los tumores desarrollados en ratones transgénicos, lo cual favorece la infiltración de macrófagos protumorales y fuerza el crecimiento maligno del tumor.</p> <p>Estos resultados pueden tener una gran importancia clínica, ya que los autores demuestran que las células tumorales envían señales para "reajustar a la baja" la expresión de GRK2 en el endotelio vascular, y que los niveles de esta proteína están disminuidos en los vasos que colonizan las áreas del tumor en pacientes con cáncer de mama.</p> <p>"La posibilidad de manipular selectivamente en el futuro la actividad o expresión de GRK2 en los vasos tendría consecuencias directas en el remodelado angiogénico, contribuyendo a paliar la progresión tumoral y la severidad de otras patologías que cursan con disfunciones vasculares", destacan los autores.</p> <p>El estudio tiene como primera firmante a Verónica Rivas, del CBMSO, y fue dirigido por Petronila Penela y Federico Mayor, de la misma institución. También participan investigadores del Hospital Universitario La Paz-Idipaz, la Universidad de Málaga, el CIEMAT, el Center for Pharmacogenomics de la Universidad de St. Louis (Missouri - EE UU) y el Instituto de Investigación Sanitaria La Princesa.</p> <p>Angiogénesis<br /> Una de las características esenciales del sistema vascular es la capacidad de llevar a cabo la angiogénesis</p> <p>Una de las características esenciales del sistema vascular es la capacidad de llevar a cabo la angiogénesis. Este es un proceso en el que unas células especializadas (células endoteliales) se activan para generar nuevos vasos que posteriormente se estabilizarán y madurarán tras el recubrimiento de las estructuras del endotelio con células de músculo liso (células murales).</p> <p>La angiogénesis participa en muchos procesos fisiológicos beneficiosos, como reparación de heridas, desarrollo embrionario y fetal, menstruación y neovascularización de áreas isquémicas. Pero también en procesos patológicos: cuando es insuficiente (como en situaciones de infarto de miocardio o embolia) o cuando es aberrante (crecimiento tumoral, artritis reumatoide, retinopatía diabética, etc.).</p> <p>En consecuencia, el desarrollo de estrategias terapéuticas dirigidas a bloquear o reprogramar la respuesta angiogénica tiene un gran interés clínico, exigiendo la identificación de nuevas dianas moleculares que sean claves en el proceso angiogénico.<br /> <a href="http://www.agenciasinc.es/Noticias/Descubierto-un-factor-clave-en-la-vascularizacion-de-los-tumores" target="_blank"><strong>noviembre 18/2013 (SINC)</strong></a></p> <p>Rivas V, Carmona R, Muñoz-Chápuli R, Mendiola M, Nogués L, Reglero C.<em><strong>Developmental and tumoral vascularization is regulated by G protein-coupled receptor kinase 2.J Clin Invest.</strong> </em>2013 Nov 1;123(11):4714-30.</p> </span>
2013-11-29T07:25:53-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/598
Medicamentos: Estudio sugiere tomar la aspirina antes de dormir para proteger mejor el corazón
2013-11-27T08:34:34-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><span class="textonormal"><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/Aspirina2_2801.jpg" alt="" /></span>Una dosis diaria de aspirina se ha convertido en un tratamiento común para las personas con un riesgo alto de ataque cardiaco o accidente cerebrovascular (ACV), dado que adelgaza la sangre y evita que se formen coágulos.</p> <p>¿Pero es importante a qué hora se toma el fármaco?</p> <p>Un nuevo estudio holandés sugiere que las personas que toman aspirina antes de irse a la cama podrían recibir una mayor protección contra los ataques cardiacos y ACV.</p> <p>En la investigación participaron casi 300 supervivientes de ataques cardiacos que tomaban aspirina para evitar un segundo ataque al corazón. En dos periodos distintos de tres meses, la mitad de los pacientes tomaron 100 miligramos de aspirina al despertarse por la mañana, y la otra mitad tomaron la misma dosis antes de irse a la cama.</p> <p>Los investigadores deseaban observar si tomar una aspirina de noche podría adelgazar mejor la sangre de una persona, y potencialmente reducir el riesgo de ataque cardiaco, señaló el autor del estudio, el Dr. Tobias Bonten, que trabaja en el departamento de epidemiología clínica del Centro Médico de la Universidad de Leiden, en los Países Bajos.</p> <p>"Desde los 80, se sabe que los eventos cardiovasculares ocurren con más frecuencia en la mañana", apuntó Bonten. Las horas matutinas son un periodo de actividad máxima de las plaquetas, las células sanguíneas que ayudan en la coagulación, dijo. Los médicos sospechan que esto podría contribuir al mayor riesgo de ataque cardiaco y ACV en la mañana.</p> <p>La aspirina reduce la actividad de las plaquetas, y así reduce las probabilidades de que esas plaquetas se coagulen en el torrente sanguíneo y produzcan un ataque cardiaco o ACV, según los hallazgos. El estudio fue presentado en la reunión anual de la Asociación Americana del Corazón (American Heart Association), en Dallas.</p> <p>Las investigaciones presentadas en reuniones se deben considerar como preliminares hasta que se publiquen en una revista médica revisada por profesionales.</p> <p>Sin embargo, el momento en que se toma la aspirina no ha atraído mucha atención académica, apuntó el Dr. Gregg Fonarow, vocero de la Asociación Americana del Corazón.</p> <p>"En realidad no ha habido estudios que observen el momento en que se toma la aspirina", apuntó Fonarow, profesor de cardiología de la Universidad de California, en Los Ángeles. "Uno podría imaginarse que el momento en que se toma la dosis, ya sea la mañana o la noche, no importaría demasiado".</p> <p>Esto se debe a que la aspirina tiene un efecto duradero sobre las plaquetas, ayudando a adelgazar la sangre durante días después de tomarla, comentó.</p> <p>"Por eso, antes de la cirugía se indica a los pacientes que no tomen aspirina durante cinco a siete días, y por eso continúa adelgazando la sangre incluso si uno se salta una dosis", explicó Fonarow.</p> <p>Pero los investigadores holandeses hallaron que tomar aspirina antes de irse a la cama reducía la actividad de las plaquetas más que tomarla por la mañana, aparentemente porque evitaba el aumento matutino normal de la actividad de las plaquetas en el cuerpo.</p> <p>El equipo también halló que las personas que tomaban aspirina antes de irse a la cama no sufrían más molestias estomacales ni otros efectos secundarios que las personas que la tomaban por la mañana, apuntó Bonten.</p> <p>Los investigadores también esperaban que tomar aspirina antes de irse a la cama reduciría la presión arterial de una persona, algo que se observó en un estudio español anterior. Pero no hallaron diferencias entre las presiones arteriales de los que usaban aspirina por la mañana o antes de irse a la cama.</p> <p>Sin embargo, no necesariamente se debe comenzar a tomar la aspirina de noche de inmediato. Fonarow señaló que en el estudio participaron muy pocas personas, y éste no intentó determinar si tomar una dosis antes de irse a la cama proveerá una mejor protección contra los ataques cardiacos y ACV.</p> <p>"La cuestión clave es si plantea una diferencia suficiente como para traducirse en unos mejores resultados clínicos", planteó.</p> <p>Fonarow dijo que hasta que se hagan unos estudios de seguimiento de mayor tamaño, las personas a quienes les han recetado aspirina para los problemas cardiacos deben seguir tomándola a la hora del día que más les guste.</p> <p>Otro estudio presentado en la reunión de la Asociación Americana del Corazón halló que los adultos mayores sedentarios pueden utilizar el ejercicio para ralentizar el avance de la enfermedad cardiaca.</p> <p>Los investigadores observaron una proteína llamada troponina T para evaluar la tasa de lesiones del corazón en más de 300 personas a partir de los 70 años de edad.</p> <p>Los médicos hallaron que las personas a quienes se había asignado a un año de actividad física supervisad tuvieron un aumento tres veces más bajo en los niveles de troponina T que las personas que no hicieron ejercicio con regularidad.</p> <p>"Nuestros hallazgos sugieren evidencia bioquímica que respalda la idea de que nunca es demasiado tarde para comenzar con un programa de actividad física para mejorar la salud cardiaca", enfatizó en una declaración el autor del estudio, el Dr. Christopher DeFilippi, profesor asociado de medicina de la Facultad de Medicina de la Universidad de Maryland.<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_142723.html" target="_blank"><strong>noviembre 20/2013 (MedlinePlus)</strong></a></p> </span>
2013-11-27T08:34:34-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/597
Ciencia y Tecnología: Presentado un nuevo test para medir el índice omega-3
2013-11-26T09:57:51-05:00
Revista Finlay
<p><img title="alimentacin_saludable_167" src="/public/site/images/mikhail/alimentacin_saludable_167.jpg" alt="alimentacin_saludable_167" width="167" height="167" />LABCO Quality Diagnostics acaba de presentar el 'Índice omega-3', una prueba diagnóstica en sangre que mide la presencia de estos ácidos grasos, imprescindibles para la prevención de enfermedades cardiovasculares y cerebrovasculares. Tal como asegura la Dra. Marta Carrera, responsable de Medicina Preventiva Personalizada de LABCO España, “tener una herramienta diagnóstica como esta nos permite detectar a tiempo la deficiencia en omega-3 y corregir la desviación con un plan dietético adecuado, cuyos resultados podrán irse midiendo con análisis periódicos hasta conseguir los índices de omega-3 óptimos”.</p> <p>Los ácidos grasos son componentes estructurales de nuestras células y de nuestro organismo. Hay algunos, como los omega-3, que son saludables y necesarios para el organismo porque intervienen en el correcto funcionamiento del cuerpo y evitan el desarrollo de enfermedades crónicas. Sin embargo, explica la Dra. Carrera, en las últimas décadas se ha ido produciendo un cambio en los hábitos alimentarios que ha provocado un aumento del aporte de hidratos de carbono simples y de grasas saturadas y trans, así como una reducción en el consumo de fibra y grasas saludables, como las omega-3. Este cambio alimenticio ha traído consigo ciertos problemas de salud, puesto que “la deficiencia en omega-3 significa un alto riesgo de padecer enfermedades cardiovasculares y cerebrovasculares, así como enfermedades degenerativas cerebrales y predisposición a la depresión, al trastorno de déficit de atención e hiperactividad (TDAH) o a la muerte súbita”, ha alertado la Dra. Carrera.</p> <p>- Índice entre 1 y 4: Riesgo muy aumentado de sufrir accidentes cardiovasculares y cerebrovasculares, de enfermedades degenerativas cerebrales y muy alta predisposición a la depresión, entre otras enfermedades.<br /> - Índice entre 5 y 7: Riesgo significativamente aumentado de sufrir accidentes cardiovasculares y cerebrovasculares, de enfermedades degenerativas cerebrales ee importante predisposición a la depresión, entre otras enfermedades.<br /> - Índice entre 7 y 8: Baja probabilidad de sufrir accidentes cardiovasculares y cerebrovasculares, de enfermedades degenerativas cerebrales y baja predisposición a la depresión, entre otras enfermedades.<br /> - Índice superior a 8: Excelente resultado. Muy baja probabilidad de sufrir accidentes cardiovasculares y cerebrovasculares, de enfermedades degenerativas cerebrales y muy baja predisposición a la depresión, entre otras enfermedades.</p> <p>Los análisis rutinarios de control de otros factores de riesgo para enfermedades de este estilo, como el colesterol, están ampliamente extendidos. Con todo, pese a tener una relevancia equivalente en nuestra salud, el control de los niveles de omega-3 no se ha generalizado por desconocimiento y, también, por falta de herramientas de medida a disposición del gran público. En este sentido, el líder europeo en diagnóstico LABCO Quality Diagnostics ha apostado por incorporar esta prueba que permitirá prevenir los riesgos asociados a la deficiencia en ácidos grasos omega-3.</p> <p><strong>El test y la interpretación de los resultados</strong></p> <p>El índice omega-3 consiste en un análisis de sangre que evalúa la presencia de dos de los principales ácidos grasos omega-3: el ácido eicosapentaenóico (EPA) y el ácido docosahexaenóico (DHA). Los ácidos grasos omega 3 se encuentran en alimentos como el pescado azul (salmón, arenque, sardina, anchoa, etc.), las nueces y las semillas de lino, de calabaza o de chía, por ejemplo.</p> <p>El índice calcula el porcentaje que estos dos ácidos grasos, EPA y DHA, constituyen sobre el total de ácidos grasos presentes en la membrana de los glóbulos rojos. Se considera que el valor aceptable está situado por encima del 7,5%, aunque los resultados del Índice omega-3 se clasifican en cuatro categorías:</p> <p>Si nuestro resultado se encuentra entre el índice 1 y el 7, deberíamos comer más pescado azul, nueces, determinadas semillas vegetales (de lino, calabaza o chía) o suplementos de aceite de pescado para recuperar y mantener un nivel adecuado de omega-3 y evitar los riesgos asociados a un déficit de estos ácidos grasos.</p> <p>Una vez detectado el factor de riesgo es sencillo modificarlo, ya que si cambiamos nuestros hábitos alimentarios, e introducimos estos elementos, los niveles de omega-3 se normalizan de forma muy rápida y drástica. Por ejemplo, unos niveles óptimos de omega-3 suponen una reducción del riesgo de muerte súbita de hasta el 90%.</p> <p>El test está indicado para toda la población en general, aunque se recomienda en especial a la población de riesgo, es decir, aquellas personas que sufran enfermedades cardiovasculares; enfermedades crónicas como el asma, alteraciones metabólicas, de la inmunidad o inflamatorias; pacientes con bajo estado de ánimo o depresión; niños con sospecha de TDAH; y durante el embarazo, para asegurar el correcto aporte nutricional al feto.</p> <p><strong>Fundamentales en el embarazo y en el desarrollo cerebral</strong></p> <p>Un nivel óptimo de ácidos grasos Omega-3 es muy relevante no solamente para la prevención de enfermedades cardiovasculares, cerebrovasculares, pero también para la mejora de los síntomas de enfermedades inflamatorias, depresión y TDAH.</p> <p>Por otro lado, los ácidos grasos Omega-3 también son fundamentales en el desarrollo de la retina en el último trimestre del embarazo y en el desarrollo del feto, disminuyen el índice de depresión postparto, intervienen en la transmisión neuronal y el desarrollo cerebral y regulan la expresión de determinados genes.</p>
2013-11-26T09:57:51-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/596
Medicamentos: Descubren funcionamiento de fármacos antitumorales a nivel molecular
2013-11-21T20:48:05-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un estudio internacional realizado por el Consejo Superior de Investigadores Científicas (CSIC) publicado en <em>Science</em> ha desvelado el mecanismo molecular que emplean los fármacos antitumorales basados en agentes estabilizadores de microtúbulos para evitar la división celular.</p> <p>"Este tipo de fármacos antitumorales activa las moléculas de tubulina y estabiliza los microtúbulos de forma que no pueden activar la división de las células", explica Fernando Díaz, del Centro de Investigaciones Biológicas.</p> <p>Los autores del proyecto, en el que han colaborado el Instituto Paul Scherrer de Villigen y el Instituto de Ciencias Farmacéuticas del Instituto Federal de Tecnología, en Suiza, lograron determinar en alta resolución la estructura del complejo activado de tubulina mediante un nuevo compuesto antitumoral, la Zampanolida. "Esta estructura a gran resolución permitirá conocer en detalle los determinantes que estos compuestos utilizan para activar la tubulina en las células tumorales. Esto mejorará el diseño de fármacos, especialmente en aquellos tumores resistentes a los agentes quimioterapéuticos actualmente en uso", añade Díaz.<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2013/01/22/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/descubren-funcionamiento-de-farmacos-antitumorales-a-nivel-molecular" target="_blank">noviembre 21/2013 (Diario Médico)</a></p> <p>Prota AE, Bargsten K, Zurwerra D, Field JJ, Díaz JF, Altmann KH, Steinmetz MO. <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23287720" target="_blank"><em><strong>Molecular Mechanism of Action of Microtubule-Stabilizing Anticancer Agents</strong></em></a>. <em>Science</em>. 2013.</p> </span>
2013-11-21T20:48:05-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/595
Cáncer: Logran bloquear la mutación de la proteína Ras, uno de los principales coadyuvantes del cáncer
2013-11-21T16:36:48-05:00
Revista Finlay
<p>La proteína que con mayor frecuencia impulsa el desarrollo de cánceres ha eludido durante tres décadas los esfuerzos de los científicos por bloquearla. Ahora, investigadores de la Universidad de California, en San Francisco, Estados Unidos, han producido un tipo de moléculas que matan de manera eficiente las células tumorales que activa esta proteína, llamada Ras. Las conclusiones de la investigación se publican en <em>Nature.</em></p> <p>En su forma normal, Ras desempeña un papel clave como 'guía' del crecimiento celular, pero cuando está mutada, desencadena una serie de eventos dentro de la célula tumoral que la convierten en el coadyuvante perfecto del proceso cancerígeno. <br /> <br /> El grupo de UCSF, dirigido por Kevan Shokat, investigador del 'Howard Hughes Medical Institute', en Chevy Chase, Maryland, Estados Unidos, y director del Departamento de Farmacología Celular y Molecular de UCSF, diseñó un tipo de moléculas que se dirigen específicamente contra esta mutación.<br /> <br /> El 2% de todos los cánceres y el 7% de los cánceres de pulmón presentan la mutación específica a la que se dirigió el estudio, destaca Shokat. "Estamos seguros de que nuestros hallazgos pueden servir como punto de partida para el descubrimiento de fármacos dirigidos a esta mutación específica y, al cabo, otras mutaciones", concluye este investigador.</p> <a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature12796.html" target="_blank">Nature (2013); doi:10.1038/nature12796</a>
2013-11-21T16:36:48-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/594
Diabetes Mellitus: 14 de diciembre, Día Mundial de la Diabetes
2013-11-14T11:37:58-05:00
Revista Finlay
<a href="http://www.sld.cu/verpost.php?blog=http://articulos.sld.cu/serviciosaldia/&post_id=1527&c=2114&tipo=2&idblog=180&p=1&n=z" target="_blank"><br /> </a><a href="http://articulos.sld.cu/editorhome/files/2013/11/dia-mundial-diabetes.jpg"><img class="alignleft size-full wp-image-14830" src="http://articulos.sld.cu/editorhome/files/2013/11/dia-mundial-diabetes.jpg" alt="Día Mundial de la Diabetes" width="70" height="85" /></a>Esta es la campaña más importante del mundo para llamar la atención sobre la diabetes. Instaurada por la <a href="http://www.idf.org/?language=es" target="_blank">Federación Internacional de Diabetes, FID, (International Diabetes Foundation, IDF)</a> y la <a href="http://www.who.int/diabetes/es/index.html" target="_blank">Organización Mundial de la Salud (OMS)</a> desde 1991, en respuesta al alarmante aumento de los casos de diabetes en el mundo.<br /> Se celebra en esta fecha para conmemorar el natalicio de <a href="http://es.wikipedia.org/wiki/Frederick_Banting" target="_blank">Frederick Banting</a>, que, junto con <a href="http://es.wikipedia.org/wiki/Charles_Best" target="_blank">Charles Best</a>, fueron los descubridores de la insulina en 1922.<br /> La OMS estima que en el mundo hay 346 millones de personas con diabetes, que de no mediar intervención alguna, es muy probable que para el 2030 se habrá más que duplicado. Casi el 80% de las muertes por diabetes se producen en países de ingresos bajos o medios.<br /> El Día Mundial de Diabetes lo celebran más de 200 asociaciones miembros de la Federación Internacional de Diabetes en más de 160 países de todo el mundo, este año bajo el lema <strong>«Diabetes: protejamos nuestro futuro».</strong>
2013-11-14T11:37:58-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/593
Cáncer: Descubren un mecanismo implicado en la metástasis de cáncer hepático
2013-11-06T08:51:40-05:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Grupo de Claves Biológicas del Fenotipo Invasivo y Metastásico del Instituto de Investigación Biomédica de Bellvitge (Idibell) han descubierto un mecanismo que induce la migración de células tumorales en un tipo de cáncer hepático, un fenómeno esencial en la metástasis.<br /> <br /> El hallazgo, publicado en la edición electrónica de la revista <em>Hepatology</em>, ha permitido revelar que la señalización de la proteína TGFb depende de la proteína CXCR4 para inducir a las células tumorales la capacidad migratoria, ha informado este miércoles el Idibell en un comunicado.<br /> <br /> En condiciones normales y en estadios iniciales del cáncer, la TGFb actúa como supresor tumoral porque inhibe el crecimiento e induce muerte celular. Sin embargo, a medida que avanza el proceso tumoral, las células adquieren mutaciones y alteraciones epigenéticas que les permiten superar el efecto supresor de la TGFb y logran una mayor capacidad migratoria.<br /> <br /> Ahora, se ha descubierto la implicación de la proteína CXCR4 en la capacidad de migración celular, lo que supone un avance en el estudio y tratamiento de la metástasis.</p> <a href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/hep.26597/abstract" target="_blank">Hepatology (2013); doi: 10.1002/hep.26597</a>
2013-11-06T08:51:40-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/592
Factores de riesgo cardiovascular: El ambiente a la hora de comer influye directamente en el peso
2013-11-05T06:03:40-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los resultados de un estudio subrayan la importancia de los aspectos sociales a la hora de compartir una comida con la familia para el índice de masa corporal (IMC). Ver la televisión, por ejemplo, está relacionado con un IMC más alto en los padres.</p> <p>Un estudio liderador por Brian Wansink, de la Universidad Cornell (EEUU) y Ellen van Kleef, de la Universidad Wageningen (EEUU), examina la relación entre los rituales familiares en la cena diaria y el índice de masa corporal (IMC) de 190 padres y 148 niños.</p> <p>Estudios previos han demostrado que los factores del estilo de vida tales como la actividad física, desayunar todos los días y el salario están asociados con esta medida.</p> <p>Los padres que participaron en el estudio completaron un cuestionario sobre los hábitos alimenticios de toda la familia. Les hicieron una amplia gama de preguntas relativas a cuántos días realizaban actividades durante la cena, como contar qué tal les había ido el día, durante una semana normal. Después de rellenar el cuestionario, se tomaron el peso y la altura de los padres y los niños.</p> <p>Estos rituales durante la cena estaban relacionados con los IMC de los padres y los hijos. Cuanto más alto era el IMC de los padres, más solían comer con la televisión encendida. Comer en la mesa de la cocina o en el comedor estaba ligado con niveles bajos de IMC en ambos. Las chicas que ayudaban a sus padres a preparar la cena eran más propensas a tener un IMC alto. Sin embargo, los chicos que tenían un comportamiento más social durante la cena tendían a tener un IMC más bajo, especialmente en familias que se quedaban sentados a la mesa hasta que todos terminaban de comer.</p> <p>El vínculo entre el IMC y estos hábitos alimenticios no significan necesariamente que una cosa lleve directamente a la otra. Sin embargo, estos resultados subrayan la importancia de los aspectos sociales a la hora de compartir una comida con la familia para el IMC, ya que ver la televisión, por ejemplo, está relacionado con un IMC más alto en los padres.</p> <p>Aunque se desconocen los motivos de este vínculo, las comidas familiares y sus rituales pueden ser un campo de batalla subestimado para prevenir la obesidad. Cuándo y durante cuánto tiempo se come parece influir en la cantidad de peso que se gana.<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/2013/10/30/area-profesional/entorno/ambiente-hora-comer-influye-peso" target="_blank"><strong>octubre 30/10/2013 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Wansink B, van Kleef E.<em><strong>Dinner rituals that correlate with child and adult BMI.<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24123987" target="_blank">Obesity (Silver Spring)</a>.</strong></em> 2013 Oct 1. doi: 10.1002/oby.20629.</p> </span>
2013-11-05T06:03:40-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/591
Nutrición: Las dietas bajas en hidratos y ricas en grasas y proteínas aumentan los niveles de colesterol, según un estudio
2013-11-04T22:08:07-05:00
Revista Finlay
<p>Una dieta baja en hidratos de carbono y rica en grasas y proteínas, aumenta, de forma considerable, los niveles de colesterol total y de LDL-Colesterol en mujeres sanas con peso normal, lo que tiene un efecto negativo en su perfil de riesgo cardiovascular, según un reciente estudio de la Universidad de Oslo.<br /> <br /> El estudio se realizó en un grupo de mujeres sanas con normopeso (es el peso normal de una persona respecto a su estatura, es decir el Índice de Masa Corporal (IMC) ideal), a las que se administró durante cuatro semanas una dieta normocalórica con un bajo contenido en hidratos de carbono (20-25 g/día), con un 2-5% de la energía total en forma de hidratos de carbono, un 67-78% de la energía en forma de grasas, mientras que las proteínas representaron el 1-31% de la ingesta energética total.<br /> <br /> Las cifras medias de colesterol en sangre al inicio del estudio fueron de 158,51 mg/dL y de LDL-Colesterol, de 85,07 mg/dL, pasando, tras el seguimiento de la dieta baja en hidratos de carbono, a 201,03 mg/dL y 119,88 mg/dL, respectivamente, con un incremento porcentual en las cifras de colesterol total de un 33% y en las de la fracción LDL-Colesterol de un 41%.<br /> <br /> Según explica la doctora Beatriz Navia, profesora titular del Departamento de Nutrición de la Universidad Complutense de Madrid y portavoz de la campaña 'Pan cada día', este tipo de dieta se corresponde con las denominadas dietas cetogénicas, llamadas así por los cuerpos cetónicos que producen, en las cuales, se reduce el contenido en hidratos de carbono, a la vez que se aumenta, de forma proporcional, el aporte de proteínas, y especialmente el de grasas, para compensar la disminución de los hidratos de carbono.<br /> <br /> En este tipo de dietas, se consumen, casi de forma exclusiva, carnes rojas, embutidos, pescados, quesos, huevos y grasas diversas, dejando un mínimo consumo de frutas y verduras y quedando al margen alimentos como el pan, la pasta, el arroz, las legumbres, la leche o el azúcar.<br /> <br /> Esta experta recuerda que hay que tener en cuenta que el perfil calórico aconsejado en una dieta equilibrada incluye un 10-15% de la energía total en forma de proteínas, un 20-35% en forma de grasas y más del 50% de ésta, en forma de hidratos de carbono, por lo que, los cereales (pan, pasta, arroz, etc.) y las legumbres, alimentos con un alto contenido en carbohidratos, deben constituir la base de la alimentación.</p> <p><strong>No recomendables</strong><br /> <br /> "Las dietas cetogénicas, se vienen empleando desde hace décadas con el fin de perder peso y, si bien es cierto que, conducen a una bajada del mismo, presentan múltiples efectos negativos en la salud, por lo que no son dietas recomendables para adelgazar", advierte la doctora Navia.<br /> <br /> A diferencia de una dieta hipocalórica equilibrada, con un bajo contenido en grasas, "las dietas cetogénicas generan una exagerada movilización proteica-lipídica una pérdida importante de masa magra y un aumento de los niveles de ácido úrico, lo que incrementa el riesgo de sufrir gota o cálculos renales. Además --añade--, al ser ricas en grasas saturadas y colesterol, aumentan el riesgo aterosclerótico, tal y como se ha demostrado en este estudio".<br /> <br /> Igualmente, este tipo de dietas provoca la movilización del calcio óseo, favoreciendo la aparición de osteoporosis, advierte. Pueden conducir, al ser bajas en fibra, al padecimiento de estreñimiento severo y, al eliminar los alimentos ricos en carbohidratos, que a su vez, contienen determinadas vitaminas y minerales, pueden ocasionar deficiencias de algunos micronutrientes.<br /> <br /> Por ello, aunque la obesidad constituye un un tema complejo, una dieta hipocalórica convencional, variada (que incluya todos los alimentos) y equilibrada, con una cantidad adecuada de proteínas, grasas e hidratos de carbono, en la que se reduzcan las raciones consumidas, pero se mantengan las proporciones, acompañada de ejercicio físico, es la recomendación de esta experta como la forma más saludable para perder peso.</p> <br /><br /><a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23759780##" target="_blank">Tidsskr Nor Laegeforen (2013); doi: 10.4045/tidsskr.12.0034.</a>
2013-11-04T22:08:07-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/590
Diabetes Mellitus: Desarrollan fármaco que trata a la vez diabetes y obesidad
2013-11-04T15:56:13-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Controlar la diabetes y reducir la obesidad podrían resolverse con un solo fármaco, destacó un reciente estudio realizado por científicos estadounidenses y alemanes.</p> <p>Publicada en la última edición de la revista especializada <a href="http://stm.sciencemag.org/content/5/209/209ra151.abstract" target="_blank"><em><strong>Science Translational Medicine</strong></em></a> (DOI: 10.1126/scitranslmed.3007218 ), la investigación refiere que el compuesto se dirige a unos receptores de origen natural, dos hormonas denominadas GLP-1 y GIP que son fundamentales para la regulación del metabolismo.</p> <p>El artículo sostiene que cuando ambas hormonas se combinan en una molécula producen una sinergia capaz de controlar la glucosa y de disminuir el peso corporal en modelos animales de ratones y monos.</p> <p>Además, el fármaco diseñado se probó en 53 pacientes obesos con diabetes tipo dos quienes secretaron más insulina, presentaron mejores niveles de glucosa y una mayor pérdida de peso en comparación con los individuos no tratados.</p> <p>Desarrollado en el laboratorio de la Universidad de Indiana, en Estados Unidos, el compuesto también mostró efectos vinculados a una mejor tensión arterial, niveles altos de triglicéridos y colesterol bueno o HDL bajo.</p> <p>Sin embargo, los expertos advierten que aún falta realizar otros estudios antes de que este fármaco esté disponible para los pacientes.</p> <p>La diabetes generalmente se padece durante toda la vida y se caracteriza por altos niveles de azúcar en la sangre, por su parte la obesidad es una afección prevenible que se produce por la acumulación excesiva de grasa.</p> <p>Numerosos expertos catalogan a las mencionadas enfermedades como epidemias mundiales debido a la elevada tasa de incidencia que presentan a nivel global.</p> <p>Sobre el tema, la Organización Mundial de la Salud señala que el 65 % de la población mundial vive en países donde el sobrepeso y la obesidad se cobran más vidas humanas que la insuficiencia ponderal, término que se refiere a estar por debajo del peso considerado saludable.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=2009481&Itemid=1" target="_blank"><strong>octubre 31/2013 (PL)</strong> </a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>T. D. Müller, K. M. Habegger, K. M. Heppner, H. Kirchner, J. Holland, J. Hembree.<em><strong>Unimolecular Dual Incretins Maximize Metabolic Benefits in Rodents, Monkeys, and Humans. Sci. Transl. Med</strong></em>. 5, 209ra151 (2013).30 Oct 2013</p> </span>
2013-11-04T15:56:13-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/589
Prevención de las enfermedades crónicas: La OMS recomienda que los mayores de 65 años realicen 150 minutos semanales de ejercicio moderado
2013-10-30T13:56:16-04:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/ejercicios_y_salud3.jpg" alt="" />Pese a las numerosas evidencias científicas sobre los beneficiosos derivados de la actividad física, la tendencia observada en los últimos años es el incremento del sedentarismo, a la par que descienden las calorías ingeridas y el nivel de actividad física realizado por la población. Así lo ha manifestado el Dr. Rafael Urrialde de Andrés, responsable del área de Salud y Nutrición de Coca-Cola Iberia, durante su intervención en el IV Congreso Internacional de Dependencia y Calidad de Vida, que se está celebrando en Barcelona.<br /> <br /> El Dr. Urrialde ha recordado que en el plano fisiológico, la actividad física mejora entre la digestión y la regularidad del ritmo intestinal; previene o retrasa el desarrollo de hipertensión arterial y disminuye sus valores; mejora el perfil lipídico en sangre (reduce triglicéridos y aumenta el colesterol HDL); ayuda a mantener la estructura y función de las articulaciones; incrementa la utilización de la grasa corporal y mejora el control de peso; mejora la regulación de la glucemia y disminuye el riesgo de diabetes no-insulino dependiente.</p> <p>Asimismo, este experto ha explicado que “el incremento sustancial del sedentarismo y la inactividad física está motivado por los cambios en los hábitos de la población, tanto en los patrones alimentarios como de actividad física, y el descenso en el gasto energético en la vida cotidiana". "Vivimos en un entorno", ha dicho, "que hace que los avances -tan positivos en muchos sentidos-, contribuyan a que todo resulte más fácil y que moverse sea cada vez menos necesario, y además las actividades de ocio son cada vez más sedentarias”. Actualmente, ha precisado el Dr. Urrialde, “cuatro de cada diez personas (41,3%) se declara sedentaria (no realiza actividad física alguna en su tiempo libre), uno de cada tres hombres (35,9%) y casi una de cada dos mujeres (46,6%)”, según el primer Documento de Consenso sobre Obesidad y Sedentarismo a nivel mundial, publicado recientemente en <em>Nutrición Hospitalaria"</em>.<br /> <br /> Otro dato importante que destacó durante su intervención fue que según un estudio científico “tanto para hombres como para mujeres existe una mayor prevalencia de sobrepeso u obesidad en aquellos que pasan sentados más de 4 horas al día y caminan menos de 1 hora, en comparación con aquellos que pasan sentados menos de 4 horas al día y caminan más de 1 hora. <br /> <br /> --------------------------<br /> <br /> <span style="text-decoration: underline;">Recomendaciones de práctica de actividad física (OMS)</span><br /> <br /> <span style="text-decoration: underline;">De 5 a 17 años</span><br /> <br /> -60 min/día de actividad física moderada a vigorosa<br /> <br /> -3 días/semana de actividad física vigorosa<br /> <br /> <span style="text-decoration: underline;">Adultos</span><br /> <br /> -150 min/semana de actividad física aeróbica moderada ó 75 min/semana de actividad física aeróbica vigorosa<br /> <br /> -2 días/semana de actividades de fortalecimiento muscular<br /> <br /> <span style="text-decoration: underline;">Mayores de 65 años</span><br /> <br /> -150 min/semana de actividad física aeróbica moderada ó 75 min/semana de actividad física aeróbica vigorosa<br /> <br /> -2 días/semana de actividades de fortalecimiento muscular<br /> <br /> -3 días/semana de actividades para mejorar el equilibrio y evitar caídas (para personas con movilidad reducida)</p><p><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/oms/recomienda/mayores/65/anos/realicen/150/minutos/semanales/ejercicio/moderado/_f-11+iditem-20811+idtabla-1" target="_blank">Tomado de Jano</a></p>
2013-10-30T13:56:16-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/588
Tabaquismo: Bebés de madres fumadoras desarrollan cerebros más pequeños
2013-10-24T10:07:05-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/cigarrette2_540.jpg" alt="" width="223" height="167" />Los bebés de madres fumadoras durante el embarazo corren mayores riesgos de desarrollar cerebros más pequeños, así como padecer estrés y ansiedad, según una investigación publicada en la revista <em>Neuropsychopharmacology</em>.</p> <p>El doctor Hanan El Marroun, del Centro Médico Erasmus en Rotterdam, y sus colegas evaluaron el cerebro y el funcionamiento emocional de niños entre seis y ocho años de edad cuyas madres fumaron hasta nueve cigarrillos al día en el embarazo, aunque algunas detuvieron ese hábito cuando descubrieron estar embarazadas.</p> <p>De acuerdo con el estudio, la exposición prenatal al tabaco puede tener efectos a largo plazo sobre la salud mental de los infantes.</p> <p>Los investigadores sospechan que el tabaco afecta el desarrollo cerebral de los bebés, al destruir neuronas y reducir el oxígeno que recibe el feto por el estrechamiento de los vasos sanguíneos.</p> <p>Hijos de mujeres que fumaron durante el embarazo tienen más probabilidades de llegar a ser personas con mal humor o padecer depresión, advierten los científicos.</p> <p>Asimismo, la probabilidad de que un niño nazca con deformaciones en sus extremidades a causa de una madre fumadora es mayor del 26 %, o que padezca de labio leporino o paladar hendido es 28 % más probable.</p> <p>Del mismo modo, el riesgo de tener un pie zambo es 28 % mayor, y los problemas gastrointestinales tienen 27 % más de posibilidades. Mientras los defectos en el cráneo son 33 % más probables, y los oculares 25 % más comunes.</p> <p>Marroun recordó que el tabaquismo puede causar problemas graves de salud, como las enfermedades cardiovasculares y el cáncer.</p> <p>Fumar en el embarazo se relaciona con abortos espontáneos, reducción del crecimiento y el síndrome de muerte súbita del lactante, agregó.</p> <p>Para el especialista, la exposición prenatal al tabaco se asocia con problemas conductuales y cognitivos durante la infancia y la adolescencia, y se acumulan pruebas de que está relacionada con trastornos psiquiátricos y la mortalidad desde la niñez a la edad adulta.<br /> octubre 24/2013 (PL)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p><a href="http://www.nature.com/npp/journal/vaop/naam/abs/npp2013273a.html" target="_blank"><em><strong>Prenatal Tobacco Exposure and Brain Morphology: A Prospective Study in Young Children</strong></em></a></p> </span>
2013-10-24T10:07:05-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/587
Enfermedad de Alzheimer: Mutación genética podría duplicar tejido cerebral perdido por alzhéimer
2013-10-23T22:52:51-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/Alzheimer_2806.jpg" alt="" />El 1 % de las personas tienen un ADN que acelera el proceso destructivo de la enfermedad, según unos investigadores</p> <p>Las personas que portan una cierta mutación genética asociada con el alzhéimer tienen una tasa el doble de alta de pérdida de tejido cerebral debilitante, según un nuevo estudio.</p> <p>Las personas con esta mutación, conocida como la variante genética TREM2, podrían también contraer la enfermedad tres años antes de lo anticipado, comentaron los investigadores.</p> <p>"Nuestro laboratorio estudia la tasa de pérdida de tejido cerebral en la personas mayores, intentando descubrir factores que protejan conforme se envejece. Nunca hemos visto un efecto tan dramático como con esta variante genética", afirmó en un comunicado de prensa el autor principal del estudio, Paul Thompson, profesor de neurología en la Universidad del Sur de California.</p> <p>"Cuando se tiene esta mutación genética, nos hemos encontrado con que hay una actividad incontrolada de pérdida de tejido en el cerebro", indicó.</p> <p>En el estudio, los investigadores elaboraron un mapa de los efectos de la mutación genética en el cerebro con vida mediante el uso de IRM. "Este es el primer estudio que usa escáneres cerebrales para mostrar lo que hace esta variante genética, y es muy sorprendente", comentó Thompson.</p> <p>El estudio, de dos años de duración y publicado en la revista <a href="http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMc1306509" target="_blank"><em><strong>The New England Journal of Medicine</strong></em></a> (DOI: 10.1056/NEJMc1306509), mostró que las personas con la variante genética TREM2 asociada con el alzhéimer perdían el tejido cerebral de forma mucho más rápida.</p> <p>La investigación contó con casi 500 personas adultas de América del Norte, con un promedio de 76 años de edad. 100 tenían alzhéimer, 221 tenían alguna deficiencia importante de memoria o pensamiento y 157 gozaban de un buen estado de salud.</p> <p>Las personas con la mutación genética perdieron entre un 1.4 y un 3.3 % más de su tejido cerebral que los que no tenían la mutación. Esta mayor pérdida cerebral, que se producía principalmente en las áreas cerebrales responsables de la memoria, también avanzaba con el doble de rapidez en las que tenían la mutación.</p> <p>"Este gen acelera la pérdida cerebral a un ritmo terrorífico", comentó Thompson. "Los portadores de esta mutación genética, que afecta a aproximadamente el 1 % de la población, pierden aproximadamente un 3 % de su tejido cerebral cada año. Se trata de una bomba de relojería silenciosa en el 1 % de las personas a nivel mundial".</p> <p>Aunque las personas sanas normalmente pierden menos de un 1 % de su tejido cerebral al año, esta pérdida se ve compensada por la creación de nuevo tejido normal a partir de la estimulación mental. Sin embargo, en las que tienen alzhéimer, los síntomas aparecen típicamente una vez que aproximadamente el 10 % del tejido cerebral ha sido destruido.</p> <p>El equipo de Thompson afirmó que los hallazgos podrían tener una importancia real en la agilización de la investigación de tratamientos efectivos del alzhéimer, porque si los estudios se centran en las personas que tienen esta mutación, las respuestas a preguntas vitales podrían aparecer más rápidamente.</p> <p>"Estudiar a las personas que portan esta mutación en los ensayos clínicos para el tratamiento de alzhéimer podría ayudarnos a conseguir resultados más significativos y más rápidamente", añadió Thompson.<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_141661.html" target="_blank"><strong>octubre 16/2013 (Medlineplus)</strong></a></p> <p>Guerreiro, Jonsson . <em><strong>TREM2 and Neurodegenerative Disease .N Engl J Med</strong></em> 2013; 369:1564-1570 Oct 17, 2013</p> </span><span class="textonormal"><p>Las personas con esta mutación, conocida como la variante genética TREM2, podrían también contraer la enfermedad tres años antes de lo anticipado, comentaron los investigadores.</p> <p>"Nuestro laboratorio estudia la tasa de pérdida de tejido cerebral en la personas mayores, intentando descubrir factores que protejan conforme se envejece. Nunca hemos visto un efecto tan dramático como con esta variante genética", afirmó en un comunicado de prensa el autor principal del estudio, Paul Thompson, profesor de neurología en la Universidad del Sur de California.</p> <p>"Cuando se tiene esta mutación genética, nos hemos encontrado con que hay una actividad incontrolada de pérdida de tejido en el cerebro", indicó.</p> <p>En el estudio, los investigadores elaboraron un mapa de los efectos de la mutación genética en el cerebro con vida mediante el uso de IRM. "Este es el primer estudio que usa escáneres cerebrales para mostrar lo que hace esta variante genética, y es muy sorprendente", comentó Thompson.</p> <p>El estudio, de dos años de duración y publicado en la revista <a href="http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMc1306509" target="_blank"><em><strong>The New England Journal of Medicine</strong></em></a> (DOI: 10.1056/NEJMc1306509), mostró que las personas con la variante genética TREM2 asociada con el alzhéimer perdían el tejido cerebral de forma mucho más rápida.</p> <p>La investigación contó con casi 500 personas adultas de América del Norte, con un promedio de 76 años de edad. 100 tenían alzhéimer, 221 tenían alguna deficiencia importante de memoria o pensamiento y 157 gozaban de un buen estado de salud.</p> <p>Las personas con la mutación genética perdieron entre un 1.4 y un 3.3 % más de su tejido cerebral que los que no tenían la mutación. Esta mayor pérdida cerebral, que se producía principalmente en las áreas cerebrales responsables de la memoria, también avanzaba con el doble de rapidez en las que tenían la mutación.</p> <p>"Este gen acelera la pérdida cerebral a un ritmo terrorífico", comentó Thompson. "Los portadores de esta mutación genética, que afecta a aproximadamente el 1 % de la población, pierden aproximadamente un 3 % de su tejido cerebral cada año. Se trata de una bomba de relojería silenciosa en el 1 % de las personas a nivel mundial".</p> <p>Aunque las personas sanas normalmente pierden menos de un 1 % de su tejido cerebral al año, esta pérdida se ve compensada por la creación de nuevo tejido normal a partir de la estimulación mental. Sin embargo, en las que tienen alzhéimer, los síntomas aparecen típicamente una vez que aproximadamente el 10 % del tejido cerebral ha sido destruido.</p> <p>El equipo de Thompson afirmó que los hallazgos podrían tener una importancia real en la agilización de la investigación de tratamientos efectivos del alzhéimer, porque si los estudios se centran en las personas que tienen esta mutación, las respuestas a preguntas vitales podrían aparecer más rápidamente.</p> <p>"Estudiar a las personas que portan esta mutación en los ensayos clínicos para el tratamiento de alzhéimer podría ayudarnos a conseguir resultados más significativos y más rápidamente", añadió Thompson.<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_141661.html" target="_blank"><strong>octubre 16/2013 (Medlineplus)</strong></a></p> <p>Guerreiro, Jonsson . <em><strong>TREM2 and Neurodegenerative Disease .N Engl J Med</strong></em> 2013; 369:1564-1570 Oct 17, 2013</p> </span>
2013-10-23T22:52:51-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/586
Factores de riesgo cardiovascular: ¿Es el sodio lo más importante de la sal en la influencia que ésta ejerce sobre la salud?
2013-10-02T05:26:13-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/salt_280.jpg" alt="" />"Comer menos sal" es hoy en día una recomendación habitual para reducir la incidencia de la hipertensión y las enfermedades del corazón en general.</p> <p>Al exceso de sal en la dieta, y específicamente al de sodio, se les considera un importante factor de riesgo de padecer presión sanguínea elevada.</p> <p>Pero ¿qué hay del otro componente de la sal? No olvidemos que la sal es cloruro sódico. Una investigación reciente sobre esta cuestión ha revelado que el otro componente de la sal podría también desempeñar un papel relevante en los problemas de salud en los que interviene el sodio, aunque se trataría de un papel insólito.</p> <p>Un estudio hecho por el equipo de Sandosh Padmanabhan, de la Universidad de Glasgow en el Reino Unido, ha revelado que el nivel de cloruro en la sangre es un indicador independiente, aunque de un modo insospechado, de riesgo de mortalidad en personas con hipertensión.</p> <p>El hallazgo es importante, porque, hasta ahora, el papel del cloruro en la hipertensión había recibido poca atención de la comunidad científica.</p> <p>Después de analizar información de casi 13 000 pacientes con presión sanguínea alta, a los cuales se les hizo un seguimiento durante unos 35 años, los investigadores hallaron algo insólito: Un bajo nivel de cloruro estaba asociado con un mayor riesgo de muerte y de enfermedad cardiovascular.</p> <p>Sorprendentemente, esta tendencia es la opuesta de la promovida por un alto consumo de sodio.</p> <p>El grupo de pacientes con el más bajo nivel de cloruro en su sangre tuvo una tasa de mortalidad un 20 % superior a la de los demás pacientes.</p> <p>Parece pues evidente que el cloruro ejerce un papel importante en la fisiología del cuerpo, y habrá que investigar a fondo sus funciones. Aún es demasiado pronto para extraer conclusiones prácticas del hallazgo que puedan traducirse en recomendaciones firmes sobre la cantidad óptima de sal a consumir.<br /> <a href="http://noticiasdelaciencia.com/not/8315/_es_el_sodio_lo_mas_importante_de_la_sal_en_la_influencia_que_esta_ejerce_sobre_la_salud_/" target="_blank"><strong>septiembre 25/2013 (noticiasdelaciencia.com)</strong></a></p> <p>McCallum L, Jeemon P, Hastie CE, Patel RK, Williamson C, Padmanabhan S.<em><strong>Serum Chloride Is an Independent Predictor of Mortality in Hypertensive Patients. </strong></em><a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23980073" target="_blank"><em><strong><em>H</em>ypertension</strong></em></a>. doi:10.1161/HYPERTENSIONAHA.113.01793 .2013 Ago 26</p> </span>
2013-10-02T05:26:13-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/585
Cáncer: Consumir café reduce riesgo de padecer cáncer de próstata
2013-09-26T05:57:14-04:00
Revista Finlay
<img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/Caf%C3%A9-2.jpg" alt="" width="208" height="153" />El consumo diario de café podría reducir en un 20 por ciento el riesgo de los hombres a padecer cáncer de próstata, reveló una investigación realizada por el Instituto Karolinska de Estocolmo, en Suecia.<br /><br />Los grandes bebedores de café tienen menos probabilidades de desarrollar un tumor que quienes no lo consumen, de acuerdo con el estudio realizado por los expertos a unos 45 mil hombres con edades comprendidas entre 45 y 79 años.<br /><br />Las pruebas, que se extendieron por 12 años, descubrieron que la cafeína puede prevenir el cáncer de próstata localizado, pero tiene un efecto menor en las formas de avanzado o fatal.<br /><br />Durante la investigación, los científicos encontraron que las posibilidades de padecer tumor prostático localizado entre quienes tomaban seis tazas o más al día se redujo un 20 por ciento. Mientras que aquellos que tomaban cuatro o cinco tazas esta fue alrededor de un 7 por ciento solamente.<br /><br />El cáncer de próstata se desarrolla más frecuentemente en individuos mayores de 50 años y es el segundo tipo de cáncer más común entre los hombres.<br /><br />Diversos factores, incluyendo la genética y la dieta, están implicados en su desarrollo. En un estudio de la Universidad de Islandia, llevado a cabo durante cinco años, se determinó que los trastornos del sueño pueden tener una influencia en el padecimiento de la enfermedad, aunque no probaron relaciones del tipo causa-efecto.
2013-09-26T05:57:14-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/584
Cardiopatía Isquémica: Diferencias de sexo en el síndrome coronario agudo
2013-09-20T16:46:17-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La mayoría de las mujeres jovenes con síndrome coronario agudo (SCA) no padecen dolor torácico como síntoma indicador de la enfermedad, en comparación con los hombres que compartían una misma edad media de 55 años, según un estudio publicado en <em>JAMA</em>.</p> <p>El dolor torácico es un síntoma que a menudo desencadena el diagnóstico de pruebas de SCA. Sin embargo, hasta el 35 % de los pacientes con SCA no sufren dolor en el pecho, por lo que son más propensos a ser diagnosticados en urgencias, y tienen un mayor riesgo de muerte en comparación con los pacientes que reportan dolor en el pecho.</p> <p>El autor principal del estudio, Nadia A. Khan de la Universidad de Columbia Británica, en Canadá y su equipo evaluaron las diferencias de sexo entre los pacientes más jóvenes con síndrome coronario agudo. El estudio incluyó a 1015 pacientes, el 30 % de ellos eran mujeres, con una edad media de 49 años que fueron hospitalizados por SCA.</p> <p>Según los resultados, el 80 % de los pacientes de ambos sexos padecían dolor torácico, pero una mayor proporción de mujeres que de hombres no lo presentaban, el 19 % frente al 13,7 %.</p> <p>Las mujeres jóvenes sin dolor de tórax tenían menos síntomas en comparación con las mujeres con dolor torácico, un promedio de síntomas del 3,5 frente al 5,8, con resultados similares en los hombres, el 2,2 % frente al 4,7 %.</p> <p>Los síntomas más comunes en ambos sexos fueron debilidad, sensación de calor, disnea, sudor frío y dolor en el brazo izquierdo o en el hombro. Entre los pacientes sin dolor torácico, las mujeres tenían significativamente más síntomas que los hombres.</p> <p>Al evaluar el nivel de troponina y la estenosis coronaria, los investigadores no encontraron diferencias en el tipo de SCA que sufrían los pacientes con dolor torácico y los que no presentaron este dolor.</p> <p>Los hallazgos más significativos en este estudio fueron que el dolor torácico era el síntoma más predominante de SCA en hombres y mujeres menores de 55 años, independientemente del tipo de SCA. Las mujeres tenían una mayor probabilidad de presentar esta ausencia de dolor en comparación con los hombres. La mayoría de mujeres y hombres que no presentaron dolor en el tórax padecieron otros síntomas como dificultad al respirar o astenia.</p> <p>"Nuestros resultados indican que el dolor de pecho es el síntoma predominante que debe dirigir la evaluación del diagnóstico del SCA y debe utilizarse como mensaje de salud pública", ha concluido el autor.<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2013/09/17/area-cientifica/especialidades/cardiologia/factores-de-riesgo/diferencias-sexo-sindrome-coronario-agudo-" target="_blank">septiembre 19/2013 (Diario Médico) </a></p> <p>No está disponible el resumen:</p> <p>Vijaya L. Rao, MD; Vibhav Rangarajan, MD.<em> Chest Pain and an Angiographic Abnormality</em>.<br /> <em>JAM</em>A. 2013; 309(10):1030-1031. doi: 10.1001/jama.2013.1865</p> <p>Sadowski M, Janion-Sadowska A, Gasior M, Gierlotka M, Janion M, Polonski L. <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23847662" target="_blank"><em><strong>Higher mortality in women after ST-segment elevation myocardial infarction in very young patients</strong></em></a>. <em>Arch Med Sci</em>. 2013, 20;9(3):427-33. doi: 10.5114/aoms.2013.35324.</p> </span>
2013-09-20T16:46:17-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/583
Cardiopatía Isquémica: Enfermedades coronarias, principal causa de muerte en el Pacífico
2013-09-20T16:40:17-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las enfermedades coronarias, la diabetes y la obesidad están reemplazando al sarampión y al paludismo como las principales causas de muerte en el Pacífico, según revela un estudio sobre la salud en esta región publicado recientemente.</p> <p>La investigación, realizada por la Universidad Nacional Australiana, analizó los problemas de salud en doce de los estados insulares del Pacífico, tales como Indonesia, Papúa Nueva Guinea, Vanuatu o Fiji.</p> <p>Según las conclusiones publicada a raíz del estudio, el 70 % de los decesos en estos países se da por enfermedades no transmisibles.</p> <p>Las enfermedades como el sarampión y el paludismo están siendo desplazadas por las enfermedades coronarias, los derrames cerebrales y la diabetes como las principales causas de muerte en muchos países, especialmente aquellos en vías de desarrollo, declaró Ian Anderson, responsables del estudio, al canal "ABC".</p> <p>El científico remarcó un estudio sobre la salud realizado en Nauru en 1933 en el que no se mencionaba la diabetes como un problema en ese país, donde actualmente es una de las principales causas en el fallecimiento de sus habitantes.</p> <p>Uno de los circunstancias del cambio, lo aportan los datos de las naciones del Pacífico que apuntan que un 60 % de la población adulta tiene problemas de sobrepeso.</p> <p>"Los primeros exploradores en el Pacífico notaron lo delgados y atléticos que eran las personas en el Pacífico y este ya no es el caso actualmente", manifestó Anderson.</p> <p>Esta situación, que también tiene un impacto financiero en el Pacífico porque impide trabajar a las personas y afecta a los presupuestos nacionales, se debe a los problemas vinculados con el tabaquismo, una mala nutrición, consumo de alcohol e inactividad física, según el estudio.<br /> septiembre 19/2013 (EFE)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2013-09-20T16:40:17-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/582
Cáncer: Hallan y patentan un nuevo marcador de cáncer de próstata
2013-09-20T16:20:28-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los anticuerpos monoclonales se encuentran cada vez más presentes en el diagnóstico y tratamiento de diferentes enfermedades, entre ellas las oncológicas; a pesar de su manifiesta utilidad, el número de antígenos tumorales es muy reducido y ello se debe en gran parte a las estrategias empleadas para su identificación y validación. Los procedimientos convencionales de identificación de antígenos tumor-específicos utilizan muestras tumorales procesadas en el laboratorio y herramientas de búsqueda genómica o proteómica. El problema de este sistema es que se pierde el contexto del tumor original.</p> <p>"Se trata de una visión tumoricéntrica", apunta Luis Álvarez-Vallina, jefe de la Unidad de Inmunología Molecular del Instituto de Investigación Sanitaria (IIS) del Hospital Puerta de Hierro (Majadahonda), en Madrid. "Sin embargo, cada vez tenemos más datos que avalan la influencia del microambiente tumoral, y cómo diferentes tipos celulares desempeñan un papel clave en el desarrollo del cáncer; por tanto, la expresión de antígenos en estos tipos celulares puede ser de utilidad como dianas diagnósticas y terapéuticas".</p> <p>Prueba de concepto<br /> Partiendo de la idea de que eran necesarias otras fórmulas que preservaran el contexto del tumor, el grupo de Álvarez-Vallina ha demostrado que es posible realizar la selección de los anticuerpos <em>in vivo</em> frente a antígenos tumorales expresados en su entorno original. En concreto, el procedimiento utilizado es una adaptación de la estrategia ideada por Erkki Ruoslahti, del Centro del Cáncer del Instituto de Investigación Sanford-Burnham (La Jolla, California), y que este científico empleaba en la selección de genotecas (repertorios) de péptidos, para identificar dianas vasculares (códigos postales vasculares, siguiendo la denominación de Ruoslahti).</p> <p>En colaboración con el grupo americano, los científicos del IIS Puerta de Hierro adaptaron esta tecnología (denominada phage display) para la selección de genotecas de anticuerpos humanos y, finalmente, para identificar un nuevo marcador de cáncer de próstata. Los resultados de esta línea de investigación, iniciada hace seis años, se acaban de publicar en la <em>PNAS</em>.</p> <p>"Viaje alucinante"<br /> Para ello, han partido de un modelo murino al que injertaron células de cáncer de próstata humano. El tumor resultante estaba vascularizado y con un estroma semejante al que se encuentra en tumores primarios de próstata. Emulando el viaje alucinante de Asimov, introdujeron por la vía sistémica de los ratones un repertorio de genotecas de anticuerpos (colección de millones de anticuerpos diferentes), cada uno de ellos unido a una partícula viral (bacteriófago).</p> <p>Los bacteriófagos circularon por el animal hasta que algunos se anclaron en el tumor. Una vez extraído, se determinó la secuencia de las partículas virales dominantes localizadas selectivamente en el tumor, tras varias rondas de selección. A partir de un reducido número de candidatos, identificaron un anticuerpo con excepcionales propiedades de localización tumoral y caracterizaron la diana: el complejo PA28alfaß del proteasoma. En esa tarea han contado con la colaboración de otros grupos de investigación en España, Estonia y Estados Unidos. El trabajo valida el marcador y revela que se sobreexpresa en muestras humanas de cáncer de próstata primario y metastásico. Estos hallazgos han sido patentados por la Fundación de Investigación Biomédica del Hospital Universitario Puerta de Hierro.</p> <p>"Además de la trascendencia del procedimiento utilizado, el marcador es importante. Ahora tenemos que demostrar cuál podría ser su valor real en la clínica; y también determinar si está presente en suero, de forma circulante, lo que implicaría utilidad diagnóstica, así como si tiene utilidad pronóstica en los pacientes con el cáncer". Por último, y no menos interesante, habrá que determinar si anticuerpos frente al complejo PA28alfaß del proteasoma pueden tener valor terapéutico real en el cáncer de próstata.</p> <p>Una técnica de selección aplicable a diferentes enfermedades</p> <p>Al introducir por vía sistémica un bacteriófago con un anticuerpo control o un bacteriófago con un anticuerpo seleccionado <em>in vivo</em>, este último se localiza selectivamente en el tumor.</p> <p>Además, también se observa que el bacteriófago con el anticuerpo tumor-específico no solo se localiza en el interior de los vasos, sino que se difunde hacia zonas próximas a las estructuras vasculares, lo que sugiere que interactúa con alguna diana presente en el estroma tumoral. Así, con el procedimiento empleado por el grupo del inmunólogo Luis Álvarez-Vallina, se identifican antígenos que con las estrategias convencionales no se apreciarían.</p> <p>Esta técnica podría resultar útil para encontrar marcadores, más allá de las enfermedades oncológicas, en diferentes enfermedades, como, por ejemplo, las cardiovasculares, las inflamatorias y las neurológicas.</p> <p>Ayudar a la decisión clínica</p> <p>El antígeno prostático específico o PSA es el biomarcador más utilizado en el cribado del cáncer de próstata, pero dista de ser perfecto. De ahí que se busquen otros marcadores que ayuden a afinar de forma más precisa tanto el riesgo de desarrollar el tumor en los varones, como el pronóstico una vez que ya se ha detectado el cáncer. Esta semana, un trabajo que aparece en <a href="http://stm.sciencemag.org/content/5/202/202ra122.abstract?sid=62413a99-47b1-4d17-9f00-23d15cee4ba3" target="_blank"><em>Science Translational Medicine </em></a> propone un marcador de pronóstico del cáncer de próstata a partir de las muestras de pacientes. Un grupo de científicos coordinado por Cory Abate-Shen (Centro Médico de la Universidad de Columbia, en Nueva York) ha descubierto que el nivel de expresión de tres genes asociados con el envejecimiento puede ayudar al clínico a decidir si intervenir o no al paciente.<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2013/09/16/area-cientifica/especialidades/oncologia/prevencion/hallan-patentan-nuevo-marcador-cancer-prostata" target="_blank">septiembre 19/2013 (Diario Médico)</a></p> <p>David Sánchez-Martín, Jorge Martínez-Torrecuadrada, Tambet Teesalu, Kazuki N. Sugahara, Ana Alvarez-Cienfuegos, Pilar Ximénez-Embún, et. al. <a href="http://www.pnas.org/content/110/34/13791.full?sid=092fc45b-fa17-4ca9-9eb8-3c7943de61ef" target="_blank"><em><strong>Proteasome activator complex PA28 identified as an accessible target in prostate cancer by in vivo selection of human antibodies</strong></em></a>. <em>PNAS</em> 2013 110 (34) 13791-13796; doi:10.1073/pnas.1300013110.</p> <p>S. Irshad, M. Bansal, M. Castillo-Martin, T. Zheng, A. Aytes, S. Wenske, et. al. <a href="http://stm.sciencemag.org/content/5/203/203er9.full?sid=62413a99-47b1-4d17-9f00-23d15cee4ba3" target="_blank"><em><strong>A Correction to the Research Article Titled: "A Molecular Signature Predictive of Indolent Prostate Cancer</strong></em></a>. <em>Sci Transl Med</em> 18 September 2013 5:203er9. DOI:10.1126/scitranslmed.3007585.</p> </span>
2013-09-20T16:20:28-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/581
Cáncer: Elaborado un consenso sobre el PSA en cáncer de próstata
2013-09-16T05:46:50-04:00
Revista Finlay
<p>Los asistentes al Congreso Mundial del Cáncer de Próstata, celebrado en Melbourne (Australia), han elaborado un documento de consenso sobre el uso del antígeno prostático específico (PSA, por su abreviatura en inglés) a fin de evitar las confusiones y concretar los beneficios.<br /> <br /> Así lo asegura el director del Instituto de Cirugía Urológica Avanzada (ICUA), el doctor Fernando Gómez Sancha, con motivo de la celebración este domingo, 15 de septiembre, del Día Europeo de la Salud Prostática. A su juicio, existía hasta la fecha "mucha controversia" acerca del empleo del PSA para el diagnóstico de este tumor.<br /> <br /> Tanta fue ésta que el Grupo de Trabajo de Servicios Preventivos de los Estados Unidos (Uspstf, por sus siglas en inglés) llegó a recomendar su abandono aludiendo que su uso favorecía el sobrediagnóstico. No obstante, las sociedades urológicas europea y americana reaccionaron defendiendo su uso "pero con ciertas diferencias sobre como utilizarlo", explica.<br /> <br /> Ahondando en lo expuesto en el consenso alcanzado, se identifica que su utilización debe ser recomendada en hombres de entre 50 y 69 años, y que el diagnóstico de cáncer de próstata no siempre debe estar seguida de tratamiento. Además, se señala que el PSA no debe usarse por sí solo para recomendar la realización de una biopsia de próstata.<br /> <br /> En este sentido, se expone que es necesario tener en cuenta otros muchos factores, como el resultado de un tacto rectal, el volumen prostático, la historia familiar y la raza, así como utilizar modelos de predicción de riesgo.<br /> <br /> Todo ello lo celebra Gómez Sancha, que observa que se ha demostrado que la determinación de PSA en hombres entre 50 y 69 años "reduce el riesgo de cáncer con metástasis en hasta un 30 por ciento y la mortalidad en un 21 por ciento".<br /> <br /> Por estas razones, considera que el PSA "es aún la mejor herramienta de diagnóstico precoz que existe para diagnosticar el cáncer de próstata", por lo que indica que "no se puede abandonar".</p><p><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/elaborado/consenso/psa/cancer/prostata/_f-11+iditem-20474+idtabla-1" target="_blank">Tomado de Jano</a></p>
2013-09-16T05:46:50-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/580
Hipertensión arterial: Los niños obesos presentan el cuádruple de riesgo de sufrir hipertensión en la edad adulta
2013-09-16T05:40:22-04:00
Revista Finlay
<img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/efigmo.jpg" alt="" />Los niños obesos y con sobrepeso cuadruplican su riesgo de desarrollar hipertensión arterial en la edad adulta, según concluye un estudio presentado en las Sesiones Científicas 2013 sobre Hipertensión de la Asociación Americana del Corazón, que se celebran desde este miércoles en Nueva Orleans, Estados Unidos.<br /> <br /> Los investigadores siguieron el crecimiento y la presión arterial de 1.117 adolescentes sanos de Indianápolis, en Estados Unidos, durante 27 años, a partir de 1986. Durante la infancia, el 68 por ciento de los niños tenía un peso normal, el 16 por ciento, sobrepeso y el 16 por ciento era obeso.<br /> <br /> Un total de 119 participantes fueron diagnosticados con hipertensión arterial al llegar a la edad adulta. En concreto, el 6 por ciento de los niños de peso normal tenía la presión arterial alta en la edad adulta; el 14 por ciento de los de sobrepeso registraba presión arterial alta al ser adulto y el 26 por ciento de los obesos tenían hipertensión de mayor.<br /> <br /> Los resultados ponen de manifiesto la amenaza para la salud pública que plantea el sobrepeso y la obesidad en la infancia, además de que son parte de la creciente evidencia de que la enfermedad cardíaca puede comenzar en la infancia, como subrayó Sara E. Watson, autora del estudio y miembro del Servicio de Endocrinología Pediátrica en el Hospital Riley para Niños de la Universidad de Indiana, en Indianápolis.<br /> <br /> "Es importante que los pediatras aconsejan a sus pacientes sobre el riesgo de hipertensión arterial asociada con el sobrepeso y la obesidad y el estrés y que una dieta saludable, incluyendo la reducción de la ingesta de sal y el ejercicio, puede ayudar a reducir este riesgo", recomendó Watson. "Las intervenciones para prevenir y tratar la obesidad tendrán un papel importante en la disminución de la carga significativa de la presión arterial en la edad adulta", concluyó.
2013-09-16T05:40:22-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/579
Convocatoria: Libertad para nuestros hermanos
2013-09-12T06:25:41-04:00
Revista Finlay
<p><a class="enlaces" href="http://www.cubadebate.cu/especiales/2013/09/03/rene-gonzalez-que-cuba-se-llene-de-cintas-amarillas-el-12-de-septiembre-alocucion-en-video-y-videoclip/" target="_blank"><strong><span style="font-size: x-small;">Libertad para nuestros hermanos</span></strong></a></p> <p><br /><a href="http://articulos.sld.cu/editorhome/files/2013/09/lazo-paginas-adminportl-2.png"><img class="alignleft size-full wp-image-14166" title="lazo-paginas-adminportl-2" src="http://articulos.sld.cu/editorhome/files/2013/09/lazo-paginas-adminportl-2.png" border="0" alt="Lazo amarillo" width="361" height="48" /></a></p>
2013-09-12T06:25:41-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/578
Cáncer: Identifican células inmunes que favorecen al cáncer
2013-09-11T09:48:00-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un equipo de científicos descubrió que existen células inmunes denominadas mieloides supresoras derivadas que proporcionan un lugar donde el cáncer sobrevive.</p> <p>Publicado en la revista especializada <a href="http://www.cell.com/immunity/abstract/S1074-7613%2813%2900377-4" target="_blank"><em><strong>Immunity</strong> </em></a>(10.1016/j.immuni.2013.08.025), el estudio refiere que las células madre de cáncer son resistentes a la quimioterapia actual y los tratamientos de radiación, por lo que los expertos entienden que la muerte de estas es crucial para la eliminación de la enfermedad.</p> <p>Los investigadores analizaron las células del tipo más común y letal de cáncer de ovario, una enfermedad en la que las pacientes a menudo se vuelven resistentes a la quimioterapia con la consiguiente reaparición de la dolencia.</p> <p>Señalan que si se pudiera identificar una terapia contra la función de estas células, sería posible eliminar la supresión inmune y el apoyo que ofrecen a la afección maligna.</p> <p>El cáncer es el crecimiento descontrolado de células anormales o malignas en el cuerpo que se multiplican de manera autónoma, invadiendo localmente y a distancia otros tejidos.</p> <p>Estudios previos refieren que se conocen más de 200 tipos diferentes de cáncer, los más frecuentes son los de piel, pulmón, mama y colorrectal.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1832371&Itemid=1" target="_blank"><strong>septiembre 6/2013 (PL)</strong> </a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Tracy X. Cui, Ilona Kryczek, Lili Zhao, Ende Zhao, Rork Kuick, Weiping Zou. <em><strong>Myeloid-Derived Suppressor Cells Enhance Stemness of Cancer Cells by Inducing MicroRNA101 and Suppressing the Corepressor CtBP2. Immunity</strong> </em>05 Sept 2013</p> </span>
2013-09-11T09:48:00-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/577
Prevención de las enfermedades crónicas: Ningún fármaco iguala los efectos del ejercicio físico
2013-09-11T09:20:27-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/ejercicios_y_salud2.jpg" alt="" />El ejercicio físico no sólo tiene un efecto protector sino también terapéutico sobre las patologías cardiovasculares, según una revisión de 50 estudios internacionales coordinada por Alejandro Lucía, catedrático de Fisiología del Ejercicio, del Centro de Excelencia de Investigación en Actividad Física y Deporte de la Universidad Europea de Madrid, que se publica en <a href="http://physiologyonline.physiology.org/content/28/5/330.abstract?sid=b6894789-ee74-48de-a2a7-3e3c2acbb34d" target="_blank"><em><strong>Physiology</strong></em></a> (doi:10.1152/physiol.00019.2013 ).</p> <p>Según ha explicado Lucía a DM, el equipo analizó los efectos preventivos y terapéuticos del ejercicio sobre la salud en comparación con los tratamientos indicados en patologías cardiovasculares y con el efecto protector de la polipíldora cardiaca. Frente a ésta ha demostrado tener un efecto similar en el caso de la hipertensión, pero lo que sí presenta la actividad física como ventaja añadida frente a la farmacopea es obtener un óptimo estado de salud, además de mejorar el peso corporal y el tono muscular, y asegurar una buena aptitud cardiorrespiratoria y una mayor longevidad.</p> <p>"Un aspecto muy importante de la revisión son los beneficios que se han demostrado respecto el ejercicio. Hemos demostrado que es preventivo y terapéutico en enfermedad cardiovascular, en algunos tipos de cáncer, así como en otras patologías. En la tercera edad, es el único remedio que existe contra la sarcopenia, y ayuda a prevenir las caídas. No hay ningún fármaco que tenga este efecto".</p> <p>Asimismo, Lucía afirma que el efecto benefactor del ejercicio va más allá de los factores de riesgo de patología cardiovascular tradicional. "Hasta un 40 % de los beneficios del ejercicio pueden originarse por factores que aún no se conocen. Estudiar la actividad física ayudará a conocer mejor la patofisiología de las enfermedades crónicas puesto que se sabe que el sedentarismo es un factor de riesgo para padecerlas".</p> <p>Dosis e intensidad</p> <p>Sin embargo, las enfermedades cardiovasculares siguen siendo la primera causa de muerte en el mundo y una de cada tres personas no hacen suficiente actividad física.</p> <p>Según Lucía, las recomendaciones actuales indican que es necesario realizar unos 30 minutos de actividad vigorosa al día, aunque los estudios más recientes apuntan a que el mínimo debería alcanzar los 450 minutos a la semana.</p> <p>"En cuanto a la capacidad aeróbica, es necesario tener un consumo máximo de oxígeno de por lo menos 8 METS. Estar por debajo de esta cifra es un factor de riesgo muy importante que no se mide en las consultas. Además, si se tiene una capacidad cardiorrespiratoria alta, el resto de factores de riesgo tradicionales se matizan un poco. Por ello, los médicos tendrían que prescribir ejercicio y cuanto más, mejor, ya que hay que tener en cuenta la relación dosis-respuesta" y que caminar tres horas al día produce más beneficios que hacerlo media hora. La cantidad también influye, y la literatura apunta a que cuanto más intenso sea el ejercicio, mejor para el que lo practica.</p> <p>De hecho, Lucía explica que, más que contraindicaciones, hay que tener precauciones, ya que los trabajos que ha realizado su equipo en niños con fibrosis quística han demostrado mejorar la supervivencia, y los programas con fortalecimientos de pesas en nonagenarios y en niños de 4 años con cáncer también han mostrado beneficios.</p> <p>Efectos del ejercicio frente a los fármacos</p> <p>Aunque en menor medida que los fármacos, la actividad física se asocia con una reducción en los niveles de hemoglobina glucosilada y de la reducción de episodios trombóticos, según las conclusiones de los estudios revisado por la Universidad Europea de Madrid. Por otro lado, la práctica regular causa una reducción de los niveles de triglicéridos, y el aeróbico reduce más la presión arterial en personas sanas y con hipertensión que la ingesta de un fármaco, pero similar o algo menor que la combinación con otros. Asimismo, el trabajo ha revisado los estudios que asocian el ejercicio con un beneficio sobre la disfunción autonómica, y sobre la producción de mioquinas y su modulación de la inflamación y la regulación del metabolismo. Además, estimula la migración de células angiogénicas circulantes y la liberación en la sangre de células madre mesenquimales. Asimismo, la evidencia científica sugiere que la práctica intensa de ejercicio genera radicales libres que pueden producir adaptaciones como una mayor respuesta autoxidante del músculo.<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/2013/09/09/area-profesional/entorno/ningun-farmaco-iguala-efectos-ejercicio-fisico" target="_blank"><strong>septiembre 9/2013 (Diario Médico)</strong> </a></p> <p>Carmen Fiuza-Luces, Nuria Garatachea, Nathan A. Berger, Alejandro Lucia. <em><strong>Exercise is the Real Polypill Physiology</strong></em>. Sept 2013 28:330-358</p> </span>
2013-09-11T09:20:27-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/576
Ciencia y Tecnología: Descubren proteína que aumenta la longevidad
2013-09-11T08:57:33-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un estudio dado a conocer en<a href="http://www.cell.com/cell-metabolism/abstract/S1550-4131%2813%2900333-1" target="_blank"><em><strong> Cell Metabolism</strong> </em></a>(10.1016/j.cmet.2013.07.013) ha identificado el mecanismo cerebral mediante el cual una proteína llamada SIRT1 retrasa el envejecimiento y aumenta la longevidad. Ambos efectos se asocian también con una dieta baja en calorías, según exponen los autores, de la Escuela de Medicina de la Universidad de Washington (EE UU).</p> <p>En concreto, el trabajo revela que la sirtuina SIRT1 en ratones promueve la actividad neuronal en zonas muy específicas del hipotálamo del cerebro que desencadenan cambios físicos radicales en el músculo esquelético y aumentan el vigor, la energía y la longevidad.</p> <p>La consecuencia es que, si se le somete a una modificación genética que le hace producir en exceso la proteína SIRT1, un ratón de 12 meses de edad (el equivalente a 70 años en humanos) se muestra tan activo como correspondería a un roedor de tan solo 5 meses. Los ratones con dosis extra de SIRT1 también mostraron un aumento de la temperatura corporal, del consumo de oxígeno y de la actividad física nocturna en comparación con individuos de su misma edad.</p> <p>Asimismo, se observó un retraso en la muerte por cáncer en los ratones con exceso de SIRT1 frente a los roedores control. El perfil de la longevidad y la salud en estos animales parece ser el resultado de un retraso en el momento en que comienza el declive relacionado con la edad, y no un cambio en el ritmo de envejecimiento.</p> <p>Si se confirma que el efecto es el mismo en humanos, esta terapia génica podría añadir 13 o 14 años de vida en mujeres y 7 años en hombres.<br /> <a href="http://www.cubadebate.cu/noticias/2013/09/04/descubren-proteina-que-retrasa-la-longevidad/" target="_blank"><strong>septiembre 4/2013 (Cubadebate)</strong></a></p> <p>Akiko Satoh, Cynthia S. Brace, Nick Rensing, Paul Cliften, David F. Wozniak, Shin-ichiro Imai.<em><strong>Sirt1 Extends Life Span and Delays Aging in Mice through the Regulation of Nk2 Homeobox 1 in the DMH and LH p416.Cell Metabolism</strong></em>, Volume 18, Issue 3, 416-430, 3 Sept 2013</p> </span>
2013-09-11T08:57:33-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/575
Convocatoria: IX Congreso Internacional de Factores de Riesgo de ATEROSclerosis (FRATEROS-2014)
2013-09-05T22:23:24-04:00
Revista Finlay
<p><img title="frateros_2014_122" src="/public/site/images/mikhail/frateros_2014_122.jpg" alt="frateros_2014_122" width="121" height="54" />La Sociedad Cubana de Aterosclerosis (SOCUBAT) y el Centro de Investigaciones y Referencias de Aterosclerosis de la Habana (CIRAH), organizadores de la Carrera Certificativa de Investigación en Aterosclerosis (CC-IA), como responsables de la educación continuada de sus asociados, de su formación como investigadores, de la actualización y desarrollo del conocimiento científico sobre Aterosclerosis, sus Factores de Riesgo y sus Consecuencias Orgánicas organizan este “IX Congreso Internacional de <strong><em>F</em></strong>actores de <strong><em>R</em></strong>iesgo de <strong><em>ATEROS</em></strong>clerosis (FRATEROS-2014)”.</p> <p>En esta ocasión se cuenta con el aporte científico de muy alto nivel, cuando la Asociación Latinoamericana de Diabetes (ALAD), se une para ofrecer su importante “Curso Latinoamericano de Diabetes” como parte integral de este congreso.</p> <p>Además se cuenta con el auspicio y la colaboración de la Sociedad Latinoamericana de Aterosclerosis (SOLAT) y de la Sociedad Iberolatinoamericana de Aterosclerosis (SILAT).</p> <p>El congreso se desarrollará, del 12 al 15 de noviembre del 2014, en el Monumento Nacional, Hotel Habana Riviera de la Habana. Con mucho cariño y dedicación recibiremos a todos los que se interesen en asistir como delegados al evento, interesados en intercambiar conocimientos científicos y humanos con nuestro personal de la salud y en general con nuestro pueblo.</p> <p>La Habana, 10 de julio, 2013</p> <p>Prof. Dr.Cs. José Emilio Fernandez-Britto Rodríguez<br /> Presidente de la Comisión Organizadora</p><p> </p><p><a href="http://frateros2014.sld.cu/index.php/Frateros/2014/schedConf/overview" target="_blank">Buscar más información</a></p>
2013-09-05T22:23:24-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/574
Diabetes Mellitus: El consumo de fruta entera reduce la probabilidad de desarrollar diabetes tipo 2
2013-08-30T07:59:20-04:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/alimentaci%C3%B3n_saludable.jpg" alt="" />Comer más frutas, en especial arándanos, uvas y manzanas, se asocia con un menor riesgo de diabetes tipo 2, mientras que un mayor consumo de zumo tiene un efecto adverso, según sugiere un artículo publicado en <em>British Medical Journal.</em> Se recomienda incrementar el consumo de frutas para la prevención de muchas enfermedades crónicas, como la diabetes tipo 2, pero los estudios han generado algunos resultados mixtos.<br /> <br /> Investigadores de Reino Unido, Estados Unidos y Singapur se centraron en examinar la asociación entre el consumo de frutas en relación con el riesgo de diabetes tipo 2. En el estudio participaron 187.382 participantes, 36.173 hombres y 151.209 mujeres, que informaron de un diagnóstico de diabetes, pero sin enfermedades cardiovasculares o cáncer al inicio del estudio.<br /> <br /> En el estudio se usaron diez frutos individualmete: uvas o pasas, melocotones, ciruelas, albaricoques, plátanos, melones, manzanas, peras, naranjas, toronjas, fresas y arándanos. El zumo de fruta incluyó manzana, naranja, pomelo y otras. Los resultados mostraron que 12.198 de 187.382 (6,5 por ciento) participantes desarrollaron diabetes.<br /> <br /> Tres porciones por semana de arándanos, uvas y pasas, manzanas y peras reducen significativamente el riesgo de diabetes tipo 2. Por el contrario, un mayor consumo de zumo de fruta se asoció con un mayor riesgo de diabetes tipo 2.</p> <p>La sustitución de tres porciones por semana de zumo de frutas por frutas enteras individuales reduce el riesgo de diabetes tipo 2 en un 7 por ciento.</p> <br /><a href="http://www.bmj.com/content/347/bmj.f5001" target="_blank">BMJ 2013;347:f5001</a>
2013-08-30T07:59:20-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/573
Cáncer: Cáncer de cuello uterino, desatendido en países menos desarrollados
2013-08-29T22:03:16-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Es necesario que se amplíen los esfuerzos para mejorar la salud reproductiva de las mujeres, afirman los investigadores.</p> <p>La prevención, las pruebas y el tratamiento del cáncer de cuello uterino se dejan de lado en los países con ingresos bajos y medios, según revela un nuevo estudio.</p> <p>Esto contrasta con las reducciones sustanciales en las tasas de mortalidad y la mejora del acceso a la atención de la salud reproductiva en esos países en los últimos años, según los investigadores de la Universidad de California, en San Francisco.</p> <p>En el estudio, publicado en la revista <a href="http://www.plosmedicine.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pmed.1001499" target="_blank"><em><strong>PLoS Medicine</strong> </em></a>(doi:10.1371/journal.pmed.1001499), Ruby Singhrao y sus colaboradores también enfatizaron las razones por las que las pruebas y el tratamiento del cáncer de cuello uterino deberían incluirse en los esfuerzos por mejorar la salud reproductiva de las mujeres en los países con ingresos bajos y medios.</p> <p>Los investigadores afirmaron que la carga del cáncer de cuello uterino se reduce conforme aumenta la edad reproductiva de las mujeres y que el cáncer de cuello uterino está asociado con una capacidad de reproducción baja. También comentaron que las pruebas y el tratamiento del cáncer de cuello uterino pueden integrarse en otros servicios de salud y que la evidencia reciente indica que la vacuna contra el virus del papiloma humano (VPH) puede proteger a las chicas de sufrir lesiones precancerosas en el cuello uterino.</p> <p>"Afortunadamente, hoy en día disponemos de una gran variedad de opciones de prevención del cáncer de cuello uterino factibles, asequibles y efectivas, que hacen que las reducciones globales dramáticas de los casos de cáncer de cuello uterino sean un objetivo realista en nuestra vida", concluyó el equipo de Singhrao en un comunicado de prensa de la revista.<br /> <a href="http://consumer.healthday.com/espanol/Article.asp?AID=679246" target="_blank"><strong>agosto 13/2013 (HealthDay News)</strong></a></p> <p>Singhrao R, Huchko M, Yamey G. <em><strong>Reproductive and Maternal Health in the Post-2015 Era: Cervical Cancer Must Be a Priority. PLoS Med</strong> </em>10(8): e1001499. Agosto 13, 2013</p> </span>
2013-08-29T22:03:16-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/572
Enfermedad de Alzheimer: Controversia sobre papel del cobre en el mal de Alzheimer
2013-08-27T08:44:53-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La acumulación de cobre en los vasos sanguíneos contribuye a la enfermedad de Alzheimer, indicó un estudio realizado en Estados Unidos, desatando la controversia tras una investigación británica que señaló que ese nutriente evita la degeneración cerebral.</p> <p>"Está claro que con el tiempo, el efecto acumulativo del cobre afecta el sistema que permite eliminar del cerebro la proteína beta-amiloide", que es tóxica y tiene un papel clave en la enfermedad de Alzheimer, dijo Rashid Deane, del Centro Médico de Rochester (Nueva York, noreste de Estados Unidos), autora principal del estudio.</p> <p>"Este disfuncionalidad es uno de los factores ambientales clave que provoca la acumulación de esta proteína en el cerebro, donde forma las placas características de la enfermedad de Alzheimer", agregó la científica, que hizo sus estudios en ratones y células cerebrales humanas.</p> <p>La investigación fue publicada en las Actas de la Academia Nacional de Ciencias<a href="http://www.pnas.org/content/early/2013/08/14/1302212110.abstract" target="_blank"><em><strong> (PNAS)</strong></em> </a>( doi:10.1073/pnas.1302212110 ).</p> <p>Estos resultados parecen contradecir a los de investigadores británicos de la Universidad de Keele, Reino Unido, publicados en la revista Nature en febrero.</p> <p>"La cantidad de cobre en el cerebro de las personas mayores, especialmente en aquellos con enfermedad de Alzheimer, es menor que en los sujetos normales", dijo a la AFP el investigador Christopher Exley.</p> <p>"Las investigaciones, incluyendo la nuestra, demuestran que el cobre previene la formación de placas beta-amiloides", añadió, señalando haber estudiado 60 cerebros humanos de personas muertas con alzhéimer u otra patología similar.</p> <p>Ante esto, la doctora Deane aclaró que los dos estudios no se centran en los mismos mecanismos y que "el problema es de todas formas complejo".</p> <p>La investigación británica concluyó que el cobre prevendría la enfermedad de Alzheimer porque los cerebros de las personas encuestadas tenían niveles más bajos del metal que lo normal, pero esto no es concluyente, dijo Deane.</p> <p>Tuberías de cobre</p> <p>Deane explicó que su trabajo se centró en los vasos sanguíneos cerebrales donde la acumulación de cobre, un poderoso oxidante, afecta con la edad el mecanismo para evitar que las toxinas entren en el cerebro y eliminen las beta-amiloides antes de que formen placas seniles.</p> <p>La investigadora subrayó que "estas placas en los enfermos de Alzheimer también tienen niveles elevados de cobre", como se ha demostrado en otros estudios.</p> <p>Según George J. Brewer, profesor retirado de la Universidad de Michigan (norte de Estados Unidos), "el trabajo de Deane ayuda a aclarar el papel del cobre como un factor importante de toxicidad cerebral observado con la enfermedad de Alzheimer".</p> <p>Los estudios de Deane muestran, según Brewer, "la relación entre la epidemia de la enfermedad de Alzheimer en los países industrializados y el uso de tuberías de cobre".</p> <p>Señaló que el cobre de la dieta, que es orgánico, es esencial para la salud y no causa ningún daño al cuerpo, mientras que el cobre inorgánico encontrado en el agua del grifo es venenoso.</p> <p>El cobre orgánico es esencial para la conducción nerviosa, el crecimiento óseo y la secreción hormonal, señalan los investigadores.</p> <p>En su investigación, Deane inyectó por tres meses a los ratones dosis de cobre correspondientes a las cantidades del metal absorbido normalmente por los seres humanos al consumir agua del grifo.</p> <p>Los investigadores encontraron que el cobre llegó rápidamente al torrente sanguíneo y se acumuló en las células que forman las paredes de los capilares que irrigan el cerebro.</p> <p>Estas células son elementos esenciales del sistema de defensa del cerebro y regulan el paso de moléculas desde y hacia el cerebro en el torrente sanguíneo.</p> <p>El equipo de Deane también observó que el cobre estimula la actividad de las neuronas, lo que aumenta la producción de beta-amiloides.<br /> agosto 19/2013 (AFP) -</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Singh I, Sagare AP, Coma M, Perlmutter D, Gelein R, Deane R<em><strong>.Low levels of copper disrupt brain amyloid-? homeostasis by altering its production and clearance.Proc Natl Acad Sci U S A</strong></em>. 2013 Ago 19</p> </span>
2013-08-27T08:44:53-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/571
Ciencia y Tecnología: Tratamiento con nanopartículas podría enfrentar al cáncer
2013-08-27T07:47:01-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/nanotubos.gif" alt="" />Un equipo de especialistas estadounidenses descubrieron una técnica que utiliza nanopartículas (partículas microscópicas) para que el organismo elimine los tumores.</p> <p>Investigadores del laboratorio de nanoterapia de la Universidad de Georgia idearon un sistema que probó ser efectivo contra las células responsables de algunos tipos de cáncer de mama.</p> <p>Según los científicos, el método consiste en un compuesto de nanopartículas que penetra en las células cancerosas y se aloja en la mitocondria, publicó el portal científico Phys.org.</p> <p>Los expertos refieren que cuando el compuesto se encuentra dentro del organismo, un láser con una longitud de onda capaz de atravesar los tejidos activa las nanopartículas, las cuales destruyen la fuente de energía de las células cancerosas.</p> <p>Para los especialistas, la principal innovación de esta técnica consiste en que las células muertas se vuelven visibles para las defensas del cuerpo y por tanto, el sistema inmunológico las reconoce automáticamente como intrusos y las ataca.</p> <p>De esta manera, lo que este método pretende es que las defensas naturales del organismo eliminen las células cancerosas.</p> <p>Por otro lado, los investigadores refieren que es preciso realizar más pruebas en seres vivos y contra otros tipos de cáncer; sin embargo, los resultados son prometedores especialmente en pacientes con tumores muy extendidos, a los que se podría tratar de manera menos agresiva.</p> <p>Una investigación previa de la revista especializada <em><strong>Nano Letters</strong> </em>dio a conocer que un equipo científico del Consejo Superior de Investigaciones Científicas de España y el Instituto Italiano de Tecnología desarrolló un método para medir y controlar la temperatura en el entorno de nanopartículas magnéticas.</p> <p>Según el estudio, este sistema podría usarse en el futuro para liberar fármacos de manera controlada dentro del organismo.</p> <p>El trabajo figura dentro del proyecto europeo Magnifyco, el cual estudia el uso de nanopartículas magnéticas para el diagnóstico y terapia de tumores.</p> <p>En la actualidad, las nanopartículas son un área de intensa investigación científica debido a una amplia variedad de aplicaciones potenciales en los campos de biomédicos, ópticos y electrónicos.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1779921&Itemid=1" target="_blank"><strong>agosto 19/2013 (PL) </strong></a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Shanta Dhar. <em><strong>Ex Vivo Programming of Dendritic Cells by Mitochondria-Targeted Nanoparticles to Produce Interferon-Gamma for Cancer Immunotherapy.<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23899410" target="_blank">ACS Nano</a></strong></em>.Jul 30, 2013.DOI: 10.1021/nn403158n</p> </span>
2013-08-27T07:47:01-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/570
Envejecimiento: La privación de sueño está vinculada el envejecimiento de la piel
2013-08-26T20:47:51-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>En un primer estudio clínico de su clase, médicos científicos de University Hospitals (UH) Case Medical Center descubrieron que la calidad del sueño tiene una repercusión en la función y el envejecimiento de la piel.</p> <p>El estudio recién concluido, comisionado por Estée Lauder, demostró que quienes tenían deficiencia de sueño mostraban más signos de envejecimiento de la piel y un restablecimiento más lento tras diversos factores ambientales estresantes, como la solución de continuidad de la barrera de la piel o la radiación ultravioleta (UV). Las personas con deficiencia del sueño también tuvieron una peor evaluación de su propia piel y aspecto facial.</p> <p>El equipo de investigación, dirigido por la investigadora principal Dra. Elma Baron, presentó sus datos esta primavera en el Congreso Internacional de Investigación en Dermatología en Edimburgo, Escocia, en un resumen titulado "Efectos de la Calidad de Sueño sobre el Envejecimiento y la Función de la Piel".</p> <p>"Nuestro estudio es el primero en demostrar de manera definitiva que el sueño inadecuado se correlaciona con una reducción de la salud de la piel y acelera el envejecimiento de la piel. Las mujeres con privación del sueño muestran signos de envejecimiento prematuro de la piel y una disminución de la capacidad de su piel para restablecerse después de la exposición a la luz solar" dijo la Dra. Baron, Directora del Centro de Estudio de la Piel en el UH Case Medical Center y Profesora Asociada de Dermatología en la Escuela de Medicina de la Universidad Case Western Reserve. "El sueño insuficiente se ha convertido en una epidemia a nivel mundial. Aunque la privación crónica del sueño se ha vinculado a problemas médicos como obesidad, diabetes, cáncer y deficiencia inmunitaria, previamente se desconocían sus efectos sobre la función de la piel".</p> <p>Las funciones de la piel son una barrera importante contra los factores externos estresantes como las toxinas ambientales y el daño al ADN provocado por el sol. El equipo de investigadores también determinó si la calidad del sueño tenía una influencia negativa en la función y el aspecto de la piel, lo cual es decisivo para el desarrollo y la renovación de los sistemas inmunitarios y fisiológicos del cuerpo.</p> <p>En el estudio participaron 60 mujeres premenopáusicas de entre 30 y 49 años de edad y la mitad de ellas tenía una calidad de sueño deficiente. Se efectuó la clasificación en base a la duración promedio del sueño y el Índice de Calidad del Sueño de Pittsburgh, una valoración basada en un cuestionario estándar sobre la calidad del sueño. El estudio consistió en una valoración visual de la piel y la participación en varias pruebas de estímulo no penetrante de la piel como la exposición a la luz UV y la alteración de la barrera de la piel. Así mismo, las participantes llenaron un registro de sueño durante una semana para cuantificar la duración del mismo.</p> <p>Los investigadores descubrieron diferencias estadísticamente significativas entre quienes tenían una calidad de sueño satisfactoria y quienes tenían un sueño deficiente. Utilizando el sistema de calificación del envejecimiento de la piel SCINEXA, quienes tenían una calidad deficiente del sueño mostraron un aumento en los signos de envejecimiento intrínseco de la piel lo que comprendía líneas finas, pigmentación irregular y falta de flexibilidad de la piel así como reducción de la elasticidad. En este sistema, un puntaje más alto significa un aspecto más envejecido. El puntaje promedio en las personas con una buena calidad de sueño fue 2,2 frente a 4,4 en las personas con una mala calidad de sueño. No descubrieron diferencias importantes entre los grupos en cuanto a los signos de envejecimiento extrínseco, los cuales se atribuyeron principalmente a la exposición a la luz solar, tales como arrugas gruesas y pecas por quemadura solar.</p> <p>Los investigadores descubrieron que quienes tenían una buena calidad de sueño se restablecían con más eficiencia de los factores estresantes de la piel. El restablecimiento tras la quemadura solar fue más lento en quienes tenían una mala calidad de sueño, de manera que el eritema (enrojecimiento) persistía por más de 72 horas, lo que indica que la inflamación se resolvía con menos eficiencia. Se utilizó una prueba de pérdida de Agua Transepidérmica (TEWL por sus siglas en inglés) en diversos momentos de valoración para determinar la capacidad de la piel como barrera eficaz contra la pérdida de la humedad. En las mediciones realizadas 72 horas después de un factor estresante para la barrera de la piel (remoción de una cinta), el restablecimiento de quienes tenían una buena calidad de sueño fue 30% más alto que quienes tenían una mala calidad de sueño (14% frente a -6%), lo que demuestra que reparaban el daño con más rapidez.</p> <p>Así mismo, quienes tenían una mala calidad del sueño tuvieron significativamente más probabilidades de presentar un índice de masa corporal (BMI) más alto. Por ejemplo, 23% de las personas con buena calidad de sueño eran obesas en comparación con 44% de quienes tenían una mala calidad de sueño. No es sorprendente que la autopercepción del atractivo fuese significativamente mejor en quienes tenían una buena calidad de sueño (puntaje medio de 21 en la autoevaluación) frente a las que tenían mala calidad del sueño (puntaje medio de 18).</p> <p>"Esta investigación muestra por primera vez que la mala calidad del sueño puede acelerar los signos de envejecimiento de la piel y debilitar la capacidad de la piel para repararse a sí mismo por la noche", dijo el Dr. Daniel Yarosh, Vicepresidente de Investigación de Ciencias Básicas, Investigación y Desarrollo, en Estée Lauder. "Estas relaciones entre el sueño y el envejecimiento de la piel, ahora respaldadas con datos científicos sólidos tendrán un importante efecto sobre la forma en que estudiamos la piel y sus funciones. Vemos estos hallazgos como otra forma en que podemos dirigir nuestra investigación científica hacia las verdaderas necesidades de nuestros clientes que quieren verse y sentirse lo mejor posible".<br /> <a href="http://www.medcenter.com/Medscape/content.aspx?bpid=210&id=85508" target="_blank"><strong>agosto 14/2013 (Medcenter News)</strong></a></p> </span>
2013-08-26T20:47:51-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/569
Factores de riesgo cardiovascular: Nuevas evidencias de daños por consumir azúcares
2013-08-23T09:52:59-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Científicos de la universidad estadounidense de UTA encontraron nuevas evidencias que relacionan al consumo de azúcar con una mayor mortalidad y menos fecundidad.</p> <p>La revista especializada<a href="http://www.nature.com/ncomms/2013/130813/ncomms3245/full/ncomms3245.html" target="_blank"><em><strong> Nature Communications</strong></em></a> (doi:10.1038/ncomms3245) publicó un estudio del biólogo James Ruff, quien constató en ratones que el consumo de azúcar en cantidades consideradas seguras también afecta la salud.</p> <p>"El trabajo demuestra los efectos adversos del azúcar añadido en niveles relevantes para el humano", afirmó a su vez el doctor Wayne Potts, otro de los investigadores.</p> <p>Los nuevos test mostraron que una dieta con un 25 % de azúcar añadida (mitad dextrosa, mitad glucosa), dañó incluso a ratones poco obesos y sin alteraciones metabolicas.</p> <p>El estudio se llevó a cabo en recintos denominados "graneros", con una superficie de 377 metros cuadrados y muros de tres metros de altura que simulaban el habitat real y competitivo de los roedores.</p> <p>Desde su semana 26 de vida, los ratones recibieron una dieta con el 25 % de las calorías procedentes de azúcares añadidos, el equivalente al consumo diario de una persona normal.</p> <p>A las 32 semanas el 35 % de las hembras alimentadas con una cantidad extra de azúcar habían muerto, el doble que un grupo control que recibió una comida a base de almidón de maíz.</p> <p>Sin embargo, no encontraron ninguna variación en la mortalidad de los machos, pero eran menos competitivos y tuvieron una tasa de descendencia un 25 % menor.</p> <p>Según el experto, hasta ahora no existía un test funcional, amplio y sensible para escanear las potenciales sustancias tóxicas en el entorno o en los fármacos y alimentos tradicionales.</p> <p>El consumo de azúcar se ha triplicado desde el pasado medio siglo en Estados Unidos, sobre todo el procedente del jarabe de maíz, para endulzar bebidas, salsas y otros productos industriales.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1765191&Itemid=1" target="_blank"><strong>agosto 14/2013 (PL)</strong> </a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>James S. Ruff, Amanda K. Suchy, Sara A. Hugentobler, Mirtha M. Sosa, Bradley L. Schwartz, Linda C. Morrison.<em><strong>Human-relevant levels of added sugar consumption increase female mortality and lower male fitness in mice. Nature Communications</strong></em>.Volume: 4, Article number: 2245.13 Ago 2013</p> </span>
2013-08-23T09:52:59-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/568
Enfermedad de Alzheimer: Demuestran beneficios del chocolate para la memoria en ancianos
2013-08-16T16:30:48-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El consumo de cacao en ancianos favorece la llegada de sangre al cerebro, lo cual mejora sus capacidades mentales, señaló un estudio de la Universidad Médica de Harvard.</p> <p>El equipo tomó como muestra un grupo de 60 personas de 73 años de edad promedio a quienes ofrecieron dos tazas diarias de chocolate durante un mes, tras el cual se les registró ciertas mejorías en sus funciones cerebrales.</p> <p>Los estudiosos notaron que 18 de esos pacientes con problemas de circulación sanguínea antes del estudio, mejoraron en un ocho por ciento los fluidos sanguíneos hacia diferentes zonas de la mente y, en consecuencia, su destreza.</p> <p>Estamos aprendiendo más sobre la circulación de sangre en cerebro y sus efectos en las habilidades de razonamiento, dijo el responsable principal del trabajo, Farzaneh A Sorond, también miembro de la Academia Estadounidense de Neurología, cuya revista científica publicó el estudio.</p> <p>El acoplamiento neurovascular, vínculo entre el cerebro y la sangre que se bombea hasta él, juega un papel importante en enfermedades como el Alzheimer, por lo que resulta necesario continuar con estos análisis, añadió.</p> <p>Aunque los resultados son alentadores, la comunidad científica considera que se necesitan pesquisas más profundas para vincular los beneficios de la cocoa con la circulación de sangre y la pérdida de memoria en la tercera edad.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1746741&Itemid=1" target="_blank"><strong>agosto 8/2013 (PL)</strong> </a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Farzaneh A. Sorond, Shelley Hurwitz, David H. Salat, Douglas N. Greve, Naomi D.L. Fisher.<em><strong>Neurovascular coupling, cerebral white matter integrity, and response to cocoa in older people.<a href="http://www.neurology.org/content/early/2013/08/07/WNL.0b013e3182a351aa.abstract?sid=64f1ed43-d9df-4ebb-ab29-5880443727b1" target="_blank">Neurology</a></strong></em>. 2013 Ago 7. doi: 10.1212/WNL.0b013e3182a351aa</p> </span>
2013-08-16T16:30:48-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/567
Factores de riesgo cardiovascular: La dieta mediterránea contrarresta el riesgo genético de accidente cerebrovascular
2013-08-15T07:46:01-04:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/alimentacion-sana[1].jpg" alt="" />Una variante de un gen asociada a la diabetes tipo 2 parece interactuar con un patrón de la dieta mediterránea para prevenir derrames cerebrales, según concluyen investigadores del Centro Jean Mayer USDA de Investigación en Nutrición Humana en el Envejecimiento (USDA HNRCA, en sus siglas en inglés) en la Universidad de Tufts, en Somerville, Massachusetts, Estados Unidos, y del Centro de Investigación Biomédica en Red (CIBER) sobre Fisiopatología de la Obesidad y Nutrición en España.<br /> <br /> Sus resultados, publicados este martes en la edición online de la revista <em>Diabetes Care,</em> son un avance significativo para la nutrigenómica, el estudio de los vínculos entre la nutrición y la función de los genes y su impacto en la salud humana, en particular en el riesgo de la enfermedad crónica.<br /> <br /> Los investigadores se propusieron analizar si la genética contribuye a los beneficios cardiovasculares observados en el ensayo Prevención con la Dieta Mediterránea (PREDIMED). El estudio, aleatorizado y controlado, incluyó a más de 7.000 hombres y mujeres, a los que se asignó una dieta mediterránea o una dieta controlada baja en grasa y fueron supervisados en relación con enfermedad cardiovascular, accidente cerebrovascular y ataque cardiaco durante casi cinco años.<br /> <br /> "Nuestro trabajo es el primero en identificar una interacción gen-dieta que afecta al ictus en un estudio de intervención nutricional llevado a cabo durante varios años en miles de hombres y mujeres", dijo el autor principal, José M. Ordovás, director del el Laboratorio de Nutrición y Genómica del USDA HNRCA, en la Universidad Tufts.<br /> <br /> "El diseño del estudio PREDIMED nos proporciona resultados más sólidos que nunca. Con la capacidad de analizar la relación entre la dieta, la genética y los eventos cardiacos potencialmente mortales, podemos empezar a pensar seriamente en el desarrollo de pruebas genéticas para identificar a las personas que pueden reducir su riesgo de enfermedades crónicas, o incluso prevenirlo, haciendo cambios significativos a la forma de comer", añade.<br /> <br /> Ordovás y la autora Dolores Corella, del CIBER de Fisiopatología de la Obesidad y Nutrición, se centraron en una variante en el factor de transcripción 7-Like 2 (TCF7L2), implicado en el metabolismo de la glucosa pero cuya relación con el riesgo de enfermedad cardiovascular es incierta. Alrededor del 14% de los participantes en PREDIMED eran portadores de homocigotos, lo que significa que llevan dos copias de la variante genética y tenían un mayor riesgo de enfermedad.<br /> <br /> "Seguir la dieta mediterránea reduce el número de accidentes cerebrovasculares en personas con dos copias de la variante. Los alimentos que comieron parecieron eliminar cualquier aumento de la susceptibilidad, poniéndolos en igualdad de condiciones con las personas con una o ninguna copia de la variante", explica Ordovás, quien también es profesor en la Escuela Friedman de Nutrición y Ciencias Políticas en la Universidad de Tufts.</p> <p><strong>Aceite de oliva, pescado, hidratos de carbono complejos y nueces</strong><br /> <br /> "Los resultados fueron muy diferentes en el grupo de control que seguía una dieta baja en grasa, donde por los homocigotos que portaban, tenían casi tres veces más probabilidades de sufrir un derrame cerebral en comparación con las personas con una o ninguna copia de la variante del gen", destaca este investigador.<br /> <br /> La dieta mediterránea incluye aceite de oliva, pescado, hidratos de carbono complejos y nueces. Para saber hasta qué punto los participantes en PREDIMED se adhirieron a la dieta mediterránea antes del estudio, los autores les realizaron cuestionarios de frecuencia alimentaria. "Una vez más, hemos visto que la dieta mediterránea parece compensar la influencia genética", dijo Corella, quien también es científica de la Unidad de Epidemiología Genética y Molecular de la Universidad de Valencia.<br /> <br /> "Si la adherencia a la dieta era alta, tener dos copias de la variante del gen no tuvo una influencia significativa en los niveles de glucosa en ayunas. Lo mismo puede decirse de las tres medidas comunes de riesgo de enfermedad cardiovascular: el colesterol total en sangre, las lipoproteínas de baja densidad y los triglicéridos. Por el contrario, estos factores de riesgo fueron considerablemente mayores en los portadores de homocigotos con baja adherencia a la dieta", subraya esta experta.<br /> <br /> Los resultados del estudio no se modificaron significativamente mediante el ajuste de las variables que podrían haber afectado los resultados, incluyendo diabetes tipo 2, tipos de índice de masa corporal (IMC) y medicamentos para el corazón y la diabetes. Por ello, los autores señalan que se necesitan más estudios para determinar qué mecanismos pueden estar involucrados en la interacción que observaron y tienen la intención de continuar para extraer los datos de PREDIMED para otras interacciones de la dieta en los genes que pueden estar asociados con un accidente cerebrovascular, así como los ataques al corazón.</p> <br /><br /><a href="http://care.diabetesjournals.org/content/early/2013/08/06/dc13-0955.abstract?sid=afda495b-c077-4871-8c16-2da5fdd401cf" target="_blank">Diabetes Care (2013); doi: 10.2337/dc13-0955 </a> <form> </form>
2013-08-15T07:46:01-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/566
Alcoholismo: El alcoholismo está ligado al sistema de dopamina del cerebro hiperactivo
2013-08-13T11:26:17-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/Alcohol.JPG" alt="" />Investigadores de la Universidad McGill, en Canadá, sugieren que las personas que son vulnerables a desarrollar alcoholismo exhiben una respuesta cerebral distintiva al beber alcohol. Los resultados han sido publicados en<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23919483" target="_blank"><em><strong> Alcholism: Clinical & Experimental Research</strong></em></a> (DOI: 10.1111/acer.12218).</p> <p>Las personas con alto riesgo de alcholismo demostraron una alta respuesta dopaminérgica en una vía del cerebro que aumenta el deseo por las recompensas. Estos hallazgos podrían ayudar a entender por qué algunas personas tienen mayor riesgo de padecer alcoholismo.</p> <p>Para llevar a cabo el estudio, los investigadores reclutaron a 26 bebedores sociales saludables (18 hombres y 8 mujeres), de edades comprendidas entre los 18 y los 30 años. Los sujetos de alto riesgo fueron identificados posteriormente, basándose en rasgos de su personalidad y en la menor respuesta de intoxicación por alcohol.<br /> Finalmente, cada participante experimentó dos exámenes de tomografía emisión de positrones (PET) después de beber alcohol, aproximadamente 3 bebidas en 15 minutos.</p> <p>El autor del estudio, Marco Leyton ha dicho que "las personas vulnerables a desarrollar alcoholismo experimentaron una respuesta dopaminérgica grande e inusual al beber alcohol. Por otro lado, las personas que experimentaron la liberación de dopamina mínima cuando bebieron sufrieron los efectos sedativos del alcohol de manera muy pronunciada".<br /> <a href="http://neurologia.diariomedico.com/2013/08/05/area-cientifica/especialidades/neurologia/alcoholismo-ligado-sistema-dopamina-cerebro-hiperactivo" target="_blank"><strong>agosto 5/2013 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Elaine Setiawan, Robert O. Pihl, Alain Dagher, Hera Schlagintweit, Kevin F. Casey, Chawki Benkelfat, Marco Leyton.<em><strong>Differential Striatal Dopamine Responses Following Oral Alcohol in Individuals at Varying Risk for Dependence.Alcholism: Clinical & Experimental Research</strong></em>. 6 ago 2013</p> </span>
2013-08-13T11:26:17-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/565
Medicamentos: Algunos antihipertensivos aumentan riesgo de cáncer de mama
2013-08-13T11:07:32-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/medicamentos1.jpg" alt="" />Las mujeres posmenopáusicas que tomaron algunos medicamentos para la hipertensión durante 10 años o más enfrentan un riesgo más de dos veces mayor de desarrollar cáncer de mama, dijeron el lunes investigadores estadounidenses.</p> <p>Las mujeres que tomaban fármacos bloqueadores de los canales de calcio (BCC) contra la presión arterial alta presentaron 2,4 a 2,6 más riesgo de desarrollar cáncer de mama que las mujeres que no tomaban ese tipo de medicación, señaló la investigación publicada en la revista <a href="http://archinte.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1723871" target="_blank"><em><strong>Journal of the American Medical Association (JAMA).</strong></em></a><br /> (doi: 10.1001/jamainternmed.2013.9069.).</p> <p>Los expertos dijeron que los hallazgos podrían tener importantes implicaciones para la salud pública.</p> <p>"Aunque algunos estudios han sugerido una relación positiva entre la toma de BCC y el riesgo de cáncer de mama, éste es el primer estudio en observar que el consumo a largo plazo de estos bloqueadores en particular, está asociado con el riesgo de cáncer de mama", dijo el estudio.</p> <p>Los BBC, también conocidos como antagonistas del calcio, fueron el noveno fármaco más recetado en Estados Unidos en 2009, con más de 90 millones de recetas, según JAMA.</p> <p>Los ejemplos incluyen amlodipina, diltiazem, felodipina, isradipina, nicardipina, nifedipina, nisoldipina y verapamilo.</p> <p>Estos fármacos evitan que el calcio se acumule entre en los músculos del corazón y las arterias, y pueden ensanchar los vasos sanguíneos y disminuir la frecuencia cardíaca.</p> <p>"Otros medicamentos antihipertensivos - diuréticos, betabloqueadores y antagonistas de los receptores de la angiotensina II (ARA-II) - no se asociaron con un mayor riesgo de cáncer de mama", indicó el estudio de JAMA.</p> <p>Los investigadores examinaron el riesgo de cáncer de mama en una población de mujeres de 55 a 74 años en el estado de Washington (noroeste). Un total de 880 desarrolló cáncer de mama ductal invasivo, 1027 cáncer de mama lobular invasivo y 856 no padecían cáncer y sirvieron como grupo de control.</p> <p>Los científicos hallaron que la toma de BCC durante 10 o más años se asociaba con probabilidades 2,4 veces mayores de padecer cáncer de mama ductal y 2,6 veces mayores de sufrir cáncer de mama lobular.</p> <p>"Si el aumento de dos a tres veces mayor del riesgo encontrado en este estudio se confirma, la toma de BCC a largo plazo sería uno de los principales factores de riesgo modificables para el cáncer de mama", escribió en un editorial en JAMA Patricia Coogan, epidemióloga principal en el Centro de Epidemiología Slone en la Universidad de Boston.</p> <p>El cáncer de mama es el cáncer más común en mujeres en todo el mundo. Según el Instituto Nacional del Cáncer de Estados Unidos, una de cada ocho mujeres nacidas hoy desarrollará cáncer de mama durante su vida.<br /> agosto 5/2013 (AFP) -</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Christopher I. Li, Janet R. Daling, Mei-Tzu C. Tang,Kara L. Haugen,Peggy L. Porter, Kathleen E. Malone.<em><strong>Use of Antihypertensive Medications and Breast Cancer Risk Among Women Aged 55 to 74 Years.JAMA Intern Med</strong></em>. 2013</p> </span>
2013-08-13T11:07:32-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/564
Ciencia y Tecnología: Crean tecnología para detectar mutaciones en el ADN
2013-08-03T07:09:25-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/mutaciones.JPG" alt="" />Un equipo de investigadores estadounidenses desarrolló un método que puede analizar un segmento específico de ADN y determinar una mutación en este, que ayudaría a diagnosticar y tratar enfermedades como el cáncer y la tuberculosis.</p> <p>Tal estudio, publicado en la revista londinense <a href="http://www.nature.com/nchem/journal/vaop/ncurrent/full/nchem.1713.html" target="_blank"><em><strong>Nature Chemistry</strong> </em></a>(doi:10.1038/nchem.1713), refiere que este procedimiento soporta cambios de temperatura y otras variables ambientales, por lo que es muy adecuado para diagnósticos en entornos de bajos recursos.</p> <p>El ADN es un tipo de ácido nucleico, la molécula biológica que da a todos los seres vivos sus firmas genéticas únicas. Tiene una doble cadena conocida como doble hélice en la que actúan pares de unión base y se codifica la información genética.</p> <p>Los expertos diseñaron sondas que permiten el análisis con más detalles de las posibles mutaciones. Esos cambios pueden constituir la raíz de una enfermedad o la razón de algunas patologías infecciosas resistentes a ciertos antibióticos.</p> <p>Es sabido que la tuberculosis tiene cepas resistentes a los medicamentos, como los antibióticos. Esa resistencia se debe a un pequeño número de mutaciones en un gen específico.</p> <p>Con este nuevo método, los especialistas tienen la capacidad de comprobar preventivamente esta mutación.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1714851&Itemid=1" target="_blank"><strong>julio 29/2013 (PL)</strong> </a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Sherry Xi Chen, David Yu Zhang, Georg Seelig.<em><strong>Conditionally fluorescent molecular probes for detecting single base changes in double-stranded DNA</strong></em>.<em>Nature Chemistry</em> .28 Jul 2013</p> </span>
2013-08-03T07:09:25-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/563
Medicamentos: los inhibidores de la Enzima Convertidora de Angiotensina (iECA) podrían mejorar la condición del cerebro.
2013-08-03T06:58:43-04:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/medicamentos2.jpg" alt="" />Según el estudio, los inhibidores de la Enzima Convertidora de Angiotensina (iECA) podrían mejorar la condición del cerebro.</p> <p>Los medicamentos denominados (iECA) reducen la tasa de deterioro cognitivo típico de la demencia, señaló una publicación de la revista científica <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Effects+of+centrally+acting+ACE+inhibitors+on+the+rate+of+cognitive+decline+in+dementia" target="_blank"><strong><em>BMJ Open</em></strong></a> (doi: 10.1136/bmjopen-2013-002881).</p><span class="textonormal"><p>Los científicos británicos compararon las tasas de declive cognitivo en 361 pacientes con edad media de 77 años. De ellos el 85 % ya tomaba el mencionado fármaco mientras el resto no.</p> <p>En la investigación los autores evaluaron durante los primeros seis meses de tratamiento el efecto de los inhibidores de la ECA en el cerebro de otros 30 pacientes, a los cuales prescribieron estos medicamentos.</p> <p>Quienes ingerían la medicina experimentaron tasas más lentas de declive cognitivo, en contraste con las personas que no lo hacían.</p> <p>De igual forma, el poder del cerebro de los pacientes prescritos mejoró durante un periodo de seis meses, en comparación con quienes los tomaban anteriormente y los que no tenían tratamiento.</p> <p>Para los investigadores, esta es la primera evidencia de que la presión arterial baja con medicación puede frenar el deterioro cognitivo y mejorar la capacidad cerebral.</p> <p>De acuerdo con la publicación ello podría deberse a que los pacientes se adhirieron más a su régimen de medicación, a un eficiente control de la presión arterial o a la mejora del flujo de sangre al cerebro.</p> <p>Sin embargo, los especialistas opinan que aunque otros estudios confirmen la funcionabilidad del medicamento, estos solo podrán beneficiar a determinados grupos de pacientes, pues para algunos podrían resultar perjudiciales.</p> <p>Las sustancias inhibidoras de la Enzima Convertidora de Angiotensina (ECA) se descubrieron por primera vez en venenos de serpientes. Entre los fármacos más utilizados en este tipo de tratamientos están el captopril, enalapril, lisinopril y ramipril, de los más vendidos en el mundo.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1715331&Itemid=1" target="_blank"><strong>julio 29/2013 (PL)</strong> </a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Y. Gao, R. O'Caoimh, L. Healy, D. M. Kerins, J. Eustace, G. Guyatt. <em><strong>Effects of centrally acting ACE inhibitors on the rate of cognitive decline in dementia.</strong> BMJ Open</em>. 2013 Jul 25;3(7)</p></span>
2013-08-03T06:58:43-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/562
Cáncer: Gran Bretaña ha logrado prácticamente derrotar el cáncer testicular
2013-08-02T07:27:52-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/c%C3%A1ncer_testicular1.jpg" alt="" />Gran Bretaña ha logrado prácticamente derrotar el cáncer testicular tras una importante mejora en los tratamientos de prevención y post-diagnóstico, según informó el grupo benéfico Cancer Research UK.</p> <p>De acuerdo a la entidad, que también financia investigaciones científicas en el país, casi todos los hombres diagnosticados en el Reino Unido con esa enfermedad sobreviven al cáncer.</p> <p>Las tasas de supervivencia de diez años se dispararon en casi un 30% en los últimos 40 años, agregó Cancer Research UK.</p> <p>Al menos el 96% de los hombres tratados por esa enfermedad siguen vivos hoy diez años después de haber sido diagnosticados con cáncer testicular, comparado con menos del 70% en los años 70.</p> <p>Aunque existe una pequeña posibilidad de reaparición del tumor luego de la década, los médicos consideran a los pacientes como efectivamente curados.</p> <p>Cada año son diagnosticados cerca de 2300 nuevos casos de cáncer testicular en Gran Bretaña.</p> <p>Y a diferencia de otros tipos de cáncer, la enfermedad afecta a personas relativamente jóvenes. Se trata del cáncer más común en varones de edades comprendidas entre los 15 y los 49 años.</p> <p>El oncólogo Harpal Kumar, director ejecutivo de Cancer Research UK, afirmó que las cifras "son una excelente historia en la lucha contra el cáncer y en el progreso de la droga cisplatin".</p> <p>"Esto está ayudando a casi todos los hombres con cáncer testicular a derrotar la enfermedad y es un ejemplo magistral de lo que se puede lograr a partir de una investigación dedicada", agregó.</p> <p>"Para algunos tipos de cáncer, la palabra "cura" es casi una realidad- el 96% de los hombres con cáncer testicular están ahora curados. Pero es importante reconocer que existe aún un 4% que no sobrevive a la enfermedad, como también el hecho que necesitamos en el futuro de tratamientos más benévolos para pacientes", agregó.</p> <p>Kumar explicó que sólo a partir de investigaciones científicas "se acercará el día en que todos los tipos de cáncer sean curados".</p> <p>El síntoma temprano más común del cáncer testicular es un aumento o expansión anómala en uno de los testículos.</p> <p>Martin Ledwick, jefe de información del Cancer Research UK, instó a los varones a no ignorar dichos síntomas.</p> <p>"Aunque muchos aumentos en el testículo no terminan siendo cáncer, es importante controlar los síntomas lo antes posible ya que esa es la mejor posibilidad de cura", subrayó.</p> <p>El especialista pidió a los hombres "controlarse periódicamente" los testículos "y visitar al médico en caso de anomalías o incomodidades".</p> <p>El cáncer de testículo ha pasado de ser extremadamente rara a principios del siglo XX, a ser en la actualidad el tipo de tumor maligno más común entre los varones jóvenes.</p> <p>Son diagnosticados cada año con esta enfermedad, entre 8000 y 9000 varones en Estados Unidos y sobre 10 000 en la Unión Europea.</p> <p>A lo largo de la vida, la probabilidad de desarrollar cáncer de testículo es de 1 entre 250 (0,4%), aunque la incidencia varía en función de las razas. La mayor incidencia se da entre los varones blancos del norte de Europa.<br /> julio 28/2013 (ANSA) -</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2013-08-02T07:27:52-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/561
Cáncer: Un estudio demuestra que el tumor recurrente es similar al primario en recaídas de cáncer de mama
2013-07-30T07:47:11-04:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/0600_cancer_cells2.jpg" alt="" />Una investigación llevada a cabo en el Instituto de Investigación Sanitaria Incliva del Clínico de Valencia, y cuyos resultados se han publicado en la revista <em>The Breast,</em> ha demostrado que en los casos de recaídas de cáncer de mama el tumor suele presentar el mismo perfil biológico y las mismas características hormonales.</p> <p>Hasta el momento varios estudios habían detectado discordancias importantes de los receptores hormonales y el receptor HER2 entre el tumor primario (TP) y los tumores siguientes o recurrentes (TR). Sin embargo, no estaba claro el impacto que tenían las determinaciones técnicas (técnicas empleadas para el análisis de los tumores) en estas valoraciones, según ha informado la Generalitat en un comunicado.</p> <p>Los investigadores Alejandro Pérez-Fidalgo, Pilar Eroles y Octavio Burgués, entre otros, pertenecientes al Grupo de Investigación de Biología de Cáncer de Mama, dirigido por la jefa del Servicio de Hematología y Oncología Médica del hospital Clínico de Valencia, la doctora Ana Lluch, han demostrado que en los casos de recaída por cáncer de mama, el tumor presenta características distintas en cuanto a receptores únicamente en un porcentaje inferior al 6 por cient</p> <p>El objetivo del estudio ha sido evaluar si la técnica empleada al analizar los tumores podría tener un impacto en la concordancia entre el tumor primario (TP) y los tumores recurrentes (TR). Así el estudio consistió en comparar los resultados de las biopsias de los tumores primarios (TP) y los tumores recurrentes (TR), primero bajo las condiciones rutinarias o habituales y después en las condiciones de estudio, donde ambas muestras fueron re-evaluadas al mismo tiempo y por dos observadores independientes.</p> <p>El análisis del perfil biológico del tumor es de "extraordinaria importancia" para que la estrategia terapéutica y tratamiento a aplicar sea la más eficaz. Así se analizaron 128 pares de biopsias de 64 pacientes en ambas condiciones.</p> <p>Los resultados mostraron un aumento considerable de la concordancia entre el TP (tumor primario) y el TR (tumor siguiente o recurrente), que algunos casos como el receptor de estrógenos pasó del 66 al 93,4 por ciento de concordancia. Esto demuestra, según los investigadores, que "las elevadas discordancias detectadas hasta el momento eran debidas, al menos en parte, a variaciones en las técnicas de análisis usadas entre el primer y el segundo momento".</p> <p><strong>Diferencias</strong></p> <p>A pesar de ello subsiste un pequeño porcentaje de las diferencias entre TP y TR que todavía no pueden ser explicadas por estos cambios metodológicos. Según el estudio, las diferencias pueden deberse a cambios en las características de las células tumorales originales o ser debidas a una selección de aquellas células resistentes al tratamiento que más tarde darán lugar a la metástasis.</p> <p>Según los autores, la evaluación de la metástasis es recomendable siempre que sea posible. En caso contrario se recomienda al menos repetir la determinación de los tres receptores en el tumor primario con las condiciones metodológicas actuales.</p> <p>Estas simples medidas contribuirán de manera significativa a la mejora del tratamiento de las pacientes, por una parte porque se aplicará la terapia más idónea reduciendo a la vez el coste de gasto farmacéutico.</p>
2013-07-30T07:47:11-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/560
Tabaquismo: El tabaquismo materno durante el embarazo, asociado con problemas de conducta en los hijos
2013-07-25T21:38:09-04:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/tabac_v1_280.jpg" alt="" />Fumar durante el embarazo parece ser un factor de riesgo prenatal asociado con problemas de conducta en los niños, según un estudio publicado por<em> JAMA Psychiatry. </em>En los últimos tiempos, el trastorno de conducta representa un tema de considerable preocupación social, clínica y práctica, por el aumento de las tasas a nivel internacional.</p> <p>El profesor Gordon Harold y el doctor Darya Gaysina, de la Universidad de Leicester, en Reino Unido, constataron la existencia de una relación entre el tabaquismo materno durante el embarazo y los problemas de conducta en niños criados por madres genéticamente relacionadas y madres no biológicas. La unidad de medición fue la media de cigarrillos por día durante la gestación.</p> <p>"Nuestros resultados”, señalan los autores, “sugieren una asociación entre el tabaquismo y el embarazo, por lo que es poco probable que los problemas de conducta del niño se expliquen completamente por factores ambientales posnatales (es decir, las prácticas de crianza de los hijos)". Y concluyen: "No se conoce la explicación causal de la asociación entre el tabaquismo en el embarazo y problemas de conducta en la descendencia, pero pueden incluir factores genéticos y otros peligros ambientales prenatales, como el tabaquismo en sí".</p> <br /><br /><a target="_blank">JAMA Psychiatry (2013);</a>
2013-07-25T21:38:09-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/559
Medicamentos: El uso de estatinas para reducir el colesterol previene los problemas cardiovasculares
2013-07-23T08:05:18-04:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/estatinas.png" alt="" />Un estudio realizado por investigadores de la Universidad de Glasgow (Reino Unido) recomienda el uso de estatinas en hombres sin enfermedades coronarias pero con colesterol alto tras comprobar que reducen la probabilidad de padecer un accidente cardiovascular o un ataque cardiaco y, en caso de sufrirlo, disminuye los días de hospitalización.</p> <p>"El tratamiento de hombres de mediana edad, que no tienen enfermedades del corazón, con estatinas durante 5 años, no sólo previene los ataques cardíacos y muertes por enfermedades del corazón, también reduce considerablemente los días que se pasan en el hospital tras sufrir una enfermedad coronaria, accidente cerebrovascular y insuficiencia cardiaca", dijo el autor principal Ian Ford del informe, experto en bioestadística de la Universidad de Glasgow.</p> <p>Las estatinas generalmente se prescriben para los pacientes con enfermedad cardiaca u otros factores de riesgo del ataque al corazón; y actúan principalmente mediante la reducción de las lipoproteínas de baja densidad, o colesterol 'malo'.</p> <p>El estudio destaca que se podría haber ahorrado hasta 1 millón de dólares (758.000 euros)con el uso de las estatinas, al haber evitado los ataques cardíacos, accidentes cerebrovasculares y las hospitalizaciones de unos 1.000 escoceses, que participaron en el desarrollo del estudio.</p> <p>Dado que las enfermedades cardiovasculares se encuentran entre las principales causas de muerte y de discapacidad, los investigadores estudian desde hace tiempo la posibilidad de incluir estatinas como tratamiento preventivo en franjas más amplias de la población. Para probar esta teoría los investigadores, estudiaron su uso sanitario y los gastos que podía suponer su empleo.</p> <p>Así, Ford y sus colegas analizaron datos de un estudio que incluyó a más de 6.000 escoceses de mediana edad con colesterol alto, pero que no habían sufrido un infarto de miocardio. Los participantes, que se hallaban entre los 45 y 54 años de edad al inicio del estudio, fueron divididos al azar en un grupo que recibió 40 mg de pravastatina diaria - fármaco familia de las estatinas- durante cinco años y otro grupo que recibió un placebo durante el mismo período.</p> <p>En el grupo de las estatinas, 265 hombres sufrieron ataques cardiacos durante el período de estudio, de 15 años, frente a 369 del grupo de placebo. Por cada 1.000 individuos que tomaron estatinas, hubo 163 ingresos hospitalarios menos por problemas de corazón y un ahorro total de 1.836 días en el hospital, respecto al grupo de placebo.</p> <p>Asimismo, el grupo de las estatinas dio lugar a menos ingresos por infarto de miocardio, accidente cerebrovascular e insuficiencia cardiaca, y los investigadores estiman que el gasto por enfermedades cardiacas fue 3,2 millones de euros, mientras que el grupo placebo gastó unos 4 millones de euros.</p><p><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/uso/estatinas/reducir/colesterol/previene/problemas/cardiovasculares/_f-11+iditem-20208+idtabla-1" target="_blank">Tomado de Jano</a></p>
2013-07-23T08:05:18-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/558
Medicamentos: La administración de Aspirina a pacientes que acaban de sufrir un infarto reduce la mortalidad
2013-07-23T07:45:11-04:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/Aspirina2_280.jpg" alt="" />Un estudio coordinado por miembros de la UCI del Hospital General Universitario de Elche (Alicante) ha demostrado que la atención prehospitalaria y la administración de Aspirina (Bayer) a pacientes que acaban de sufrir un infarto es crucial para reducir la mortalidad por esta causa.</p> <p>El estudio, en el que participaron 1.608 pacientes de 57 hospitales españoles, ha sido premiado en el XLVIII Congreso Nacional de la Sociedad Española de Medicina Intensiva, Crítica y Unidades Coronarias (SEMICYUC), celebrado recientemente en Costa Adeje (Tenerife), según ha informado la Generalitat Valenciana en un comunicado.</p> <p>Los resultados confirmaron que los pacientes tratados con aspirina presentaban una serie de características distintas de los que no la habían tomado. Así, eran personas que llegaban precozmente al contacto sanitario, presentaban signos más llamativos en el electrocardiograma, tenían poco riesgo de hemorragia, poca insuficiencia renal y presentaban menor mortalidad hospitalaria. El análisis sugería que tanto el tratamiento con aspirina como el pronto acceso a la ayuda sanitaria propician una mejor evolución de los pacientes.<br /> Angioplastia primaria</p> <p>El responsable de la Unidad de Cuidados Intensivos del Hospital de Elche y coordinador del estudio, Jaime Latour, ha explicado que, gracias a protocolos de actuación y coordinación como el 'Código infarto', que se aplica en la Comunitat Valenciana, actualmente la modalidad de reperfusión más utilizada es la angioplastia primaria (apertura de la arteria ocluida mediante la introducción de un balón), que se realiza ya en el 77% de los pacientes.</p> <p>Según los datos que manejan los especialistas, en la Comunitat Valenciana, el 40% de los pacientes isquémicos acude directamente a urgencias hospitalarias, un 36% va a su centro de salud y sólo un 17% llama al 112. Los profesionales recomiendan que ante un posible infarto de miocardio se llame directamente al 112, ya que este servicio envía el vehículo adecuado para el transporte del paciente y coordina los recursos necesarios.</p>
2013-07-23T07:45:11-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/557
Tabaquismo: La OMS pide que más países apliquen restricciones a la publicidad del tabaco
2013-07-12T12:58:53-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/tabaco.jpg" alt="" />La Organización Mundial de la Salud (OMS) dio a conocer un informe que habla de "éxitos" en la lucha contra el tabaco y pide que más países prohíban su publicidad, como una vía "muy eficaz" para combatirlo y allanar el camino hacia la meta de reducir en 30 % el consumo para el 2025.</p> <p>La OMS presentó este miércoles en Panamá su informe sobre la epidemia mundial del tabaco 2013, en el que señala que en los "últimos cinco años se ha más que duplicado" el número de personas cubiertas al menos por una medida de limitación al consumo del tabaco, hasta llegar a los 2300 millones.</p> <p>Según el documento, 20 países en los que viven 657 millones de personas han implantado requisitos estrictos en cuanto a incluir advertencias sanitarias en los paquetes de tabaco y más de 500 millones de personas han pasado a tener acceso a servicios adecuados para dejar de fumar.</p> <p>"Estamos orgullosos de todos los logros a nivel de país que se reflejan en el informe", dijo a los periodistas el director del Departamento de Prevención de Enfermedades no Transmisibles de la OMS, Douglas Bettcher.</p> <p>El estudio destaca que aumentó en casi 400 millones el número de personas abarcadas por prohibiciones de la publicidad, la promoción y el patrocinio del tabaco, medida para evitar el consumo de esa sustancia que la OMS promueve en el informe de este año.</p> <p>"Estamos enfocados en prohibir la publicidad del tabaco, la promoción y el patrocinio, que es una de las técnicas claves de la industria para aumentar sus consumidores y enfocarse en las poblaciones más vulnerables", entre ellas los sectores más pobres de Asia, África y América Latina, explicó Bettcher.</p> <p>La prohibición total de la publicidad, la promoción y el patrocinio del tabaco es una forma "muy eficaz para reducir o eliminar la exposición a los factores que inducen a consumo" de esa sustancia, que provoca la muerte de 6 millones de personas cada año, un millón de ellas en América Latina, indica la OMS en su informe.</p> <p>"Los países que han impuesto prohibiciones totales junto con otras medidas de control del tabaco han logrado reducir su consumo de forma significativa en solo unos cuantos años", aseguró Bettcher.</p> <p>El documento de la OMS precisa que actualmente 24 países del mundo que albergan 694 millones de personas han implantado prohibiciones completas, lo que representa menos del 10 % de la población mundial.</p> <p>"Otros 100 países están a punto de prohibirlo totalmente, pero quedan 67 países que no prohíben ninguna forma de publicidad, promoción y patrocinio del tabaco, ni han implementado tampoco medidas para prohibir la publicidad en los medios de difusión y la prensa nacional", indicó el organismo.</p> <p>Si se mantienen las tendencias actuales, el número de muertes atribuibles al consumo de tabaco aumentará a 8 millones al año en el 2030, indica el documento de la OMS.</p> <p>En ese contexto, Bettcher afirmó que el reto inmediato "es tener más países" que apliquen las medidas contenidas el Convenio Marco para el Control del Tabaco de la OMS, que entró en vigor en 2005 y cuenta actualmente con 177 partes adherentes.</p> <p>Esas medidas, conocidas como MPOWER, son: vigilar el consumo del tabaco y las políticas de prevención; proteger a la población del humo del tabaco; ofrecer ayuda para dejar el tabaco; advertir de los peligros del tabaco; hacer cumplir las prohibiciones sobre publicidad, promoción y patrocinio del tabaco; y aumentar los impuestos del tabaco.</p> <p>Para el directivo de la OMS la voluntad política de los gobiernos es lo que va a permitir avanzar en la lucha antitabaco, independientemente si se trata de Estados de renta alta, media o baja.</p> <p>Citó como ejemplo que en los últimos años los países que más han implementado prohibiciones de publicidad del tabaco tienen ingresos "bajos o medios", entre ellos Panamá, al que resaltó como "líder mundial" en la protección de su población frente a esa sustancia.</p> <p>"Hace cuatro años Panamá fue el primer país a nivel mundial en lograr el nivel más alto en la prohibición de la publicidad del tabaco", lo que ha permitido que el uso del tabaco en los adultos se haya reducido de manera sustancial, explicó el funcionario de la OMS.</p> <p>Según datos oficiales panameños, la prevalencia de jóvenes panameños de entre 13 y 15 años que fuman pasó de 12,5 % en 2002 a 4,3 % en 2008, y en la de personas de 18 o más años de 25 % en 2002 a 6 % en el 2010.<br /> julio 12/2013 (EFE)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2013-07-12T12:58:53-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/556
Obesidad: Expertos advierten del riesgo de obesidad por un consumo excesivo de proteínas en los tres primeros años de vida
2013-07-12T07:28:14-04:00
Revista Finlay
<img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/obesidad.jpg" alt="" width="327" height="218" />En opinión del Dr. José Manuel Moreno, pediatra de la Unidad de Nutrición del Hospital 12 de Octubre de Madrid, “la lucha contra la obesidad debe empezar en el periodo periconcepcional, y tiene que ser una tarea continua, que se prolongue a lo largo de toda la vida”. Con todo, advirtió de que “hay etapas de la vida, sobre todo en los primeros años, que tienen una mayor influencia en la salud posterior”. Así, a juicio de este experto, “cuanto antes se sigan unos hábitos saludables, más salud habrá en un futuro". <p>La obesidad es un problema de salud complejo, en cuya patogénesis influyen tanto factores conductuales como biológicos y psicosociales. Por ello, recomendó el Prof. Gianvincenzo Zuccotti, del Departamento de Pediatría del Hospital Luigi Sacco, de Milán y la Universidad del Estudio de Milán (Italia), “la estrategia de prevención de la obesidad será más efectiva si se lleva a cabo lo antes posible, atendiendo a todos los factores implicados y conociendo bien e interviniendo en los hábitos dietéticos de la población”.<br /> <br /> Se ha establecido un periodo simbólico, de mil días, en el que “nos jugamos gran parte de la salud futura”, insistió el Dr. Moreno, que informó de la puesta en marcha de la iniciativa 'thousanddays.org', que pretende concienciar a la población de la "importancia del capital de salud que se acumula en este periodo”, apuntó la Dra. Claudine Junien, profesora de Genética y representante de la sociedad francófona “Orígenes de la Salud y la Enfermedad en el Desarrollo” (SF DOHaD). Y es que, tal como defendió el Dr. José Manuel Moreno, “aunque todas las intervenciones que se hagan sobre los hábitos de vida y de nutrición después de los mil días son positivas, no resultan tan eficaces y son más costosas que las llevadas a cabo en estos primeros meses de vida y durante la gestación”.<br /> <br /> <strong> Insistir en lo conocido, advertir sobre lo nuevo</strong><br /> <br /> Como recomendaciones básicas, los ponentes subrayaron los beneficios de la lactancia materna. Según el Dr. Moreno, "durante los primeros seis meses de vida, siempre que sea posible, la alimentación debería ser exclusivamente con leche materna y, cuando la lactancia ya no es posible, se aconseja el empleo de leches de continuación que provean el aporte energético y las cantidades de macro y micro nutrientes necesarios para las necesidades del niño durante los tres primeros años”.<br /> <br /> Además, recalcaron la importancia de extremar el cuidado de la alimentación de la embarazada (incluso antes de la concepción). En este sentido, Pascale Chavatte-Palmer, directora de Investigación en el French National Institute of Agricultural Research (Francia), recordó que determinadas dietas de la madre influyen sobremanera en la salud del feto. <br /> <br /> <strong>Mensajes para la reflexión</strong><br /> <br /> Los participantes en esta reunión insistieron también en la utilidad de las formulas de leche infantil. “La leche es muy importante en los 2-3 primeros años de vida: si es materna, mejor; si no es posible, las formulas infantiles son la solución”, señaló el Dr. Moreno. Y es que un excesivo consumo de proteínas a edades tempranas se asocia con un aumento del riesgo posterior de obesidad. El Prof. Carlo Agostoni, del Departamento de Ciencias Clínicas y Salud de la Comunidad de la Universidad de Milán, señaló, a este respecto, que “la elevada ingesta de proteínas tiene un papel clave en la síntesis de factores que promueven el crecimiento”.</p> <p>De la misma forma, el Prof. Angelo Pietrobelli, de la Unidad de Neonatología de la Facultad de Medicina de la Universidad de Verona (Italia), concretó que “el consumo excesivo de proteínas en el segundo año de vida induce la presencia de una mayor tasa de grasa en la infancia posterior”, recomendando “una apropiada ingesta de proteínas en los primeros años para facilitar un óptimo crecimiento y reducir el riesgo de sobrepeso, obesidad y de enfermedades cardiovasculares en etapas más avanzadas de la vida”.<br /> <br /> Ahondando en esta idea, la Dra. Marie-Françoise Rolland-Cachera, de la Unidad de Investigación Epidemiológica Nutricional de la Universidad de la Soborna (Francia), aclaró que “existe una creciente evidencia que relaciona el elevado consumo de proteínas en los estadios iniciales de la vida y el riesgo posterior de tener obesidad; sin embargo, no hay en la literatura científica evidencia consistente que ponga de manifiesto la asociación entre la ingesta de grasa en estas etapas incipientes y el aumento del riesgo futuro de obesidad”. De hecho, la propia Academia Americana de Pediatría ha recomendado recientemente que no se restrinja el consumo de grasa en niños menores de dos años (debiendo evitarse los ácidos grasos trans y las grasas saturadas).<br /> <br /> <strong>En busca de sinergias</strong><br /> <br /> La Organización Mundial de la Salud estima que la incidencia de enfermedades no comunicables (que suponen más de un 60% de todas las muertes) se elevará un 17% en la próxima década. Entre estas enfermedades, la obesidad y el sobrepeso tienen un especial protagonismo, provocando directamente hasta 2,8 millones de fallecimientos.<br /> <br /> “La obesidad es la pandemia del siglo XXI”, afirmó en este foro la vocal de Coordinación Científica de la Agencia Española de Seguridad Alimentaria y Nutrición (AESAN), Ana Canals, que detalló que “hasta 5 de los 10 principales factores de riesgo asociados con las enfermedades no transmisibles están relacionados con los hábitos nutritivos y la actividad física” y, lo que es más importante, “todos ellos pueden ser modificados satisfactoriamente”, subrayó Ana Canals.</p> <p>Canals tendió la mano a los profesionales de la salud y a la industria de la alimentación para trabajar en políticas de prevención y control de la obesidad, y resaltó las iniciativas que se están llevando a cabo desde hace años en nuestro país en la lucha contra esta epidemia, como la Estrategia NAOS (Estrategia para la Nutrición, Actividad Física y Prevención de la Obesidad), el código PAOS, el Plan Cuídate+ o la puesta en funcionamiento del Observatorio de la Nutrición y de Estudio de la Obesidad.</p>
2013-07-12T07:28:14-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/555
Enfermedades del sistema nervioso: Avance de estudio clínico para frenar desarrolo de enfermedad de Alheizmer
2013-07-09T14:41:16-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/Alzheimer_2802.jpg" alt="" />Investigadores resaltaron el avance de uno de los primeros estudios clínicos con biotecnológicos para frenar el desarrollo del alhéizmer, que en México afecta a 10 % de las personas mayores de 65 años y se espera concluirlo a más tardar en 2015.</p> <p>Daniel Ciriano, científico que participa en este estudio, explicó que a través de un anticuerpo monocloneal gantenerumab, se bloquea y desaloja la proteína que se acumula en el sistema nervioso y que es la hipótesis más cercana sobre la causante del deterioro cognitivo.</p> <p>En el foro de Roche Press Day, agregó que aunque este estudio revolucionaría los tratamientos, al detener la progresión del mal y a pesar de que hasta el momento su desarrollo ha sido exitoso, aún se debe esperar la conclusión del protocolo y no generar falsas expectativas.</p> <p>La admisntración del medicamento en etapa temprana ayuda a evitar que el alhéizmer evolucione y dañe el sistema nervioso, que lleva al deterioro del paciente hasta la demancia, a causa de la acumulación de la proteína, expuso.</p> <p>El experto aclaró que a pesar de que para este tratamiento se aplican diversos estudios para detectarlo en la etapa más temprana, no es preventivo, "pero se puede detectar a una etapa muy precoz que ayudaría a detener las afectaciones".</p> <p>Destacó que "los criteros de selección de los pacientes para este estudio fue difícil y estricta, porque se buscaron con pacientes de todas edades con la enfermedad a muy temprana edad, para que aún no tuvieran ninguna afectación en su sistema nervioso".</p> <p>Estos, abundó, "se seleccionaron con un test de tipo cognitivo para detectar alteraciones de la memoria, así como un test de biomarcadores a través de la sangre, tomografías y del líquido encefaloraquídio, con un protocolo muy especifico".</p> <p>El también director Médico de Roche América Latina, señaló que no hay una edad específica para desarrollar el padecimiento de alhéizmer pero en el protocolo participan enfermos con fallas en su retención cognitiva, desde los 40 años, 50 o con más edad.</p> <p>Lo más novedoso de este estudio global, sostuvo, es la detección de la enfermedad a una muy temprana etapa, con lo cual se bloquea la posibilidad de que provoque los daños que lleva hasta la demencia a los enfermos, tanto físicos, emocionales, económicos y familiares.</p> <p>Refirió que a pesar de que se lleva con éxito el protocolo que se encuentra en fase tres, aún se estudia la efectividad del bloqueo de la evolución de la enfermedad a largo plazo.</p> <p>"Lo que estamos tratando de ver es cuánto tiempo mantendrán a las personas controladas, si hay un efecto reversivo de la enfermedad, si realmente detiene la enfermedad degenerativa, además de establecer el tiempo que se debe de mantener al paciente bajo tratamiento", expuso.<br /> julio 7/2013 (Notimex)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2013-07-09T14:41:16-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/554
Ciencia y Tecnología: Científicos japoneses crean un hígado humano a partir de células madre iPS
2013-07-04T10:12:57-04:00
Revista Finlay
<p><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/c%C3%A9lulas_madres.jpg" alt="" />Científicos japoneses han desarrollado un hígado humano a partir de células madre de la piel y la sangre, en lo que podría ser un paso crucial para el desarrollo en laboratorio de órganos para trasplantes. Los investigadores responsables del avance, no obstante, han asegurado que llevará otros diez años conseguir que los hígados de 'cultivo' reemplacen a los originales.<br /> <br /> "La promesa de un hígado disponible para trasplante parece mucho más cerca de lo que se podía esperar hace apenas un año", ha señalado Dusko Illic, experto en células madre del King College de Londres, que, si bien no ha participado directamente en la investigación, conoce los pormenores de la misma. Según Illic, aunque la técnica parece "muy prometedora" y representa un gran paso adelante, "hay mucho por investigar y pasarán años antes de que pueda ser aplicada en la medicina regenerativa".<br /> <br /> Los investigadores de la Ciudad Escuela de Medicina de la Universidad de Okohama, en Japón, utilizaron células madre pluripotentes inducidas (iPS) para desarrollar los tres tipos de células que se combinan en la formación natural de un hígado humano en un embrión en desarrollo (endodermo células hepáticas, células madre mesenquimales y células endoteliales) y las combinaron entre sí. Descubrieron así que las células no crecían, pero sí comenzaban a formar estructuras tridimensionales, a las que llamaron 'brotes de hígado', que constituían un repertorio de células hepáticas susceptible de dar lugar a un hígado completo.<br /> <br /> Cuando las trasplantaron en ratones, los investigadores comprobaron que estos 'brotes' de hígado humano comenzaban a madurar, de modo que los vasos sanguíneos de los brotes se conectaban a los vasos sanguíneos del ratón huésped y empezaban a realizar muchas de las funciones de las células hepáticas humanas maduras. "Hasta donde sabemos, éste es el primer trabajo que demuestra la generación de un órgano humano funcional a partir de células madre pluripotentes", han destacado los investigadores en la revista <em>Nature</em>.<br /> <br /> Investigadores de todo el mundo han estado estudiando las células madre de varias fuentes durante más de una década con la esperanza de capitalizar su capacidad para transformarse en una amplia variedad de otros tipos de células. Hay dos tipos principales de células madre: las células madre embrionarias, que se consiguen a partir de embriones, y las células reprogramadas o células madre pluripotentes inducidas (iPS), que se obtienen sobre todo de la piel o de sangre.<br /> <br /> Entre las grandes motivaciones que están detrás de este hallazgo, se halla la grave escasez de donantes de órganos para el tratamiento de pacientes con fallos hepáticos, renales o cardíacos. El director de la investigación, Takanori Takebe, ha explicado en una teleconferencia que está tan animado por el éxito de este trabajo que planea una investigación similar con otros órganos, como el páncreas y los pulmones.</p> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature12271.html" target="_blank">Nature (2013); doi:10.1038/nature12271</a><br /><a href="http://www.nature.com/news/miniature-human-liver-grown-in-mice-1.13324" target="_blank">Nature (2013); doi:10.1038/nature.2013.13324</a>
2013-07-04T10:12:57-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/553
Cáncer: Los neutrófilos juegan un papel clave en la progresión del cáncer
2013-07-03T08:09:19-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><span class="textonormal"><img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/0600_cancer_cells1.jpg" alt="" width="249" height="199" /></span>Un estudio, dirigido por investigadores del Instituto de Investigación del Centro de Salud de la Universidad McGill (RI-MUHC), en Canadá, revela que los neutrófilosque combaten la infección desempeñan un papel en la activación de las células del cáncer y facilitan su difusión a tumores secundarios, según ha publicado el<a href="http://www.jci.org/articles/view/67484" target="_blank"><em><strong> Journal of Clinical Investigation</strong></em></a> ( doi:10.1172/JCI67484.)</p> <p>"Lo más interesante es que ya existen medicamentos que se están utilizando para otras enfermedades notumorales, lo que puede impedir este mecanismo de propagación o metástasis del cáncer", asegura Lorenzo Ferri, director de la División de Cirugía Torácica y el Programa de Cáncer Gastrointestinal Superior (GI) del MUHC. El siguiente paso es validar si estos medicamentos pueden servir para el tratamiento y la prevención de la metástasis del cáncer.</p> <p>Para la investigación, el equipo del Ferri utilizó células en cultivo y modelos de ratón de cáncer, que demostraron que existe una relación entre la infección, la inflamación y la metástasis. "Hemos demostrado que en el caso de los animales infectados con cáncer, la red de neutrófilos también atrapa las célulastumorales circulantes", comenta Jonathan Cools-Lartigue, primer autor del estudio. "Pero en lugar de destruir las células tumorales, estas redes las activan y las hacen más propensas a desarrollar tumores secundarios o metástasis", añade el experto.</p> <p>El estudio también demostró que con el uso de ciertos medicamentos se puede romper la red de neutrófilos, lo que sugiere que estas redes podrían ser una vía común que participa en la propagación de muchos tipos de tumores.<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2013/07/02/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/neutrofilos-juegan-papel-clave-progresion-cancer" target="_blank"><strong>julio 2/2013 (Diario Médico)</strong> </a></p> <p>Jonathan Cools-Lartigue, Jonathan Spicer, Braedon McDonald, Stephen Gowing, Simon Chow, Lorenzo Ferri.<em><strong>Neutrophil extracellular traps sequester circulating tumor cells and promote metastasis</strong></em>. <em>J Clin Invest</em>. Jul 1, 2013</p> </span>
2013-07-03T08:09:19-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/552
Prevención de las enfermedades crónicas: Acortar el tiempo que se está sentado en el trabajo reduce el perímetro de la cintura
2013-07-02T07:56:25-04:00
Revista Finlay
<img src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/cintura.jpg" alt="" />El Grupo de Investigación en Deporte y Actividad Física de la Universitat de Vic (UVic) ha demostrado que acortar el tiempo que se está sentado permite reducir el perímetro de la cintura, en el marco de la primera fase del proyecto Walk@Work Spain, un estudio que promueve la actividad física en horario laboral.<br /> <br /> El trabajo también destaca la importancia de subir escaleras y dedicar unos minutos del descanso a caminar, según informa en un comunicado la UVic, que ha impulsado el proyecto junto a la Universitat Ramon Llull (URL), la Universidad de Vigo y la Universidad del País Vasco.<br /> <br /> Los investigadores estudiaron el modo de mejorar la salud y el bienestar de empleados de oficina que pasan la mayor parte de su jornada laboral sentados, y que no rebasan los 6.000 pasos diarios, cuando sólo a partir de 10.000 se obtienen beneficios. Aplicando métodos de aumento de los pasos, los trabajadores redujeron su cintura tan sólo dos meses después de haber acabado el programa propuesto por los investigadores.
2013-07-02T07:56:25-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/551
Enfermedades cardiovasculares: Nuevos tratamientos para la insuficiencia cardiaca reducen mortalidad
2013-07-01T15:13:58-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La Insuficiencia Cardiaca (IC) es la primera causa de hospitalización y uno de los principales motivos de defunción en nuestro país (37 409 muertes en nuestro país en 2011)</p> <p>El control de la Insuficiencia Cardiaca (IC) se está convirtiendo en uno de los principales retos de la medicina actual, no solo por el elevado número de personas que la padecen, el 6,8% de los mayores de 45 años y entre el 15 y el 20% de los mayores de 85 (según el estudio PRICE), sino también porque es la principal causa de hospitalización en nuestro país, lo que representa un importante porcentaje del gasto sanitario.</p> <p>"El envejecimiento progresivo de la población y el aumento de los principales factores de riesgo cardiovascular (hipertensión, obesidad, diabetes, etc.) ha provocado que en los últimos diez años, la incidencia de esta enfermedad haya aumentado un 30% y se prevé que siga aumentando en los próximos años", se lamenta el Dr. Nicolás Manito, presidente de Sección de Insuficiencia Cardiaca y Trasplante de la Sociedad Española de Cardiología (SEC). "La hospitalización por IC supone el 70% del gasto sanitario de esta enfermedad, por lo que reducir las tasas de rehospitalización de los pacientes es un reto para los profesionales".</p> <p>Existen diversas opciones de tratamiento para la IC según su gravedad. El control de los factores de riesgo, la administración de fármacos vasodilatadores o de betabloqueantes, la realización de una angioplastia primaria o la implantación de un desfibrilador son algunos de ellos. "Cuando todos estos tratamientos no funcionan, o ante la IC avanzada que se da en el 10% de los casos, la única opción terapéutica que nos queda es el trasplante cardiaco, ya que el corazón del paciente es incapaz de bombear sangre en un volumen adecuado por sí mismo. Desgraciadamente, y tal y como muestra el Registro Español de Trasplante Cardiaco que presentamos en esta reunión, el número de trasplantes de corazón se está estancando en los últimos años (247 implantes en 2012 frente a los 354 del año 2000", explica el Dr. Manito. "Por suerte", prosigue el doctor, "en los últimos años se están creando nuevos dispositivos mecánicos que tienen la capacidad de cumplir la función cardiaca".</p> <p>Existen diversos tipos de dispositivos de asistencia ventricular (AVM) según la función que deben realizar:</p> <p>Como puente al trasplante cardiaco, para mantener al paciente con vida mientras llega un corazón<br /> Como puente a la recuperación de la IC, cuando se implanta como parte del tratamiento con el objetivo de que el corazón acabe de recuperar su capacidad normal<br /> Como sistema de asistencia definitiva, en aquellos casos en los que es necesario un reemplazo del corazón, pero no se es candidato al mismo por alguna contraindicación</p> <p>"Aunque se ha demostrado la enorme utilidad de este tipo de dispositivos, su implantación en España está siendo lenta, especialmente por el alto coste derivado. Así, uno de los temas que debatiremos en la reunión, es la necesidad de crear grupos multidisciplinares en el tratamiento de la IC, llamados Heart Team. Este grupo de trabajo mejorará el abordaje de la IC, ya que permitirá obtener decisiones más eficientes, como es la selección del paciente idóneo para recibir este tipo de dispositivos. Lo consideramos como un proceso de "control de calidad", lo que no solo mejorará el tratamiento a nuestros pacientes, sino también el control de los gastos sanitarios", anuncia el Dr. Manito.</p> <p>Otro de los aspectos que abordarán los más de 300 especialistas congregados en Málaga, es la necesidad de crear una acreditación de experto en Insuficiencia Cardiaca. "Debido a la importancia de la IC, tanto en su alta incidencia como en el enorme gasto sanitario que conlleva, creemos necesaria la creación de una subespecialidad en cardiología. Así, los médicos que traten esta enfermedad deberán acreditar o una formación especial o más de dos años de experiencia en una unidad de IC", explica el Dr. Manito.</p> <p>Este año, por primera vez, se otorga el premio "INSUFICIENCIA CARDIACA a la trayectoria profesional" al Dr. Eduardo de Teresa, jefe del Servicio de Cardiología del Hospital Universitario Virgen de la Victoria de Málaga, quien recibirá este reconocimiento por su aportación a la terapia de resincronización cardiaca, pues fue el primer cardiólogo a nivel internacional, que realizó un artículo científico sobre los marcapasos tricamerales (aquellos que tienen tres cables -uno en la aurícula, otro en el ventrículo derecho y otro en el izquierdo y actúan mejorando la función de bomba del corazón).</p> <p>"Desde nuestra sección estamos muy orgullosos de la reunión de este 2013, ya que ha conseguido posicionarse como la más importante que se realiza en España en esta materia. Este año trataremos los aspectos más relevantes y las principales novedades relacionadas con esta enfermedad, pero además, dispondremos de la primera exposición de 'corazones artificiales' que se hace en nuestro país, con más de nueve dispositivos disponibles", concluye el Dr. Manito.</p> <p>La IC es una grave enfermedad que afecta a la estructura o funcionamiento del corazón, provocando que este no pueda bombear el suficiente flujo de sangre para satisfacer las necesidades de oxígeno y nutrientes que necesita nuestro organismo. Esto provoca que nuestro cuerpo no pueda eliminar los desechos naturales que produce, lo que genera una acumulación de líquido en los pulmones y en otras partes del cuerpo, como por ejemplo las extremidades inferiores y el abdomen.</p> <p>Esta patología aparece como consecuencia del padecimiento de otra enfermedad que ya ha dañado anteriormente el corazón, como un infarto de miocardio, enfermedad coronaria, hipertensión arterial, cardiopatía valvular, enfermedad del músculo cardiaco o inflamación del corazón, anomalías cardiacas congénitas, enfermedades pulmonares o bien por el alcoholismo y la drogadicción.<br /> <a href="http://boletinesvademecum.es/trk/r.emt?h=www.vademecum.es/noticia%2D130621%2Dlos%2Bnuevos%2Btratamientos%2Bpara%2Bla%2Binsuficiencia%2Bcardiaca%2Bconsiguen%2Breducir%2Bentre%2Bun%2B25%2By%2Bun%2B30%2Bla%2Bmortalidad%2Ben%2Blos%2Btres%2Bprimeros%2Ba%C3%B1os_7177&t=7gsc&e=2pj8&m" target="_blank"><strong>junio 21/2013 (vademecum)</strong></a></p> </span>
2013-07-01T15:13:58-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/550
Cáncer: El ácido hialurónico, responsable de la resistencia al cáncer de las ratas topo
2013-06-24T10:42:03-04:00
Revista Finlay
<p>Dos investigadores de la Universidad de Rochester, Andrei Seluanov y Vera Gorbunova, han descubierto que el ácido hialorúnico de alto peso molecular es la sustancia que hace que las ratas topo no padezcan cáncer. Ambos biólogos se percataron de que en los cultivos de rata topo abundaba una sustancia pegajosa que, en cambio, no estaba presente en otros medios con células de humanos, ratones y conejillos de indias. Tras averiguar que se trataba de HMW-HA, decidieron investigar su posible papel en la resistencia al cáncer de la rata topo.<br /> <br /> Así, descubrieron que cuando se retira el HMW-HA, las células se convierten en susceptibles a los tumores, lo que suponía la confirmación de que este producto químico desempeña un papel clave en la resistencia de las ratas topo desnudas al cáncer. Andrei Seluanov y Vera Gorbunova también identificaron un gen, el HAS2, que está detrás del HMW-HA en la rata topo, que presentaba diferencias al gen HAS2 de otros animales.<br /> <br /> "Hay evidencia indirecta de que HMW-HA funcionaría en las personas -sostiene Seluanov-, dado que se usa en las inyecciones antiarrugas y para aliviar el dolor de artritis en las articulaciones de la rodilla, sin efectos adversos. Nuestra esperanza es que también puede inducir una respuesta anticáncer". "Una gran cantidad de investigación sobre el cáncer se centra en los animales que son propensos al cáncer. Creemos que es posible dar con estrategias para la prevención de los tumores mediante el estudio de los animales a prueba de cáncer", agrega Gorbunova.</p> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature12234.html" target="_blank">Nature (2013); doi:10.1038/nature12234</a>
2013-06-24T10:42:03-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/549
Ciencia y Tecnología: Tratar el cáncer de mama sin bisturí, la opción de las partículas pesadas
2013-06-23T07:51:00-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img 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alt="" />Con el objetivo de evitar el uso de la cirugía, un centro médico de Japón ha comenzado a realizar ensayos clínicos con irradiación de partículas pesadas en el tratamiento del cáncer de mama, método usado hasta ahora para otros tipos de tumor.</p> <p>"Ante todo, muchas mujeres no queremos someter nuestras mamas a ningún bisturí", contó a Efe la doctora Kumiko Karasawa, directora de tratamientos del Instituto Nacional de Ciencias Radiológicas de Japón (NIRS), situado en la prefectura de Chiba, al noreste de Tokio.</p> <p>El tratamiento habitual del carcinoma de mama pasa en la actualidad por combinar cirugía con radioterapia convencional o quimioterapia.</p> <p>Hace apenas dos semanas el centro japonés llevó a cabo el primer ensayo clínico de la historia con rayos de iones de carbono para tratar un tumor de mama de una paciente.</p> <p>La mujer se sometió al que será el procedimiento estándar para este tratamiento: cuatro sesiones de radioterapia de partículas pesadas en cuatro días consecutivos.</p> <p>Tanto en el caso de esta como del resto de pacientes que participen a partir de ahora en este programa, la institución realizará un seguimiento de su evolución durante algo más de 5 años, precisó Karasawa.</p> <p>Para realizar el ensayo, el NIRS empleó su acelerador médico de iones pesados (HIMAC), que fue la primera máquina de este tipo fabricada en el mundo cuando se inauguró en 1994.</p> <p>En total, más de 7300 pacientes de todo el mundo se han sometido desde entonces a terapias radiológicas con el HIMAC para tratar distintos tipos de tumores.</p> <p>La ventaja de este tipo de tratamiento es que resulta poco agresivo al irradiar la superficie del cuerpo y que luego gana en intensidad al alcanzar el tumor de una manera mucho más precisa y localizada, a diferencia de otros tipos de radioterapia, que son más dañinos para los tejidos que rodean al tumor.</p> <p>Hasta ahora este sistema, por el cual el paciente debe esperar un buen rato recostado hasta que el haz es calibrado con total precisión antes de ser aplicado durante apenas uno o dos minutos, se utiliza para tratar tumores óseos, en los tejidos blandos, en el pulmón, en el hígado, en la cabeza, en el cuello o en la próstata.</p> <p>Las mujeres que pueden someterse a estos ensayos clínicos en el NIRS deben ser mayores de 60 años (una edad en la que un proceso quirúrgico presenta más complicaciones) y tener un tumor localizado con un tamaño inferior a los 2 centímetros.</p> <p>Aunque todas ellas recibirán el tratamiento de manera gratuita, un tratamiento corriente con partículas pesadas no es barato.</p> <p>Los pacientes que utilizan esta sofisticada tecnología, que requiere de un dispositivo que ocupa la superficie de un campo de fútbol, deben abonar 3 140 000 yenes (casi 25 000 euros), ya que la seguridad social japonesa no cubre los tratamientos de "medicina avanzada". Los extranjeros deben pagar en torno a 5 millones de yenes (40 000 euros).</p> <p>Y es que, además de la gran cantidad de terreno que se requiere para erigir un acelerador de partículas, "la principal desventaja de este tipo de radioterapia es lo caro que resulta levantar y mantener las instalaciones", explicó Karasawa.</p> <p>El HIMAT costó 33 000 millones de yenes (más de 260 millones de euros o 3436 millones de dólares) y su construcción llevó diez años, aunque desde entonces las instalaciones han sido renovadas y el centro acaba de estrenar unas nuevas y vanguardistas salas de tratamiento.</p> <p>Por eso, no es de extrañar que solo existan siete aceleradores médicos de iones de carbono en todo el mundo.</p> <p>Cuatro están en Japón (además del NIRS, existen otros tres en las prefecturas de Saga, Gunma y Hyogo) y los otros tres se encuentran en Heidelberg (Alemania), Pavia (Italia) y Lanzhou (China).</p> <p>Además, en Japón, China, Taiwán y Corea del Sur ya se están construyendo nuevas unidades, del mismo modo que en Europa cuatro están ya planificadas o en construcción: dos en las ciudades alemanas de Marburgo y Kiel, uno en Lyon (Francia) y otro al sur de Viena (Austria).<br /> junio 21/2013 (EFE)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2013-06-23T07:51:00-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/548
Ciencia y Tecnología: Crean el mapa del cerebro humano más detallado de la historia
2013-06-23T07:46:03-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="data:image/jpeg;base64,/9j/4AAQSkZJRgABAQAAAQABAAD/2wBDAAkGBwgHBgkIBwgKCgkLDRYPDQwMDRsUFRAWIB0iIiAdHx8kKDQsJCYxJx8fLT0tMTU3Ojo6Iys/RD84QzQ5Ojf/2wBDAQoKCg0MDRoPDxo3JR8lNzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzf/wAARCAC2AJkDASIAAhEBAxEB/8QAGwAAAgMBAQEAAAAAAAAAAAAAAwQCBQYHAAH/xABAEAACAQMCBAQEAwUFBwUAAAABAgMABBEFIQYSMUETUWFxFCKBkTKhsQcjQlLRFTNiweEWJDRUcoLxc5Kj4vD/xAAZAQEBAQEBAQAAAAAAAAAAAAAAAQIDBAX/xAAgEQEBAAICAgIDAAAAAAAAAAAAAQIRAzESIRNBIlGR/9oADAMBAAIRAxEAPwDGKtEVa+qtFVa9D5CKrRAlTVaIqelEQCVNY6NHET2pyG2LdBRYTWHPaipbZ7V9vtU07TGKXMwMo6xRjmYe/l9apLjjI5Is7FcdmmfP5D+tTbpjx2r8WvpX34Q+VZqPiHWLpSYpYIz/ACpEM/nmvn9qcQf85/8AEn9Knk38VaQ2voaG9tjtVGut6/GRloJvR4R/limIOK5UPLqGl4HQtA2cf9p/rTyS8N+j7wkdqE0dO2N/p+qbWc6tJ1MTDlcfQ9fpU5bcjtWu3K42dqtkobJTrxkdqEy0QoVxQ2WmmWhstAqVqOKOy71HlqoMq0ZFryLRlWoPKlGjjya8iU7bxZxtRUoIM+gAyazusa5Ldu1lpLlIej3A6v8A9PkPXvR+MtSeNV0m0BLy48fl7qei/XqaqoopZJorDT4s3LYVim+/kP61m16MMZjN1Tz2gjnaNTkA4z696JHZFiAASSe1bOz4Pglf4dNZtPjQcPEwOAfIHvU4eGbyz1VoblFK2xV5CjAgDO350kZy5TvC/Cim0aSaQ8v/AKoAGemV7dOuauX4atIYJpJcjwQviAZJGQDSWqa1epCLO2M6xlPDdkReVyMjY46DpnqaU1aDWoNFe4mW98EkMS1yIzgdDg7k4HSrpj5KoteWPxRFbHEfPyFhnDKeXqCNiM1n7vTLhQW8VmOBnm3zgkfqK81/I+fEmmY533B38/uBW/4B0m01u2u7q/JuCknII3UADPzZOO5JP2qab8rO3L2S4QCUHoecSLsy+3lWs4a4m+LZbHVJB4x2jnbbm9G9fXvWj4s4PtrKxkutOhKrEpLx8+xXO+M9xk1yqRfDYlRsdiKnTrMpnNV1O4gwTtjeknjwaDwlq51Sya0uiWu7dRhicmROgJ9R0P09asZ4sGtSvPnh41WutCZacdOtAZarmUdahy0y61DloGEWjItRRaOi0USJN6daWOzs5rqbZIULH1x0FCgTNJcZTeDo0cAP/ETAH2UZP54qXpvCbumLtdQJ1V7u6VpGkYliOoJ8qvIdSjt4zFpEDQtLtJO+8jZ6gHsPahaJo8V64Q7MwxnGcHOSfttXRtL4asoAZBEBmdZV/haMqNhnHQnfrvWcXTkpb9mOjhvidQmjBlXKRE9VbuceYrSQ6bBp1mbrVDbK0bN41w8ZzIpOcYPU9N8V6OLw5n8JQnM3M5XbmY9SfWvuq6kNKsHvLmOadEI5ljXmIGep9BW3BQQcTXtzrscEKxRWTOEWF1GAP/FXnHcmmnTHt7gWL3OxhjuQSpk7bDfODXItQ1yZtYN2sxn8OdpEmdeVmHsOlaq64n4Z4ga3uNYF5bXMQB5Y8FSRQVml8EWj6XNqus6gYLYPyoYUzn19qtdB0abSjNfcKavbaiqrmW1dSvOo/Q+tVOu8RniDFjZxi1sIVYpFzhebA6+pq5/Z7jT7u70yd4xJdWwkR0PMFDDbJHrtQvsHWuMo9X0SfT0tZ4tQmBjMaDnA38/UVzvUtLvbTm+JtZY8DfnQiuj8JcO32n8Uvd38TQW0OX8SUYDClbzXdVueIJ4GMp04TBXjlQMVVumx3x61K1hdMHpdxJpk9tfqp/dN8wK4yh/EPXIrpdwiuoeMhkYBlYdwdx+VZHibTorO+kt4k5IWYsqjoM+XpWg4WmNzw7bc27QloWz/AITt+RFZjtyTeO0JE60s61YzpuaVda285JlqHLTDrUMUB0WmI13ocYpmMdKBm2XeqDj0k3WnQDccjv8AUkD/ACrS2y1mOPGEeq2bHGBbHGTjfmNZy6deLszw9LBYPC9w6xmQlU5uhOM+1WCcdQKbfljYRtG5lU5JVh+AZG2D396wZne8ZIl58SsGAd8IpxjvtTdrpc9xbrMjxcpJGGbBGDj9Sv8A7h9ETk7dE0PjaC4MC3aRpy27SXcwyqxsOigHrmluPdShvNNtpbOfUEEsPOAilYmRiBh/XHasMeayjmgMfiCeNcs3MvL323+bqN6YhvJriN45JZ5GZQrfPnKAdMemK05i8G2Vtf8AEVvBfYaLDNyHo5A2H+npXTuJ9E0250O5V4I18OItGyIAVIGQRj9K5DNDPaSI454nGHRuh9CKsX4k1qWF4ZdQmdHXlOQM/cDr2zQU1qGM0eykc6g8/wCE79D6V2zTYFXSY472G0HjR8peyPycozyrze32rnHDemfEEPbwJcSJGJPBc4WTcAj2+ldOn022sdNFnp48GNdxEOinrttvvQetkN7p00U5NxDKpjMbN8vLnDH36mqDiCK1sSi2jBlRFiIJ5nQKNsnrj0O2T2zu/pN9y2C27yKswZi+cjJLds0HUlCrMhieQSIZHKkknGANjtRWA1m/+QLLCJGQfI5O4FOcASeJpt8jD8FyG9uZf9KT134OFpIAVYqVAYnqD3+lH/ZupMOqnOR4kR/Jqz9u/eC8uE3NJutWdwu5pGRa085J1qGKYkWhctUHjFOQpkilohT8K4UkDOBnGetQhq2j9KyH7UITHLp8n80br9iD/nVY/FmsaBr1wl+yX9ushVox8oU4zhTjIxnG/XFC4k4ui4ot4IUsDbNbsW5jLzFgQAdsDyFYuW/T1Tiyx9q/T5BPNbKs0qOpG/PgLj+XvvWug0i1MOC8p3LA+Icgkg7fYfasRZZjlSQdVOa2ttqEPg83OuB54rWLjyX2z+oxta3ZhaVnjQYjLNnC+XpUIpFVlOxGRkZ6ipahMLq9eQAgDYbVCMEkAAk1XNvIdLt77SZi1stncTKI15mEgRQRgjyzUjw3p6XJkJQ23giMpj5g/wDNnzpbTp47fSVELThWYnExyQe9Rm1VuZ05tjvvQajQlgsRHAjxvNDHyLPIvzBT16ew2q9MpiSGOaTxpDGW5lxg9N/PuK5vb6g73OEkk5kUMQnVtwMfn+VbGO/Z0mCK6yDC5CghsKSAPIjfYedBXXl/bBJrxnDxISGKb9Dv+tUWs6rcwSMi3EcsYJ8MoCrBSB8vrVlfO9lDMsDcmOeXLRryvlug3rPS6eHTmE6MdwAQdsdft596EZzUm5yWLZyc71r/ANmkJOlX0v8APcAfZf8A7VnNUsEghSRmR+YdVJ7/APg0TQ+OoeHLI6c2mmf960jSCYLknHblPYVjeq9OMuU8Y31xH1qvlTGayWj8Ta1rnEcbiRYbU5PwuMqyDqM4yWx3862tynKSD2Naxu3LkwuCtkFCxTEgoOKrmNFVjbY2B6VXx9KcgbBFCPmsaLp99Y3CS8kbzP4hJXZmxvv2Pr61zLVdBm0K/XmBa2lU+G+NvPFddkhF5aSQM3LzKQGHVT2Nc0u5dWg0zUdG1WLna1cSJP3xnOB6EZIPuKxlHo47dVV2oHNTqY2xVbaPkgVawwO/TpWo45dgj8RHqaNDhW5gSCBsR2NFjsSWbr1pgWRAGx61WQ9R1eZLcopOCAAw6g71G4aWQxyjOeXfc9+9evLFpIB8pwGHb3qzhtF8IHBJwBihbNK3RL14b5i2WUEhiOrDyFaC11RREsYU8xlDbNnOM47bdd6pre0WO5lGD829NG1YbrkVUX8mrJ8OyeGxLszEs3QnGcem1Zv48wReDl0yMcy7985+lFMbKnKSelVN8hBzv61AXV76KeIBCebI6jqN96rNE4cl1i7kupxyWqtjLHAY+/lSlzMQMH71orQatqdxpeh2SG3t4oxJPKDjI7k+24A7kmsXt6uPcl02+m6RY2cFu1uFdoEKq4XAGeuK9c98dKfkCwwrDGMIgwKrpzkmtOGVJyCg0aShYqspx03GcYpOOmU7UFlbPVfxRpouI5L1Pw/DSQzLjOQQSje4b8jTUDYqyt+SRfDcAo2zA+R61LG8bpw7TgfFUHNbLTbYOo2rOT2rWV6Qy45XKH0IOK2GhsrxLuKRc7sZLEZJowshjpirONAe1HWPPatOSnexDQFcb0B7R43yvatF4Xy4xXmhDA5UUGcgszI/MetOCz26VYxwBH2FFKeQoKKazHlVHqlsEjbatnMgxvgVmNfdEjbcVFjCzR+LdJH/ADOFP1OK7DotgLNbm6b+8uXHIMY5YlGEH6n61znh6x+N1uz51BRrhBgjsDk/kK6vdP8ANt0rOna5etErh8k0hKc0zMdzSshrTiXkNDqUhoeao+xmmUPSk4zTCGoHojVhbPiqqNqdtnwRQjL8Q6XHJrdzbuwjFyPHhc7AMeo++aq7b47SJ/Cuo2UDo2Dg1rOLrTxrOG7QfNAeVsfyt/r+tUvD+tyWl38BfpFdWbt8sc43X0Vv4fY7Z8utSdt32vNNvlmUEkVcRBWAxT9roGiXIEtmsyP/ABIm5X3Hb60xz6Dp9zHZSXa/FyfhgZmZ/cqoJA9TirtiS0gsJI6flUxBWgjtrVsnYqDgtEQ4B8tqIbOyI/G5/wC2hpl2gxnb8qBLhK1UltaR45wqKehkblLew6mquL+wtYaSOyvBJNGcSRRM3Op9UIyB64xTa6t6Y3VNRWENv9M1lzbX+tXBWGMrGN2dtgB55rqF7o2hWCNLcxyTygEi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alt="" />Científicos de Canadá y Alemania crearon un mapa del cerebro humano en 3D, que es el más detallado de la historia, a partir de 7400 láminas del cerebro de una mujer de 65 años, según un estudio publicado en la revista <em>Science</em>.</p> <p>El mapa, titulado BigBrain, tiene 50 veces más resolución que otros modelos anteriores que imitaban un escáner tradicional del cerebro, y forma parte del Proyecto Europeo del Cerebro Humano, que dedica 1000 millones de euros (unos 1300 millones de dólares) a tratar de desarrollar un modelo computerizado del cerebro.</p> <p>Sus creadores planean ponerlo a disposición del público de forma gratuita a través de un portal de Internet CBRAIN, con el fin de facilitar el trabajo de investigadores de todo el mundo.</p> <p>BigBrain muestra las neuronas individuales y las conexiones que existen entre ellas, un nivel de detalle microscópico que sus creadores han tardado 10 años en alcanzar.</p> <p>Fue en 2003 cuando investigadores de la Universidad Heinrich Heine de Dusseldorf (Alemania) y de la Universidad McGill en Montreal (Canadá) comenzaron el proyecto.</p> <p>El equipo eligió el cerebro de una donante fallecida de 65 años porque no tenía señales claras de enfermedad degenerativa u otros daños, explicó a la revista el autor del estudio, Katrin Amunts, que trabaja en la Universidad de Dusseldorf.</p> <p>Preservaron el cerebro con el fijador químico formalin durante varios meses y después empezaron a cortarlo en rodajas extremadamente finas, del grosor de un cabello humano; por considerar que de ser más gruesas podrían perderse detalles, indicó Amunts.</p> <p>A continuación, escanearon cada una de las 7400 porciones de cerebro, lo que les llevó alrededor de 1000 horas, según el investigador.</p> <p>El coautor del estudio en Montreal, Alan Evans, se encargó entonces de reconstruir el cerebro en un todo coherente y corregir los errores y grietas generadas durante el cortado, para lo que se apoyó en una red informática extendida por todo Canadá.</p> <p>Amunts quiere crear ahora mapas del estilo BigBrain con el cerebro de un hombre y el de una persona más joven, con el fin de capturar posibles diferencias relacionadas con el sexo o el desarrollo.</p> <p>En paralelo, científicos de Estados Unidos trabajan en otro mapa del cerebro humano pensado para ayudar a curar enfermedades como el Alzheimer o la epilepsia y que cuenta con una inversión inicial de 100 millones de dólares.<br /> junio 21/2013 (EFE)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Katrin Amunts, Claude Lepage, Louis Borgeat, Hartmut Mohlberg, Timo Dickscheid, Marc-Étienne Rousseau, et. al. <a href="http://www.sciencemag.org/content/340/6139/1472" target="_blank"><em><strong>BigBrain: An Ultrahigh-Resolution 3D Human Brain Model.</strong></em></a> <em>Science</em> 2013: vol. 340 no. 6139 pp. 1472-1475, DOI: 10.1126/science.1235381.</p> </span>
2013-06-23T07:46:03-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/547
Hipertensión arterial: Las nuevas guías de hipertensión amplían a todos los pacientes el límite de 140 mm/hg de presión sistólica
2013-06-22T10:57:01-04:00
Revista Finlay
<p>La Sociedad Europea de Hipertensión y la Sociedad Europea de Cardiología (ESH y ESC, según sus siglas inglesas) presentaron en el Congreso de la ESH, recientemente celebrado en Milán (Italia), sus guías para el tratamiento de la hipertensión arterial, cuya anterior versión databa de 2007. Con el objetivo de dar a conocer las nuevas guías a los profesionales sanitarios españoles, la Sociedad Española de Cardiología (SEC), la Sociedad Española de Hipertensión – Liga Española para la Lucha contra la Hipertensión Arterial (SEH-LEHLA) y Daiichi Sankyo han presentado las guías en un evento celebrado en la Casa del Corazón, sede de la SEC en Madrid, que se ha retransmitido por streaming a otras 25 sedes repartidas por toda España. <br /> <br /> En su intervención, el Dr. Josep Redón, presidente de la Sociedad Europea de Hipertensión (ESH), "es fundamental la consideración de la hipertensión como un factor de riesgo para la salud de primera magnitud, tanto por parte de los médicos como de los pacientes y la población general. En este sentido, la importancia de las nuevas guías radica en que permitirán a los profesionales sanitarios un mejor control de los niveles de hipertensión de sus pacientes y, por tanto, de los factores de riesgo asociados".<br /> <br /> A juicio de la Dra. Nieves Martell, presidenta de la Sociedad Española de Hipertensión – Liga Española para la Lucha contra la Hipertensión Arterial (SEH-LEHLA), "las nuevas guías tienen un carácter eminentemente formativo y ofrecen respuestas a muchas de las preguntas que pueden surgir en la práctica diaria. Además, en ellas se detalla la clase y grado de evidencia de las recomendaciones, lo que sin duda será de gran ayuda para que los médicos podamos alcanzar los objetivos de presión arterial propuestos para nuestros pacientes".<br /> <br /> Por su parte, el Dr. Vicente Bertomeu, presidente de la Sociedad Española de Cardiología (SEC), recuerda que "el 70% de los pacientes que tratamos los cardiólogos son hipertensos", y que la hipertensión arterial es "el principal determinante de mortalidad cardiovascular, especialmente en pacientes de alto riesgo. Por tanto, el control de la hipertensión en dichos pacientes es un objetivo prioritario para los cardiólogos y una condición imprescindible para reducir las tasas de mortalidad".<br /> <br /> <strong>Novedades Guías 2013</strong><br /> <br /> Entre las principales novedades de la edición 2013 de las guías para el tratamiento de la hipertensión se cuenta la recomendación de un único objetivo de presión arterial sistólica para la práctica totalidad de pacientes de <140 mmHg. En las guías 2007 se establecían objetivos diferenciados según el tipo de paciente (140/90 mmHg en pacientes de riesgo bajo a moderado y 130/80 mmHg en pacientes de alto riesgo), pero los autores señalan que no hay evidencias suficientes que justifiquen mantener distintas metas de presión arterial.<br /> <br /> Asimismo, la guía recomienda un incremento del rol de la automonitorización de la presión arterial (AMPA), junto a la monitorización ambulatoria de la presión arterial (MAPA), y recalca la importancia del daño orgánico global y el manejo de todos los factores de riesgo cardiovascular y de otras enfermedades a la hora de abordar la hipertensión.<br /> <br /> En otro apartado, hace hincapié en la necesidad de personalizar el tratamiento de la hipertensión en grupos específicos como, por ejemplo, diabéticos, jóvenes, ancianos y mujeres embarazadas. Por último, recomienda el uso de combinaciones a dosis fijas (CDF) de dos o más fármacos ya que simplifican el tratamiento y favorecen el cumplimiento terapéutico de los pacientes. Esto redunda en un mejor control de la hipertensión y, por tanto, disminución del riesgo de enfermedades cardiovasculares y los costes asociados para los sistemas de salud.</p> <br /><br /><a href="http://www.escardio.org/guidelines-surveys/esc-guidelines/GuidelinesDocuments/guidelines_arterial_hypertension-2013.pdf" target="_blank">2013 ESH/ESC Guidelines for the management of arterial hypertension</a>
2013-06-22T10:57:01-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/546
Cáncer: El cáncer de próstata es curable en el 90% de los casos
2013-06-12T22:00:41-04:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Cada año se detectan en España unos 18.000 nuevos casos de cáncer de próstata y, aunque se trata del tumor más frecuente en hombres, el 90 por ciento de los casos son potencialmente curables, según reconoció el jefe de Servicio de Urología del Hospital Universitario Gregorio Marañón de Madrid, Carlos Hernández. Este experto participaó en un acto organizado por el Grupo Español de Pacientes con Cáncer (GEPAC) y la Asociación Cáncer de Próstata España con motivo del Día Mundial de esta enfermedad, que se celebró ayer martes, 11 de junio.<br /> <br /> Tal como recordó el Dr. Hernández, la mayoría de los casos se diagnostican entre los 55 y los 70 años. Pese a ello, actualmente no existe ningún programa de cribado asociado a la edad, sino que la enfermedad se detecta en varones que previamente acuden al urólogo por otros problemas.<br /> <br /> "El cribado o la búsqueda activa sólo se produce cuando los pacientes vienen con un problema previo, a partir del cual se le realiza una exploración más exhausta que permite detectarlo, o en personas que tienen antecedentes en su familia", ha explicado Hernández. A esto ha ayudado la pérdida progresiva del estigma social que hace años tenían los problemas urológicos. "La sociedad ha evolucionado y cada vez los hombres acuden más a la consulta", indica este experto.<br /> <br /> Esto hace que el tumor se detecte cuando está aún muy localizado, lo que hace que el pronóstico sea muy bueno y la mayoría de los pacientes puedan curarse gracias a cirugía y al uso de radioterapia, o a la combinación de ambos tratamientos.<br /> <br /> En pacientes de edad más avanzada o en quienes el tumor está más extendido el pronóstico varía y ya es necesario recurrir a quimioterapia o a terapias hormonales, ha añadido la doctora Virginia Calvo, oncóloga del Hospital Puerta de Hierro de Majadahonda (Madrid).<br /> <br /> No obstante, apunta Hernández, cuando se detecta en pacientes mayores de 85 años "a veces incluso ni siquiera se trata, salvo que se encuentre muy evolucionado, porque su evolución natural no va ni a cortar su vida ni a condicionarla".<br /> <br /> <strong>Más calidad de vida</strong><br /> <br /> Precisamente la mejora de la calidad de vida es uno de los principales objetivos que persiguen los afectados por estos tumores, que en muchos casos han de hacer frente a los síntomas asociados al tratamiento de la enfermedad, como señala Toribio López, paciente de 72 años al que se detectó un cáncer de próstata hace más de 10.<br /> <br /> "La incontinencia y la impotencia nos limitan mucho, sobre todo psicológicamente", afirma este paciente, que también denuncia que en muchas hospitales no se les facilita información para ayudarles a corregir estos problemas.<br /> <br /> El doctor Hernández matiza, no obstante, que estos problemas se han reducido progresivamente, y que la incontinencia urinaria, por ejemplo, apenas afecta a un 2-3% de los pacientes después de haberse sometido a la cirugía. En el caso de la disfunción eréctil, añade este experto, el riesgo varía en función del tipo de cirugía utilizada. "La potencia sexual se puede mantener en el 70 u 80% de los casos, aunque a veces es necesario ayudarse de medicación", admite.<br /> <br /> <strong>'Cancerprostata.org'<br /> </strong><br /> La presidenta de GEPAC, Begoña Barragán, recordó que la asociación Cáncer de Próstata España ofrece información "contrastada y de calidad", así como atención social, psicológica y jurídica de manera gratuita y desinteresada. Además, el pasado mes de octubre se puso en marcha la página web 'cancerprostata.org', que, desde entonces, ya ha recibido más de 100.000 visitas.<br /> <br /> Con motivo del Día Mundial de la enfermedad, esta entidad ha promovido una campaña con la que pretende otorgar un papel protagonista a las parejas de estos pacientes. "Con esta campaña no queremos quitar el protagonismo a los hombres. Ellos son los pacientes, pero en más del 50% de los casos han sido las mujeres, hijas, hermanas de los pacientes las que se han puesto en contacto con la asociación para solicitar ayuda y recursos", puntualiza Barragán</p>
2013-06-12T22:00:41-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/545
Cáncer: Identifican posible causa del surgimiento del cáncer de mama
2013-06-10T09:23:12-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un equipo de científicos identificó cómo se inicia un cáncer de mama y por qué surge en los conductos que van desde la glándula mamaria hasta el pezón.</p> <p>La investigación, publicada en la revista<em><strong> Stem Cell Reports</strong></em>, explica que el cáncer de mama se origina en las llamadas células madre, las cuales se dividen en dos, diferenciadas o finales que, a su vez, forman el conducto en el seno.</p> <p>Los expertos analizaron muestras de tejidos donados por mujeres sanas después de someterse a una operación de reducción de pecho por razones estéticas, aclara la publicación.</p> <p>Tras el estudio, los especialistas encontraron que todas las mujeres tienen determinadas células con telómeros (extremos de los cromosomas) muy cortos que provocan mutaciones, las cuales pueden desarrollar cáncer.</p> <p>El artículo refiere que al perderse la función de los telómeros y evitar que los extremos del cromosoma se junten o recombinen con otros, ocurre un caos en el siguiente ciclo celular.</p> <p>Según los autores del trabajo, el estadounidense David Gilley y Connie Eaves, del laboratorio Terry Fox en Vancouver, Canadá, este estudio permite entender cómo se inicia un cáncer.</p> <p>"Lo que buscábamos eran posibles vulnerabilidades en células normales que las hicieran volverse malignas", explicó uno de los científicos.</p> <p>A través de este análisis también podrían establecerse marcadores para exámenes, a partir de muestras de tejido o de sangre, y poder monitorear a las mujeres, especialmente a aquellas con alto riesgo de desarrollar cáncer de mama, sugieren los científicos.</p> <p>Los especialistas esperan que su trabajo ayude a desarrollar controles médicos mucho antes de que aparezca el cáncer, pues "cuando la paciente se presenta con un tumor, es menos lo que se puede hacer", precisaron<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=1486141&Itemid=1" target="_blank"><strong>Junio 5/2013 (PL)</strong> </a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Tanaka H, Abe S, Huda N, Tu L, Beam MJ, Grimes B, Gilley D.<em><strong>Telomere fusions in early human breast carcinoma</strong></em>.<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22891313" target="_blank"><em>Proc Natl Acad Sci U S A.</em></a> 2012 Ago 28;109(35):14098-103.Doi: 10.1073/pnas.1120062109</p> </span>
2013-06-10T09:23:12-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/544
Hipertensión arterial: La denervación renal, eficaz a largo plazo en hipertensión arterial resistente
2013-06-07T10:55:22-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los efectos positivos de la denervación de las arterias renales para el tratamiento de la hipertensión arterial (HTA) refractaria se mantienen a los cuatro años, según los últimos datos del estudio <em>Simplicity</em> que se han debatido durante el XXV Congreso de la Sociedad Catalana de Cardiología, que se celebra en Barcelona.</p> <p>Joan Antoni Gómez, jefe de sección en el Servicio de Cardiología del Hospital Universitario de Bellvitge y moderador de la mesa sobre denervación renal en la reunión científica, ha explicado a Diario Médico que el seguimiento a largo plazo de estos pacientes ha confirmado también que la técnica es segura, ya que no se han observado complicaciones ni efectos adversos asociados, como podría ser la temida estenosis de la arteria renal.</p> <p>Todos los participantes a los que se les practicó esta técnica, que consiste en la ablación de inervación de las arterias renales por medio de radiofrecia mostraron un descenso de al menos 20 mmHg en la presión sistólica y una reducción de la presión diastólica.</p> <p>La denervación renal se había postulado como una técnica prometedora para el control de la HTA resistente ya que la mayoría de los pacientes mejoraron tras doce meses de seguimiento.</p> <p>Ahora se ha visto que, "pasado el primer año, la respuesta de los pacientes mejora, ya que durante los primeros meses después de la intervención su cuerpo responde con un mecanismo inflamatorio que tiene un efecto sobre la tensión arterial", ha puntualizado Gómez.</p> <p>Perfil de los pacientes<br /> Los candidatos a esta alternativa terapéutica son enfermos jóvenes -la mayoría de ellos entre los 40 y los 50 años- que están en tratamiento con al menos cuatro fármacos antihipertensivos, o bien con tres, pero que han mostrado un mal control de la enfermedad.</p> <p>Además, aunque de inicio el objetivo de intervención no consistía en modificar el tratamiento farmacológico, se ha podido observar que en más de la mitad de los casos se ha tenido que reducir la medicación, ya que algunos pacientes denervados comenzaban a mostrar cifras de hipotensión.</p> <p>Estos hallazgos han motivado a los investigadores a probar la técnica en pacientes "menos refractarios", es decir, en aquellos que responden poco al tratamiento o bien que están mal controlados por problemas de adherencia.</p> <p>En España ya se han tratado una treintena de enfermos con esta técnica invasiva y, en los próximos días, el Hospital de Bellvitge intervendrá a los primeros dos pacientes de un total de cinco que tiene reclutados para el proyecto piloto.</p> <p>Otra de las ventajas indirectas de la introducción de esta técnica, según ha destacado Gómez, es que permite estudiar mejor a los pacientes con HTA resistente -que son un 5 % del total de hipertensos- y conocer mejor su perfil, ya que antes de optar por la denervación renal es necesario descartar la presencia de todo tipo de enfermedades que pudieran tener asociada una HTA secundaria.<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2013/06/05/area-cientifica/especialidades/cardiologia/investigacion/denervacion-renal-eficaz-largo-plazo-hta-resistente" target="_blank">junio 6/2013 (Diario Médico) </a></p> </span>
2013-06-07T10:55:22-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/543
Cáncer: El examen de los genes de tejidos cancerosos permite evaluar su virulencia
2013-05-27T05:42:58-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><span class="textonormal"><img 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alt="" width="218" height="163" /></span>Un equipo de investigadores franceses ha descubierto que el examen de los genes de los tejidos cancerosos permite predecir la virulencia de los tumores, lo que puede ayudar a establecer un pronóstico precoz y personalizar el tratamiento.</p> <p>El Centro Nacional de Investigación Científica de Francia (CNRS) presentó en un comunicado los resultados de expertos del Instituto Albert Bonniot de Grenoble, que han colaborado con médicos del hospital universitario de esa ciudad sobre la activación anormal de numerosos genes de tejidos afectados por un cáncer.</p> <p>Los investigadores trabajaron durante diez años con cerca de 300 enfermos de cáncer de pulmón cuyos expedientes fueron completados con la expresión de los genes de sus tumores, para lo cual se pusieron en relación con diferentes parámetros clínicos.</p> <p>Eso les permitió observar las manifestaciones aberrantes de 26 de esos genes como consecuencia de la activación de formas de este cáncer particularmente agresivas, que por tanto daban indicaciones de una virulencia extrema.</p> <p>Así podían prever, en la fase de diagnóstico, cuáles son los que suponen un alto riesgo de generar una recaída de la enfermedad o incluso de conducir a la muerte aunque sean tratados desde una fase precoz.</p> <p>Ese trabajo permite un nuevo enfoque para el estudio y el tratamiento del cáncer al convertir los genes en "un nuevo instrumento para establecer un diagnóstico y personalizar" el tratamiento, destacó el CNRS.</p> <p>Los investigadores franceses detectaron que en los órganos o tejidos en los que se desarrolla un tumor hay genes que tienen manifestaciones anormales al haberse visto dañados los mecanismos por los que se activan.</p> <p>El organismo de investigación indicó que queda pendiente la explicación entre la expresión anormal de los genes y la virulencia del cáncer.</p> <p>En cualquier caso, lo constatado para el cáncer de pulmón puede aplicarse a "casi cualquier tipo de cáncer", lo que para los encargados del estudio abre perspectivas "muy amplias" para su explotación<br /> mayo 22/2013 (EFE).-</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Rousseaux S, Debernardi A, Jacquiau B, Vitte AL, Brambilla E, Khochbin S.<em><strong>Ectopic activation of germline and placental genes identifies aggressive metastasis-prone lung cancers</strong></em>.<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23698379" target="_blank"><em>Sci Transl Med</em></a>. 2013 May 22;5(186):186ra66.Doi: 10.1126/scitranslmed.3005723</p> </span>
2013-05-27T05:42:58-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/542
Ciencia y Tecnología: Última parada en la carrera de la terapia celular
2013-05-21T15:08:42-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La consecución de un nuevo tipo de células madre embrionarias, las clónicas, introduce otra variable en la investigación sobre terapia celular. Los científicos tendrán que determinar ahora qué tipo de célula pluripotente (embrionaria obtenida por fecundación in vitro (FIV), clónica o las reprogramadas iPS) se adapta mejor a la carrera hacia la regeneración terapéutica, para la que, por el momento, sólo han demostrado su utilidad clínica las troncales de tejidos adultos.</p> <p>Las células obtenidas por el grupo de Shoukhrat Mitalipov, de la Universidad de Ciencias y Salud de Oregón, en Beaverton, y presentadas en la revista Cell el pasado miércoles, suponen la culminación de la técnica de transferencia nuclear celular somática, mundialmente famosa por permitir el nacimiento de la oveja Dolly.</p> <p>La clave de la cafeína<br /> Desde el logro de Ian Wilmut (Instituto Roslin) en 1997, diversos grupos en todo el mundo intentaron reproducir la clonación terapéutica a partir de células humanas. Con el paréntesis del fraude orquestado por el coreano Woo Suk Hwang (Universidad de Seúl), nadie había publicado que la transferencia nuclear humana era posible hasta Mitalipov. Queda así superada una asignatura pendiente, que estos científicos han aprobado gracias al perfeccionamiento de la técnica de la transferencia; en concreto, como exponen en su estudio, incorporaron cafeína al cóctel químico que se aplica durante la enucleación del ovocito y la inserción del fibroblasto, y electroestimulación para activar el desarrollo embrionario. Además, se cuidaron de mantener al óvulo en el estadio de metafase mientras se aplicaba la técnica.</p> <p>El resultado, tras emplear 128 óvulos (Woo Suk utilizó más de 2000 sin éxito), fueron seis líneas de células madre embrionarias. De ellas, cuatro se diferenciaron en cardiomiocitos in vitro y en una variedad de tipos celulares en teratotumores en ratones vivos.</p> <p>El trabajo de Mitalipov es técnicamente ejemplar, al decir de la comunidad científica, pero se acompañaba en su presentación de unas declaraciones del científico que sonaban a justificación: "Nuestro hallazgo se dirige a generar células madre como un futuro tratamiento de enfermedades; no buscamos la clonación humana ni creemos que nuestra investigación pueda ser usada por otros para avanzar hacia ella". Mitalipov habla con conocimiento de causa al decir que no cree que sea posible, pues investiga desde 2007 y sin éxito para obtener clones de monos. Pero no son los únicos que dudan sobre la posibilidad de que sus hallazgos terminen generando un ser humano clónico. Otra autoridad en terapia celular, Rudolf Jaenisch (Instituto Whitehead y del Instituto Tecnológico de Massachusetts), afirma que "si se implantaran los embriones [clónicos], lo cual sería ilegal, creo que obtendrías los mismos resultados que con los ratones: la mayoría morirían al nacer y el resto desarrollaría graves problemas a medida que envejecen".</p> <p>Simpatías<br /> La cuestión ahora es determinar, una vez demostrado que se puede hacer, qué ventajas aportarían estas nuevas células madre embrionarias clónicas respecto a las células de pluripotencialidad inducida (iPS), aparecidas gracias a la reprogramación celular de la mano de Shinya Yamanaka (Universidad de Kioto). Las iPS se han ganado las simpatías de la comunidad científica, como demuestra que les hayan otorgado a sus artífices el último Nobel de Medicina.</p> <p>El cirujano Damián García-Olmo (Hospital de La Paz, en Madrid), pionero en la aplicación de terapia con troncales, considera que "el experimento de Yamanaka ha supuesto un cambio de paradigma que hace perder el interés por una técnica tan altamente sofisticada y compleja como la transferencia nuclear. Desde un punto de vista práctico, las iPS han eclipsado a las embrionarias".</p> <p>Precisamente, el grupo de Mitalipov va a iniciar un estudio para comparar células embrionarias clónicas e iPS obtenidas del mismo donante. En declaraciones a la revista The Scientist, George Daley, del Instituto de Células Madre de Harvard, también espera que se demuestren las ventajas que podrían ofrecer las células embrionarias clónicas con respecto a las iPS, "más fáciles de reproducir y en apariencia con mayores aplicaciones ".</p> <p>ADN mitocondrial<br /> Mitalipov, de momento, destaca una posible ventaja de sus criaturas: contienen ADN mitocondrial (ADNmt) del óvulo; así que a diferencia de las iPS, la transferencia nuclear también corrige eventuales mutaciones en el ADNmt, lo que haría a las células embrionarias clónicas útiles para tratar alteraciones mitocondriales.<br /> De momento, las investigaciones básicas que ayuden a comprender el funcionamiento de estas células son las que tienen más sentido, pues como apunta el científico José Manuel García-Verdugo (Centro de Investigación Príncipe Felipe, de Valencia), "todavía hay muchas dudas que disipar sobre los riesgos antes de sus aplicaciones clínicas; a día de hoy, yo no aconsejaría implantar ni las iPS ni las embrionarias".</p> <p>Cronología</p> <p>1981. Células madre embrionarias de ratón.<br /> El grupo de Gail R. Martin identifica células madre del embrión de un ratón. Martin acuña el término "células stem embrionarias".</p> <p>1996. Nace la oveja 'Dolly'.<br /> Ian Wilmut, del Instituto Roslin (Reino Unido), pone en práctica la técnica de transferencia nuclear celular somática y clona al primer mamífero, una oveja; a partir de ahí, se han clonado diversas especes mamíferas, incluidos ratones, gatos, perros y un mono rheus (Tetra).</p> <p>1998. Identifican las células madre humanas.<br /> James Thomson deriva la primera línea de células madre embrionarias en la Universidad de Wisconsin-Madison. Se abre la puerta a la aplicación terapéutica de las troncales embrionarias.</p> <p>2006. Las células iPS cambian el paradigma.<br /> Shinya Yamanaka, en la Universidad de Kioto (Japón), consigue reprogramar células de la piel para que vuelvan a su estado de pluripotencialidad. Han nacido las células iPS. Un año después, lo logra con fibroblastos humanos.</p> <p>2013. Ahora sí: la transferencia 'fabrica' células humnanas<br /> Shoukhrat Mitalpivo (Universidad Ciencias y Salud de Oregón) obtiene líneas celulares embrionarias humanas a partir de células de la piel mediante transferencia nuclear.<br /> <a href="http://biotecnologia.diariomedico.com/2013/05/20/area-cientifica/especialidades/biotecnologia/investigacion/ultima-parada-carrera-terapia-celular" target="_blank"><strong>mayo 17/2013 (Diario Médico)</strong> </a></p> </span>
2013-05-21T15:08:42-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/541
Accidentes vasculares encefálicos: La depresión aumenta el riesgo de ictus en mujeres
2013-05-20T22:06:49-04:00
Revista Finlay
<p>Las mujeres deprimidas tienen un riesgo 2,4 veces mayor de padecer un accidente cerebrovascular en comparación con las que no están deprimidas, según un estudio australiano que analizó, durante doce años, a 10.547 mujeres de 47 a 52 años de edad, y cuyos resultados publica <em>Stroke: Journal of the American Heart Association</em>.</p> <p>"Al tratar a las mujeres, los médicos deben tener en cuenta la gravedad de los problemas de salud mental y los efectos que pueden tener a largo plazo", señala Caroline Jackson, autora del estudio y epidemióloga en la Escuela de Salud de la Población, en la Universidad de Queensland, en Australia. "Las directrices actuales para la prevención del ictus tienden a pasar por alto el papel potencial de la depresión", alerta.<br /> <br /> Jackson y sus colegas evaluaron los resultados de una encuesta nacional sobre salud, en la que las participantes respondieron preguntas sobre su salud mental y física cada tres años entre 1998 y 2010.<br /> <br /> Alrededor del 24% de las participantes reconoció estar deprimida, y los registros de defunción revelaron que durante el estudio se produjeron 177 ictus.<br /> <br /> Los investigadores utilizaron programas estadísticos para analizar la relación entre depresión e ictus, además de distinguir las causas independientes de la depresión, edad, nivel socioeconómico, tabaquismo, alcohol, actividad física, presión arterial alta, enfermedades del corazón, sobrepeso y diabetes.</p> <br /><a href="http://stroke.ahajournals.org/content/early/2013/05/16/STROKEAHA.113.001147.abstract?sid=f6b0de07-5097-4019-aeee-b0451679a246" target="_blank">Stroke (2013); doi: 10.1161/STROKEAHA.113.001147 </a>
2013-05-20T22:06:49-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/540
Cáncer: El cáncer de ovario uno de los cánceres con peor pronóstico
2013-05-20T06:00:07-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>"El cáncer de ovario es una patología habitual, pero no tan frecuente como otros tumores, por lo que muchas veces se tiene más olvidada y se tarda mucho en diagnosticar", explica Marta de la Fuente, psicooncóloga de MD Anderson Cancer Center Madrid. Con el objetivo de llamar la atención sobre los síntomas de este cáncer y fomentar su detección en los estadios más iniciales para mejorar el pronóstico de la enfermedad, se celebra este 8 de mayo el Primer Día Mundial del Cáncer de Ovario.</p> <p>En España, cada año se detectan más de 3.000 pacientes con cáncer de ovario, una enfermedad cuya supervivencia varía notablemente en función del estadio en que se detecte. Por eso, a la hora de afrontar el diagnóstico y el tratamiento, "es fundamental que sean realizados por ginecólogos oncólogos para reducir al máximo la enfermedad residual que pueda quedar tras la cirugía, ya que las pacientes que salen de quirófano sin evidencia visible de enfermedad son las que tienen mejor pronóstico", comenta el Dr. Antonio González, jefe del Servicio de Oncología de MD Anderson Cancer Center Madrid.</p> <p>Aunque las cifras por el momento no acompañan, ya que el tumor de ovario es uno de los cánceres con peor pronóstico y representa la sexta causa de muerte por cáncer en la mujer, el futuro es especialmente esperanzador: "en estos momentos hay una intensa y extensa investigación en cáncer de ovario, con nuevas moléculas en desarrollo, que estamos seguros que cambiarán el pronóstico de las pacientes en los próximos años", augura el Dr. González.</p> <p>Estos avances vienen de la mano de mejoras en la cirugía y en el tratamiento médico. En concreto, recientemente los especialistas han incorporado al tratamiento con quimioterapia una terapia antiangiogénica con un anticuerpo monoclonal frente a VEGF que mejora el pronóstico de la enfermedad de forma significativa. Además, el Grupo de Investigación en Cáncer de Ovario de España, miembro de otros grupos internacionales, permite canalizar y estructurar ensayos de investigación clínica y traslacional en este tumor, "lo que facilita en gran medida la participación de pacientes españolas en estudios clínicos con fármacos innovadores o nuevas estrategias que prometen nuevas vías terapéuticas", comenta el Dr. González.</p> <p>Impacto emocional del cáncer de ovario</p> <p>En paralelo al tratamiento médico, la atención emocional de la paciente con cáncer de ovario es fundamental para ayudar a asimilar el diagnóstico y afrontar el proceso terapéutico con energía y una actitud positiva. En este sentido, el papel de la Psicooncología proporciona a la paciente estrategias y técnicas para que pueda aceptar su nueva situación.</p> <p>El diagnóstico de cáncer de ovario puede impactar en la mujer generando multitud de emociones como miedo, incertidumbre, ansiedad, tristeza o angustia. Por eso, es necesario intentar gestionar esas emociones para hacer más llevadero su proceso terapéutico: "No se trata de que una paciente no tenga sufrimiento, sino de saber manejar ese estado anímico negativo y aprender a expresarlo, comunicarlo, para buscar soluciones en las distintas etapas emocionales", indica Marta de la Fuente.</p> <p>La psicooncóloga de MD Anderson Cancer Center Madrid insiste además en la importancia del autocuidado para sobrellevar el proceso oncológico: "es fundamental que la paciente no focalice toda su atención en la enfermedad y descuide aspectos relevantes como el ejercicio físico -en los casos que sea posible-, la alimentación o su vida social. Sabemos que no es fácil ante una noticia tan impactante como el diagnóstico de cáncer, pero es esencial", puntualiza de la Fuente. Y esto es extensible también a los familiares que, como acompañantes en el proceso de la paciente, muchas veces se descuidan a nivel personal y llegan al final del proceso con sobrecarga y alta sintomatología de estrés.</p> <p>"Muchas veces las pacientes cometen el error de ver el cáncer como el final del camino, en lugar de verlo como un paréntesis, que aunque nos obliga a rebajar el ritmo, no debe hacernos parar y abandonar por completo nuestras actividades diarias", concluye Marta de la Fuente. Y lo cierto es que las estadísticas confirman que cada vez hay más supervivientes al cáncer de ovario, gracias a los importantes avances terapéuticos, que aumentan el control de la enfermedad de forma significativa, incluso en las pacientes con peor pronóstico.<br /> <a href="http://www.vademecum.es/noticia-130508-el+c%C3%A1ncer+de+ovario+es+uno+de+los+c%C3%A1nceres+con+peor+pron%C3%B3stico+y+representa+la+sexta+causa+de+muerte+por+c%C3%A1ncer+en+la+mujer_7012" target="_blank"><strong>mayo 8/2013 (vademecum.es)</strong></a></p> </span>
2013-05-20T06:00:07-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/539
Diabetes Mellitus: Analizan compuestos que reducirían resistencia a la insulina
2013-05-19T07:15:46-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El experto Enrique Hong Chong, del Departamento de Farmacobiología del Centro de Investigación y Estudios Avanzados (Cinvestav), informó que realiza un estudio para encontrar una serie de compuestos que reducirían la resistencia a la insulina.</p> <p>Dijo que ello, además de beneficiar a millones de personas diabéticas, puede emplearse en los casi 30 millones de seres humanos que presentan hipertensión y otros más con síndrome metabólico.</p> <p>Explicó que la relación entre hipertensión arterial, síndrome metabólico y diabetes mellitus es muy cercana, porque hay por lo menos un tercio de estos pacientes que tienen más de un padecimiento, por lo tanto se requieren ideas frescas para su control.</p> <p>"Nadie lo ha intentado todavía, pero es probable que si se encontrara una sustancia que inhiba efectivamente y con seguridad la resistencia a la insulina, eso controlaría a diabéticos y también a un buen número hipertensos", consideró el Premio Nacional de Ciencias y Artes 1987.</p> <p>El experto puntualizó que los fármacos actuales pueden controlar al 60 % de los pacientes hipertensos, pero 40 % restante tiene que usar combinaciones y comentó que existen muchos fármacos usados desde 1940; sin embargo, inicialmente eran muy tóxicos y producían muchos efectos colaterales.</p> <p>Por ejemplo, los bloqueadores ganglionares o los antiadrenérgicos, frecuentemente provocaban desvanecimientos en los enfermos, porque al bajar mucho la presión arterial, la sangre no llegaba al cerebro y ante la falta de oxigenación cerebral las personas perdían el sentido.</p> <p>Hong Chong precisó que su interés científico también se enfoca en saber por qué los carbohidratos como la fructosa y la glucosa, son capaces de aumentar la presión arterial.</p> <p>Mientras no se conozca exactamente porque aparece esta enfermedad, para el control de la hipertensión arterial se empleará la combinación de fármacos, sostuvo el también integrante del Consejo Consultivo de Ciencias de la Presidencia.</p> <p>Expuso que la hipertensión arterial es uno de los problemas de salud más serios en el mundo, ya que afecta a casi un tercio de la población adulta.</p> <p>"Es una enfermedad silenciosa que se descubre por accidente, cuando ya empezó a producir otros problemas como daño renal, hipertrofia, insuficiencia cardiaca, accidentes vasculares cerebrales o disminución de la visión", asentó.<br /> mayo 17/2013 (Notimex)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2013-05-19T07:15:46-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/538
Hipertensión arterial: 17 de mayo, Día Mundial de la Hipertensión arterial
2013-05-18T07:08:08-04:00
Revista Finlay
<em>"Presión arterial saludable: latidos fuertes del corazón"</em> es el lema con que se celebra en este año este día que tiene particular relevancia pues la Organización Mundial de la Salud ha dedicado su trabajo fundamental de este año al tema del control de la hipertensión arterial, por considerarlo un gran problema de salud.<br /> La hipertensión es el principal factor de riesgo de muerte en el mundo y afecta tanto a hombres como a mujeres. Se recomienda que las personas conozcan de forma regular cuál es su presión arterial, el ritmo de sus pulsaciones, que realicen actividad física, mantengan una alimentación rica en frutas y vegetales, eviten la ingesta de alcohol y tabaco y disminuyan el consumo de alimentos procesados. Visite nuestro sitio sobre <a href="http://www.hta.sld.cu" target="_blank">Hipertensión arterial</a>.
2013-05-18T07:08:08-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/537
Obesidad: Investigadores españoles relacionan el estrés laboral con un mayor índice de grasas en la sangre
2013-05-16T09:20:56-04:00
Revista Finlay
<p>El estrés laboral está relacionado con un aumento de grasas en la sangre, según ha mostrado un estudio realizado por la Sociedad de Prevención de Ibermutuamur, en colaboración con expertos del Hospital Virgen de la Victoria de Málaga y la Universidad de Santiago de Compostela.<br /> <br /> El trabajo, publicado en la revista <em>Scandinavian Journal of Public Health</em> y recogido por la plataforma Sinc, se ha llevado a cabo a partir de una muestra de más de 90.000 empleados.<br /> <br /> "Los trabajadores que declararon haber experimentado dificultades para hacer frente a su trabajo durante los últimos doce meses -un 8,7% de la muestra- presentaron un mayor riesgo de padecer dislipidemia", ha comentado el psicólogo clínico experto en estrés laboral, Carlos Catalina.<br /> <br /> Las dislipidemias o dislipemias son trastornos del metabolismo de las lipoproteínas, que pueden manifestarse por una elevación del colesterol total, de las lipoproteínas de baja densidad (LDL) y de las concentraciones de triglicéridos, así como por una disminución de las lipoproteínas de alta densidad (HDL).<br /> <br /> Concretamente, en el estudio, los trabajadores con estrés laboral presentaron una mayor probabilidad de sufrir niveles anormalmente altos de colesterol LDL, niveles excesivamente bajos de colesterol HDL e índices de aterogenicidad positivos, es decir, un potencial de obstrucción de las arterias.<br /> <br /> "Uno de los mecanismos que podrían explicar la relación entre el estrés y el riesgo cardiovascular podrían ser los cambios en el perfil lipídico, lo que supondría una mayor acumulación de placa ateroma (depósito de lípidos) en las arterias", ha concluido el experto.</p> <br /><a href="http://sjp.sagepub.com/content/41/2/142.abstract" target="_blank">Scandinavian Journal of Public Health (2013); doi: 10.1177/1403494812470400 </a>
2013-05-16T09:20:56-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/536
Ciencia y Tecnología: China emplea tecnología espacial para crear implantes cardiacos
2013-05-16T05:40:33-04:00
Revista Finlay
El <a href="http://www.cubadebate.cu/etiqueta/corazon-artificial/">corazón artificial </a>fue desarrollado conjuntamente por un grupo de investigadores de la Academia de Tecnología de Vehículos de Lanzamiento de<a href="http://www.cubadebate.cu/etiqueta/china/"> China</a> y del Hospital Cardiovascular Internacional TEDA. <p>La oveja, de nombre Tianjiu, permanece estable después de haber recibido el trasplante el pasado 14 de marzo, informó el director del hospital, Liu Xiaocheng.</p> <p>Liu explicó que los investigadores emplearon la suspensión magnética y los cojinetes hidrodinámicos utilizados en la construcción de <a href="http://www.cubadebate.cu/etiqueta/cohetes-espaciales/">cohetes espaciales</a> para diseñar y producir un dispositivo de asistencia ventricular implantable de tercera generación, una bomba mecánica utilizada para apoyar el funcionamiento cardiaco y los flujos de sangre en las personas con corazones debilitados.</p> <p>El dispositivo es el primero de su tipo equipado con una batería y un controlador. El experimento en el animal es similar a un implante clínico, explicaron los científicos.</p> <p>“Una vez que el dispositivo de asistencia ventricular salga al mercado, podrá acabar con el sufrimiento de millones de personas con riesgo cardiaco y de pacientes que están a la espera de un <a href="http://www.cubadebate.cu/etiqueta/trasplante-de-corazon/">trasplante de corazón</a>“, señalaron los autores de este innovador proyecto</p>
2013-05-16T05:40:33-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/535
Prevención de las enfermedades crónicas: Las mascotas contribuyen a reducir el riesgo cardiaco
2013-05-13T12:51:53-04:00
Revista Finlay
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alt="" />Tener una mascota, principalmente un perro, puede reducir el riesgo de enfermedades del corazón, según una revisión de estudios de la Asociación Americana del Corazón, publicada en la edición online de la revista <em>Circulation: Journal of the American Heart Association.</em><br /> <br /> Según Glenn N. Levine, profesor en el Colegio Baylor de Medicina en Houston, Texas (Estados Unidos), y presidente del comité que escribió la declaración científica, "es probable que las personas más saludables son las que tienen mascota, y que la mascota no sea exactamente la causa, sino el efecto".<br /> <br /> Tal como se desprende de la revisión de estudios, tener un perro contribuye a reducir el riesgo cardiovascular, tal vez porque las personas que tienen estos animales realizan más actividad física. Un estudio con más de 5.200 adultos dueños de perros, mostró que estos individuos caminan más que los no propietarios de perros y presentaban un 54% más de probabilidades de obtener el nivel recomendado de actividad física.<br /> <br /> "En esencia, los datos sugieren que probablemente hay una asociación entre la tenencia de mascotas y la disminución del riesgo cardiovascular -concluye Levine-. Lo que está menos claro es si el acto de la adopción o adquisición de una mascota podría conducir a una reducción del riesgo cardiovascular en pacientes con enfermedad preexistente. Se necesita más investigación, incluyendo estudios de mejor calidad, para responder con más precisión a esta pregunta".</p> <br /><br /><a href="http://circ.ahajournals.org/content/early/2013/05/09/CIR.0b013e31829201e1.full.pdf+html?sid=eebc6047-a791-47f8-bb63-0965d81643b7" target="_blank">Circulation: Journal of the American Heart Association (2013); doi: 10.1161/CIR.0b013e31829201e1 </a>
2013-05-13T12:51:53-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/534
Aterosclerosis: Aumento de calprotectina en sangre se relaciona con diabetes tipo 1 y ateroesclerosis
2013-05-11T06:10:13-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los pacientes con diabetes tipo 1 tienen más riesgo de enfermedad cardiovascular, en parte debido a un aumento en la producción de calprotectina, proteína que a su vez impulsa el proceso que alimenta la placa de ateroma.</p> <p>Este hallazgo, realizado en experimentos con ratones y confirmado con datos clínicos, se publica en <em>Cell Metabolism</em>. Una de las investigadoras responsables, Ira J. Goldberg, del Centro Médico de la Universidad de Columbia (Nueva York), explica que si bien se conocía la asociación entre diabetes tipo 1 y riesgo de ateroesclerosis y que en ello influyen los altos niveles de leucocitos inflamatorios, por primera vez han identificado cómo la diabetes redunda en los leucocitos y estos a su vez en la enfermedad cardiaca.</p> <p>Así, la elevación de glucosa en la sangre estimula que ciertos neutrófilos liberen calprotectina; esta proteína alcanza la médula ósea, donde se une a un receptor de superficie conocido por las siglas RAGE, que participa en la producción de diferentes células hematológicas.</p> <p>En concreto, la proliferación de células precursoras de macrófagos y granulocitos da lugar a más neutrófilos y estos, al entrar en la circulación sanguínea, a la formación de placas de ateroma.</p> <p>Una vez determinado el proceso en ratones, los científicos constataron en 290 pacientes con diabetes tipo 1, desde hacía al menos dieciocho años, que los que presentaban enfermedad arterial coronaria tenían niveles más elevados de calprotectina en sangre.<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2013/05/08/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/aumento-calprotectina-sangre-mecanismo-explica-relacion-diabetes-tipo-1-ateroesclerosis" target="_blank">mayo 9/2013 (Diario Médico) </a></p> <p>Prabhakara R. Nagareddy, Andrew J. Murphy, Roslynn A. Stirzaker, Yunying Hu, Shiquing Yu, Rachel G. Miller, et. al. <a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1550413113001435" target="_blank"><em><strong>Hyperglycemia Promotes Myelopoiesis and Impairs the Resolution of Atherosclerosis</strong></em></a>. <em>Cell Metabolism</em><br /> 17(5) pp. 695 - 708.</p> </span>
2013-05-11T06:10:13-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/533
Medicamentos: Prueban antidiabético para prevenir daños cardíacos que produce un antitumoral
2013-05-09T09:13:46-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El estudio comenzó hace cinco años, cuando se constató que la metformina era el único fármaco de su clase que disminuía la mortalidad de los pacientes por motivos cardiovasculares.</p> <p>Un estudio del Grupo de Investigación Clínica y Traslacional Cardiovascular (ICTC) de Murcia ha demostrado que un medicamento oral de uso común en el tratamiento de la diabetes, la metformina, previene el daño cardiaco producido por la antraciclina, el agente antitumoral más utilizado en cánceres 'no sólidos', es decir, hematológicos, como linfomas o leucemias.</p> <p>Tal como explica el cardiólogo del Hospital Universitario Virgen de la Arrixaca de Murcia Domingo Pascual, la investigación comenzó hace ya cinco años, cuando se constató que la metformina era el único antidiabético que disminuía la mortalidad de los pacientes por motivos cardiovasculares.</p> <p>El grupo de investigadores que dirige el doctor Pascual ha comprobado con cultivos de células cardíacas que la metformina ejerce una protección muy eficaz frente a la antraciclina, que ocasiona problemas al 26% de los pacientes que la toman. Así, mientras la antraciclina ataca el núcleo de las células tumorales, el antidiabético se limita a proteger el sistema energético mitocondrial.</p> <p>Pascual cree que el uso de este fármaco se puede extender a otros enfermos que no padezcan diabetes. A dosis bajas, este fármaco "no tiene riesgo de hipoglucemia y se puede administrar aunque el paciente no sea diabético, solo con el fin de proteger el corazón", añade.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/investigadores/murcianos/prueban/antidiabetico/prevenir/danos/cardiacos/produce/antitumoral/_f-11+iditem-19666+idtabla-1" target="_blank"><strong>mayo 6/2013 (JANO)</strong></a></p> <p>Mari C. Asensio-López, Antonio Lax, Domingo A. Pascual-Figal, Mariano Valdés, Jesús Sánchez-Más.<em><strong>Metformin protects against doxorubicin-induced cardiotoxicity: Involvement of the adiponectin cardiac system.<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21907790" target="_blank">Free Radical Biology and Medicine</a> </strong></em>(2013); Volume 51, Issue 10, 15 November 2011, Pages 1861-1871(doi.org/10.1016/j.freeradbiomed.2011.08.015)</p> </span>
2013-05-09T09:13:46-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/532
Obesidad: La inflamación del tejido adiposo multiplica el riesgo de patologías asociadas a la obesidad
2013-05-07T10:35:04-04:00
Revista Finlay
<p>Un estudio llevado a cabo por especialistas del Centro de Investigación Biomédica en Red-Fisiopatología de la Obesidad y la Nutrición (CIBERobn), dirigidos por el investigador del Hospital Virgen de la Victoria de Málaga Francisco Tinahones, ha revelado que la inflamación es una de las principales causas de la muerte celular por apoptosis en el tejido adiposo. Con ello, se abre una nueva vía de actuación en la lucha contra la obesidad. El estudio ha sido publicado en la revista <em>Diabetes Care.</em><br /> <br /> Según ha informado este martes el propio CIBERobn, junto a la constatación de que la inflamación es la responsable de que las células del tejido adiposo sean más propensas a la muerte, el hallazgo revela también que un incremento en el peso conlleva un aumento de apoptosis en el tejido adiposo. Esto, a su vez, "provoca un efecto adverso, pues si se produce un mayor aporte de energía se requieren más adipocitos para almacenarla; y una disminución de células adiposas en esas circunstancias eleva el riesgo de enfermedades metabólicas", sostiene Tinahones.<br /> <br /> La apoptosis, una forma de muerte celular programada que se desencadena a partir de señales celulares controladas genéticamente, es fundamental en el desarrollo de órganos y sistemas. Su función más importante es la destrucción de las células dañadas genéticamente, evitando que su reproducción provoque el desarrollo de enfermedades. Así, se produce apoptosis cuando una célula está deteriorada y no puede ser reparada o cuando sufre una infección vírica. Si una célula dañada no se 'apoptosiza', se continúa dividiéndo sin restricción alguna, lo que puede derivar en cáncer.<br /> <br /> Este tipo de muerte celular sigue un proceso regular y muy riguroso, por lo que el exceso o defecto de apoptosis puede desencadenar múltiples patologías con diferentes niveles de gravedad. "En los sujetos obesos hacen falta más células adiposas para almacenar una mayor cantidad de grasa, y en la mayoría de ellos se produce inflamación en el tejido adiposo que genera un exceso de muerte por apoptosis".<br /> <br /> "Por tanto", prosigue, "el tejido adiposo se vuelve insuficiente para almacenar grasa y debe almacenarla en otros tejidos, como el hígado, músculo, etcétera, lo que da lugar a las enfermedades metabólicas asociadas a la obesidad".</p> <p>El tejido adiposo es el tejido con más capacidad para aumentar su tamaño, además de constituir la principal reserva energética del organismo, pues las células que lo conforman (adipocitos) son responsables del almacenamiento de grasas. Asimismo, este tejido cumple una doble función: por un lado, sirve como amortiguador, ya que protege a los órganos internos, y por otro desempeña una función metabólica, de regulación de la ingesta y el gasto energético.</p> <p><strong>Hiperplasia e hipertrofia</strong><br /> <br /> Se trata, en suma, del encargado de mantener el equilibrio entre la energía consumida y la utilizada. "Se cree que este tejido responde al exceso de energía a través de la hiperplasia, esto es, aumenta el tamaño del tejido como consecuencia del incremento del número de adipocitos; este aumento es un balance entre los que se forman nuevos y de los que mueren por apoptosis".<br /> <br /> "Cuando se altera ese balance no puede producirse hiperplasia del tejido y se produce hipertrofia, crece el volumen del tejido porque aumenta el tamaño de las células adiposas, pero no la cantidad. Por lo tanto el tejido pasa a tener células más grandes pero no nuevas y esta situación favorece el desarrollo de enfermedades metabólicas", concluye el especialista.<br /> <br /> En la mayoría de los obesos se genera una inflamación que causa un aumento de muerte celular por apoptosis y se reduce de forma considerable el número de células de ese tejido. Este decrecimiento de la celularidad disminuye la capacidad de almacenamiento del tejido adiposo y, por lo tanto, impide que éste realice correctamente sus funciones, dando lugar al desarrollo de patologías metabólicas asociadas a la obesidad, como la diabetes o el hígado graso.</p> <a href="http://care.diabetesjournals.org/content/36/3/513.abstract?sid=e92ffae0-aa0d-4486-bb9d-c0a65ddf730c" target="_blank">Diabetes Care (2012); doi: 10.2337/dc12-0194 </a>
2013-05-07T10:35:04-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/531
Ciencia y Tecnología: Científicos probarán terapia genética para tratar la insuficiencia cardiaca
2013-05-07T09:28:26-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Dos ensayos clínicos probarán por primera vez en el Reino Unido la capacidad de la terapia con genes para tratar a los pacientes con insuficiencia cardíaca, informó la Fundación British Heart (BHF).</p> <p>Más de 200 pacientes se someterán a esta terapia pionera, nunca probada en humanos en el Reino Unido, diseñada para mejorar la capacidad de contracción de las células musculares del corazón.</p> <p>Las pruebas serán dirigidas por el doctor Alxander Lyon y el profesor Sian Harding en colaboración con otros investigadores y expertos del Imperial College de Londres y el Hospital Royal Brompton.</p> <p>La terapia génica consiste en incrementar los niveles de la proteína SERCA2a en las células musculares del corazón a través de un virus inofensivo para el ser humano.</p> <p>Tras veinte años de investigación financiada por la citada fundación, los expertos identificaron esta proteína como un factor importante que afecta a la contracción de las células del corazón.</p> <p>La insuficiencia cardíaca, que se da cuando el corazón es incapaz de bombear sangre de forma adecuada, afecta a más de 750 000 personas en el Reino Unido, que sufren falta de respiración y otras dificultades en su día a día, informó el Imperial College de Londres.</p> <p>"Los medicamentos puede ofrecer algo de alivio, pero actualmente no hay ninguna forma de restaurar la función del corazón. Este estudio ofrece una promesa real", señaló el director médico de la BHF, Peter Weissberg.</p> <p>El primer ensayo, llamado CUPID2, comenzará en unas pocas semanas en la Unidad de Investigación Biomédica Cardiovascular del hospital Royal Brompton con la participación de 200 pacientes de varios centros hospitalarios británicos.</p> <p>CUPID2 intentará demostrar que el incremento de la proteína SERCA2a es seguro y que puede mejorar tanto la calidad como la duración de la vida de los pacientes de insuficiencia cardiorrespiratoria.</p> <p>La segunda prueba, bautizada SERCA-LVAD, no comenzará hasta el verano y probará la terapia génica en 24 pacientes británicos a los que ya se les han incorporado dispositivos de asistencia ventricular (VAD, por sus siglas en inglés).<br /> abril 30/2013 (EFE).-</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S. A."</strong></p> </span>
2013-05-07T09:28:26-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/530
Anuncio: Identifican mutaciones genéticas asociadas con la miopía
2013-05-06T06:25:19-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Según un estudio publicado en <a href="http://www.cell.com/AJHG/abstract/S0002-9297%2813%2900166-3" target="_blank"><em><strong>American Journal of Human Genetics </strong></em></a>(doi:10.1016/j.ajhg.2013.04.005) las mutaciones en un gen que ayuda a regular los niveles de oxígeno en el tejido del ojo están asociados con una forma grave de miopía.</p> <p>Los estudios sugieren que la miopía está causada por una combinación de factores medioambientales, como largos periodos de lectura y factores genéticos.</p> <p>"Es la primera vez que se ha descubierto una mutación del gen de la miopíab de alto grado no sindrómica autosómica dominante en la raza blanca", afirma Terri Young, profesor de oftalmología en el Duke Eye Center.</p> <p>En este estudio, Young y sus colaboradores identificaron estos factores genéticos estudiando familias con miopía de alto grado. Analizando el ADN extraído de muestras de sangre y de saliva, identificaron mutaciones comunes en el gen SCO2 entre miembros de familias con miopía. Hallaron cuatro mutaciones en el gen SCO2 de 140 personas con miopía de alto grado.</p> <p>Tras identificar las mutaciones en las muestras de ADN, tomaron muestras de tejidos de ojos humanos y comprobaron que el gen SCO2 estaba presente en areas relacionadas con la miopía.<br /> <a href="http://oftalmologia.diariomedico.com/2013/05/02/area-cientifica/especialidades/oftalmologia/identifican-mutaciones-geneticas-asociadas-con-la-miopia" target="_blank"><strong>mayo 2/2013 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Khanh-Nhat Tran-Viet, Caldwell Powell, Veluchamy A. Barathi, Thomas Klemm, Sebastian Maurer-Stroh, Vachiranee Limviphuvadh, Vincent Soler, Candice Ho, Tammy Yanovitch, Georg Schneider et al. <em><strong>Mutations in SCO2 Are Associated with Autosomal-Dominant High-Grade Myopia.</strong></em> <em>The American Journal of Human Genetics</em><br /> 92(5) pp. 820 - 826, 2 May 2013</p> </span>
2013-05-06T06:25:19-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/529
Nutrición: Los ácidos grasos de las comidas pueden beneficiar la conservación de la memoria
2013-05-06T06:15:45-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img src="data:image/jpeg;base64,/9j/4AAQSkZJRgABAQAAAQABAAD/2wBDAAkGBwgHBgkIBwgKCgkLDRYPDQwMDRsUFRAWIB0iIiAdHx8kKDQsJCYxJx8fLT0tMTU3Ojo6Iys/RD84QzQ5Ojf/2wBDAQoKCg0MDRoPDxo3JR8lNzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzc3Nzf/wAARCAB0AHQDASIAAhEBAxEB/8QAHAAAAgMBAQEBAAAAAAAAAAAAAAYEBQcDAgEI/8QAORAAAQMCBAQDBgYBAwUAAAAAAQIDEQAEBRIhMQYTQVEiYXEUMoGRocEHI0Kx0fAVJTNSU2KCkvH/xAAaAQACAwEBAAAAAAAAAAAAAAADBAABAgUG/8QAJhEAAgICAgEEAwADAAAAAAAAAQIAAxESBCExIjJBYQUTUUJx0f/aAAwDAQACEQMRAD8A2Q18zRXG5uWbZGd9xLaSYBUYk9qp8RxV1q85DRSlJGjhE65c399DQbuTXSCWM2iM5wJeFQrg9eW7C0IedShS/dBOppexG5caabWM5eBBGUyVGQCBPkTXBh1V7fIuHAFkhKS4DASmAYAPmZPwrmD8wrKSFwfiHHG+Seo4BUivVQ7a4bdkNqnKYUOoNSwa7KsGGRFT0Z9oonWKiqxC2F8mxLg9oUJCI+/eNY7VZOJYBMpeOsUew/CUt2qy27drLIdG6PCTp56Vm2DLcxLEmsOyJKgZWtSZAgSSfLp5/WtB409nxFn2Bq5ZF2ghaErmJB6kbfvSpw9YuYPeuO3rrSrhSQkpZkDfWfuYFcvlvhs5yIBxs0Z8YwG1xrA7nCkqVaqciH0AqUCDMwTHfrULDuHrHhPBVf41bly4kKcUt8gKWdNTHQQNPKpycYbS6znVIO56Az8vKkjibH0qVertlkhSQFDLAMEwQe+m3Ua6dQmz0ar3NM6gSci8N+6q4uw0t4mMy06EDoBOgrxePOMNl+2E2wAW6gySgiBoZ1G+m/2WsKuXCwk2ysyCJCFjMPSadMMQjE7N5DwyqyFKsvURP80Cxl6UjuBX1yBbWSMSXcXbbtk0FuxluElahlSE7idIAorrgHCGB/4xpTb+JFK/FIvCJnrAEfKiiD9YHuhtZpd9bi5ZyElOsgwDBHkdCPI0tPYetp9xKrtK3ic4GSEpQRABBJJ1zGZBEmm5QkVQ8R2zi2EKt7UPOFwBQA1y66fOPhTv5DjCyouo9X9jdDkMB8SAspvWUgkc4QEoB3JGv3GnnX0I9huG+UHlFYKVGde8n9u9dGrJNvaCzznmLbJyxGUGdfmfpXbCrQEOZitXiAWpZJKiEgSD1Hka86vGstsNePV/Pr/sbNiquR4kvD7ZbVypxKlBtafEg/8ALSDt203+FLfE2K39rcpS6pdu42l0NuDQLCjoREwY8P3E1b43jjmDqDYtM6ljM0oE5YG+bTTypBxHEbvErpy6zNlTgASADAPdJA1gD7E16NK1oqFSHxA1gu27CTG+KcQYQ2x7Y+h5sJyobIWkpyjUiO8+lSeDrl1ziVVy84t9RZWrmuJ1Jynr8u33qmQpotZF5FKSAQZSEpI6EgCf3371OwO/trLF7a4UHUtgfngskZJgad9CflVBjsMwrKNTifLXElO3b9xcoHNChKonMoE/zVbxLjF5c49bowkc50QlTatEFJEmT2Ez8KmfiDhd/wAPFy5tm1v4a+uQ42RLCj0PcdiD5HuYfBba75l68KCj8wN+IhR6Ez2mR8qSuqenJIyJxyrZxO9xgHEtxaF1pVoXssob5ygPhIiaQLbDsWxLFf8AFPtusPOPZHS4nRvuTrsACa3lh4MtQpROWBqRSZcXFk5xLcvNuAP8mAQNYmT9BVJcK16GTIUA7ltg/D+C4RZNWds0t2PedfeVzNfIQB3gCPWqLGry94PxS4YYtX7/AJrXPt3EgCQTHi7EEGYH70y2N4gNfmFJUCdXANfMVV8YX7DabNDwWtkpKCEKyhU67dfQ1FIc5bsyyetp4wDHrB/Cbdy4JbWUAZZiI3+s0UgYlYRcAYe6601lkpBETJO3TSKKyeOhOdoP9pn6XIrwpMivdJ/F2Pts3C8PYvWre7bSlaS5J8R9AehHSu3faKl2jtaF2wIxrRburAJbWuJAkExXVDITokCPKsnPFKsNuG7fEr5IfWgrKwoKSgxASkAaR1ntTZwhxPeX6mmH7Bz2ZSuU1ctDOkEdz06bxStPJDPlkwT8w9nHKrnMhcXYqcQBsVW5YQysFJc0K1kGEkGMoInXUfSUxHNRcEpUXCEByFQMoKiPM7wNNoPSnvjZi1fD77lwpq4tzkl9ohpQPiCEmPe2g7E+miFb/mlYaYllKglay3JXEbq7mdif3q7c7Q1WNep3U4lTaEvPISuCFhBKi2kESdgBrGsxPQ1yedeDvMSlLbQWN1K1JEhRBlUESdz31rm6l0oGZTiVCFBKk5iZHh1I/bY9a8vFHLLKFDKlUZcoKYOwGvkOpk69axCYmg8IcTWV1ZDB8ZdZziW2i4AUPN9AQdPL4VdDhOytmHG8IPsaXFZ8qPGkGI0BMjbaayFB5TDaOastZ9EwDkA1BEzHX7606cJXuO3b5aw19KrdpCSoPKChB2jWdY7999qKGDjRhmK20DtgZaXXDGLJz8tVs8kiMpcUkK+BBj50sW/A3EIxF65XY2rZKQEKRcgmR9q1eLhPuuJUPMRQVXSuqB6VY4dQPQiegiLZ8J40XQpbNqykkFRU+TPyB+VTbrgWzv3WnMcvluIaMoYthy069yZJ+EU18lxX+46fhXttlDZkDXud60nFrU9CTQSuteHMEt2UtsYPZhA25rIWo+pVJ+Zoq1oo+gl4H8hSzxdwdacSNEqc5Fxp+ZlzAx5Tp6jWmYmK+1GUMMGaVipyJjF3wriOBPPFvBRcj3kvpQXkqVJI3kgAbyKZPw0tbtV4/fuWDtk0trKrwctDqswjw6aiDqBGtaEYAzK0Hc1FdxOwaP5t9bJPm8n+aXHGRXD5hTczLrE38RrS9efYet2HHGg3yyUJB8RVPfUwJ109TEIvLfZcbDiilbWi3Et6NiTocwGvU9621u/s3JyXluY7Op/ml3EMKv28MUGr57FUofS5yTlQSkGTJGpiR1Gg61dleTkTdd2AFMy64cbuHkqclOclPjTGvRWXcAbR6Dyr0tULyqWpCFGAUI0nL5+oHeJ8qlO4c4xdZLthTVyMsthuBMSNo126ajp1pn4W4aw+7t2m7+1dlw8xL6VkZsuhaMGBoN9D67kKrk4jDNqMxSaaS5dNKbWhJKBOXxHMes6RPoa0/gBbC8JcVbsrTLvjWRCVkCNNegAnzJrvfcG4NdNhLdsLdQVMtbHyIOkVYoNrgeFtoeeVymQEhazKlH+9KOlZQ5PiLvYLFwvmT6KoFcUW4GYMOFHfMJ+Vd18R2Jw9y6aXmUghPKOisx2+G+vlWhfWfBmTxrRjKy4orOsXx591JKrlYn9KFZQPlU38P8bu768ubN9xTrSG86VLMlBkCJ7GfpWK+UtjYAhbeG1abEx4ooopqJyq4nFyrB3hZPusuaS417yR3H0+E1nDDmJhl5u4xVxLi1JyP3K1uJSJOZJE6K92J7GPLXIB0ImlLFsKThjhfYaU5bqV7oglB6jXf+70vcreRD0svtMVE4S5cM4hf+1vuspBUyp1Uq023BmTA1+etFtaXdqli55aV2966lDnKRkUlR0JShJmAEmZHeBV6HX8SxS1YbYcbsmxmyrGXMR19NgPie1WmJG3durZtkpbcL6VSB4XCmJEkSogQdO2/SggGFbI6MoXMEs1PFS34JIzFwkGCo9Tudh/G4lv4RblpLy1BDgAPNByqAHXNoRsdZB+Rppaw9KVl2TmIGk6R28//vxrbywCEQwnl6yI2MdSnTy90z59y4xAZzFteM32F3TK8Rt28WaZVmQ6pOV9BE/q2VA6K+cim7hvHMJxhhYwpSUKbMu25b5a2yf+Sfvt50qXR5qlBQyT4CgphExrG3X7b1QXLC7PEGcQswti5ZWVJUgx2lJI6HqDp+9RbMeZCuRNjpW/EDD768w5h7Dm1Oqt1lS2k6qUkjcDqR28654Lx7hl84Le/BsLmY/MMtq9FdPjHrTaCFAKBBB1BB3orKLFKmZRmrYNMKXizyVltyUqBjKdCKsrK0ees7l+5cXbKyjkJUg+Mz1HQROvnWm8TXYscMcfSlPNUoISuBKZ6z8KzTFsVSRCSJjed65lqCptR3OxTYbl2PU84Xw3i2OLUWHLZLaFZVrU77v/AIjWtL4Z4ftuH7IssKU484QXnlCCs+nQDtS1+F1tcFN7frzJZdyttzsogkk/CY+dPtO8epQobHc5/KuZmK56hRRRTUUhXh9pD7SmnBKVDUVTYvxA3aIAt0qdWTlAQmSo7wB99hVUriC7RiLlq2q4euEZfCLYlpIOylKHTfr0JpR+XWDjzDrx7CM+J2ews2VyebLiD7hyjxDz8644xbXF6bEM3SbZDBnJy/ET5HaNP4q1usdtkocS+2iG1JS6FuQEyNDtpULEGTbte12yQ/afqy++3p1HUan59euQ6P7TNncYLCc7DiB21cFrigKCVQh8mQdt+vwOvmelqtQnInKEkgjMQTJ19KolFq7aMhDzahAB8QI2ivVtmabDQUS3+gKJOUdtdT8ekDpVgnwZlgM+MTrc/mOFSCoqIymdiP7p1+utVe2ac2iSB01kp8getW4y6pGwTpNcQ1zFFYid9Kw0giFieHrDmdEJWk6KTqP7/dKbPw7v7tVwm1DgSwMyX7dwGEKAkFvtPVJ03Oh3l3NjzEnOiex2qkatbvC8QRe4e4EuJPuq91Q7EaSN/tFWrFTIRkYmlYlY2+JWblpdoKm17wYIPQg96V7b8OsKbuOZc3F1coBkNrUEg+sCT9K7WvHFolr/AFS1uLV3/sRzEK9CNfgQPjXtXHeDp0yX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alt="" />La dieta que contiene los ácidos grasos presentes en el pescado, el pollo y las ensaladas y evita las grasas saturadas de la carne y los lácteos puede beneficiar la conservación de la memoria y el pensamiento, según un artículo que publica la revista<a href="http://www.neurology.org/content/80/18/1684" target="_blank"><em><strong> Neurology</strong></em></a> (doi: 10.1212/WNL.0b013e3182904f69).</p> <p>"Dado que no existen tratamientos definidos para la mayoría de las enfermedades relacionadas con la demencia, las actividades modificables como la dieta, que puedan demorar el inicio de los síntomas de demencia, son muy importantes", dijo el neurólogo Georgios Tsivoulis, de la Universidad de Alabama, en Birmmingham (EE.UU.).</p> <p>Los datos provienen del estudio "Razones para las diferencias geográficas y raciales en los episodios cardiovasculares".</p> <p>La investigación enroló a 30 239 personas mayores de 45 años de edad entre enero de 2003 y octubre de 2007 y mantiene el seguimiento de los individuos para registrar los cambios en su salud.</p> <p>Para este estudio, el más grande que se haya hecho hasta ahora de la llamada "dieta mediterránea", se revisó la información dietética de 17 478 negros y blancos con una edad promedio de 64 años, para determinar el grado en que mantenían una dieta de tal tipo.</p> <p>A los sujetos del estudio también se les sometió a pruebas que miden la memoria y las capacidades de pensamiento a lo largo de un período promedio de cuatro años El 17 % de los participantes tenía diabetes.</p> <p>La investigación encontró que entre los participantes sanos, los que seguían más de cerca la dieta mediterránea eran un 19 % menos propensos a desarrollar problemas con la capacidad de pensamiento y memoria.</p> <p>No se encontró una diferencia significativa en el deterioro entre negros y blancos. Pero la dieta mediterránea no apareció asociada con un riesgo menor de problemas de pensamiento y memoria en las personas con diabetes.</p> <p>"La dieta es una actividad importante que podemos modificar y que puede ayudar en la preservación del funcionamiento cognitivo en la edad avanzada", dijo Tsivgoulis, cuyo estudio contó con el respaldo del Instituto Nacional de Infarto y Trastornos Neurológicos, uno de los Institutos Nacionales de Salud.</p> <p>"La dieta, sin embargo, es sólo una de varias actividades importantes en el estilo de vida que pueden desempeñar un papel en el funcionamiento mental en la edad avanzada", añadió. "El ejercicio, el evitar la obesidad, no fumar y tomar los medicamentos para condiciones como la diabetes y la hipertensión también son importantes".<br /> abril 29/2013 (EFE).-</p> <p>" Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Tsivgoulis G, Judd S, Letter AJ, Alexandrov AV, Howard G, Nahab F. <em><strong>Adherence to a Mediterranean diet and risk of incident cognitive impairment.</strong> Neurology</em>. 2013 Apr 30;80(18):1684-1692.</p></span>
2013-05-06T06:15:45-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/528
Tabaquismo: Fumar, más riesgoso para las mujeres
2013-05-04T18:33:55-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Fumar es mucho más riesgoso para las mujeres que para los hombres, con mayores índices de cáncer entre las féminas como consecuencia del consumo de tabaco, de acuerdo a una investigación de científicos noruegos.</p> <p>Los investigadores de la Universidad de Tromso analizaron los historiales médicos de 600 000 pacientes, y descubrieron que el riesgo por cáncer de colon como consecuencia de fumar era el doble en mujeres que en hombres.</p> <p>Las mujeres fumadoras registraron un aumento del 19 % en el riesgo de contraer esa enfermedad, mientras que en el caso de los hombres fue del 9 %.</p> <p>Las conclusiones del informe fueron publicadas en la revista especializada <em>Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention</em>.</p> <p>En el estudio, cerca de 4000 participantes desarrollaron cáncer de colon. Las mujeres que comenzaron a fumar cuando tenían 16 años o menos, y aquellas que fumaron por décadas, tuvieron muchos riesgos de contraer cáncer de colon.</p> <p>Se trata de la primera investigación que demuestra que las mujeres que fuman menos que los hombres siguen teniendo altos riesgos de contraer cáncer de colon.</p> <p>Sin embargo, no tuvieron en cuenta otros factores que podrían afectar el riesgo de este tipo de cánceres, incluido el consumo de bebidas alcohólicas o la dieta alimenticia.</p> <p>Las conclusiones del estudio sugieren que las mujeres serían biológicamente más vulnerables que los hombres a las toxinas de los cigarrillos.</p> <p>Los expertos ya sabían que las féminas que comienzan a fumar incrementen su riesgo de enfermedades cardiacas más que los hombres, aunque aún se desconoce por qué.</p> <p>Una explicación sería que las adolescentes que son expuestas al humo del cigarrillo cuentan con niveles más bajos del llamado colesterol bueno, que reduce el riesgo a problemas del corazón.</p> <p>El humo del cigarrillo no tendría el mismo impacto en los adolescentes.</p> <p>En Gran Bretaña, uno de cada cinco mujeres y hombres es fumador, incluso a pesar de que los niveles de fumadores han caído en ambos sexos.</p> <p>Sin embargo, esa reducción ha sido menos rápida en las mujeres.</p> <p>En Inglaterra, más de un 25 % de los alumnos secundarios dijeron haber fumado al menos una vez, y un 5 % del total se definió como fumador frecuente.</p> <p>Las adolescentes tendían a fumar más que los varones, 9 % de las mujeres había fumado en la semana en que se les hizo la pregunta, comparado con un 6 % de los jóvenes.</p> <p>De acuerdo a investigaciones recientes, las mujeres que dejan de fumar antes de los 30 años evitan casi por completo morir de forma temprana por enfermedades vinculadas al tabaco.</p> <p>Sarah Williams, vocera del grupo benéfico Cancer Research UK, afirmó que es "bien conocido" que fumar causa al menos 14 tipos de cáncer, incluido el de colon.</p> <p>"Para hombres y mujeres, la evidencia es clara: no ser fumador implica que se tiene menos chances de contraer cáncer, problemas cardiacos, pulmonares y otras enfermedades serias", declaró la experta.</p> <p>En ese sentido, June Davison, de la Fundación Cardíaca británica, indicó que son necesarias más investigaciones para entender los efectos del tabaco y el humo del cigarrillo en la salud humana, aunque todos los informes apuntan a un impacto muy negativo para el bienestar de las personas.<br /> mayo 3/2013 (ANSA)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Ranjan Parajuli, Eivind Bjerkaas, Aage Tverdal, Randi Selmer, Loïc Le Marchand, Elisabete Weiderpass, Inger T. Gram. <a href="http://cebp.aacrjournals.org/content/early/2013/04/29/1055-9965.EPI-12-1351.abstract" target="_blank"><em><strong>The Increased Risk of Colon Cancer Due to Cigarette Smoking May Be Greater in Women than Men</strong></em></a>. <em>Cancer Epidemiol Biomarkers</em> 2013; doi:10.1158/1055-9965.EPI-12-1351.</p> </span>
2013-05-04T18:33:55-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/527
Medicamentos: La aspirina en baja dosis no aumenta el riesgo de hematuria microscópica
2013-05-02T07:49:59-04:00
Revista Finlay
<p>En los adultos sanos que toman una aspirina de baja dosis todos los días no aumenta el riesgo de padecer hematuria microscópica, según revela un estudio de Corea.</p><p>En un estudio sobre adultos sin síntomas, los autores no detectaron una asociación entre el consumo de aspirina y la hematuria microscópica en análisis cruzados o longitudinales, según publica en una Carta de Investigación en <a href="http://archinte.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1680138%22%20target" target="_blank"><strong>JAMA</strong></a> Internal Medicine(doi: 10.1001/jamainternmed.2013.567) el equipo de Chang Wook Jeong, del Hospital de Bundang de la Universidad Nacional de Seúl.</p><span class="textonormal"><p>"Muchos pacientes son derivados a (la) clínica urológica para evaluar la hematuria microscópica. Nuestros resultados sugieren que los médicos deberían utilizar el mismo enfoque para (evaluar) las causas de la hematuria microscópica en las personas que usan o no aspirina", dijo Jeong. Los pacientes "no necesitan dejar de tomar aspirina, aun cuando tengan hematuria microscópica en los controles de rutina".</p> <p>La hematuria bruta o cualquier síntoma asociado con la hematuria microscópica deberían estudiarse, según dijo Jeong, que recomendó incluir un nuevo urinálisis, el test de glóbulos rojos dismórficos (GRD), la citología urinaria, la tomografía de riñones y vejiga o urografía por TC, y la cistoscopía.</p> <p>Se estima que más de un tercio de los adultos de Estados Unidos toman aspirina todos los días para prevenir trastornos cardiovasculares. La aspirina aumenta el riesgo de sangrado, en especial las hemorragias gastrointestinales y el ACV hemorrágico. Pero se desconoce la relación entre el uso de aspirina en baja dosis y la hematuria microscópica en la población general sin síntomas.</p> <p>El equipo obtuvo información de 56 632 adultos sanos a los que se les había realizado una evaluación general entre el 2005 y el 2010 en el Centro de Promoción de la Salud de su centro; el 7,5 % (4254) tomaba una aspirina todos los días. El 6,2 % (3517) tenía hematuria microscópica (más de cuatro glóbulos rojos por campo.</p> <p>Los autores no observaron diferencia en la prevalencia de la hematuria microscópica entre los que usaban o no aspirina (6,1 versus 6,2 %). El uso de aspirina no alteró el grado de hematuria.</p> <p>La hematuria microscópica aumentó con la edad: la prevalencia fue del 4,1 % en los de 20 años, del 5 % en los de 30, del 5,9 % en los de 40, del 6,6 % en los de 50, del 7,8 % en los de 60 y del 9,1 % en los mayores de 70 años.</p> <p>En el análisis de regresión logística, el uso de aspirina no aumentó el riesgo de hematuria microscópica (OR=1,0; p=0,79).</p> <p>Al 17,3 % de los participantes con hematuria al inicio del estudio (9199) se le realizó por lo menos un test de seguimiento a los 13 meses de la pesquisa original. En la segunda pesquisa, la incidencia de hematuria microscópica fue del 4,4 % en los usuarios de aspirina y del 4,1 % en los no usuarios (p=0,67).</p> <p>Tampoco hubo diferencia en la tasa de hematuria microscópica persistente entre los usuarios o no de aspirina. El 56,3 % de los 1619 participantes (911) con hematuria microscópica al inicio del estudio, a los que se les realizó un segundo urinálisis dentro de los 12 meses, tenía hematuria microscópica y las tasas eran similares entre los que usaban o no aspirina (60,6 versus 56 %; p=0,39).</p></span>
2013-05-02T07:49:59-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/526
Artículos publicados: Blacks and whites in the Cuba have equal prevalence of hypertension: confirmation from a new population survey
2013-05-01T10:33:07-04:00
Revista Finlay
<a href="http://www.biomedcentral.com/1471-2458/13/169" target="_blank">Blacks and whites in the Cuba have equal prevalence of hypertension: confirmation from a new population survey</a><br /> <a href="http://articulos.sld.cu/editorhome/files/2013/04/bmc-public-health.gif"><img class="alignleft size-full wp-image-12826" src="http://articulos.sld.cu/editorhome/files/2013/04/bmc-public-health.gif" alt="BMC Public Health" width="75" height="35" /></a>Ordúñez P, Kaufman JS, Benet M, Morejon A, Silva LC, Shoham DA y Cooper RS. <em>BMC Public Health</em> 2013, 13:169 doi:10.1186/1471-2458-13-169.<br /> El predominio de hipertensión arterial entre las personas negras tiene gran diferencia en la literatura de salud y muchos científicos presumen que constituye un fenómeno estable e inevitable. Las causas que generan esta disparidad solo pueden determinarse en un contexto en el que la población no sufra estratificación racial en las oportunidades socioeconómicas. Como estas condiciones de igualdad social son bien difíciles de encontrar, en Cuba puede alcanzarse una aproximación pues el país posee una política persistente de inclusión social en las últimas cinco décadas.
2013-05-01T10:33:07-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/525
Ciencia y Tecnología: Anticuerpo transforma células madre de médula ósea en células cerebrales
2013-04-29T08:27:37-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Científicos del The Scripps Research Institute (TSRI) han hallado la forma de transformar las células madre de la médula ósea directamente en células cerebrales.</p> <p>Las técnicas actuales para convertir células de la médula en células de otro tipo deseado es relativamente complejo y arriesgado. Este nuevo hallazgo ofrece técnicas más simples y seguras.</p> <p>"Estos resultados destacan el potencial de los anticuerpos como manipuladores versátiles de las funciones celulares", afirma Richard A. Lerner, profesor de inmunoquímica del departamento de biología molecular y celular en el TSRI.</p> <p>Los investigadores han descubierto el método, publicado en <a href="http://www.pnas.org/content/early/2013/04/23/1306263110.abstract?sid=048e1884-b407-45a0-b5da-230612e4f6e5" target="_blank"><em><strong>Proceedings of the National Academy of Sciences</strong></em></a> (doi: 10.1073/pnas.1306263110), en la búsqueda de anticuerpos cultivados en el laboratorio que pueden activar un receptor que estimula el crecimiento de células de médula ósea.</p> <p>Un anticuerpo resultó activar el receptor de manera que indujo a las células madre de la médula a convertirse en células nerviosas progenitoras.</p> <p>Jia Xie, del Lerner Laboratory, utilizó en un estudio previo un método para cribar los anticuerpos que podían activar el receptor GCSF, un receptor del factor de crecimiento que se encuentra en las células de médula ósea y otros tipos celulares.</p> <p>Los medicamentos que imitan al GCSF fueron algunos de los primeros éxitos de ventas de biotecnología, debido a su capacidad para estimular el crecimiento de los glóbulos blancos de la sangre, lo cual contrarrestaba el efecto secundario de la quimioterapia.</p> <p>El equipo aisló un tipo de anticuerpo capaz de activar el receptor de GCSF y estimular el crecimiento de células del ensayo. Más tarde los investigadores analizaron una versión soluble de estos anticuerpos en células madre de médula ósea de humanos. Observaron que el anticuerpo que imitaba la GCSF tenía efectos significativamente distintos a los de la proteína GCSF.</p> <p>"Las células proliferaron, pero también comenzaron a ser largas y finas y a adherirse al fondo de la placa", afirmó el experto.<br /> <a href="http://www.dmedicina.com/enfermedades/actualidad/hallan-anticuerpo-transforma-celulas-madre-medula-osea-celulas-cerebrales" target="_blank"><strong>abril 22/2013 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Xie J, Zhang H, Yea K, Lerner RA. <em><strong>Autocrine signaling based selection of combinatorial antibodies that transdifferentiate human stem cells</strong></em>.<em>Proc Natl Acad Sci U S A</em>. 2013 Abr 23</p> </span>
2013-04-29T08:27:37-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/524
Ciencia y Tecnología: Identifican gen capaz de reparar lesiones cardiacas
2013-04-21T06:28:24-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img class="decoded" src="http://www.medisur.sld.cu/viejo/issues/view.php?u=Oi8vd3d3LnNjYnQuY29tL2ltYWdlcy9zdXBlcl9jb250YWluZXIvMjQ3MTAuanBn&b=13" alt="http://www.medisur.sld.cu/viejo/issues/view.php?u=Oi8vd3d3LnNjYnQuY29tL2ltYWdlcy9zdXBlcl9jb250YWluZXIvMjQ3MTAuanBn&b=13" />Investigadores estadounidenses identificaron un gen específico que regula la capacidad del corazón para regenerarse después de sufrir algún daño.</p> <p>La revista <em>Nature</em> explica que la actividad del gen Meis1 aumenta significativamente en las células del corazón poco después del nacimiento, justo cuando estas dejan de dividirse.</p> <p>"Sobre la base de esa observación, descubrimos que si el gen Meis1 se elimina del corazón, las células del mismo continúan dividiéndose hasta la edad adulta", declaró Hesham Sadek, autor principal del estudio.</p> <p>"Meis1 es un factor de transcripción que actúa como un programa de software, pues tiene la capacidad de controlar la función de otros genes que normalmente actúan como freno de la división celular", explicó.</p> <p>Según la publicación, la supresión de Meis1 prolonga el periodo de proliferación en el músculo cardiaco de ratas recién nacidas y reactiva el proceso de regeneración en el corazón de ratones adultos sin efecto nocivo sobre su función.</p> <p>En el año 2011, Sadek mostró que el corazón de los mamíferos recién nacidos era capaz de dar una respuesta vigorosa de regeneración a lesiones a través de la división de sus propias células.</p> <p>Este nuevo estudio demuestra que Meis1 es un factor clave en el proceso de la regeneración y que la comprensión de la función del gen puede dar lugar a nuevas opciones terapéuticas para la regeneración del corazón adulto.</p> <p>Sadek estima que "esta capacidad podría introducir una nueva era en el tratamiento de la insuficiencia cardiaca".<br /> abril 18/2013 (PL)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Ahmed I. Mahmoud, Fatih Kocabas, Shalini A. Muralidhar, Wataru Kimura, Ahmed S. Koura, Suwannee Thet, et.al.<a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature12054.html" target="_blank"><em><strong> Meis1 regulates postnatal cardiomyocyte cell cycle arrest</strong></em></a>. <em>Nature</em> (2013), doi:10.1038/nature12054.</p> </span>
2013-04-21T06:28:24-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/523
Obesidad: Las personas con trastornos mentales son más propensas a la obesidad
2013-04-17T09:57:54-04:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">El 52% de los pacientes con trastornos bipolares y el 44% de los depresivos sufren esta patología, que afecta al 15% del resto de la población.</p> <p> </p><form> </form> <p>Un estudio elaborado por investigadores del IDIAP Jordi Gol, del Consorcio Hospitalario de Vic y del Instituto Catalán de la Salud ha concluido que la coordinación entre los médicos de atención primaria y de salud mental es fundamental para reducir el riesgo cardiovascular de este grupo de pacientes.<br /> <br /> El trabajo, titulado 'Factores de riesgo cardiovascular, riesgo cardiovascular y calidad de vida en pacientes con trastorno mental grave', muestra que las personas con trastornos mentales graves tienen más prevalencia de algunos factores de riesgo cardiovascular, como el tabaquismo, la dislipidemia (que es el conjunto de diferentes condiciones patológicas que provocan una alteración de los niveles normales de lípidos plasmáticos) y la obesidad.<br /> <br /> En cuanto al tabaquismo, un 40% de los pacientes con trastornos mentales fuma, frente al 27% de la población general. En el caso de la dislipidemia, la prevalencia en este grupo de enfermos supone el 56%, mientras que está presente en el 41% de la población general.<br /> <br /> El doctor Quintí Foguet, investigador del IDIAP Jordi Gol y que ha liderado la investigación, explica que "se establece una asociación entre sobrepeso-obesidad y trastornos psiquiátricos". El 52% de los pacientes con trastornos bipolares y el 44% de los pacientes depresivos sufren obesidad, mientras que esta patología afecta al 15% de la población española.<br /> <br /> <strong>Coordinación entre psiquiatría y atención primaria</strong><br /> <br /> En este sentido, el doctor Foguet reclama que se implante "una acción coordinada entre los médicos psiquiatras y la atención primaria. Dadas las características organizativas y competenciales de nuestro sistema sanitario, parecería que la recomendación más prudente sería que el psiquiatra se encargara de detectar los factores de riesgo cardiovascular y si encontrara alguna anomalía, derivara al paciente al médico de familia para que éste hiciera las recomendaciones de estilos de vida y las farmacológicas que fueran necesarias ". El Dr. Foguet defiende que "dado que hay evidencias de la eficacia de las intervenciones basadas en estilos de vida, como son la dieta y el ejercicio físico, así como la deshabituación tabáquica, hay que invertir los mismos esfuerzos, o más, para implementar las actividades de prevención y promoción de la salud en este grupo de enfermos ".<br /> <br /> El investigador advierte que "los médicos de familia tienen un papel clave en la implementación de las actividades preventivas y de promoción de la salud en este colectivo. A la hora de aplicar los programas, deberían hacerlo con la misma intensidad con la que los aplican al resto de personas, independientemente de la patología psiquiátrica que presenten ".<br /> <br /> La presencia de factores de riesgo cardiovascular, y sobre todo, la suma de éstos, puede derivar en enfermedades graves, como el infarto de miocardio, la angina de pecho, el derrame cerebral, y la insuficiencia cardiaca, entre otras.<br /> <br /> <strong>Los trastornos depresivos, más riesgo y menos calidad de vida</strong><br /> <br /> El estudio constata que, entre los pacientes con trastornos mentales graves, el subgrupo de pacientes depresivos es el que padece un mayor riesgo cardiovascular y una peor calidad de vida peor. Concretamente, un 6% de los depresivos presenta riesgo cardiovascular, frente al 5% de la población general. Los autores describen que algunos estudios consideran la depresión como un factor de riesgo más de la enfermedad coronaria.<br /> <br /> Según la investigación, un 46% de los pacientes que sufre una depresión consume alcohol y un 67% presenta hipercolesterolemia. A este respecto, el Dr. Foguet explica que "estamos ante un grupo de población en el que el sedentarismo, la dejadez en los hábitos de vida saludable y la apatía desembocan en un peor autocuidado personal". <br /> <br /> Este especialista añade que estos datos indican que a pesar de que los pacientes "aparentemente tengan menos síntomas depresivos, pueden seguir presentando una calidad de vida por debajo de lo que sería deseable. Por lo tanto, es necesario que los profesionales sanitarios valoren estos aspectos en las visitas de seguimiento clínico habitual que realizan en estos enfermos".<br /> <br /> El trabajo se basa en una muestra de 137 pacientes del Centro de Salud Mental de Osona, que figuran entre los 1.275 usuarios del Programa de atención a los trastornos mentales graves de esta comarca.</p>
2013-04-17T09:57:54-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/522
Cáncer: El esófago de Barrett multiplica el riesgo de cáncer de esófago
2013-04-17T09:38:35-04:00
Revista Finlay
<img style="float: left; margin: 10px 10px 0px; border: 1px solid;" src="http://www.medisur.sld.cu/viejo/issues/view.php?u=Oi8vdDMuZ3N0YXRpYy5jb20vaW1hZ2VzP3E9dGJuOkFOZDlHY1RLZG1fMUdOblEwUnFxNU1wVG9kcnVTOXRvdGZwbFptaWFCT0o0aEhBdXBVYlFnQmxHT1gyejRMQQ%3D%3D&b=13" alt="Ver imagen en tamaño completo" width="137" height="104" />El esófago de Barrett (EB) es una condición que se da en el 10% de los pacientes con Enfermedad por Reflujo Gastroesofágico (en adelante ERGE) prolongada, una patología presente en el 40% de la población y que se caracteriza por acidez en el estómago, ardor y regurgitaciones. En concreto, el EB es una alteración en la que las células que recubren el interior del esófago –epitelio escamoso- se ven reemplazadas por otras células –epitelio columnar metaplásico-. Pese a que estas células no son malignas, se estima que su presencia en el esófago aumenta hasta 30 veces más el riesgo de desarrollar adenocarcinoma esofágico.<br /> <br /> Por esta razón, MD Anderson Cancer Center Madrid ha puesto en marcha la Unidad de Esófago de Barrett con el objetivo de promover el estudio, seguimiento y tratamiento, de forma multidisciplinar, de los pacientes con EB con displasia o carcinoma precoz. Aunque en menor medida, este nuevo servicio también atenderá a aquellos pacientes con EB que deseen someterse a un estudio endoscópico específico de seguimiento con mayor sensibilidad para detectar displasia que el estudio estándar.<br /> <br /> La creación de esta nueva unidad parte de la estrecha colaboración de los servicios de Aparato Digestivo y de Cirugía Digestiva de MD Anderson Cancer Center Madrid. Los doctores Alberto Herreros de Tejada (Aparato Digestivo) y Óscar Alonso Casado (Cirugía Digestiva) actúan como coordinadores de dicha Unidad.<br /> <br /> El EB es particularmente frecuente en hombres de raza blanca, con cierto grado de obesidad y con historia de pirosis (ERGE) de larga duración. La detección del Esófago de Barrett es particularmente importante para poder realizar un adecuado seguimiento a largo plazo y detectar de manera precoz las formas iniciales de displasia o adenocarcinoma mediante gastroscopia.<br /> <br /> “La creación de unidades específicas para el abordaje del Esófago de Barrett es fundamental para ampliar el espectro del tratamiento del cáncer de esófago a los estadios más iniciales. La detección de este tipo de cáncer en fases avanzadas está asociada a un mal pronóstico, por lo que en MD Anderson Cancer Center Madrid queremos anticiparnos para frenar a tiempo la evolución de la enfermedad”, explica el Dr. Óscar Alonso Casado<br /> <br /> <strong>Nuevas técnicas para el diagnóstico en fases iniciales</strong><br /> <br /> “En los últimos años, se han desarrollado técnicas de tratamiento endoscópico para formas precoces de displasia y adenocarcinoma en casos de EB que permiten una curación total de la enfermedad y la reducción del riesgo posterior de desarrollar nuevas neoplasias, como son la mucosectomía endoscópica y la ablación endoscópica por radiofrecuencia”, comenta el Dr. Alberto Herreros de Tejada.<br /> <br /> Por esta razón, la nueva Unidad de Esófago de Barrett de MD Anderson Cancer Center Madrid dispone de estas dos novedosas técnicas que complementan los servicios de abordaje terapéutico:<br /> <br /> · Mucosectomía endoscópica, que consiste en la resección de segmentos de mucosa y submucosa del esófago mediante técnicas especiales. Los resultados de los estudios llevados a cabo con esta técnica para el tratamiento de la displasia de alto grado y el adenocarcinoma intramucoso demuestran tasas de curación completa y supervivencia a 5 años del 85-98%.<br /> <br /> · Ablación endoscópica por radiofrecuencia, que permite someter al tejido a energía por radiofrecuencia aplicada a través de balones que se ajustan a la circunferencia del esófago de forma uniforme. Esta técnica permite eliminar de forma homogénea el epitelio patológico del EB, de tal forma que se reduce notablemente el riesgo futuro de presentar nuevos focos de displasia o adenocarcinoma en personas que hayan sido diagnosticadas y/o tratadas.<br /> <br /> · Gastroscopia con cromoendoscopia con protocolo especial de biopsias para el adecuado diagnóstico y posterior seguimiento del EB con displasia.<br /> <br /> · Ecoendoscopia alta para estadificación local de cáncer de esófago.<br /> <br /> · Técnicas de cirugía antirreflujo por laparoscopia en casos seleccionados que requieran un adecuado control de la ERGE.<br /> <br /> · Técnicas de esofaguectomía oncológica para casos que no puedan ser tratados con técnicas endoscópicas.
2013-04-17T09:38:35-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/521
Prevención de las enfermedades crónicas: Caminar reduce tanto como correr el riesgo cardiovascular
2013-04-05T21:08:25-04:00
Revista Finlay
<p>Caminar de forma ligera puede reducir el riesgo de presión arterial alta, colesterol alto y diabetes tanto como correr, según un estudio publicado en<em> Arteriosclerosis, Thrombosis and Vascular Biology, </em>una revista de la Asociación Americana del Corazón.<br /> <br /> Los investigadores analizaron a 33.060 corredores y 15.045 caminantes y encontraron que ambos grupos de individuos experimentan reducciones en el riesgo para la presión arterial alta, el colesterol alto, la diabetes y la enfermedad cardiaca coronaria.<br /> <br /> Ello se debe, según Paul T. Williams, autor principal del estudio y científico del Laboratorio Nacional Lawrence Berkeley de la División de Ciencias de la Vida en Berkeley, California (Estados Unidos) a que en ambas actividades participan los mismos grupos musculares.<br /> <br /> A diferencia de estudios anteriores, los investigadores evaluaron a los participantes en la investigación por la distancia recorrida caminando y corriendo, no por el tiempo. "Cuanto más corrieron y caminaron los participantes más beneficios hubo para su salud", señala el profesor Williams.<br /> <br /> Concretamente, los científicos hallaron que correr reducía el riesgo de hipertensión en un 4,2% y caminar lo hacía en un 7,2%. Asimismo, mientras que correr redujo el colesterol alto (4,3%), la diabetes (12,1%) y la enfermedad coronaria (4,5%), caminar también lo hizo, si bien en tasas algo superiores: en un 7%, 12,3% y 9,3%, respectivamente.</p> <br /><br /><a href="http://atvb.ahajournals.org/content/early/2013/04/04/ATVBAHA.112.300878.abstract?sid=bcc07cd3-df31-41af-b22e-7e6b73277d5f" target="_blank">Arteriosclerosis, Thrombosis and Vascular Biology (2013); doi: 10.1161/ATVBAHA.112.300878</a>
2013-04-05T21:08:25-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/520
Nutrición: Casi la mitad de los países de Europa cuenta con políticas de reducción de la ingesta de sal en las comidas
2013-04-05T17:49:53-04:00
Revista Finlay
<p>Casi la mitad de los países de Europa cuentan con políticas de reducción de sal en las comidas, según ha mostrado un informe publicado este jueves por la Organización Mundial de la Salud (OMS), quien destaca, además, que los países europeos que no se han dotado de estas políticas sí tienen grupos de apoyo o instituciones de investigación que están realizando campañas de prevención del consumo de sal.<br /> <br /> Concretamente, 26 de los 53 países de Europa tienen operativas estas políticas de reducción de sal, y 33 de ellos han iniciado algún tipo de sensibilización a los consumidores, ya sea a través de un programa gubernamental o de una ONG.<br /> <br /> Asimismo, la OMS ha reflejado en su estudio, donde ha manejado datos de los Estados adscritos a la OMS en la Región Europea, que la participación que ha tenido la industria en las campañas de concienciación sobre el consumo abusivo de sal ha sido de carácter "voluntario" y abarca una variedad de actividades, incluida la reformulación de alimentos.<br /> <br /> En el caso de España, la OMS ha subrayado la Estrategia 2005 para la Nutrición, Actividad Física y Prevención de la Obesidad, que recomienda reducir la ingesta de sal a 5 gramos al día, el Plan del Ministerio de Sanidad para reducir la sal en el pan en un periodo de cuatro años, las informaciones ofrecidas por la Agencia de Seguridad Alimentaria y Nutrición (AESAN) y el apoyo a estas campañas del sector de la industria y de los fabricantes.</p> <p><strong>Más de ocho gramos diarios</strong><br /> <br /> En este sentido, la OMS ha recordado que la reducción de la ingesta de sal es una de las maneras más fáciles de reducir el riesgo de accidente cerebrovascular o enfermedad cardiaca y renal. En concreto, reducir el consumo a menos de 5 gramos al día disminuye el riesgo de sufrir un ictus en un 23%, y las posibilidades de padecer una enfermedad cardiovascular en un 17%.<br /> <br /> No obstante, este organismo ha alertado de que la ingesta diaria de la mayoría de los países de la región europea de la OMS es de aproximadamente 8,11 gramos diarios, "muy por encima" del nivel recomendado. Y es que, según ha indicado, a la hora de comer no se tiene en cuenta que la mayor parte de los alimentos contiene sal.<br /> <br /> De hecho, el 80% del consumo de sal en Europa proviene de alimentos procesados como el queso, el pan y los platos preparados. "Muchas personas consumen mucha más sal de lo que creen, con resultados negativos para la presión arterial y la salud cardiovascular general", ha comentado la directora regional para Europa, Zsuzsanna Jakab, quien ha asegurado que la reducción de sal es una de las formas "más rentables" para reducir los costes que conlleva una presión arterial alta.</p><p> </p><p><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/casi/mitad/paises/europa/cuenta/politicas/reduccion/ingesta/sal/comidas/_f-11+iditem-19444+idtabla-1" target="_blank">Tomado de jano</a></p>
2013-04-05T17:49:53-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/519
Factores de riesgo: Expertos advierten de que la obesidad, el tabaco y los plaguicidas afectan cada vez más a la fecundación 'in vitro'
2013-04-05T17:43:41-04:00
Revista Finlay
<p>El director médico del Grupo IVI, Antonio Requena, y el director de la clínica IVI en Lisboa, Sergio Soares, han advertido este viernes en rueda de prensa a propósito del V Congreso IVI de que los factores ambientales, entre los que han citado la obesidad, el consumo de tabaco o la exposición a plaguicidas, están afectando "cada vez más" a los tratamientos de reproducción asistida, así como a la salud del futuro neonato.<br /> <br /> Ambos especialistas han admitido que la etapa preconcepcional "tiene cada vez más influencia sobre los resultados del embarazo y el estado de salud a largo plazo" del bebé.<br /> <br /> Así, y a modo de ejemplo, han asegurado que los niños nacidos de padres que han estado expuestos a estos factores ambientales nocivos desarrollarán más problemas sanitarios en el futuro. "Ya no estamos hablando de que los padres expuestos a estos factores ambientales tengan mayores dificultades para tener un hijo, sino que los bebés nacidos de esos embarazos desarrollarán más problemas", ha señalado Requena, quien ha alertado, asimismo, de que el riesgo de que una madre obesa tenga un hijo que desarrolle en un futuro este problema "es el doble" que el de los padres con un IMC normalizado.<br /> <br /> La obesidad, ha indicado este experto, es un factor de riesgo importante para el desarrollo de enfermedades crónicas como el síndrome metabólico, la diabetes tipo II o dolencias cardiovasculares. "No sólo tenemos que centrarnos ya en lo que es el manipular bien el material biológico de la pareja, sino cuidar de que la pareja entre en este proceso para la fecundación in vitro en las mejores condiciones", ha añadido.<br /> <br /> Del mismo modo, ambos especialistas han resaltado también que el estrés y el retraso en la edad de búsqueda de la descendencia influyen igualmente en el aumento de la infertilidad de las parejas. En este sentido, han detallado que en la actualidad hay 800.000 parejas españolas que sufren problemas de fertilidad, y que las tasas de infertilidad se sitúan entre el 15 y el 17 % de la población.<br /> <br /> De otro lado, han aludido al "futuro prometedor" del uso de células madre en este campo. "Esto abre una puerta a que en un futuro personas que no son capaces de producir de forma espontánea ovocitos o espermatozoides, bien por una menopausia o por problemas de salud, pudiéramos conseguir que se produjeran esos ovocitos o espermatozoides con células madres", han reseñado.</p><p><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/expertos/advierten/obesidad/tabaco/plaguicidas/afectan/cada/vez/mas/fecundacion/in/vitro/_f-11+iditem-19458+idtabla-1" target="_blank">Tomado de Jano</a></p>
2013-04-05T17:43:41-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/518
Diabetes Mellitus: Bajos niveles de la hormona del sueño vinculados a mayor riesgo de diabetes
2013-04-04T10:48:07-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una menor secreción de melatonina, una hormona que favorece el sueño, está vinculada a un mayor riesgo de diabetes adulta (tipo 2), señaló el martes un estudio publicado en el <em>Journal of the American Medical Association</em> (<em>JAMA</em>).</p> <p>"Es la primera vez que se constata un vínculo entre la secreción nocturna de melatonina y el riesgo de diabetes tipo 2", destaca el doctor Ciaran McMullan.</p> <p>Los niveles de melatonina, producida por el cerebro durante el sueño, están en su nivel más alto durante la noche, lo que permite regular el ritmo biológico.</p> <p>Para este estudio, los investigadores identificaron 370 mujeres de la misma raza y edad, que desarrollaron diabetes del tipo 2 y otras 370 en un grupo de control sin ningún síntoma de esa enfermedad. Y hallaron que los participantes diabéticos tenían bajo nivel de melatonina durante la noche en comparación con el grupo sano.</p> <p>Según estos expertos, los bajos niveles de melatonina en la noche duplican el riesgo de contraer diabetes en comparación con los niveles elevados.</p> <p>El vínculo fue confirmado luego de tener en cuenta otros factores de control que favorecen la diabetes, como la obesidad, los antecedentes familiares o el estilo de vida como la dieta alimentaria, la práctica de ejercicio físico, el tabaquismo o la duración del sueño.<br /> abril 3/2013 (AFP)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Ciaran J. McMullan, MD, Eva S. Schernhammer, MD, DrPH, Eric B. Rimm, ScD, Frank B. Hu, MD, PhD, John P. Forman, MD, MSc. <a href="http://jama.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1674239" target="_blank"><em><strong>Melatonin Secretion and the Incidence of Type 2 Diabetes</strong></em></a>. <em>JAMA</em>. 2013;309(13):1388-1396. doi:10.1001/jama.2013.2710.</p> </span>
2013-04-04T10:48:07-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/517
Obesidad: Encuentran un fuerte componente genético en la obesidad infantil
2013-03-31T07:53:53-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img style="float: left; margin: 10px 10px 0; border: 1px solid;" src="http://www.medisur.sld.cu/viejo/issues/view.php?u=Oi8vdDMuZ3N0YXRpYy5jb20vaW1hZ2VzP3E9dGJuOkFOZDlHY1MtcDBfQmRNem1LWkVaN2JaNlJ6N2xtOWxTWGI2SlpUYjBsVVVmWWRmbTlNU25KRDkxUjFKQUVR&b=13" alt="Ver imagen en tamaño completo" width="75" height="80" />Un estudio apoya la idea de que los hijos de padres obesos tienen mayor riesgo de convertirse en obesos.</p> <p>El peso corporal infantil está influido por los genes, según un estudio publicado en <em>International Journal of Obesity</em>, que ha identificado 32 genes que pueden considerarse factores de riesgo.</p> <p>Los científicos utilizaron un método denominado Análisis de Rasgo del Genoma Complejo (GCTA) para investigar la heredabilidad genética molecular del peso corporal en niños.</p> <p>Según el estudio, realizado sobre una muestra de 2269 niños entre 8 y 11 años, los efectos acumulativos de múltiples genes en todo el genoma representaron el 30 % de las diferencias individuales del peso corporal.</p> <p>Clare Llewellyn, del Centro de Investigación en Comportamiento de Salud de la University College of London y autora principal del estudio, subraya: "Estos resultados son importantes porque confirman que los genes en los niños desempeñan un papel muy importante en la determinación del peso corporal".</p> <p>"En la actualidad", señala Llewellyn, solo se han descubierto unas pocas variantes genéticas, y estas explican una cantidad muy pequeña de las diferencias individuales en el peso corporal (en torno al 2 %). Estos hallazgos sugieren que hay cientos de otras variantes genéticas que influyen en el peso corporal que están aún por descubrir".</p> <p>Este estudio pone de relieve la importancia de los efectos genéticos en la obesidad infantil, lo que apoya la idea de que los hijos de padres obesos tienen mayor riesgo de convertirse en obesos.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/encuentran/fuerte/componente/genetico/obesidad/infantil/_f-11+iditem-19410+idtabla-1" target="_blank">marzo 28/2013 (JANO.es)</a></p> <p>C H Llewellyn, M Trzaskowski, R Plomin, J Wardle. <a href="http://www.nature.com/ijo/journal/vaop/ncurrent/full/ijo201330a.html" target="_blank"><em><strong>Finding the missing heritability in pediatric obesity: the contribution of genome-wide complex trait analysis</strong></em></a>.<em> International Journal of Obesity</em> 2013. doi: 10.1038/ijo.2013.30.</p> </span>
2013-03-31T07:53:53-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/516
Aterosclerosis: La proteína HSP27, marcador diagnóstico de ateroesclerosis
2013-03-30T07:30:05-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los marcadores circulantes pueden contribuir también al pronóstico, según una investigación que acomete el aneurisma de aorta abdominal.</p> <p>La investigación y los tratamientos para abordar las enfermedades vasculares son algunos de los retos de la medicina ante el crecimiento de las enfermedades cardiovasculares en nuestros días. José Luis Marín Ventura, del Instituto de Investigación Sanitaria de la Fundación Jiménez Díaz, de Madrid, ha presentado los últimos datos de su grupo en el Instituto Maimónides de Investigación Biomédica de Córdoba.</p> <p>Marcadores circulantes<br /> El trabajo de este equipo madrileño comprende la búsqueda de biomarcadores circulantes que puedan ayudar tanto en el diagnóstico y pronóstico de enfermedades vasculares (ateroesclerosis o aneurismas de la aorta abdominal), y presentar más tratamientos al identificar nuevas dianas terapéuticas frente a este tipo de enfermedades.</p> <p>Marín ha explicado que después de realizar estudios iniciales de electroforesis bidimensional y análisis por espectrometría de masas (2 DE-MS) en muestras de sobrenadantes de placas ateroescleróticas carotídeas y arterias mamarias se observó que la disminución de HSP27 en plasma de pacientes podría servir como un biomarcador diagnóstico de ateroesclerosis, de forma similar a lo que ocurre para la proteína HSP70.</p> <p>"El significado biológico de la disminución extracelular de estas HSP demuestra que podría estar asociada a la proteólisis de estas proteínas en el ambiente proteolítico de la placa ateroesclerótica, mientras que su disminución intracelular se asocia a mecanismos de inestabilidad de la placa ateroesclerótica", ha señalado el investigador y ha explicado cómo se pudo advertir que después de inducir el aumento de estas proteínas mediante un tratamiento derivado de la geldanamicina (17-dmag) hubo un efecto protector en las placas, disminuyendo la lesión, el estrés oxidativo, la inflamación y el contenido en macrófagos.</p> <p>Proteína antioxidante<br /> Por otra parte y en relación con lo anterior, Marín ha precisado que en una segunda etapa del proyecto de investigación se realizaron estudios de electroforesis bidimensional con una variación de la técnica que mejora la reproducibilidad (2-dige-MS) en muestras de células polimorfonucleares (PMN) de pacientes con aneurismas de la aorta abdominal.<br /> En este caso, los niveles de la proteína antioxidante catalasa en PMN disminuyen.</p> <p>Asimismo, "el plasma de pacientes con aneurisma de la aorta abdominal, en un estudio experimental de un modelo de aneurisma de la aorta abdominal, demostró que la administración de catalasa es capaz de prevenir la formación de aneurisma de la aorta abdominal. "Los estudios de proteómica no publicados que han usado cromatografía líquida y análisis por orbitrap en sobrenadantes de trombos de aneurisma de la aorta abdominal y en los que se han identificado diversas proteínas asociadas a procesos inmunes e inflamatorios, así como de estrés oxidativo, pueden servir para pronosticar la evolución de los pacientes con aneurisma de la aorta abdominal.</p> <p>Se ha referido también a la presencia de peroxirredoxina, porque esta proteína en plasma se asocia con la evolución y con una cirugía más o menos temprana.<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2013/03/27/area-cientifica/especialidades/cardiologia/investigacion/proteina-hsp27-marcador-diagnostico-ateroesclerosis" target="_blank">marzo 28/2013 (Diario Médico.com)</a></p> </span>
2013-03-30T07:30:05-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/515
Cáncer: Revelan 80 "errores de ortografía genética" que aumentan riesgo de cánceres comunes
2013-03-30T07:26:45-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Más de 80 "errores de ortografía" genética pueden aumentar el riesgo de cáncer de mama, próstata y ovario, según una investigación internacional llevada a cabo en el marco del Estudio de Colaboración Oncológica Gene-ambiental (COG), un consorcio de la Unión Europea.</p> <p>En última instancia, los científicos confían en entender cómo se desarrollan estos tumores y así generar nuevos tratamientos. Las principales conclusiones se publican en cinco artículos de un número especial sobre factores de riesgo genético para el cáncer, en <em>Nature Genetics</em>.</p> <p>Los cinco estudios tuvieron en cuenta a 100 000 pacientes con cáncer de mama, ovario o próstata y 100 000 individuos sanos. Los científicos realizaron análisis genéticos de todos los participantes y se estudió la atmósfera de bases nitrogenadas A, G, C y T en 200 000 secciones seleccionadas de la cadena de ADN.</p> <p>Cuando los pacientes con cáncer presentaban composiciones muy distintas en comparación con los controles sanos, las diferencias se consideraron relevantes para el riesgo de la enfermedad. Las alteraciones pueden ser descritas como un "error de ortografía genética", donde A, G, C o T se han reemplazado por otra carta. Este "error ortográfico" se llama polimorfismo de un solo nucleótido (SNP).</p> <p>Para el cáncer de mama, los investigadores encontraron 49 errores tipográficos genéticos o SNP, que es más del doble del número previamente encontrado. En el caso del cáncer de próstata, descubrieron otras 26 desviaciones, lo que significa que un total de 78 SNP pueden estar relacionados con la enfermedad, mientras que para los tumores de ovario, se identificaron ocho SNP relevantes.</p> <p>"Un hallazgo igualmente importante es que hemos identificado cómo muchos SNP podrían influir en el riesgo de cáncer de mama y de próstata, respectivamente. También tenemos una imagen de los lugares del genoma en los que debemos buscar en futuros estudios", señala Per Hall, profesor en el Instituto Karolinska de Suecia y coordinador del consorcio.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/estudio/revela/80/errores/ortografia/genetica/aumentan/riesgo/canceres/comunes/_f-11+iditem-19420+idtabla-1" target="_blank">marzo 28/2013 (JANO.es)</a></p> <p>Kyriaki Michailidou, Per Hall, Anna Gonzalez-Neira, Maya Ghoussaini, Joe Dennis, et al. <a href="http://www.nature.com/ng/journal/v45/n4/full/ng.2563.html" target="_blank"><em><strong>Large-scale genotyping identifies 41 new loci associated with breast cancer risk</strong></em></a>. <em>Nature Genetics</em> 45, 353-361. doi:10.1038/ng.2563 .</p> <p><strong>Más</strong>:</p> <p><a href="http://www.nature.com/ng/journal/v45/n4/full/ng.2566.html" target="_blank"><em>Multiple independent variants at the TERT locus are associated with telomere length and risks of breast and ovarian cancer</em></a></p> <p><em><a href="http://www.nature.com/ng/journal/v45/n4/full/ng.2561.html" target="_blank">Genome-wide association studies identify four ER negative-specific breast cancer risk loci </a></em></p> </span>
2013-03-30T07:26:45-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/514
Ciencia y Tecnología: Terapia celular prometedora contra la leucemia en niños
2013-03-28T06:27:34-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una terapia genética experimental eliminó todo rastro de células cancerosas en dos niñas que padecían leucemia linfoblástica aguda, publicó la revista The <a href="http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1215134?query=featured_home" target="_blank"><em><strong>New England Journal of Medicine</strong> </em></a>(DOI: 10.1056/NEJMoa1215134).</p> <p>Según el artículo, el tratamiento provocó la remisión completa de la enfermedad en las pacientes de siete y 10 años de edad, que anteriormente sufrieron sendas recaídas tras ser sometidas a la terapia convencional.</p> <p>A través de un trabajo de bioingeniería, los expertos manejaron el sistema inmune de las pequeñas en una terapia anticancerígena experimental, alterando genéticamente algunas células para incrementar su capacidad de lucha contra ese cáncer.</p> <p>Las células cancerosas desaparecieron de sus cuerpos tras recibir un tipo de glóbulos blancos llamados células T, manipuladas para multiplicarse y destruir una proteína denominada CD19, presente en las personas con esa enfermedad, explica el estudio.</p> <p>Después del tratamiento, algunos pacientes pueden sufrir efectos secundarios tratables, como fiebres altas y baja presión sanguínea, y otros podrían necesitar transfusiones de inmunoglobulina, explicó Carl June, autor de la investigación.</p> <p>Este ensayo clínico fue desarrollado por médicos del Hospital Infantil de Filadelfia y de la Universidad de Pensilvania, quienes hace dos años probaron la misma terapia en tres adultos con leucemias muy avanzadas y en dos de ellos el cáncer remitió.</p> <p>Los especialistas estiman que con el desarrollo de este procedimiento, se llegue a tratar la leucemia sin quimioterapia y se pueda reducir o prescindir del trasplante de médula ósea.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1247771&Itemid=1" target="_blank"><strong>marzo 26/2013 (PL)</strong> </a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Stephan A. Grupp, Michael Kalos, David Barrett, Richard Aplenc, David L. Porter, Susan R. Rheingold<em><strong>.Chimeric Antigen Receptor-Modified T Cells for Acute Lymphoid Leukemia.</strong></em><strong></strong><em>The New England Journal of Medicine. </em>Mar 25, 2013</p> </span>
2013-03-28T06:27:34-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/513
Ciencia y Tecnología: Detectan molécula que inhibe desarrollo de procesos cognitivos
2013-03-28T06:15:41-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una molécula codificada en el cromosoma 21 inhibe la producción en el cerebro de la proteína nexina 27 (SNX27), que interviene en el aprendizaje y la memoria, publicó la revista <a href="http://www.nature.com/nm/journal/vaop/ncurrent/full/nm.3117.html" target="_blank"><em><strong>Nature Medicine</strong></em></a> (doi: 10.1038/nm.3117).</p> <p>El artículo explica que el cromosoma 21 codifica un micro ARN llamado miR-155, y su aumento en el cerebro humano con síndrome de Down, se correlaciona con la disminución de SNX27.</p> <p>Los investigadores demostraron que la restauración de SNX27 en ratas con síndrome de Down mejoró la función cognitiva y la conducta de los roedores.</p> <p>Según el estudio, los bajos niveles de nexina 27 deterioraron el aprendizaje y la memoria de dichos ratones, que tenían activos menos receptores de glutamato, los cuales permiten a las neuronas funcionar correctamente.</p> <p>El equipo utilizó un virus no infeccioso para introducir nexina 27 humanas en el cerebro de esas ratas, y los resultados fueron positivos.</p> <p>"Todo volvió a la normalidad después del tratamiento, se reestablecieron los receptores de glutamato y se reparó el déficit de memoria", afirmó Xin Wang, autor principal del estudio.</p> <p>"En el cerebro, SNX27 mantiene ciertos receptores en la superficie celular que son necesarios para que las neuronas funcionen correctamente", explicó el coautor Huaxi Xu.</p> <p>Por lo tanto, la falta de SNX27, tiene gran responsabilidad en los problemas de desarrollo y cognitivos de las personas con síndrome de Down, agregó Xu.</p> <p>Los especialistas concluyeron que la copia adicional del cromosoma 21 provoca un aumento de miR-155, que por medios indirectos disminuye los niveles de SNX27, y a su vez, reduce los receptores de glutamato.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1245241&Itemid=1" target="_blank"><strong>marzo 25/2013 (PL)</strong></a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2013 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Wang X, Zhao Y, Zhang X, Badie H, Zhou Y, Mu Y<em><strong>.Loss of sorting nexin 27 contributes to excitatory synaptic dysfunction by modulating glutamate receptor recycling in Down's syndrome</strong></em>.<em>Nat Med</em>. 2013 Mar 24</p> </span>
2013-03-28T06:15:41-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/512
Nutrición: No tomar lácteos eleva el riesgo de síndrome metabólico
2013-03-25T06:22:30-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los jóvenes que no consuman al menos tres raciones de productos lácteos al día pueden ser más propensos a padecer síndrome metabólico, según un estudio realizado por investigadores de la Universidad de Illinosis, en Estados Unidos, y de la Universidad Autónoma de San Luis Potosí, en México.</p> <p>En concreto, el síndrome se diagnostica cuando una persona presenta factores de riesgo como la obesidad abdominal, alta presión en sangre, elevados niveles de azúcar, de colesterol y de lípidos.</p> <p>Para llevar a cabo el estudio, emplearon cuestionarios para conocer la dieta, el sexo, la edad y el historial familiar de enfermedades cardiovasculares y diabetes del tipo 2 en 339 estudiantes mexicanos. Terán-García, una de las investigadoras, apunta que este estudio es importante para los hispanos asentados en Norteamérica, ya que la mayor parte de ellos presentan una predisposición genética a desarrollar niveles altos de colesterol y no suelen ir al médico por lo que desconocen sus problemas con el peso o el azúcar.</p> <p>Los investigadores observaron que un cuarto de la muestra que bebían productos lácteos y refrescos endulzados consumían más calorías de las recomendadas. Por ello, los autores destacan que los lácteos serían efectivos para alcanzar y mantener un peso saludable.<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/2013/03/18/area-profesional/entorno/no-tomar-lacteos-eleva-el-riesgo-de-sindrome-metabolico" target="_blank"><strong>marzo 18/2013 (Diario Médico)</strong></a></p> </span>
2013-03-25T06:22:30-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/511
Ciencia y Tecnología: Descifran paso clave en la fabricación de los glóbulos rojos
2013-03-25T06:11:28-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Investigadores de la Escuela Politécnica Federal de Lausanne (Suiza) han identificado un paso clave en el proceso por el cual se crean los glóbulos rojos.</p> <p>Un equipo de investigadores de la Escuela Politécnica Federal de Lausanne (EPFL), en Suiza, ha identificado un paso clave en el proceso por el cual se crean los glóbulos rojos. El descubrimiento podría arrojar luz sobre las causas de los trastornos de la sangre como la anemia además de acercar la posibilidad de poder fabricar glóbulos rojos en el laboratorio.</p> <p>Un adulto sano debe generar como hasta 100 000 millones de células rojas nuevas todos los días para mantener los números que circulan en la sangre. Un glóbulo rojo inicia su vida en la médula ósea como una célula madre hematopoyética y se somete a un proceso altamente controlado de la proliferación y diferenciación antes de adquirir su identidad final.</p> <p>En un artículo publicado esta semana en<a href="http://www.sciencemag.org/content/early/2013/03/13/science.1232398.abstract?sid=f9dcd518-543d-4a2e-bcdd-071d3d04a125" target="_blank"><em><strong> Science</strong> </em></a>(DOI:10.1126/science.1232398), Isabelle Barde, de la Escuela de Ciencias de la Vida y de Fronteras en el Programa de Genética de de la EPFL, y sus colegas describen experimentos que muestran que KRAB, que contiene proteínas de zinc, en conjunto con un cofactor llamado KAP1, modulan la mitofagia de manera sutil y sofisticada.</p> <p>El autor principal del artículo, el virólogo Didier Trono, se interesó por el sistema KRAB/KAP1 durante varios años, ya que se sabe desde que tienen un papel en el "silenciamiento" de componentes del genoma de los mamíferos conocidos como retroelementos, porque eran originalmente retrovirus que se incorporaron en el código genético de los organismos que infectan. Entre las funciones del sistema KRAB/KAP1 tomó regular la mitofagia. Los investigadores encontraron que los ratones genéticamente modificados con falta de KAP1 se convirtieron rápidamente en anémicos porque no fueron capaces de hacer células rojas de la sangre. Más concretamente, el proceso de diferenciación de células madre se estancó en la etapa donde las mitocondrias fueron degradadas en eritroblastos, los precursores de los eritrocitos. Así, la anulación de KAP1 tuvo un efecto similar en las células sanguíneas, lo que indica que su papel en la regulación de mitofagia se ha conservado durante la evolución, desde el ratón al hombre, según descubrieron estos investigadores, quienes demostraron que el sistema funciona mediante la represión de KRAB/KAP1 represores de mitofagia.</p> <p>Esto sugiere que las mutaciones en los diversos componentes de este sistema de regulación puede contribuir a trastornos de la sangre tales como anemia y ciertos tipos de leucemia, lo que a su vez indica futuras dianas terapéuticas para estas enfermedades. También plantea maneras en que se podría realizar la síntesis de glóbulos rojos emulados en el laboratorio.<br /> <a href="http://hematologia.diariomedico.com/2013/03/15/area-cientifica/especialidades/hematologia/descifran-un-paso-clave-en-la-fabricacion-de-los-globulos-rojos" target="_blank"><strong>marzo 15/2013 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Barde I, Rauwel B, Marin-Florez RM, Corsinotti A, Laurenti E, Trono D. <em><strong>A KRAB/KAP1-miRNA Cascade Regulates Erythropoiesis Through Stage-Specific Control of Mitophagy</strong></em>. <em>Science</em>. 2013 Mar 14</p> </span>
2013-03-25T06:11:28-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/510
Hipertensión arterial: La denervación renal corrige la hipertensión arterial resistente
2013-03-20T01:12:46-04:00
Revista Finlay
<p>La Unidad de Ablación Renal del Instituto Cardiovascular Teknon viene aplicando la denervación para controlar y reducir la presión arterial en pacientes con hipertensión resistente. Esta técnica consiste en la desactivación por radiofrecuencia del sistema nervioso simpático renal, reduciendo su actividad y, por consiguiente, la presión arterial.</p> <p>Según datos de la Sociedad Española de Cardiología, en España hay 10 millones de personas con hipertensión, de las cuales un millón tiene hipertensión resistente, es decir, un tipo de hipertensión arterial que no se consigue controlar con fármacos antihipertensivos. Entre los factores que se asocian a la hipertensión refractaria destacan la edad avanzada, la obesidad, la diabetes mellitus y la insuficiencia renal crónica.<br /> <br /> El Dr. Jorge Moisés, nefrólogo miembro de la Unidad de Ablación Renal del Instituto Cardiovascular Teknon, explica que la denervación renal es una técnica especialmente indicada para el tratamiento de la hipertensión arterial resistente en aquellos pacientes que no logran controlar la hipertensión con tratamientos farmacológicos múltiples y complejos. Este especialista explica que se trata de un procedimiento poco invasivo, eficaz y seguro a corto y medio plazo, que mejora la calidad y esperanza de vida de los pacientes y reduce el coste económico y social de la hipertensión.<br /> <br /> Según constata el Dr. Moisés, “si conseguimos bajar la presión arterial a 10 mmHg reducimos en un 56% el riesgo de embolia y en un 37% el riesgo de enfermedad coronaria”. Este especialista confirma, asimismo, que la técnica de la ablación renal consigue bajar la presión arterial hasta 30 mmHg de máxima y 15-20 puntos de mínima.<br /> <br /> La denervación renal consiste en la desactivación por radiofrecuencia del sistema nervioso simpático renal, reduciendo su actividad y, por consiguiente, la presión arterial. Estudios sobre fisiopatología renal han demostrado de forma fehaciente que un incremento en la actividad simpática originada en los riñones promueve la elevación de la presión arterial y la producción del daño orgánico no sólo en los riñones, sino también en otros órganos diana.<br /> <br /> El procedimiento quirúrgico se lleva por especialistas en Radiología Vascular Intervencionista liderados por el Dr. Jordi Muchart, y especialistas en Cardiología Intervencionista por el Dr. Antoni Serra Peñarand,a y consiste en introducir un catéter por vía femoral (a través del brazo o la ingle) hasta alcanzar las arterias renales. El catéter emite calor, entre 40 y 50 grados, desactivando una serie de redecillas nerviosas que ocasionan la hipertensión arterial. La técnica se aplica bajo sedación y monitorización del paciente durante un día de ingreso hospitalario.</p>
2013-03-20T01:12:46-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/509
Disruptores endocrinos: algunas certezas y muchas incógnitas
2013-03-16T09:44:42-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una avalancha de estudios alerta del riesgo para la salud del bisfenol A y otras sustancias. Aún quedan aspectos por aclarar, como el umbral de exposición que se considera nocivo.</p> <p>A estas alturas, casi nadie se atreve a negar que compuestos como el bisfenol A (BPA), los parabenos o los ftalatos ejercen un efecto negativo en la salud. La incertidumbre aparece cuando se trata de discernir el nivel de exposición a partir del cual comienzan a dañar el organismo y las enfermedades con las que se asocian estos y muchos otros disruptores endocrinos.</p> <p>Un estudio publicado hace unos días da cuenta de la relación entre el bisfenol A y un mayor riesgo de asma infantil, pero solo cuando la exposición ha sido postnatal.</p> <p>Estudios no faltan, pero no todos ellos resultan igual de clarificadores. Tomando como muestra solo el BPA, en los últimos meses se han publicado numerosos trabajos que lo relacionan con enfermedades de muy diversa índole. Uno de los más recientes, que aparece en el número de marzo de //Journal of Allergy and Clinical Immunology, da cuenta de una asociación entre la exposición al BPA y un mayor riesgo de asma infantil.</p> <p>Tras descartar otros factores asociados al asma, los investigadores observaron que solo existía una asociación positiva entre el contacto postnatal con el disruptor endocrino y la enfermedad. En cambio, la relación entre la exposición prenatal y el riesgo de disnea y asma era inversa. Este resultado contrasta con el de un estudio anterior que constató que la exposición al BPA durante el segundo trimestre de gestación incrementaba el riesgo.</p> <p>Desarrollo cerebral<br /> Otro estudio reciente, publicado en la edición en línea de //Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) el 25 de febrero, ha mostrado en neuronas de ratón, rata y humanos que el BPA puede afectar al desarrollo cerebral al alterar la regulación génica. En enero, //PLoS ONE recogía un estudio que explicaría, al menos en parte, el vínculo entre BPA y diabetes tipo 2. Ese mismo mes aparecía en Kidney International una investigación que vinculaba el BPA a un mayor riesgo de enfermedad cardiaca y renal en niños y adolescentes.</p> <p>"Necesitamos urgentemente más investigación para obtener una imagen más completa", ha afirmado María Neira, directora de Salud Pública de la OMS.</p> <p>La obesidad, la diabetes tipo 2 y los problemas de fertilidad también figuran entre las enfermedades recientemente asociadas al BPA. La pregunta que cabe plantear es hasta qué punto son sólidas las evidencias científicas que advierten sobre estos posibles riesgos del BPA y de otros disruptores endocrinos. Algunos informes recientes dan algunas pistas a este respecto.</p> <p>Uno de ellos es el que han encargado el Programa de Naciones Unidas para el Medio Ambiente (Pnuma) y la Organización Mundial de la Salud (OMS) a un grupo de expertos en la materia, denominado Estado de la ciencia de los disruptores endocrinos 2012. Con motivo de la publicación de este documento a finales de febrero, la directora de la OMS para la Salud Pública y el Medio Ambiente, María Neira, afirmó: "Necesitamos urgentemente más investigación para obtener una imagen más completa de los efectos sobre la salud y el medio ambiente de los disruptores endocrinos".</p> <p>El BPA presente en la sangre de la población general es varias veces inferior a los niveles que causan toxicidad en animales, según un metanálisis presentado recientemente</p> <p>Nuevas evidencias<br /> En todo caso, aunque los autores del informe confirman que aún quedan muchas lagunas, también señalan que se han producido avances importantes desde la publicación del último documento de la OMS y el Pnuma sobre la cuestión, que data de 2002. Dicho texto concluía que "la evidencia de que la salud humana pueda verse afectada de forma adversa por la exposición a sustancias con actividad endocrina es débil".</p> <p>En cambio, el informe de 2012 asegura que ya existen estudios que aportan "evidencia de efectos reproductivos adversos (infertilidad, cáncer, malformaciones) debidos a la exposición a disruptores endocrinos y también hay pruebas crecientes de los efectos de estas sustancias en la función tiroidea, la función cerebral, la obesidad y el metabolismo y la homeostasis de insulina y glucosa".</p> <p>De ahí que los responsables del documento señalen la conveniencia de adoptar medidas para minimizar la exposición a estos compuestos. Entre otras razones, porque es posible que los nuevos datos que emerjan aporten perspectivas aún más negativas.</p> <p>Pero no siempre se subestiman los efectos. Un metanálisis de 150 estudios de exposición al BPA presentado en la última reunión anual de la Asociación Americana para el Avance de la Ciencia incide en que el BPA presente en la sangre de la población general es varias veces inferior a los niveles que causan toxicidad en animales. Por lo tanto, se impondría la cautela en la extrapolación de los estudios en animales.</p> <p>Esto indicaría que los niveles de BPA en muestras de sangre humana estarían, en general, muy por debajo de los requeridos para causar un efecto significativo en los receptores estrogénicos y producir efectos biológicos. Los autores del estudio advierten de la necesidad de emplear un lenguaje más exacto al informar sobre los hallazgos en este terreno.<br /> En caso de duda, principio de precaución</p> <p>A pesar de las incógnitas, la prudencia se va haciendo hueco en los órganos de decisión. Prueba de ello es la prohibición del bisfenol A en los biberones en la UE, que algunos países han extendido a todos los materiales en contacto con alimentos infantiles.</p> <p>En el Curso de actualización en Pediatría 2012, Nicolás Olea, catedrático de la Universidad de Granada, aconsejó: "Mientras que nuevos trabajos epidemiológicos tratan de establecer asociaciones entre la exposición y sus consecuencias sobre la salud humana, no queda más que actuar con cautela, tratando de disminuir la exposición según las recomendaciones del principio de precaución".</p> <p>Múltiples sustancias ubicuas en sociedades económicamente desarrolladas</p> <p>Las fuentes de los disruptores endocrinos son muy diversas. Estos son algunos ejemplos.</p> <p>DDT y sus metabolitos. Plaguicidas. Fueron prohibidos en 1972, pero siguen apareciendo en sangre y tejidos humanos.</p> <p>Dieldrín. Plaguicida prohibido en Estados Unidos en 1974.</p> <p>Clordecona. Plaguicida prohibido en Estados Unidos en 1977 Endosulfán y compuestos relacionados. Plaguicidas actualmente en uso.</p> <p>Toxafeno. Plaguicida prohibido en Estados Unidos en 1982.</p> <p>Alquilfenol polietoxilatos. Surfactantes industriales presentes en detergentes, componentes de plásticos con propiedades antioxidantes y/o maleables.</p> <p>Ftalatos. Ablandadores del plástico en chupetes y mordedores. Plastificantes del PVC y cosméticos.</p> <p>Bisfenol A. Precursores de resinas epoxi. Subproductos de plásticos tras digestión microbiana y degradación.</p> <p>Butilhidroxianisol. Antioxidante.</p> <p>PCB. Transformadores eléctricos, prohibidos en 1970.</p> <p>Fenilfenol. Limpiadores, desinfectantes.</p> <p>Bifenilos polibromados. Retardadores de la llama.</p> <p>Perfluorados. Recubrimientos en sartenes y utensilios de cocina.</p> <p>Parabenos. Cosmética.</p> <p>Benzofenonas, canfenos y cinamatos. Filtros UV empleados en cosmética.<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2013/03/11/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/disruptores-endocrinos-algunas-certezas-y-muchas-incognitas" target="_blank">marzo 14/2013 (Diario Médico)</a></p> <p>Kathleen M. Donohue, Rachel L. Miller, Matthew S. Perzanowski, Allan C. Just, et al.<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Prenatal+and+postnatal+bisphenol+A+exposure+and+asthma+development+among+inner-city+children" target="_blank"><em><strong> Prenatal and postnatal bisphenol A exposure and asthma development among inner-city children</strong></em></a>. <em>Journal of Allergy and Clinical Immunology</em> vol. 131 (3), págs 736-742.e6.</p> <p>Mohan Manikkam, Rebecca Tracey, Carlos Guerrero-Bosagna, Michael K. Skinner. <a href="http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0055387" target="_blank"><em><strong>Plastics Derived Endocrine Disruptors (BPA, DEHP and DBP) Induce Epigenetic Transgenerational Inheritance of Obesity, Reproductive Disease and Sperm Epimutation</strong></em></a>s. <em>PLOS ONE</em> 2013.</p> </span>
2013-03-16T09:44:42-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/508
Eventos de enfermedades crónicas: Una sola conmoción puede ocasionar un daño cerebral estructural y permanente
2013-03-14T08:45:42-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una sola conmoción cerebral puede causar daños permanentes y de carácter estructural en el cerebro, según concluye una investigación publicada en la revista<a href="http://radiology.rsna.org/content/265/3/882.abstract?sid=a619534e-15a4-4eef-878c-4ec155fb1758" target="_blank"><em><strong> Radiology</strong></em></a>. (doi: 10.1148/radiol.12120748 )</p> <p>La lesión cerebral traumática leve (MTBI) o conmoción cerebral representa al menos el 75% de todas las lesiones cerebrales traumáticas.</p> <p>Después de una conmoción cerebral, algunos pacientes experimentan una breve pérdida de conciencia, además de otros síntomas como dolor de cabeza, mareos, pérdida de memoria, déficit de atención, depresión y ansiedad, algunos de los cuales pueden persistir durante meses o incluso años.</p> <p>"Éste es el primer estudio que muestra que las áreas del cerebro sufren la pérdida de volumen medible después de una conmoción cerebral", afirma su autora principal, Yvonne W. Lui, de la Sección de Neurorradiología y de Radiología de la Escuela de Medicina Langone de la Universidad de Nueva York (Estados Unidos).</p> <p>Lui y sus colegas se propusieron investigar los cambios en el volumen cerebral global y regional en 28 pacientes un año después de la lesión traumática cerebral leve. Para ello, se valieron de imágenes tridimensionales de resonancia magnética (MRI) para determinar la materia gris regional y los volúmenes de materia blanca y correlacionaron estos hallazgos con otras mediciones clínicas y cognitivas. Así, encontraron que un año después de la conmoción cerebral, hubo atrofia cerebral mensurable en los pacientes con lesión traumática cerebral leve.</p> <p>Ciertas regiones del cerebro mostraron una disminución significativa en el volumen regional en pacientes con lesión traumática cerebral leve durante el primer año después de la lesión, en comparación con los controles. Estos cambios de volumen se correlacionaron con cambios cognitivos en la memoria, la atención y la ansiedad.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/sola/conmocion/puede/ocasionar/dano/cerebral/estructural/permanente/_f-11+iditem-19300+idtabla-1" target="_blank"><strong>marzo 12/2013 (JANO)</strong></a></p> <p>Yongxia Zhou, Michael P. Milham, Yvonne W. Lui, Laura Miles, Joseph Reaume, Daniel K. Sodickson.<em><strong>Default-Mode Network Disruption in Mild Traumatic Brain Injury</strong></em>.<em>Radiology</em>, 265, 882-892. Dic 2012</p> </span>
2013-03-14T08:45:42-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/507
Medicamentos: Sugieren que la aspirina puede prevenir el melanoma en mujeres
2013-03-14T08:23:38-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los efectos antiinflamatorios de la aspirina (ácido acetilsalicílico) pueden reducir en las mujeres el riesgo de padecer algún tipo de tumores de piel, refiere la revista<a href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/cncr.27817/abstract" target="_blank"><em><strong> Cáncer </strong></em></a>(DOI: 10.1002/cncr.27817).</p> <p>Según un estudio realizado por científicos estadounidenses, las féminas que toman dicha píldora sistemáticamente tienen menos probabilidades de desarrollar melanomas.</p> <p>Los especialistas analizaron durante una década a cerca de 60 mil mujeres con edades entre 50 y 79 años de edad, y encontraron que las que tomaban más aspirina eran menos propensas a desarrollar ese tipo de tumor.</p> <p>Las mujeres que consumieron el medicamento durante cinco años o más tenían un 30 % menos de peligro de padecer cáncer de piel, detectaron además los investigadores.</p> <p>"La aspirina actúa reduciendo la inflamación y esta puede ser la causa por la que su uso disminuye el riesgo de desarrollar melanoma", señaló Jean Tang, profesor de la Universidad de Stanford.</p> <p>Tang agregó que ese estudio apoya el diseño de un ensayo clínico para probar directamente si tomar aspirina puede prevenir el melanoma.</p> <p>De acuerdo con un reporte de la Organización Mundial de la Salud, anualmente ocurren cerca de 48 mil muertes anuales relacionadas con melanomas, causantes de un 75 % de los fallecimientos asociados al cáncer de piel.</p> <p>El melanoma es un tumor cutáneo altamente invasivo por su capacidad de generar metástasis y hasta ahora el único tratamiento efectivo que se ha notificado es su resección quirúrgica antes de que logre un grosor mayor de un milímetro.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1195601&Itemid=1" target="_blank"><strong>marzo 11/2013 (PL)</strong> </a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Christina A. Gamba, Susan M. Swetter, Marcia L. Stefanick, Jessica Kubo, Manisha Desai.<em><strong>Aspirin is associated with lower melanoma risk among postmenopausal Caucasian women</strong></em>. <em>Cancer</em> 11 mar 2013</p> </span>
2013-03-14T08:23:38-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/506
Cáncer: Proponen tratamiento más barato y seguro para cáncer de próstata
2013-03-10T08:09:43-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>Los parches cutáneos de estrógeno pueden constituir un tratamiento más barato y seguro para el cáncer de próstata que las terapias convencionales, publicó <a href="http://www.thelancet.com/journals/lanonc/article/PIIS1470-2045%2813%2970025-1/abstract" target="_blank"><em><strong>The Lancet Oncology.</strong></em></a>(doi:10.1016/S1470-2045(13)70025-1<a href="http://www.thelancet.com/popup?fileName=cite-using-doi" target="newWin"><img src="http://www.thelancet.com/images/clear.gif" alt="" /></a>)</p> <p>Investigadores del Imperial Collage London trataron a 85 pacientes con cáncer de próstata con el método tradicional, una inyección que reduce los niveles de testosterona, y a 169 con parches hormonales situado en la piel.</p> <p>Los resultados mostraron que los tratados con el parche tenían menos efectos secundarios relacionados con la andropausia, la versión masculina de la menopausia.</p> <p>A su vez, la inyección de LHRHa de la terapia habitual en estos casos, tiene dichos efectos secundarios, y además afecta la salud ósea y favorece la diabetes.</p> <p>Según Paul Abel, coordinador del estudio, con el parche hormonal suben los niveles de estrógeno para reducir la hormona responsable de este cáncer y retrasar así el crecimiento del tumor.</p> <p>Abel aseguró que con los parches se han conseguido niveles de castración de la testosterona, aunque se precisa un seguimiento más prolongado a los enfermos.</p> <p>Ahora los expertos evalúan en unos 600 pacientes si los parches de estrógeno son tan eficaces en detener el crecimiento del cáncer de próstata como los convencionales tratamientos hormonales.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1170971&Itemid=1" target="_blank"><strong>marzo 4/2013 (PL)</strong> </a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Ruth E Langley, Fay H Cafferty, Abdulla A Alhasso, Stuart D Rosen, Subramanian Kanaga Sundaram, Suzanne C Freeman.<em><strong> Cardiovascular outcomes in patients with locally advanced and metastatic prostate cancer treated with luteinising-hormone-releasing-hormone agonists or transdermal oestrogen: the randomised, phase 2 MRC PATCH trial (PR09)</strong></em>.<em>The Lancet Oncology</em>.Mar 04, 2013</p></div> </span>
2013-03-10T08:09:43-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/505
Diabetes Mellitus: Identifican mutación genética posible causa de diabetes mellitus tipo 1
2013-03-10T08:01:08-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>Científicos suizos identificaron una mutación genética capaz de causar la diabetes tipo 1 con lo cual podrá entenderse el mecanismo responsable de la enfermedad y abrir nuevas opciones de tratamiento, publicó la revista <em>Cell Press</em>.</p> <p>Según el doctor Marc Donath, autor del estudio, una única mutación del gen SIRT1 puede causar en humanos esa enfermedad, en la cual el sistema inmunológico destruye las células que producen insulina en el páncreas.</p> <p>Los estudios en animales demostraron que ese gen, reconocido por su papel en la promoción de la longevidad, también regula la secreción de insulina y el desarrollo de enfermedades autoinmunes, refiere el artículo.</p> <p>Los investigadores detectaron que desactivar el gen SIRT1 en ratones destruía la región productora de insulina del páncreas en esos animales y elevaba sus niveles de azúcar en sangre.</p> <p>Donath y su equipo, del Hospital Universitario de Basilea, analizaron también cinco miembros de una familia que presentaban trastornos autoinmunes y de ellos, cuatro padecían además diabetes tipo 1.</p> <p>Tras combinar técnicas de secuenciación de genes, los científicos identificaron en los enfermos una mutación genética, previamente no documentada, que provocaba una sustitución de aminoácidos en SIRT1.</p> <p>Hasta entonces se desconocía el papel de SIRT1 en la autoinmunidad y en las enfermedades humanas, pero el reciente estudio estima que su activación puede proteger contra la diabetes tipo 1.<br /> marzo 7/2013 (PL)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p></div> </span>
2013-03-10T08:01:08-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/504
Ciencia y Tecnología: Asocian fatiga extrema a altos niveles de serotonina en el cerebro
2013-03-06T06:38:08-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La fatiga extrema tras un ejercicio duro y prolongado, está estrechamente relacionada con un aumento de los niveles de serotonina en el cerebro, publicó <a href="http://www.pnas.org/content/early/2013/02/27/1216150110.abstract?sid=167715f9-1e8f-4cb4-a907-fa7f5615efb0" target="_blank"><em><strong>Proceedings of the National Academy of Sciences</strong> </em></a>(doi:10.1073/pnas.1216150110).</p> <p>Jean-Francois Perrier, profesor de la Universidad de Copenhague y líder de la investigación, explicó que la serotonina funciona como un acelerador, pero también como un freno cerebral cuando la tensión llega a ser excesiva.</p> <p>Según el artículo, hacer ejercicio provoca bienestar, pues eleva los niveles de ese neurotransmisor asociado al estado de ánimo, pero un exceso del mismo, desencadena un mecanismo cerebral de frenado.</p> <p>Este protocolo de control reduce la actividad muscular nociva y evita una hiperactividad de las motoneuronas, neuronas a través de las cuales el cerebro se comunica con los músculos, refiere la publicación.</p> <p>Después de un ejercicio prolongado, la fuerza disminuye por falta de glucógeno y por fallos en las uniones entre las fibras nerviosas y los músculos, provocando un cansancio extremo denominado fatiga central.</p> <p>Tras experimentar con tortugas, los especialistas detectaron que cuando el organismo está en ese estado, disminuye su capacidad para contraer las fibras musculares correctamente durante el ejercicio.</p> <p>Perrier estima que el hallazgo servirá para desarrollar fármacos contra las patologías relacionadas con la hiperactividad de las motoneuronas, incapacidad de controlar los movimientos.</p> <p>Además, podrían estudiarse más los efectos de los antidepresivos, que actúan elevando los niveles de serotonina en los pacientes.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1170911&Itemid=1" target="_blank"><strong>marzo 4/2013 (PL)</strong></a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Florence Cotel, Richard Exley, Stephanie J. Cragg, Jean-François Perrier. <em><strong>Serotonin spillover onto the axon initial segment of motoneurons induces central fatigue by inhibiting action potential initiation</strong></em> <em>PNAS</em> 2013 ; Marh 4, 2013</p> </span>
2013-03-06T06:38:08-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/503
Cardiopatía Isquémica: Tener VIH aumenta 50% el riesgo de infarto
2013-03-06T06:22:00-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Estar infectado con el VIH, el virus que causa el sida, aumenta el riesgo de ataque al corazón en un 50%, según una encuesta realizada a más de 82 000 personas en Estados Unidos y publicada el lunes, que confirma investigaciones previas.</p> <p>"En tres grupos etarios, la frecuencia media de infartos fue siempre mucho mayor en los individuos seropositivos en comparación con los que no estaban infectados con el VIH", concluyen los autores de la investigación aparecida en la revista Archives of Internal Medicine, una publicación de la revista <a href="http://archinte.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1659742" target="_blank"><em><strong>Journal of the American Medical Association (JAMA)</strong> </em></a>(doi:10.1001/jamainternmed.2013.3728).</p> <p>El estudio, realizado entre 82 459 exmilitares, la mayoría hombres, indicó que entre las personas de 40 a 49 años, la tasa de infarto de miocardio fue del 2 por mil en pacientes con VIH, frente al 1,5 por mil entre los seronegativos.</p> <p>En el grupo de edad de 50 a 59 años, la proporción era de 3,9 por mil contra 2,2 por mil entre los seronegativos. Para la franja etaria de 60 a 69 años, la proporción de infartos fue del 5 por mil, frente al 3,3 por mil en el grupo que no estaba infectado.</p> <p>Teniendo en cuenta la existencia de otras enfermedades, el tabaquismo y el consumo de alcohol, así como otros factores de riesgo como la presión arterial alta y el colesterol, los individuos seropositivos del estudio tenían un riesgo 50% mayor que los seronegativos, concluyen los autores.</p> <p>También destacan que el riesgo, aunque es un poco más bajo, se mantiene entre los seropositivos que logren reducir la carga viral del VIH a menos de 500 copias por mililitro de sangre - un nivel muy bajo - en comparación con los que no estaban infectados.</p> <p>El estudio realizado por el doctor Matthew Freiberg, de la Escuela de Medicina de la Universidad de Pittsburgh, Pensilvania (este), siguió a los participantes durante casi seis años.</p> <p>Varios estudios han demostrado que la activación crónica del sistema inmune por la infección del VIH antes de una terapia antirretroviral parecía entrañar un nivel alto de inflamación que acelerarían el envejecimiento y harían al organismo más vulnerable a las enfermedades relacionadas con la edad.</p> <p>Un estudio publicado en JAMA en julio de 2012, reveló que los seropositivos tienen más del doble de probabilidades de tener un ataque al corazón o un derrame cerebral que el resto de la población, lo que puede estar relacionado con la inflamación de las arterias, de acuerdo con los autores de esa investigación.<br /> marzo 4/2013 (AFP) -</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Matthew S. Freiberg, Chung-Chou H. Chang, Lewis H. Kuller, Melissa Skanderson, Elliott Lowy, Kevin L. Kraemer.<em><strong>HIV Infection and the Risk of Acute Myocardial Infarction</strong></em>.<em> JAMA Intern Med</em>. 2013;():1-9.</p> </span>
2013-03-06T06:22:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/502
Enfermedad de Alzheimer: Un estudio sugiere que la enfermedad de Alzheimer es el precio de la evolución humana
2013-03-03T21:07:27-05:00
Revista Finlay
<p>Un estudio liderado por Emiliano Bruner, del Centro Nacional de Investigación sobre la Evolución Humana (CENIEH), y Heidi Jacobs, neurosicóloga del Instituto alemán de Neurociencia y Medicina de Jülich, propone un marco evolutivo al origen de la enfermedad de Alzheimer. El trabajo, publicado en la revista<em> Journal of Alzheimer’s Disease, </em>sugiere que la sensibilidad al proceso neurodegenerativo sería el precio que tenemos que pagar los <em>Homo sapiens</em> para nuestras capacidades cognitivas.<br /> <br /> De acuerdo con la hipótesis formulada en este artículo, dicha sensibilidad es la consecuencia secundaria de la especialización y de la complejidad metabólica de nuestras áreas parietales. “De hecho, en las primera fases de esta enfermedad se observa un déficit metabólico, de gestión de la energía, de estas misma áreas”, explica Bruner.<br /> <br /> El registro fósil y paleoneurológico muestra que nuestra especie se caracteriza, en geometría cerebral, por una marcada reorganización de dichas áreas, relacionadas con las capacidades cognitivas. Los procesos de crecimiento y desarrollo que llevan a estos cambios cerebrales están ausentes en los simios antropomorfos, así como en homínidos con gran volumen cerebral como los neandertales. Además, en los tejidos neurales, en la corteza parietal profunda, los humanos tenemos áreas que tampoco se encuentran en los otros primates.<br /> <br /> <strong>El precio de nuestra inteligencia</strong><br /> <br /> Por tanto, este desarrollo de las capacidades cognitivas del <em>Homo sapiens </em>puede que haya conllevado una mayor sensibilidad a defectos metabólicos: balance energético, toxinas, gestión del calor, etc. Y, como señala Bruner, éste es el precio que tendríamos que pagar por disfrutar de nuestras capacidades peculiares.<br /> <br /> Bruner concluye que el 'silencioso' filtro de la selección natural sólo reconoce las ventajas cognitivas y ninguna de sus desventajas, ya que al afectar al hombre a edades tardías, este 'efecto secundario' no influye en las capacidades reproductivas del individuo.</p> <br /><br /><a href="http://iospress.metapress.com/content/d30n374627670384/?p=3ba218f937154d6dad257dda94833785&pi=0" target="_blank">Journal of Alzheimer’s Disease (2013); doi:10.3233/JAD-122299</a>
2013-03-03T21:07:27-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/501
Medicamentos: Ácidos grasos omega-3 y aspirina para combatir la inflamación
2013-02-28T05:34:24-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un estudio publicado en <em>Chemistry & Biology</em> muestra que la aspirina ayuda a desencadenar la producción de moléculas llamadas resolvinas que son creadas por el organismo a través de los ácidos grasos omega-3. Estas moléculas curan la inflamación que enfatiza las condiciones como la enfermedad inflamatoria de los pulmones, la enfermedad del corazón y la artritis.</p> <p>Charles Serhan, del Harvard Medical School afirma que "en este estudio, hemos hallado una resolvina, denominada resolvina D3 procedente de los ácidos grasos DHA omega-3, persiste por más tiempo en sitios de la inflamación en ratones de manera natural, al igual que cualquiera de las resolvinas D1 o D2 ".</p> <p>Además, este experto sostiene que "la aspirina puede modificar una enzima de la inflamación con el fin de parar la formación de moléculas que propagan la inflamación y ayudan a la creación de moléculas como la resolvida D3 que ayudan a combatir la inflamación."</p> <p>Según los resultados del estudio, la resolvina D3 puede tener propiedades únicas para combatir una inflamación incontrolada. Serhan y su equipo afirma que "nosotros pudimos producir a través de una síntesis química ambas resolvinas D3 y la aspirina que desencadena la resolvina D3, que nos ayuda a estabilizar sus estructuras completas y actividades biológicas".<br /> <a href="http://farmacologia.diariomedico.com/2013/02/21/area-cientifica/especialidades/farmacologia/acidos-grasos-omega-3-y-aspirina-trabajan-juntos-para-combatir-inflamacion" target="_blank">febrero 27/2013 (Diario Médico) </a></p> <p>Jesmond Dalli, Jeremy W. Winkler, Romain A. Colas, Hildur Arnardottir, Chien-Yee C. Cheng, Nan Chiang, et. al. <em>Resolvin D3 and Aspirin-Triggered Resolvin D3 Are Potent Immunoresolvents</em>. <em>Chemistry & Biology</em>, enero 2013: 20(2) pp. 188 - 201.</p> <p>Highlights<br /> RvD3 accumulates in late inflammation resolution<br /> Aspirin triggers biosynthesis of RvD3 17R-epimer (AT-RvD3) that is proresolving<br /> Complete stereochemistry of RvD3 and AT-RvD3 are established<br /> RvD3 and AT-RvD3 govern leukocyte functions and local inflammatory responses</p> <p><strong><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2013/02/PIIS1074552112004619.fx1_.lrg_.jpg"><img class="size-medium wp-image-27394 alignright" style="margin-top: 1px; margin-bottom: 1px; border: 1px solid black;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2013/02/PIIS1074552112004619.fx1_.lrg_-300x133.jpg" alt="" width="300" height="133" /></a> </strong></p> <p><strong>Resumen en Inglés</strong>:</p> <p>Resolvins are a family of n-3 lipid mediators initially identified in resolving inflammatory exudates that temper inflammatory responses to promote catabasis. Here, temporal metabololipidomics with self-limited resolving exudates revealed that resolvin (Rv) D3 has a distinct time frame from other lipid mediators, appearing late in the resolution phase. Using synthetic materials prepared by stereocontrolled total organic synthesis and metabololipidomics, we established complete stereochemistry of RvD3 and its aspirin-triggered 17R-epimer (AT-RvD3). Both synthetic resolvins potently regulated neutrophils and mediators, reducing murine peritonitis and dermal inflammation. RvD3 and AT-RvD3 displayed leukocyte-directed actions, e.g., blocking human neutrophil transmigration and enhancing macrophage phagocytosis and efferocytosis. These results position RvD3 uniquely within the inflammation-resolution time frame to vantage and contribute to the beneficial actions of aspirin and essential n-3 fatty acids.</p> </span>
2013-02-28T05:34:24-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/500
Nutrición: Cómo, cuándo y dónde, las claves de la nutrición
2013-02-28T05:10:48-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>"Debemos comparar la nutrición con una orquesta que en su conjunto, debe sonar en armonía" en la ardua tarea de perder peso, ha explicado Marta Garaulet, catedrática de Fisiología y Bases Fisiológicas de la Nutrición en la Universidad de Murcia, sobre su conferencia Cronología y obesidad: una orquesta desafinada, realizada en el VI aniversario del Instituto Tomás Pascual Sanz para la Nutrición y la Salud, que se celebró recientemente en Madrid.</p> <p>Garaulet se centró en la relación entre la disciplina fisiológica, que se encarga del estudio de los ritmos biológicos, y el sobrepeso, un vínculo conocido desde 2008. Aparte de tener en cuenta qué y cómo se come, entra en juego un tercer factor: cuándo. "Desde los años 70 se conoce la existencia de un reloj central en el organismo, capaz de ponerlo en hora y sincronizarlo con la luz solar e incluso con los cambios de actividad física y reposo". Además, el tejido adiposo presenta ritmos de 24 horas y, por tanto, la movilización de las grasas se produce en determinados momentos del día.</p> <p>Según un estudio realizado por Garaulet con la Universidad de Murcia, en colaboración con la Universidad de Harvard, el momento de la comida predeciría la pérdida de peso. "Las personas que comían antes de las tres del mediodía perdieron más peso que las que comían más tarde". Además, las que almorzaban más tarde, presentaban una sensibilidad a la insulina más baja.</p> <p>Gregorio Varela, catedrático de Nutrición y Bromatología de la Facultad de Farmacia de la Universidad San Pablo-CEU en Madrid, explica, a propósito de su conferencia <em>Alimentación, nutrición y sociedad en el siglo XXI: ¿Quo vadis?</em>, que "siempre se ha hablado de la necesidad de establecer horarios, hábitos alimenticios y realizar cinco comidas al día para equilibrar la ingesta. Ahora se ha demostrado que el riesgo de obesidad aumenta cuando somos poco ordenados en la alimentación o dormimos poco."</p> <p>Según Garaulet, para tratar la obesidad, entendida como una enfermedad de cronodisfunción, "es necesario establecer una rutina constante, intentar que tanto las comidas como las cenas se realicen en horas tempranas y también, que el sueño sea de 8 horas y de calidad". Por ello, lo importante es adquirir unos hábitos y repartir la energía a lo largo de la mañana y del mediodía. Garaulet se ha centrado en el análisis de la práctica de ejercicio físico por las mañanas, para averiguar si mejoran los ritmos circadianos. "Estamos estudiando si el hecho de que una persona tienda a ser matutina o vespertina influye en qué tipo de cronobiología es determinada por la genética en los ritmos circadianos. Los vespertinos suelen ser más obesos".</p> <p>Disponibilidad<br /> Aunque la amplia oferta alimenticia en el siglo XXI debería garantizar una dieta variada, lo cierto es que parece "que no se elige bien, que falta educación nutricional y tiempo para reflexionar cómo debe ser la alimentación". Además han proliferado dietas y modas que, de forma mágica e inmediata, prometen una pérdida de peso. Sin embargo, "hay que tener paciencia y desconfiar de las soluciones rápidas, eficaces y milagrosas. No se gana peso de un día para otro y tampoco se pierde así. Falta fuerza de voluntad y educación", dice Varela.</p> <p>No obstante, a pesar del alejamiento de la dieta mediterránea, en la alimentación española aún se mantienen algunos pilares, como el consumo de aceite de oliva, el de frutas y verduras por parte de la población adulta, no tanto en jóvenes y niños, y un alto consumo de pescado. "Se nos olvida incluir legumbres y cereales", básicos en una dieta mediterránea que se precie, y hay que recuperar una vida activa que incluya ejercicio físico, más ahora que España encabeza el podium de sedentarismo en Europa. Varela resalta la necesidad de volver a comer en familia o en grupo, ya que la dieta es más equilibrada si se comparte. Asimismo, ha hecho hincapié en que aunque cada vez se cocina menos, la disponibilidad de alimentos puede suplir esa carencia siempre que se elijan los correctos.<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/2013/02/22/area-profesional/entorno/como-cuando-y-donde-claves-nutricion" target="_blank">febrero 27/2013 (Diario Médico)</a></p> </span>
2013-02-28T05:10:48-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/499
Nutrición: La dieta mediterránea suplementada con nueces reduce en un 30% los eventos cardiovasculares
2013-02-27T05:28:53-05:00
Revista Finlay
<p>“Seguir una dieta mediterránea tradicional suplementada con aceite de oliva virgen extra y frutos secos reduce en un 30% la incidencia de complicaciones cardiovasculares (muerte de causa cardiovascular, infarto de miocardio y accidente vascular cerebral), algo que muchos fármacos no consiguen”. Ésta es, en palabras del doctor Ramón Estruch, la principal conclusión arrojada por el estudio PREDIMED (acrónimo de la investigación 'Efectos de la dieta mediterránea en la prevención primaria de la enfermedad cardiovascular'), cuyos resultados acaban de publicarse en<em> The New England Journal of Medicine. </em><br /> <br /> Estruch, coordinador general del estudio y miembro del Hospital Clinic de Barcelona, señaló que “para la ciencia española supone un gran hito publicar en esta revista un estudio de esta magnitud y que seguramente traerá muchas repercusiones positivas en la práctica clínica dirigida a la prevención de enfermedades cardiovasculares”.<br /> <br /> En el estudio, de 10 años de duración, participaron un total de 7.447 voluntarios, hombres y mujeres de entre 55 y 80 años de edad que tenían un alto riesgo de padecer enfermedades cardiovasculares pero que no las habían desarrollado en el momento de entrar en el estudio y a los que se asignó 3 dietas al azar: dos de ellas eran mediterráneas, ricas en grasa vegetal, una suplementada con aceite de oliva virgen extra y otra con frutos secos, mientras que al tercer grupo se le asignó una dieta convencional baja en todo tipo de grasas, recomendada para la prevención cardiovascular. <br /> <br /> Durante el estudio, a los asignados a las dos dietas mediterráneas se les entregó un litro semanal de aceite de oliva virgen extra o 30 gramos diarios de frutos secos (nueces, avellanas y almendras). “Los datos obtenidos ponen de manifiesto el papel cardioprotector tanto del aceite de oliva virgen extra (mucho más saludable que el refinado) como de los frutos secos, cuyo consumo aumenta los niveles de ácido linolénico plasmático. Concretamente en el caso de las nueces, es muy significativo su efecto sobre el riesgo de ictus, reduciéndolo en un 49% en comparación con una dieta baja en grasas”, explicó el coordinador del estudio.<br /> <br /> Respecto al valor calórico de los dos alimentos con los que se suplementaba la dieta mediterránea en esta investigación, Ramón Estruch señaló que “se ha podido comprobar que pacientes con obesidad que habían incorporado aceite de oliva y frutos secos en su dieta perdían peso y también reducían centímetros de cintura. Estamos analizando este aspecto y todo apunta a que puede que se deba a que estos nutrientes facilitan la absorción intestinal o producen cambios en la termogénesis del metabolismo, pero se trata de cuestiones que están actualmente en estudio”.</p> <p>El doctor Estruch destacó también la necesidad de fomentar este tipo de alimentación. “En España, siendo un país mediterráneo, estamos perdiendo la dieta característica, de ahí la necesidad de volver a nuestros orígenes aumentando el consumo de pescado, dando preferencia a las carnes blancas y optando por los lácteos desnatados, por ejemplo”.</p> <p>Por su parte, la secretaria de Estado de Investigación, Desarrollo e Innovación, Carmen Vela, comentó que la importante financiación con la que ha contado este estudio (casi 8 millones de euros) ha valido la pena por el impacto de sus resultados tanto sobre la salud como desde el punto de vista económico y social. “Además, supone un excelente ejemplo de cómo hay que hacer las cosas en el sentido de la colaboración y la unión de esfuerzos entre distintas entidades y empresas”.</p> <p>Durante la presentación de estos resultados se anunció la puesta en marcha de la siguiente fase de este estudio, PREDIMED II, cuyas líneas de trabajo explicó el doctor Estruch: “se va a analizar la intervención con dieta mediterránea hipocalórica añadiendo terapia conductual y actividad física para ver su incidencia no sólo cardiovascular sino también sobre la obesidad, una de las lacras que tenemos que combatir actualmente”.</p> <br /><br /><a href="http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1200303?query=featured_home" target="_blank">The New England Journal of Medicine (2013); doi: 10.1056/NEJMoa1200303 </a>
2013-02-27T05:28:53-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/498
Ciencia y Tecnología: Identifican proteína que protege a neuronas de ictus cerebrales
2013-02-27T05:22:47-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Investigadores de la Universidad de Oxford descifraron el origen de una capacidad innata del cerebro para mantener sus neuronas vivas y protegerse del daño producido por un accidente cerebrovascular.</p> <p>Después de experimentar con ratas de laboratorio, los científicos identificaron el primer ejemplo de que el cerebro tiene integrada su propia defensa neuronal, llamada neuroprotección endógena.</p> <p>En el estudio, los especialistas encontraron que la producción de una proteína llamada hamartina permite a las células cerebrales sobrevivir aunque les falte oxígeno y glucosa.</p> <p>Los expertos analizaron varias partes del hipocampo de los roedores y demostraron que ante un ictus cerebral, las neuronas mueren en las zonas donde falta dicha proteína.</p> <p>Si bloqueamos la hamartina, las neuronas mueren cuando el flujo sanguíneo se detiene, pero si la estimulamos, las células sobreviven, señaló el líder de la investigación, Alastair Buchan.</p> <p>Los analistas identificaron también la ruta biológica a través de la cual esa proteína permite a las células nerviosas enfrentar daños cuando no reciben energía y oxígeno.</p> <p>Según los especialistas, conocer el mecanismo natural que conduce a la neuroprotección abre la posibilidad de desarrollar fármacos que imiten el efecto de la hamartina.</p> <p>El estudio, publicado en la revista <a href="http://www.nature.com/nm/journal/vaop/ncurrent/full/nm.3097.html" target="_blank"><strong><em>Nature Medicine</em></strong></a> (doi: 10.1038/nm.3097), sugiere que este hallazgo podría ayudar en el tratamiento para los accidentes cerebrovasculares y en la prevención de otras enfermedades neurodegenerativas.</p> <p>Desde hace décadas los científicos buscan medicamentos que ayuden a las neuronas a enfrentar traumatismos cerebrales y a recuperarse después.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1147201&Itemid=1" target="_blank"><strong>febrero 25/2013 (PL)</strong></a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Papadakis M, Hadley G, Xilouri M, Hoyte LC, Nagel S, Buchan AM.<em><strong>Tsc1 (hamartin) confers neuroprotection against ischemia by inducing autophagy</strong></em>.<em>Nat Med.</em> 2013 Feb 24.</p> </span>
2013-02-27T05:22:47-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/497
Ciencia y Tecnología: Péptido evita que el sistema inmune elimine nanopartículas
2013-02-26T06:09:52-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un equipo de investigadores de la Universidad de Pensilvania, dirigidos por Dennis Discher, ha ideado un método para evitar que las nanopartículas diseñadas para suministrar fármacos sean destruidas por el sistema inmune.</p> <p>El nuevo sistema evita la utilización de cubiertas de polímeros, que sólo retrasan la actuación de las proteínas de señalización que avisan a los macrófagos para que eliminen las nanopartículas. Los resultados del trabajo se publican en <a href="http://www.sciencemag.org/content/339/6122/971.abstract?sid=3239f5f0-d92a-4690-9fdd-ea91e1ec9e7a" target="_blank"><strong><em>Science</em></strong></a> (doi: 10.1126/science.1229568.9.</p> <p>La clave está en una proteína, denominada CD47, que se encuentra en casi todas las membranas celulares. Fue descubierta por el grupo de Discher en 2008, que observó que se une al receptor de macrófagos SIRPa para señalizar que la célula no constituye ninguna amenaza.</p> <p>Los científicos han sintetizado la secuencia mínima de aminoácidos que se comporta de la misma manera que CD47 y han logrado adjuntarla a una serie de nanopartículas que podrían ser útiles en diversos contextos.</p> <p>Cuando inyectaron estas estructuras en ratones, el péptido sintético impidió que los fagocitos eliminasen las nanopartículas.<br /> <a href="http://bioquimica-clinica.diariomedico.com/2013/02/22/area-cientifica/especialidades/bioquimica-clinica/peptido-evita-que-sistema-inmune-elimine-nanoparticulas" target="_blank"><strong>febrero 22/2013 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Rodriguez PL, Harada T, Christian DA, Pantano DA, Tsai RK, Discher DE.<em><strong>Minimal "Self" peptides that inhibit phagocytic clearance and enhance delivery of nanoparticles</strong></em>.<em>Science.</em> 2013 Feb 22;339(6122):971-5.</p> </span>
2013-02-26T06:09:52-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/496
Cáncer: La identificación de un mecanismo que acelera el cáncer podría aportar nuevas dianas terapéuticas
2013-02-26T05:52:49-05:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Institut de Recerca de Biomèdica (IRB Barcelona) han descubierto un mecanismo que acelera el desarrollo del cáncer y aporta nuevas dianas terapéuticas, "más selectivas", contra las células tumorales.<br /> <br /> El estudio, que publica la revista <em>Nature</em>, describe el papel de una proteína -la CPEB1- en la "proliferación descontrolada de células" en la fase intermedia de la regulación de la actividad de las proteínas. Lo novedoso es que, hasta ahora, el foco, se había puesto al principio y al final de esta acción.<br /> <br /> Así lo ha explicado a Europa Press el autor principal del trabajo, el investigador Icrea del IRB Barcelona Raúl Méndez, quien ha remarcado que el trabajo ha demostrado cómo la proteína CPEB1 "quita los frenos" a la producción de proteínas asociadas la transformación tumoral de las células.<br /> <br /> En concreto, esta proteína acorta una región muy específica de los RNA -que son las moléculas que llevan la información de los genes para sintetizar proteínas-, y es precisamente "en los extremos donde está la información de cómo, cuándo y dónde se va a hacer una proteína", por lo que la falta de información favorece un desarrollo anormal y descontrolado.<br /> <br /> Preguntado por las posibilidades de inhibir esta proteína para frenar el desarrollo tumoral, el también jefe del Grupo de Control Traduccional del Ciclo Celular y Diferenciación ha destacado que ello "no afecta a las células sanas, lo que aporta un potencial selectivo muy bueno por explorar".</p> <p><strong>'Un nuevo abanico de abordajes'</strong><br /> <br /> Se trata de un "nuevo abanico de abordajes", "interesante" por la capacidad de atacar sólo a las células malas y no a todas, como sucede con los tratamientos de quimioterapia, ha argumentado Méndez.<br /> <br /> El trabajo, en el que también han participado los grupos de Juan Valcárcel y Roderic Guicó, del Centro de Regulación Genómica (CRG), se ha realizado en células tumorales del linfoma de Hodgkin, aunque el mecanismo es similar en la mayoría de los tumores, ha precisado Méndez, uno de los mayores expertos en CPEB.<br /> <br /> "Actualmente no hay ningún fármaco que incida a este nivel del proceso de regulación de la expresión génica, por lo que estamos muy esperanzados con el potencial de las CPEB como diana terapéutica", ha concluido este especialista.</p> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature11901.html" target="_blank">Nature (2013); doi:10.1038/nature11901</a>
2013-02-26T05:52:49-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/495
Obesidad: Niños obesos pueden padecer problemas de salud a corto plazo
2013-02-26T05:40:32-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los niños obesos podrían experimentar problemas inmediatos, entre ellos asma, discapacidades del aprendizaje y trastorno por déficit de atención/hiperactividad (TDAH), según un estudio publicado en <em><strong><a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1876285912002847" target="_blank">Academic Pediatrics</a></strong></em> (.doi.org/10.1016/j.acap.2012.10.007).</p> <p>Para el estudio, se utilizó el peso y otros datos relacionados con la salud de una encuesta de salud infantil sobre 43.297 niños de 10 a 17 años. El 15% de ellos tenían sobrepeso (IMC: 85-95) y el 16% eran obesos (IMC >= 95). El análisis arrojó una asociación entre la obesidad y 19 indicadores de la salud general, el funcionamiento psicosocial y trastornos específicos de salud.</p> <p>En comparación con los niños de peso normal, los niños obesos tenían más del doble de probabilidades de presentar una salud considerada mala, regular o buena, en comparación con muy buena o excelente (odds ratio ajustada: 2,18).</p> <p>Los niños obesos también eran más propensos a mostrar restricciones en las actividades (odds ratio ajustada: 1,39), a repetir cursos(odds ratio ajustada: 1,57), a internalizar los problemas (odds ratio ajustada: 1,59), a faltar a la escuela, a sufrir afecciones conductuales como el TDAH o un trastorno de la conducta, o discapacidades del aprendizaje. Los problemas musculares, óseos y articulares también fueron más comunes, al igual que el asma, las alergias, las migrañas y las infecciones de oído.<br /> <a href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=3928" target="_blank"><strong>febrero 22/2013 (Neurologia.com)</strong></a></p> <p>Neal Halfon, Kandyce Larson, Wendy Slusser.<em><strong> Associations Between Obesity and Comorbid Mental Health, Developmental, and Physical Health Conditions in a Nationally Representative Sample of US Children Aged 10 to 17</strong></em>.<em>Acad Pediatr</em> 2013</p> </span>
2013-02-26T05:40:32-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/494
Cáncer: En cáncer infantil la detección precoz marca la diferencia
2013-02-24T07:59:24-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>En España se producen al año 1300 nuevos casos de cáncer hasta los 18 años. La supervivencia en oncología pediátrica es del 80 %, alcanzando en algunos casos hasta el 98 % y en otros solo el 60. Con el lema "El diagnóstico temprano marca la diferencia se celebró el Día Internacional del Niño con Cáncer.</p> <p>"El tumor en el niño es una realidad no una enfermedad excepcional. Hay que tener un cuidado exquisito en su tratamiento", señaló Purificación García de Miguel, jefa de Hematooncología Pediátrica del Hospital La Paz de Madrid, en un acto que se celebró en el centro con la Federación Española de Padres de Niños con Cáncer (Fepnc) y la Fundación Once.</p> <p>Pilar Ortega, presidenta de Fepnc, dijo que la detección temprana es la forma de obtener mejores resultados en la terapia y, por tanto, de salvar más vidas. Las leucemias, los tumores del sistema nervioso central, los linfomas y los tumores renales, hepáticos y óseos, son los más frecuentes. El tratamiento oncológico infantil requiere que investigadores básicos y clínicos continúen trabajando juntos para obtener nuevos resultados. Por ejemplo, en La Paz los trabajos más avanzados se centran en los retinoblastomas y el sarcoma de Ewing, aunque existen varios grupos españoles trabajando en otras líneas.</p> <p>"Hay que recordar a la sociedad que los niños tienen los mismos derechos, y por eso hay que conseguir que, vivan donde vivan, reciban el mejor tratamiento y se les permita desplazarse a otras comunidades a recibir la terapia", así como que se apliquen las tecnologías más avanzadas, apunta García de Miguel. El objetivo es alcanzar la curación sin efectos secundarios que comprometan la vida adulta.</p> <p>Los pacientes infantiles piden que se insista en el diagnóstico temprano y que existan unidades de referencia bien dotadas para asegurar el tratamiento del niño con cáncer.</p> <p>Necesidades<br /> Como parte del acto, Álvaro y Carlos, dos pacientes del centro, leyeron un manifiesto de la Fepnc para explicar las necesidades y problemas del cáncer infantil. Señalaron que "la detección temprana abre una línea inequívoca entre la vida y la muerte", y pidieron que el diagnóstico y terapia del cáncer se realice en hospitales públicos en los que existan unidades de Oncología Pediátrica, "que cuenten con los medios técnicos y humanos necesarios y con la suficiente experiencia en el diagnóstico y tratamiento", así como que la Administración determine cuáles son los hospitales de referencia para que todos los pacientes, "niños y adolescentes, sean derivados a ellos y sea cual sea su lugar de procedencia tengan las mismas oportunidades de ser atendidos y curarse".<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/2013/02/15/area-profesional/entorno/en-cancer-infantil-la-deteccion-precoz-marca-la-diferencia" target="_blank">febrero 20/2013 (Diario Médico) </a></p></div> </span>
2013-02-24T07:59:24-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/493
Ciencia y Tecnología: Investigan células madre para tratar la retinopatía diabética
2013-02-23T18:37:53-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un equipo internacional de expertos desarrolla un proyecto de investigación, basado en el uso de células madre adultas procedentes de la médula ósea para tratar la retinopatía diabética.</p> <p>Dado que la dolencia es común en personas diabéticas, los investigadores de la Universidad de Queens, junto a científicos de Alemania, Holanda, Dinamarca, Portugal y Estados Unidos, esperan que la técnica favorezca la reparación de los vasos sanguíneos.</p> <p>Los tratamientos actualmente disponibles para la retinopatía diabética no son siempre satisfactorios, además muchos de ellos tienen efectos secundarios, señaló Alan Stitt, director del Centro para la Visión y Ciencia Vascular en Queens y principal investigador de este proyecto.</p> <p>De ahí que una alternativa es emplear células madre adultas para promover la regeneración de los vasos sanguíneos de la retina y, por tanto, prevenir y/o revertir la dolencia, agregó.</p> <p>"Queremos aislar una población muy definida de células madre y, entonces, distribuirlas por órganos que han sido dañados por la diabetes. Algunos pacientes pueden beneficiarse mucho si las células madre se utilizan para reparar los vasos sanguíneos de sus retinas".</p> <p>"Este es el primer paso hacia una nueva y excitante terapia en un área donde se necesita desesperadamente", concluyó Stitt.</p> <p>La retinopatía diabética es una de las complicaciones más frecuentes que sufren los pacientes con diabetes y la segunda causa de ceguera en los países occidentales. El riesgo de que aparezca aumenta mientras más años llevan los sujetos viviendo con su enfermedad.<br /> febrero 21/2012 (PL)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2013-02-23T18:37:53-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/492
Obesidad: Un 80% de las personas que presentan sobrepeso conforme al IMC son en realidad obesas
2013-02-15T17:28:20-05:00
Revista Finlay
<p><img title="obesidad_470" src="/public/site/images/mikhail/obesidad_470.jpg" alt="obesidad_470" width="232" height="155" />Especialistas del departamento de Endocrinología y Nutrición de la Clínica Universidad de Navarra han descubierto que el índice de masa corporal (IMC) no es del todo fiable a la hora de diagnosticar la obesidad. El margen de error no es precisamente despreciable: un 29% de las personas cuyo IMC se sitúa en el rango de normalidad presenta, en realidad, un porcentaje de grasa corporal propio de personas obesas; asimismo, un 80% de las personas que, según el IMC, presentan sobrepeso, son obesas.<br /> <br /> Tal como explica el Dr. Javier Gómez Ambrosi, investigador del Laboratorio de Investigación Metabólica de la Clínica, grupo liderado por la doctora Gema Frühbeck, "el IMC subestima la prevalencia tanto de sobrepeso como de obesidad, que, al fin y al cabo, se definen como un exceso de grasa corporal, no de peso". En el estudio participaron 6.123 sujetos, de los que en torno a 900 eran delgados según su IMC, 1.600 presentaban sobrepeso y 3.500 eran obesos. El conjunto de individuos era de raza caucásica (blanca), de entre 18 y 80 años y, de ellos, un 69% eran mujeres. Los resultados se publican en las revistas científicas <em>Obesity, International Journal of Obesity y Diabetes Care.</em><br /> <br /> Para cifrar el margen de error del IMC, los científicos se valieron de una prueba denominada pletismografía, que consiste en una medición del volumen de un cuerpo a partir del aire que desplaza en el interior de una cámara a temperatura y humedad constantes. Además, establecieron marcadores sanguíneos de sensibilidad a la insulina, así como el perfil lipídico y otros factores de riesgo cardiometabólico.<br /> <br /> A partir de los más de 6.000 individuos analizados, el equipo desarrolló una nueva ecuación, "bastante compleja, pero para cuyo cálculo hemos confeccionado una hoja excel que puede descargarse en el ordenador cualquier profesional interesado", subraya el Dr. Gómez.<br /> <br /> A los datos de peso y altura habituales para el cálculo del Índice de Masa Corporal, se añaden además el de edad y sexo. La nueva fórmula, denominada CUN-BAE, clasifica a los individuos en: normales ( porcentaje de grasa corporal por debajo del 20% en hombres y del 30% en mujeres); con sobrepeso (cuando el valor de la ecuación se sitúa en hombres entre un 20 y un 25% y en mujeres entre un 30 y un 35%), y obesos (cuando el porcentaje se halla por encima del 25% en hombres y del 35% en mujeres).<br /> <br /> “Hemos demostrado–indica el Dr. Gómez Ambrosi- que estos sujetos considerados delgados o con sobrepeso, que realmente tienen un porcentaje elevado de grasa, presentan elevadas cifras de presión arterial, glucosa, insulina, así como de colesterol, triglicéridos y marcadores de inflamación."<br /> <br /> Para los investigadores, la principal conclusión del estudio es el beneficio que se obtendría de incorporar en la práctica clínica diaria, a la medición del índice de masa corporal, el cálculo de la composición grasa del cuerpo junto con el de los factores de riesgo cardiometabólico, “tanto para el diagnóstico, como para implantar el tratamiento necesario para hacer frente a esa obesidad”, explica el doctor Gómez Ambrosi.</p> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/ijo/journal/v36/n2/full/ijo2011100a.html" target="_blank">International Journal of Obesity (2012); doi:10.1038/ijo.2011.100</a>
2013-02-15T17:28:20-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/491
Medicamentos: El uso de drogas inyectables aumenta el riesgo de muerte
2013-02-15T17:10:14-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las causas más comunes de fallecimiento son la sobredosis y el sida, sobre todo en aquellas regiones donde hay una mayor prevalencia en el número de infecciones por virus de inmunodeficiencia humana (VIH).</p> <p>Una revisión de estudios llevada a cabo por la Organización Mundial de la Salud (OMS) ha revelado que las personas que consumen drogas inyectables tienen un riesgo mucho mayor de muerte que quienes no lo hacen. Las causas más comunes de fallecimiento son la sobredosis y el sida, sobre todo en aquellas regiones donde hay una mayor prevalencia en el número de infecciones por VIH.</p> <p>Las diferencias por sexo son evidentes: en todos los estudios que dieron cuenta de la mortalidad por sexo se observa cómo los varones presentan unas cifras mucho mayores.</p> <p>Asimismo, la tasa es mayor en países de bajos y medianos ingresos, mientras que en los países de ingresos más elevados no se observó ninguna diferencia significativa. Las tasas menores se dan en la cohortes de Australia y las mayores, en la de Asia.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/uso/drogas/inyectables/aumenta/riesgo/muerte/_f-11+iditem-19093+idtabla-1" target="_blank">febrero 14/2013 (JANO.es) </a></p> </span>
2013-02-15T17:10:14-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/490
Medicamentos: Solicitan retirar diclofenaco de listas de fármacos esenciales
2013-02-15T16:58:42-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Expertos solicitan retirar el diclofenaco de las listas de medicamentos esenciales, debido al amplio uso en la población, a pesar de su conocida tendencia a causar ataques cardiacos y accidentes cerebrovasculares en personas vulnerables.</p> <p>Un análisis realizado en 100 países demostró que en 74 de ellos, el fármaco estaba incluido en el cuadro básico de medicamentos, mientras que el naproxeno, una alternativa más segura, solo se encontró en 17 naciones.</p> <p>El diclofenaco pertenece al grupo de antiinflamatorios (AINE) y, según explican los autores del trabajo en un artículo divulgado en la revista <em>PLoS Medicine</em>, es casi idéntico al Vioxx (rofecoxib) -un inhibidor de la COX-2, que fue retirado de la venta en todo el mundo en 2004 debido al riesgo cardiovascular.</p> <p>Los investigadores también revisaron cómo se comportaban las ventas y prescripciones de AINE en 15 países de bajos, medios y altos ingresos con información a partir de 2011, y constataron que las ventas de diclofenaco fueron tres veces más altas que las de naproxeno.</p> <p>Patricia McGettigan, del Barts and London School of Medicine (Gran Bretaña), una de las firmantes del trabajo, indicó que el diclofenaco no tiene ninguna ventaja en términos de seguridad gastrointestinal y tiene una desventaja clara cardiovascular.</p> <p>Hay fuertes argumentos para revocar las autorizaciones de comercialización a nivel mundial, aseveró.</p> <p>Teniendo en cuenta la disponibilidad de alternativas más seguras, diclofenaco debe ser eliminado de la lista de medicamentos esenciales, ratificó, por su parte, otro de los autores, Henry David, del Instituto de Ciencias Clínicas de Evaluación de la Universidad de Toronto (Canadá).<br /> Washington, 13 feb (PL)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Patricia McGettigan, David Henry. <a href="http://www.plosmedicine.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pmed.1001388" target="_blank"><em><strong>Use of Non-Steroidal Anti-Inflammatory Drugs That Elevate Cardiovascular Risk: An Examination of Sales and Essential Medicines Lists in Low-, Middle-, and High-Income Countries</strong></em></a>. <em>PLOS Medicine</em> 2013. Doi: 10.1371/journal.pmed.1001388.</p> </span>
2013-02-15T16:58:42-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/489
Hipertensión arterial: Publican guía sobre el correcto tratamiento de las crisis hipertensivas
2013-02-15T16:44:00-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La obra, disponible en la página web de la Sociedad Española de Hipertensión, pretende ayudar al profesional a determinar el cuadro clínico y actuar en consecuencia.</p> <p>La Sociedad Española de Hipertensión-Liga Española para la Lucha contra la Hipertensión Arterial (SEH-LELHA) ha elaborado una nueva guía informativa para tratar las crisis hipertensivas, teniendo en cuenta la complejidad de su manejo diagnóstico y terapéutico en los servicios de urgencia. Esta sociedad calcula que un 25% de los pacientes que acuden a un servicio de urgencias lo hace por esta causa.</p> <p>Las crisis hipertensivas engloban un grupo heterogéneo de situaciones caracterizadas por una elevación brusca de la presión arterial por encima de 210/120 mmHg, lo que comporta graves riesgos para la salud.</p> <p>Tal y como explica la doctora Nieves Martell, presidenta de la SEH-LELHA y coautora del libro, junto con el doctor César Cerezo, "la agilidad de actuación es vital y a este fin responde la elaboración de esta guía en la que se explica, paso a paso, cómo realizar una historia clínica y una exploración física, así como pruebas complementarias para evaluar el estado global del paciente".</p> <p>La obra, disponible en la página web de la Sociedad, y que ha sido editada con la colaboración de Chiesi, pretende ayudar al profesional a determinar el cuadro clínico y actuar en consecuencia, eligiendo el mejor tratamiento en función de la situación.</p> <p>"El tratamiento de las crisis hipertensivas consiste en la reducción progresiva y controlada de los niveles de presión arterial", explica el doctor Cerezo, experto de la SEH-LELHA y miembro de la Unidad de Hipertensión Arterial del Hospital 12 de Octubre de Madrid.</p> <p>Baja recurrencia<br /> En el caso de las urgencias, añade, y "dado que los pacientes no se encuentran en situación de peligro vital, en ocasiones no es necesario más que unos minutos de observación para que la presión arterial descienda a valores normales".</p> <p>"En caso de necesitar tratamiento, éste consiste en la administración de fármacos por vía oral, mientras que en las emergencias se emplean antihipertensivos intravenosos, intentando que la reducción de los valores tensionales no sea mayor del 20% durante la primera hora. Tras resolver la crisis se debe valorar la posibilidad de modificar el tratamiento de base", explica este especialista.</p> <p>La tasa de recurrencia de las crisis hipertensivas es baja. Aun así, ambos expertos recomiendan no bajar la guardia y cumplir convenientemente con las recomendaciones prescritas por el facultativo tras una urgencia o emergencia hipertensiva. Entre estas medidas señalan la buena adherencia al tratamiento farmacológico y el cumplimiento de las medidas higiénico-dietéticas.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/publicada/guia/correcto/tratamiento/crisis/hipertensivas/_f-11+iditem-19099+idtabla-1" target="_blank">febrero 14/2013 (JANO.es)</a></p> <p><strong><a href="http://www.seh-lelha.org/pdf/crisis_hipertensivas.pdf" target="_blank">Crisis hipertensivas (descargar guía)</a></strong></p> </span>
2013-02-15T16:44:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/488
Enfermedad de Alzheimer: Los casos de alzhéimer podrían triplicarse en 40 años
2013-02-11T05:49:38-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El número de personas con alzhéimer podría triplicarse en los próximos 40 años, según las estimaciones de un estudio que publica esta semana la revista <a href="http://www.neurology.org/content/early/2013/02/06/WNL.0b013e31828726f5.abstract?sid=a253e8aa-a0f2-4886-b52d-ac7c7334d064" target="_blank"><em><strong>Neurology</strong></em></a> (doi: 10.1212/WNL.0b013e31828726f5), la principal publicación de la Academia Americana de Neurología.</p> <p>El trabajo ratifica los datos que se manejan desde hace al menos una década y pone el acento en la necesidad de fomentar la investigación y las estrategias preventivas para intentar frenar esta escalada.</p> <p>Tal y como señalan los autores de esta investigación, del Rush Institute for Healthy Aging de Chicago (EEUU), el marcado incremento no se debe a un aumento del riesgo general de padecer este tipo de demencia, sino al esperado envejecimiento de la población.</p> <p>La generación del "baby boom" está envejeciendo, señalan estos científicos en la revista médica, y eso implica un mayor porcentaje de personas mayores y, por consiguiente, una mayor susceptibilidad de padecer enfermedades como el alzhéimer .</p> <p>Para llevar a cabo sus estimaciones, este equipo realizó un seguimiento durante ocho años a una población de 10 802 personas cuyas edades superaban los 65 años.</p> <p>Además de evaluar si en ese periodo desarrollaban demencia, los investigadores también tuvieron en cuenta la edad, raza o nivel de educación, entre otros factores.</p> <p>Por otro lado, para calcular los posibles datos a futuro, también manejaron otras estimaciones, como las tasas de mortalidad entre los pacientes con demencia o el crecimiento esperado de la población en EEUU.</p> <p>El análisis arrojó un incremento considerable en las previsiones. Según sus datos, en 2050 el número de personas con alzhéimer en EEUU podría ser de 13,8 millones de personas (la gran mayoría de los cuales tendría más de 85 años). Para 2010, la cifra sería de 4,7 individuos.</p> <p>"Estos datos coinciden con las estimaciones que se han realizado en los últimos años", comenta Félix Bermejo, miembro del Grupo de Estudio de Conducta y Demencias de la Sociedad Española de Neurología.</p> <p>Según este especialista, en nuestro país hay actualmente unas 400 000 personas con alzhéimer, una cifra que, debido al envejecimiento demográfico que también se espera en España, podría incrementarse mucho.</p> <p>"Viviremos más y habrá más personas mayores, por lo que es esperable que haya más enfermedades de este tipo", subraya Bermejo, que, con todo, no es partidario de estas previsiones a tan largo plazo.</p> <p>"Hacer predicciones a 40 años tiene muchas limitaciones, porque, aunque razonable, ese escenario puede no cumplirse, o convertirse en más favorable", aclara.</p> <p>En su explicación, Bermejo cita el ejemplo de la tuberculosis. "Las previsiones no eran optimistas, pero la enfermedad comenzó a curarse porque cambiaron algunos factores implicados, como una mejora de las condiciones de trabajo".<br /> <a href="http://diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=25255&Itemid=413" target="_blank"><strong>febrero 8/2013 (Diario Salud)</strong></a></p> <p>Liesi E. Hebert, Jennifer Weuve, Paul A. Scherr, Denis A. Evans.<em><strong> Alzheimer disease in the United States (2010-2050) estimated using the 2010 census.</strong> Neurology</em>. Feb 6, 2013</p> </span>
2013-02-11T05:49:38-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/487
Nutrición: Presenta la Organización Mundial de la Salud nuevas guías sobre el consumo de sodio y potasio
2013-02-07T13:17:49-05:00
Revista Finlay
<a href="http://www.who.int/nutrition/en/" target="_self">Presenta la Organización Mundial de la Salud nuevas guías sobre el consumo de sodio y potasio</a><br /> <a href="http://articulos.sld.cu/editorhome/files/2013/02/guias-sodio-potasio-oms.jpg"><img class="alignleft size-full wp-image-12019" src="http://articulos.sld.cu/editorhome/files/2013/02/guias-sodio-potasio-oms.jpg" alt="Guías para el consumo de sodio y potasio" width="100" height="69" /></a>Las nuevas guías confirman que los adultos debieran consumir menos de 2 gramos de sodio o 5 gramos de sal por día. La reducción en la ingestión de sodio es necesaria para reducir la presión arterial y el riesgo de enfermedades cardiovasculares en los adultos.<br /> La guía del potasio indica que los adultos debieran consumir al menos 90 mmoles por día (3.510 mg por día). El incremento del consumo de potasio reduce la presión sanguínea y disminuye el riesgo de enfermedades cardiacas.
2013-02-07T13:17:49-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/486
Cardiopatía Isquémica: Documento de consenso de expertos. Tercera definición universal del infarto de miocardio.
2013-02-07T13:15:05-05:00
Revista Finlay
<br /> <a href="http://www.revespcardiol.org/es"><img class="alignleft size-full wp-image-12028" style="border: 0px none; margin: 7px;" src="http://articulos.sld.cu/editorhome/files/2013/02/revista-espanola-de-cardiologia.jpeg" alt="Revista Española de Cardiología" width="83" height="110" />De la Revista Española de Cardiología</a>. Por: Kristian Thygesen, Joseph S. Alpert, Allan S. Jaffe, Maarten L. Simoons, Bernard R. Chaitman y Harvey D. White; Grupo de Redactores en nombre del Grupo de Trabajo Conjunto de la ESC/ACCF/AHA/WHF para la Definición Universal del Infarto de Miocardio, et al. Rev Esp Cardiol. 2013;66(2):132.e1-e15. <p>El infarto de miocardio (IM) se puede reconocer por características clínicas, incluidos los hallazgos en el electrocardiograma (ECG), valores elevados de marcadores bioquímicos (biomarcadores) de necrosis miocárdica e imágenes; también se puede definir mediante la patología. Es una de las principales causas de mortalidad y discapacidad en el mundo. El IM puede ser la primera manifestación de enfermedad de las arterias coronarias (EAC) o puede ocurrir reiteradamente en pacientes con enfermedad establecida. La enfermedad cardiovascular es un problema sanitario global. Comprender la carga y los efectos poblacionales de la EAC es de suma importancia. Cambiar los biomarcadores, los criterios y las definiciones clínicas añade retos a nuestra comprensión y nuestra capacidad para mejorar la salud de la población. Para los facultativos, la definición de IM tiene implicaciones terapéuticas inmediatas e importantes.</p>
2013-02-07T13:15:05-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/485
Factores de riesgo cardiovascular: Hallan similitudes entre células de corazón con insuficiencia cardiaca y cerebro con alzhéimer
2013-02-03T15:58:03-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>Según un estudio realizado por investigadores de la Escuela de Medicina de la Universidad de Carolina del Norte (Estados Unidos) existen similitudes entre las células del corazón en pacientes con insuficiencia cardiaca y las células del cerebro en pacientes con alzhéimer, lo que plantea la posibilidad de que algunos enfoques del tratamiento para la enfermedad de Alzheimer pueda ayudar a revertir el daño causado por la insuficiencia cardiaca.</p> <p>Cam Patterson, jefe de cardiología de esta Universidad, explicó que el desgaste que provoca el alzhéimer en el cerebro afecta también al corazón. Además, señaló que este hallazgo ofrecía "una nueva oportunidad para identificar estrategias para revertir ese desgaste".</p> <p>En este análisis los investigadores observaron que una variedad de estudios apuntaba a que las proteínas mal plegadas en las células del corazón son un factor clave en el proceso de la insuficiencia cardiaca, en el cual el corazón deja de bombear como debería.</p> <p>Como conclusión llegaron a tres evidencias. En primer lugar, los estudios de los tejidos del corazón de pacientes con insuficiencia cardiaca revelan grandes acumulaciones de proteínas mal plegadas dentro de las células cardiacas dañadas, similares a las acumulaciones encontradas en las células cerebrales de pacientes con alzhéimer.</p> <p>En segundo lugar, los estudios recientes con ratones muestran que los problemas del corazón pueden deberse a defectos en la calidad del sistema del cuerpo de control y mantenimiento de proteínas.</p> <p>Por último, los estudios de un trastorno raro de problemas genéticos relacionan problemas cardiacos graves al mal plegamiento de dos proteínas, conocidas como desmina y CRYAB.<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2013/01/31/area-cientifica/especialidades/cardiologia/factores-de-riesgo/hallan-similitudes-entre-celulas-corazon-con-insuficiencia-cardiaca-y-cerebro-con-alzheimer" target="_blank">enero 31/2013 (Diario Médico) </a></p></div> </span>
2013-02-03T15:58:03-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/484
Factores de riesgo: Especialistas estudian ácido úrico en niños
2013-02-03T15:54:10-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>Las altas concentraciones de ácido úrico en organismos de la población infantil podrían ser un factor determinante de padecimientos cardiovasculares en la edad adulta, afirmó la investigadora Patricia Cerecero Aguirre.</p> <p>La especialista del Centro de Investigación en Ciencias Médicas (CICMED) de la Universidad Autónoma del Estado de México (UAEM), desarrolla actualmente trabajos sobre el síndrome metabólico.</p> <p>Sostuvo que los médicos consideran en un diagnóstico normal únicamente componentes como el sobrepeso, los niveles de azúcar, así como la hipertensión arterial, para determinar el posible riesgo de adquirir enfermedades como diabetes, afectaciones cardiovasculares o renales.</p> <p>Precisó que incluir en el análisis la concentración de ácido úrico en la sangre permitiría diagnosticar y prevenir daños al corazón durante el crecimiento de los infantes; por ejemplo, infartos o derrames cerebrales ocasionados por la falta de oxígeno en el órgano vital.</p> <p>Explicó que esta medida también permitiría prevenir, o en todo caso tratar, la aparición de la llamada "gota", que se manifiesta a través de marcas o artritis en las extremidades, resultado de un grave cuadro de altos niveles de ácido úrico, situación generalmente asintomática.</p> <p>Indicó que el consumo excesivo de carnes rojas, la ingesta de carbohidratos y productos elaborados con altas concentraciones de azúcar refinada, así como la falta de ejercicio, son elementos que influyen en el incremento de ácido úrico.</p> <p>Refirió que como parte de la línea de investigación que en el CICMED se desarrolla sobre esta temática, con la finalidad de prevenir el sobrepeso y la obesidad infantil, que afecta a millones de mexicanos, se explora asimismo la actividad física como elemento para disminuir el ácido úrico en la sangre.<br /> enero 30/2013 (Notimex)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p></div> </span>
2013-02-03T15:54:10-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/483
Cáncer: Nuevo marcador de crecimiento tumoral en colon
2013-02-03T15:47:54-05:00
Revista Finlay
<p>n un papel fundamental en la división celular, tiene una elevada actividad en el cáncer colorrectal, ayudando a que la célula tumoral pueda dividirse rápidamente.</p> <p>La inhibición de esta proteína conduce a la apoptosis; por lo tanto, la aplicación de esta investigación se centra en sus propiedades como posible marcador de crecimiento del tumor y, al mismo tiempo, como diana terapéutica en cáncer colorrectal.</p> <p>Esta proteína tiene ya una patente transferida por sus propiedades como marcador de proliferación celular tumoral y como diana terapéutica.</p> <p>Vía molecular Wnt<br /> El trabajo, publicado en <a href="http://www.jbc.org/content/287/52/43472.abstract?sid=105f553c-d264-4558-8f81-11b8c03ff4a0" target="_blank"><em><strong>Journal of Biology and Chemistry</strong></em></a> (doi: 10.1074/jbc.M112.428466.) y en el que también ha participado Lucía Suárez, revela que esta proteína está directamente regulada por la vía molecular Wnt, principal implicada en cáncer colorrectal. Los resultados del estudio también explican cómo esta vía Wnt aumenta la expresión de las condensinas, proteínas con un papel importante en la condensación cromosómica, como indica su nombre, e imprescindibles para la rápida división de la célula tumoral.</p> <p>"El papel de estas proteínas también se ha comprobado, de manera inversa, en modelos animales, es decir, se han bloqueado estas condensinas y se ha visto que su inhibición conducía a una muerte celular tumoral rápida", según Simón Schwartz, director del Cibbim-Nanomedicine.</p> <p>Cuando la célula se divide es necesario ordenar la información genética. Un tumor se caracteriza por su división incontrolada. Para poder realizar la división, las células organizan su información genética en paquetes (condensación cromosómica), para evitar pérdidas y destrucción del material genético, de manera comparable a los paquetes y embalajes que se hacen en el caso de una mudanza.</p> <p>Complejas relaciones<br /> Se ha descubierto que las condensinas son unas proteínas implicadas en esta condensación cromosómica y sirven para poder hacer esto de manera rápida y ágil. "Siguiendo con el símil, se podrían comparar las condensinas a algo así como a los profesionales del empaquetamiento de una empresa de mudanzas".<br /> Además, se sugiere que el tumor establece relaciones moleculares complejas para asegurar su supervivencia.</p> <p>El trabajo también ha identificado de manera precisa cómo las células tumorales utilizan en beneficio propio estas condensinas y cómo la producción de esta proteína está regulada por la vía molecular Wnt, implicada en el tumor colorrectal.</p> <p>Wnt, interactuando con otra vía oncogénica y por medio del factor de transcripción génica TCF4, promueve la sobreexpresión de las condensinas y, de esta manera, el tumor se asegura su velocidad de división celular para sus propios requerimientos.<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2013/01/17/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/nuevo-marcador-crecimiento-tumoral-colonhttp://" target="_blank"><strong>enero 17/2013 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Dávalos V, Súarez-López L, Castaño J, Messent A, Abasolo I, Schwartz S Jr. <em><strong>Human SMC2 Protein, a Core Subunit of Human Condensin Complex, Is a Novel Transcriptional Target of the WNT Signaling Pathway and a New Therapeutic Target.</strong></em><strong> </strong><em>J Biol Chem</em>. 2012 Dic 21;287(52):43472-81.</p>
2013-02-03T15:47:54-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/482
Celebraciones: La Revista Finlay cumple hoy 26 años
2013-01-28T22:20:45-05:00
Revista Finlay
<p>No es casual que el 28 de Enero de 1987 haya sido la fecha escogida por un grupo de estudiantes de medicina de nuestra Facultad, para hacer la presentación del primer número de la Revista Finlay. Este hecho ratificaba la simbiosis que hay –o debe haber- para los médicos cubanos, entre Finlay y Martí. Dos de los más grandes de nuestra historia, que a pesar de haber coincidido en el tiempo y en muchos ideales, parece que ni siquiera sus obras fueron del conocimiento del otro, aunque había suficientes “puentes” entre ambos, como la amistad común con los doctores Juan Guiteras Gener, Enrique Barnet y Juan Santos Fernández, todos también entre los grandes de nuestra historia. De paso, lanzo el reto a profundizar en esta “misteriosa” situación.</p> <p>A fines de 1986 un grupo de estudiantes de medicina de la Facultad de Ciencias Médicas de Cienfuegos se plantearon el desafío de publicar una revista que reflejara el quehacer científico de nuestro territorio en el campo de la salud. Su líder, la entonces presidenta de la FEU de la Facultad, Yamila de Armas Aguila, llamó, para que se hiciera cargo de esta tarea, como director de la Revista, a otro estudiante, Pedro Ordúñez García.</p> <p>En este empeño inicial se nuclearon otros alumnos, entre los que se destacaron Humberto Miguel Cabrera y Salvador Tamayo Muñiz, así como algo más de una docena de profesores que acogieron con entusiasmo esta iniciativa. Con la colaboración de un grupo de trabajadores de la propia Facultad (dibujantes, fotógrafos, mecanógrafos, filólogos del Centro Provincial de Información de Ciencias Médicas), de la imprenta de la Central Electronuclear de Juraguá y el apoyo de las máximas autoridades políticas de la provincia en esa época, vio a la luz el primer número de la Revista Finlay el 28 de enero de 1987, para beneplácito de muchos y para asombro de otros. ¿Por qué Finlay? es una pregunta que sólo la podría hacer alguien que no fuera cubano.</p> <p>A fines de 1987, después de varios encuentros con las autoridades del sector de la salud del territorio, se plantea que la Revista Finlay se convierta en el Órgano científico de todos en el campo de la salud en Cienfuegos y se designa al Dr. Alfredo Espinosa Brito, como Co-Director de la publicación. Se crea una estructura más funcional, con un Comité de Redacción, un Consejo Asesor más amplio y se incrementa el número de páginas, manteniéndose la aparición de cuatro números anuales. El resto de la historia tiene sus vericuetos, con tiempos buenos y otros no tanto, pero lo más importante es que de nuevo tenemos a la Finlay entre nosotros en una tercera época, con la dirección del Dr C Mikhail Benet Rodríguez aunque, por diversas razones, con otros propósitos, pues es ahora una revista dedicada a las enfermedades no transmisibles.</p>
2013-01-28T22:20:45-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/481
Ciencia y Tecnología: Un estudio cuestiona que la dieta mediterránea proteja al cerebro de los efectos del envejecimiento
2013-01-27T21:41:16-05:00
Revista Finlay
Un estudio realizado por el centro de investigación epidemiología nutricional del Instituto Francés de Sanidad e Investigación Médica (INSERM), y dirigido por Emmanuelle Kesse-Guyot, ha mostrado que la dieta mediterránea puede no proteger al cerebro del envejecimiento.<br /> <br /> Para llevar a cabo esta investigación, los expertos analizaron desde mediados de la década de 1990 a 3.083 personas menores de 45 años. Al comienzo, cada dos meses los encuestados registraron la comida que ingerían a lo largo de un día con el objetivo de ofrecer a los investigadores seis muestras de registros dietéticos durante un año.<br /> <br /> Una vez que los participantes cumplieron 65 años, los investigadores midieron su memoria y otras habilidades mentales. Posteriormente, les separaron en tres categorías dependiendo del grado de adhesión a una dieta de estilo mediterráneo, y compararon sus puntuaciones mentales en la prueba de habilidad.<br /> <br /> "Nuestro estudio no apoya la hipótesis de un efecto neuroprotector significativo de una dieta mediterránea", han asegurado los investigadores. No obstante, el profesor asociado del Centro Médico de la Universidad de Columbia, en Nueva York, Nikos Scarmeas, que no ha participado en el estudio pero ha investigado los efectos de los alimentos sobre la salud del cerebro, ha advertido de que esta investigación tiene "algunas limitaciones".<br /> <br /> Por ejemplo, señala Scarmeas, los investigadores sólo probaron las habilidades mentales de los participantes en una ocasión, por lo que, según ha comentado Scarmeas, es "imposible" hacer un seguimiento de si tiene "mejor o peor" pronóstico con el tiempo.<br /> <br /> Asimismo, este experto ha advertido de que es "demasiado pronto" para asegurar que la dieta mediterránea mejora o no la salud del cerebro, aunque ha recordado que, en cualquier caso, se trata de una dieta vinculada a la salud del corazón.
2013-01-27T21:41:16-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/480
Cáncer: Una nueva técnica de radioterapia incrementa la supervivencia del cáncer de pulmón inoperable
2013-01-25T06:45:57-05:00
Revista Finlay
<p>El Instituto Catalán de Oncología (ICO) ha logrado incrementar significativamente la supervivencia de los enfermos con cáncer de pulmón no operable gracias a la aplicación de una nueva técnica radioterápica que se sincroniza con la respiración del paciente.<br /> <br /> Así lo atestiguan los datos presentados este jueves por los responsables del Servicio de Oncología Radioterápica del ICO, que han testado la nueva técnica de radioterapia estereotáxica extracraneal sobre 43 pacientes con cáncer de pulmón, que no podían ser operados por su edad debido a otras patologías o a la localización del tumor.<br /> <br /> En estos pacientes, la tasa de supervivencia al cabo de dos años ha sido del 79%, más del doble que con la radioterapia convencional, con la que sobreviven un 30% de los enfermos.<br /> <br /> La radioterapia estereotáxica extracraneal, que se empezó a aplicar en el ICO en 2008, es una técnica que "consigue dar una dosis muy alta de radiación con máxima precisión en tumores de pulmón muy pequeños", según ha explicado el jefe del Servicio de Oncología Radioterápica del ICO, Ferran Guedea.</p> <p><strong>Tratamiento más corto<br /> </strong><br /> La principal ventaja de este tipo de radioterapia es que "se sincroniza con la respiración para llevar a cabo el tratamiento, ya que el pulmón es un órgano muy difícil de tratar" porque se mueve al respirar, ha detallado Guedea, y, además, permite un tratamiento más corto que con la radioterapia convencional.<br /> <br /> Los buenos resultados de esta técnica pionera han llevado al ICO a utilizarla en el tratamiento de tumores de hígado y próstata y en metástasis óseas y suprarrenales.<br /> <br /> El cáncer de pulmón es el segundo en incidencia en Cataluña y el que causa una mayor mortalidad, dado que el 20% de los pacientes con el tumor en un estadio inicial no se pueden someter a una intervención quirúrgica debido a otras patologías --como la enfermedad pulmonar obstructiva crónica o la cardiopatía isquémica--, la edad avanzada o la localización del tumor.</p>
2013-01-25T06:45:57-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/479
Medicamentos: Los antiinflamatorios no esteroideos pueden causar insuficiencia renal en niños
2013-01-25T06:43:16-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Los menores de 5 años presentan más probabilidades de necesitar diálisis.</p> <div class="content"><p>Antiinflamatorios no esteroideos (AINE), como el ibuprofeno y el naproxeno, que se utilizan comúnmente para tratar el dolor y reducir la fiebre, pueden causar una lesión renal aguda en pacientes pediátricos, según concluye un estudio publicado en <em>The Journal of Pediatrics.</em><br /> <br /> La investigación, que analizó a 1.015 niños con diagnóstico de lesión renal, fue llevada a cabo por el doctor Jason Misurac y sus colegas de la Escuela de Medicina de la Universidad de Indiana y la Universidad de Butler, en Estados Unidos. En 27 de estos niños, la enfermedad estaba asociada a la toma de AINE. Los pacientes de menos de 5 años estaban más gravemente afectados y tenían más probabilidades de necesitar diálisis.<br /> <br /> Ninguno de los pacientes murió o desarrolló insuficiencia renal permanente, pero el 30% de los niños afectados presentaba evidencias de daño renal crónico leve, que persiste después de la recuperación del episodio de lesión renal. Los costes del cuidado de niños con lesión renal aguda asociada a AINE son significativos, sobre todo teniendo en cuenta que se trata de una condición evitable, según los autores.</p></div>
2013-01-25T06:43:16-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/478
Nutrición: La hora del almuerzo influye en la pérdida de peso
2013-01-25T06:30:46-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las futuras estrategias de adelgazamiento también deberán tener en cuenta el momento de la comida, según un estudio internacional en el que ha participado la Universidad de Murcia.</p> <p>Un estudio realizado por investigadores de las universidades de Murcia, Harvard y Tufts ha llegado a la conclusión de que lo que determina la pérdida de peso no es solo qué se come, sino también cuándo se come.</p> <p>"Nuestros resultados indican que aquellos individuos que comen tarde la comida principal del mediodía -después de las 3 de la tarde- muestran una pérdida de peso significativamente menor que los que comen temprano -antes de las 3-", explica Marta Garaulet, catedrática de Fisiología de la Universidad de Murcia y autora principal de este estudio.</p> <p>Frank Scheer, neurocientífico la Harvard Medical School y autor senior del estudio, destaca que las futuras estrategias terapéuticas de adelgazamiento deberán tener en cuenta el momento de la comida y no solo el consumo de calorías y de macronutrientes, como se ha venido haciendo hasta ahora.</p> <p>Para llevar a cabo la investigación, los investigadores siguieron a 420 individuos con sobrepeso que, durante 20 semanas, estuvieron sometidos a un tratamiento de pérdida de peso basado en la dieta mediterránea. Se les dividió en dos grupos: los que comían temprano al mediodía y los que lo hacían tarde. El resultado fue que los miembros del grupo tardío perdieron menos peso.</p> <p>Factores como la ingesta y el gasto de energía, las hormonas del apetito y la duración del sueño fueron similares en ambos grupos. Los comedores tardíos, eso sí, resultaron ser más nocturnos y presentaron con más frecuencia una variante génica en el gen Clock, que codifica una proteína implicada en el reloj circadiano que marca los horarios de nuestro organismo.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/hora/almuerzo/influye/perdida/peso/_f-11+iditem-18917+idtabla-1" target="_blank">enero 24/2013 (JANO.es) </a></p> </span>
2013-01-25T06:30:46-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/477
Enfermedad de Alzheimer: La SEN pide cautela ante el anuncio de una vacuna anti-Alzheimer
2013-01-20T07:35:07-05:00
Revista Finlay
<p>El Grupo de Estudio de Conducta y Demencias de la Sociedad Española de Neurología (SEN) ha pedido "cautela" ante el anuncio, por parte del Centro de Investigación Biomédica EuroEspes, del desarrollo de la primera vacuna preventiva y terapéutica eficaz contra el Alzheimer.<br /> <br /> Según explica el coordinador de esta sociedad, el doctor Guillermo García Ribas, hasta ahora, los estudios realizados con fármacos y vacunas que han funcionado en modelos animales "han fracasado en los ensayos con humanos".</p> <p>La investigación presentada ayer basa sus datos en resultados obtenidos en modelos experimentales con ratones, modelos que "distan mucho de lo que constituye la enfermedad de Alzheimer", indica. Por ello, sugiere que la comunidad médico-científica "debe sopesar el impacto que pueden generar en los enfermos". Y sentencia: "La duración, impacto e intensidad [del Alzheimer] no es reproducible por el momento con animales".<br /> <br /> El desarrollo de fármacos para la enfermedad, ilustra el Dr. García Ribas, es un trabajo "largo, muy costoso y con una tasa de fracaso muy elevada". Así, y por lo general, "se requieren unos diez años desde que un medicamento muestra resultados positivos en el laboratorio hasta que este tratamiento se puede aplicar a los pacientes", concluye este experto.</p>
2013-01-20T07:35:07-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/476
Cáncer: Nuevas terapias en tumor mamario triple negativo
2013-01-19T09:04:19-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La combinación de agentes bloquea la proteína mTOR, involucrada en cáncer de mama triple negativo.</p> <p>El equipo de investigación de Atanasio Pandiella, subdirector del Centro de Investigación del Cáncer (CIC) de Salamanca, ha demostrado que la combinación de un nuevo fármaco con otros que se usan frecuentemente en la clínica del cáncer de mama triple negativo (platino y docetaxel) aumenta la eficacia antitumoral en ratones inyectados con células tumorales triple negativas. El trabajo, publicado en <em>Oncogene</em>, sugiere que el potencial antitumoral de esta estrategia podría evaluarse en humanos, ha explicado a DM Pandiella, y ha señalado que "ya se ha entablado contacto con una compañía para iniciar el ensayo clínico a corto plazo, aunque hay que asegurar que los niveles de toxicidad son los adecuados para poder probarlo en humanos".</p> <p>Proteínas celulares<br /> En el cáncer de mama triple negativo (TNBC), que suele ser agresivo, a pesar de la respuesta a la quimioterapia, las recaídas son frecuentes y la resistencia a tratamientos disponibles suele conducir al desarrollo de metástasis. El grupo de Pandiella está analizando la biología de este tipo tumoral para identificar nuevas dianas terapéuticas. En este sentido, sus investigadores han estudiado el papel que tienen ciertas proteínas celulares, denominadas cinasas, en la fisiopatología de este tumor.</p> <p>Han encontrado que una de esas proteínas, la cinasa mTOR, se encuentra frecuentemente alterada en este tipo de tumores. "Utilizando fármacos de nueva generación que neutralizan a mTOR, hemos sido capaces de observar que dichos fármacos ejercen un efecto antitumoral en este tipo de cánceres", lo que supone un importante avance en la búsqueda de tratamientos más eficaces en este tipo de tumores.</p> <p>A medio plazo, Pandiella se muestra optimista en la investigación que se está desarrollando. "Vamos a abandonar en breve un periodo de 30 años en donde los tratamientos del triple negativo han tenido muchas recaídas para pasar a otro en donde se podrán obtener mejores pronósticos gracias a estudios genéticos y nuevos fármacos". El objetivo inmediato es reducir el número de recaídas.</p> <p>Referencias en investigación nacional<br /> El equipo de Atanasio Pandiella se ha centrado en dos tipos de cáncer de mama: el triple negativo y el HER2+. Estos avances no han pasado desapercibidos para la Asociación Española Contra el Cáncer (AECC) que financia dos proyectos de investigación del centro salmantino, con 2,4 millones de euros, cifra que representa cerca de la mitad de las donaciones en investigación de la asociación a nivel nacional. Uno de los proyectos financiados en cáncer de mama lo coordina Pandiella y en él participan miembros del Instituto del Hospital Valle de Hebrón de Barcelona.<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2013/01/18/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/nuevas-terapias-en-tumor-mamario-triple-negativo-" target="_blank">enero 18/2013 (Diario Médico) </a></p> </span>
2013-01-19T09:04:19-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/475
Factores de riesgo cardiovascular: Ciertas migrañas aumentan el riesgo cardiovascular en las mujeres
2013-01-17T07:08:18-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las mujeres que sufren migrañas acompañadas de problemas visuales tendrían un riesgo tres veces más elevado que las demás de desarrollar una enfermedad cardiovascular, según un estudio publicado este martes en Estados Unidos por la Academia Estadounidense de Neurología.</p> <p>"Tras la hipertensión arterial, la migraña llamada con "aura" -precedida o acompañada especialmente de vértigos o de hormigueos en la cara y las manos- representa el segundo riesgo más fuerte de padecer una crisis cardiaca o un accidente cerebrovascular, antes que la diabetes, el tabaquismo y la obesidad", explicó su principal autor, el doctor Tobias Kurth, del Instituto Francés de la Salud y de la Investigación Médica (Inserm) en Burdeos, Francia.</p> <p>Kurth es igualmente investigador en el hospital femenino de Brigham, en Boston (noreste de Estados Unidos).</p> <p>El estudio, llevado a cabo durante 15 años en Estados Unidos sobre 27 860 mujeres, de las cuales 1435 sufrían de este tipo de migrañas, registró durante este periodo 1030 crisis cardiacas, accidentes cerebrovasculares y muertes.</p> <p>Este riesgo fue de 7,9 casos por mil por año en el grupo de mujeres que sufrían de migraña con aura, en comparación a los 2,41 casos por mil por año en las demás, lo que supone un aumento del 3,27, precisó a la AFP el doctor Kurth.</p> <p>Para las mujeres que sufren de hipertensión arterial, pero no este tipo de migraña, el riesgo cardiovascular y de muerte es de 9,8 por mil y por año, indicó igualmente el investigador.</p> <p>Sin embargo, el número de mujeres que padecen migraña con aura que sufren una crisis cardiaca o un ataque cerebral sigue siendo relativamente débil, subrayó el doctor Kurth.</p> <p>Las afectadas por esta dolencia pueden reducir este riesgo si no fuman, si controlan su tensión arterial, su peso y si realizan regularmente ejercicio físico.</p> <p>Según el doctor Kurth, alrededor del 15 % de las mujeres en Estados Unidos, así como en Francia, sufren de este tipo de migraña.</p> <p>Un segundo estudio también publicado este martes por la Academia Estadounidense de Neurología indica que las mujeres que sufren de migraña con aura y toman anticonceptivos hormonales tienen más riesgo de formación de un coágulo sanguíneo (7,6 %), que aquellas que padecen otras formas de migraña (6,3 %).</p> <p>Este último estudio fue realizado a más de 145 304 mujeres, 2691 de las cuales sufrían de migraña con aura y 3437 otras formas de cefalea.</p> <p>Estos dos estudios serán presentados en la conferencia anual de la Academia Estadounidense de Neurología del 16 al 23 de marzo en San Diego (California, Oeste).<br /> enero 16/2013 (AFP)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2013-01-17T07:08:18-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/474
Cáncer: Desarrollado un nuevo método para diagnosticar cáncer de mama y ovario hereditario
2013-01-17T06:55:25-05:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Instituto Catalán de Oncología (ICO) han desarrollado y validado un nuevo método para diagnosticar el síndrome de cáncer de mama y ovario hereditario, basado en la secuenciación masiva de los genes BRCA1 y BRCA2.<br /> <br /> El modelo, que publica la revista <em>European Journal of Human Genetics, </em>se fundamenta en un análisis genético y bioinformático que se ha demostrado efectivo.<br /> <br /> Mediante la utilización de una plataforma de secuenciación masiva de última generación el grupo de investigadores ha desarrollado un protocolo que permite secuenciar todas las regiones codificadoras y las regiones adyacentes de los genes BRCA1 y BRCA2, responsables del cáncer de mama y ovario hereditario.<br /> <br /> "Esta aproximación ha permitido identificar todas las mutaciones puntuales e inserciones analizadas, incluso en regiones de elevada dificultad técnica, como son las regiones homopoliméricas", ha explicado la líder del estudio e investigadora del Programa de Cáncer Heriditario del ICO y el Idibell, Conxi Lázaro.<br /> <br /> El protocolo desarrollado es un algoritmo propio de secuenciación masiva y análisis bioinformático propio que ha demostrado ser muy eficiente en la detección de todas las mutaciones existentes y para eliminar falsos positivos.</p> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/ejhg/journal/vaop/ncurrent/full/ejhg2012270a.html" target="_blank">European Journal of Human Genetics (2013); doi:10.1038/ejhg.2012.270</a>
2013-01-17T06:55:25-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/473
Ciencia y Tecnología: La disfunción cognitiva en prematuros no tiene por qué ser permanente
2013-01-17T06:53:16-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Dos nuevas investigaciones tratan de explicar los problemas más frecuentes en los niños prematuros. Concretamente, uno de los estudios se basó en fetos de corderos afectados por isquemia.</p> <p>Dos trabajos que se publican en <em>Science Translational Medicine</em> dan a conocer sobre uno de los problemas más frecuentes en los niños prematuros: las dificultades de aprendizaje, cognición y atención. En uno de ellos, coordinado por Stephen Back, de la Universidad de Ciencia y Salud de Oregon, en Portland, se han estudiado cerebros de fetos de corderos afectados por isquemia; los niños pretérminos suelen sufrir esta falta de flujo sanguíneo al estar sus vasos cerebrales inmaduros.</p> <p>Los análisis de imagen y del tejido de las crías revelaron no que las neuronas mueran por la isquemia, como se asume, sino que simplemente no lograban madurar con normalidad. Estos resultados se oponen a la noción de que la lesión cerebral en los niños nacidos pretérmino, y por tanto la aparición de ulteriores discapacidades intelectuales, sea permanente.</p> <p>Además, se combinan con los datos aportados por otro trabajo, esta vez con neonatos, que también sustenta la idea de que las neuronas en el cerebro humano prematuro no alcanzan la maduración, pero sin llegar a perderse completamente. En concreto, el trabajo, encabezado por Steven Miller, de la Universidad British Columbia (Vancouver, Canadá), ha examinado a 95 niños prematuros nacidos entre las semanas 24 y 32 de gestación; mediante imágenes por resonancia magnética, los científicos canadienses han determinado que la forma en que los bebés crecían en la unidad de cuidados intensivos podría predecir cómo desarrollarían su corteza cerebral.</p> <p>Un crecimiento (peso, altura, perímetro craneal) bajo se asocia, según este estudio, a una maduración neuronal escasa y, por tanto, también a un pobre desarrollo cerebral. No obstante, el trabajo no aduce qué factores del crecimiento favorecen esa maduración; los autores apuntan que pudieran ser la nutrición, ausencia de enfermedad y el peso. Los científicos planean un seguimiento sobre estos niños a lo largo de los próximos ocho años y continuar con la monitorización del desarrollo cerebral mediante técnicas de imagen.</p> <p>Ambos trabajos plantean la posibilidad de que impulsar el crecimiento de los niños nacidos pretérmino les ayudaría a evitar de alguna manera las discapacidades cognitivas y de aprendizaje futuras.</p> <p>Sobre el desarrollo de la función visual de los niños prematuros <em>Nature</em> publica otro trabajo en modelo murino que también podría tener implicaciones en el tratamiento de la ceguera de estos niños. Richard Lan, del Hospital Infantil de Cincinnati, es el primer autor de un estudio que demuestra cómo la exposición temprana a la luz contribuye al proceso de regulación de la vasculatura de la retina y su formación.<br /> <a href="http://neurologia.diariomedico.com/2013/01/17/area-cientifica/especialidades/neurologia/disfuncion-cognitiva-prematuros-no-tiene-por-que-ser-permanente" target="_blank">enero 16/2013 (Diario Médico) </a></p> <p>Uchida N, Chen K, Dohse M, Hansen KD, Dean J, Buser JR, et. al. <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23052293" target="_blank"><em><strong>Human neural stem cells induce functional myelination in mice with severe dysmyelination</strong></em></a>.<em> Sci Transl Med</em>. 2012 Oct 10;4(155):155ra136. doi: 10.1126/scitranslmed.3004371.</p> <p>Z. Molnár, M. Rutherford<strong></strong><a href="http://stm.sciencemag.org/content/5/168/168ps2" target="_blank"><em><strong>, Brain Maturation After Preterm Birth. </strong></em><strong></strong></a><em>Sci. Transl. Med</em>. 5, 168ps2 (2013).</p> <p><a href="http://stm.sciencemag.org/content/5/168/168ra8" target="_blank"><em><strong>Slower Postnatal Growth Is Associated with Delayed Cerebral Cortical Maturation in Preterm Newborns</strong></em></a></p> <p><a href="http://stm.sciencemag.org/content/5/168/168ra7" target="_blank"><strong><em>Prenatal Cerebral Ischemia Disrupts MRI-Defined Cortical Microstructure Through Disturbances in Neuronal Arborization</em></strong></a></p> </span>
2013-01-17T06:53:16-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/472
Ciencia y Tecnología: Un hidrogel activado por luz repara el cartílago
2013-01-15T16:33:30-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un nuevo biomaterial, un hidrogel repara el cartílago articular emulando la acción de la tierra en la que crecen las plantas, actúa en la zona circundante a la lesión del cartílago y permite el crecimiento de tejido sano evitando que las células formen tejico cicatricial.</p> <p>El procedimiento se inicia con una minincisión que pone al descubierto la lesión del cartílago; después, se vierte el hidrogel que se solidifica con ayuda de luz. El material ya está así preparado para que se inicie la reparación del cartílago, promoviendo la regeneración de tejido nuevo.</p> <p>Jennifer H. Eliseeff, de la Universidad Johns Hopkins, en Baltimore, y Garry Gold, de la Universidad de Stanford, en California, han dirigido un estudio piloto sobre quince pacientes para ensayar el hidrogel. Todos ellos presentaban dolor por lesiones en el cartílago de la rodilla. Los resultados del trabajo se cotejaron con un grupo control al que se trató la microfractura de forma convencional.</p> <p>El biomaterial consiste en un hidrogel basado en polietilenglicol (PEG), un polímero. Antes de iniciar este ensayo piloto, los investigadores probaron en modelos animales la seguridad del gel.</p> <p>Remisión de dolor<br /> Los pacientes que recibieron el hidrogel mostraron una mejor reparación tisular comparados con los individuos incluidos en el grupo control y, a largo plazo, una mayor remisión del dolor. A los seis meses tras la intervención no se registraron efectos secundarios graves. Además, los resultados del trabajo indican que la activación mediante luz del hidrogel constituye una manera versátil y segura de potenciar la reparación tradicional del cartílago.<br /> <a href="http://traumatologia.diariomedico.com/2013/01/14/area-cientifica/especialidades/traumatologia/hidrogel-activado-por-luz-repara-cartilago" target="_blank"><strong>enero 14/2013 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Sharma B, Fermanian S, Gibson M, Unterman S, Herzka DA, Elisseeff JH.<em><strong>Human cartilage repair with a photoreactive adhesive-hydrogel composite. </strong><a href="http://www.internalmedicinenews.com/index.php?id=514&tx_ttnews[tt_news]=139599&cHash=80d329ef05ae3dc1d502ebf03b95fdc8" target="_blank">Sci Transl Med</a></em>. 2013 Ene 9;5(167):167ra6 (doi: 10.1126/scitranslmed.3004838).</p> </span>
2013-01-15T16:33:30-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/471
Diabetes Mellitus: El riesgo de fractura ósea en pacientes prediabéticos es similar al del resto de la población
2013-01-08T21:32:25-05:00
Revista Finlay
Un estudio realizado por el Instituto Universitario de Investigación en Atención Primaria (IDIAP) Jordi Gol, y cuyo objetivo era comparar la prevalencia de fractura ósea en casos recientemente diagnosticados de Diabetes Mellitus tipo 2 en comparación con la población general ha concluido que la condición de prediabético no supone un mayor riesgo en este sentido.<br /> <br /> Los datos se obtuvieron del SIDIAP, una base de datos informatizada creada por el Instituto Catalán de la Salud (ICS) y el IDIAP Jordi Gol. En ella, se identificaron 58.931 pacientes con nuevo diagnóstico de Diabetes Mellitus tipo 2 y 117.862 pacientes de edad y sexo similar estuvieron en el grupo control.<br /> <br /> Los pacientes recién diagnosticados de Diabetes Mellitus tipo 2 presentaban mayor prevalencia de enfermedad cerebro-vascular, y mayor prevalencia de cardiopatía isquémica en comparación con los pacientes del grupo control (población general). En cambio, la prevalencia de fractura fue la misma en los dos grupos de individuos (el control y el que tenía un diagnóstico reciente de Diabetes Mellitus tipo 2).<br /> <br /> Esto hace concluir al Dr. Daniel Prieto Alhambra, investigador del IDIAP y autor del estudio, que "según nuestros resultados, los pacientes diabéticos tipo 2 en el mismo momento de su diagnóstico ya presentan un riesgo un 40% mayor de embolia y hemorragia cerebral y un 70% mayor de infarto, respecto de la población no diabética ". En cambio, añade, "hemos observado que su riesgo de fractura es similar a la población general, lo que nos hace decir que en pacientes en estados prediabéticos no es recomendable un estudio específico de riesgo de fracturas más allá de lo habitual en pacientes con metabolismo glucémico normal ".<br /> <br /> En Cataluña, se estima que hay unas 500.000 personas con diabetes (según datos de la Encuesta de Salud de 2011, la prevalencia de diabetes en Cataluña en personas de 15 o más años es del 8,0% (el 8,3% en hombres y el 7,7% en mujeres), y en personas de más de 65 años es del 21,1% (el 24,8% en hombres y el 18,3% en mujeres).
2013-01-08T21:32:25-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/470
Cáncer: Detectan cáncer con prueba de sangre y secuenciación genética
2013-01-08T14:47:05-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una prueba que combina la capacidad de detectar el ADN del cáncer con la tecnología de secuenciación genómica, se podría usar para buscar cánceres, monitorizar la recurrencia de los pacientes con cáncer y encontrar el cáncer residual que queda después de la cirugía.</p> <p>Para desarrollar la prueba, los científicos del Centro de Cáncer Johns Hopkins Kimmel (Baltimore, EUA) tomaron muestras de sangre de pacientes en la fase final de los cánceres de colon y mama, y de individuos sanos, y buscaron el ADN que hubiese sido descartado a la sangre. Se aplicó tecnología de secuenciación de todo el genoma al ADN hallado en muestras de sangre, lo que permite a los investigadores comparar las secuencias de los pacientes con cáncer con las de las personas sanas. Entonces, los científicos buscaron signos de cáncer en el ADN: reordenamientos dramáticos de los cromosomas o cambios en el número de cromosomas que se producen solo en las células cancerosas.</p> <p>No se encontraron signos de cambios cromosómicos específicos del cáncer en la sangre de individuos sanos, pero los investigadores encontraron varias alteraciones específicas del cáncer en la sangre de los siete pacientes con cáncer de colon y tres pacientes con cáncer de mama. Usando métodos especializados bioinformáticos, fueron capaces de detectar estas alteraciones en una pequeña fracción de los millones de secuencias de ADN contenidas en la muestra de sangre.</p> <p>"Este método utiliza el poder de la secuenciación genómica para detectar ADN tumoral circulante en la sangre, proporcionando un método sensible que se puede utilizar para detectar y vigilar el cáncer", dijo Victor Velculescu, MD, PhD, profesor de oncología y codirector del Programa de Biología del Cáncer de la Universidad Johns Hopkins.</p> <p>Un informe que describe el nuevo método aparece en la edición del 28 noviembre de 2012, de la revista <strong><em>Science Translational Medicine</em></strong>.</p> <p>El Prof. Velculescu dijo que la investigación adicional se centrará en la determinación de cómo la nueva prueba podría ayudar a los médicos a tomar decisiones sobre el tratamiento de los pacientes. Por ejemplo, la prueba en sangre podría identificar ciertos cambios en los cromosomas que guían a los médicos a formular ciertos medicamentos anticáncer o decidir la inclusión de pacientes en ensayos clínicos para medicamentos contra defectos genéticos específicos. Actualmente, los médicos usan material celular obtenido de las biopsias del tumor original para tomar estas decisiones, pero el material tumoral puede estar inaccesible o no disponible.<br /> <a href="http://www.labmedica.es/pruebas_geneticas/articles/294744070/detectan_cancer_con_prueba_de_sangre_y_secuenciacion_genetica.html" target="_blank">enero 7/2013 (Hospimédica.es) </a></p> <p>Rebecca J. Leary, Mark Sausen, Isaac Kinde, Nickolas Papadopoulos, John D. Carpten, David Craig, et. al.<a href="http://stm.sciencemag.org/content/4/162/162ra154.abstract?sid=bd0be02c-89b0-4826-a9d0-0c480055f9e2" target="_blank"><em><strong> Detection of Chromosomal Alterations in the Circulation of Cancer Patients with Whole-Genome Sequencing</strong></em></a>. <em>Sci Transl</em> 2012 4:162ra154, DOI:10.1126/scitranslmed.3004742.</p> </span>
2013-01-08T14:47:05-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/469
Ciencia y Tecnología: Avances en estudio de las causas del dolor por osteoartritis
2013-01-06T08:26:29-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div>Anne-Marie Malfait, profesora asociada de bioquímica y medicina interna de la Universidad de Rush, y su equipo utilizaron un nuevo enfoque para descubrir los motivos moleculares del dolor producido por la OA en un modelo de ratón quirúrgico que muestra el desarrollo lento, progresivo y crónico de la enfermedad. El estudio se realizó longitudinalmente, es decir, los investigadores fueron capaces de controlar el desarrollo de las conductas de dolor y los eventos moleculares en las neuronas sensoriales de la rodilla y correlacionar los datos de las observaciones durante un período prolongado. <p>Los investigadores evaluaron el desarrollo de dichas conductas relacionadas con el dolor y los cambios producidos en los ganglios de la raíz dorsal (DRG). Descubrieron que una quimiocina conocida como proteína quimiotáctica de monocitos (MCP) -1 (CCL2) y su receptor, el receptor de quimioquinas 2 (CCR2), son fundamentales para el desarrollo de dolor asociado con la OA en la rodilla.</p> <p>Después de la cirugía, los ratones de laboratorio desarrollaron alodinia mecánica durante 16 semanas. Los niveles de MCP-1, CCR2 mRNA y de proteína se elevaron temporalmente, y la actividad neuronal de señalización aumento en el DRG ocho semanas después de la cirugía. Estos resultados se asocian con la presentación de comportamientos de dolor provocados por el movimiento, que se mantuvieron hasta las 16 semanas.</p> <p>Los ratones que carecen del CCR2 también desarrollaron alodinia mecánica, pero comenzó desde las ocho semanas en adelante. A pesar de tener la alodinia severa y daño articular estructural en la rodilla como los ratones normales, los ratones sin CCR2 no desarrollaron comportamientos de dolor provocados por el movimiento a las ocho semanas.</p> <p>Para confirmar el papel clave del CCR2 de señalización en el desarrollo de dicho dolor producido por el movimiento después de la cirugía, los investigadores administraron un receptor bloqueante de CCR2 a los ratones normales nueve semanas después de la cirugía y encontraron que se revertía la disminución de la distancia recorrida por los ratones, y por consiguiente, el dolor producido por el movimiento.</p> <p>Curiosamente, los niveles de MCP-1 y CCR2 volvieron al nivel inicial o inferior a las 16 semanas en ratones con comportamientos de dolor asociados al movimiento. Este hallazgo sugiere que la vía de MCP-1/CCR2 se ocupa solamente de la iniciación de los cambios en el DRG, pero una vez que los macrófagos están presentes, el proceso ya no es dependiente de un MCP-1/CCR2 mayor.<br /> <a href="http://neurologia.diariomedico.com/2012/12/31/area-cientifica/especialidades/neurologia/nuevos-avances-en-estudio-de-causas-del-dolor-por-osteoartritis" target="_blank"><strong>diciembre 31/2012 (DiarioMédico)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Miller RE, Tran PB, Das R, Ghoreishi-Haack N, Ren D, Miller RJ<em><strong>.CCR2 chemokine receptor signaling mediates pain in experimental osteoarthritis</strong></em>.<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23185004" target="_blank"><em>Proc Natl Acad Sci</em></a> U S A. 2012 Dic 11;109(50):20602-7. doi: 10.1073/pnas.1209294110.</p></div> </span>
2013-01-06T08:26:29-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/468
Cáncer: Autoinfusión de células TCAR contra la leucemia
2013-01-06T08:17:29-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>Nueve de los doce pacientes con leucemia que habían recibido un tratamiento pionero basado en la autotransfusión de células T manipuladas respondieron a la terapia. Los médicos que llevaron a cabo este novedoso tratamiento han presentado los resultados del seguimiento a dos años en la reunión anual de la Sociedad Americana de Hematología, celebrado en Atlanta.</p> <p>El ensayo, del que se dio cuenta en <em>The New England Journal of Medicine</em> y en <em>Science Translational Medicine</em> en agosto de 2011, incluyó a diez pacientes adultos con leucemia linfocítica crónica tratados en el hospital de la Universidad de Pensilvania, y a dos niños con leucemia linfoblástica aguda ingresados en el Hospital Infantil de Filadelfia. Tres de los primeros adultos tratados con el nuevo protocolo y uno de los niños se encuentran en remisión completa, sin signos de la enfermedad; además, dos de esos tres adultos han estado sanos durante los dos años de seguimiento. Otros cuatro adultos mejoraron sin llegar a la remisión completa; en el otro niño también se registró una mejora, pero seguida de recaída.</p> <p>Aunque es un trabajo piloto, estos resultados avalan por primera vez el éxito del empleo de la transferencia génica para convertir a las células del propio sistema inmune en armas contra el cáncer.</p> <p>En concreto, el protocolo terapéutico incluía la aféresis de las células T de los pacientes que luego eran modificadas por los científicos; los linfocitos se reprogramaban mediante una modificación genética que empleaba como vector un lentivirus derivado del retrovirus del sida (VIH). El vector codifica una proteína similar a un anticuerpo, denominada receptor de antígeno quimérico (CAR), para expresarla en la superficie de las células T y que se vincula a la proteína CD19.</p> <p>Una vez modificadas, esas células T se infunden en el paciente. Los linfocitos T que expresan el CAR (T CAR) actúan sobre las células con la proteína CD19, entre las que se encuentran las tumorales de leucemias linfocíticas y linfoblásticas agudas, y las células B normales. El resto de las células del paciente no expresan la citada proteína y, por tanto, no se ven afectadas por las células T modificadas, lo que limita la aparición de efectos secundarios sistémicos.</p> <p>En los pacientes que experimentaron remisiones completas después del tratamiento, las células T CAR exhibieron una importante proliferación tras infundirse, sobre todo en el periodo de entre los 10 y los 31 días postinjerto. Todos ellos presentaron el síndrome de liberación de citocina, que requirió tratamiento con tocilizumab. Los pacientes con respuestas completas también han mostrado que las células B normales se eliminan al igual que los tumores; por ello, deben recibir tratamiento con gamma globulina de forma periódica para prevenir potenciales infecciones.</p> <p>"Estos resultados muestran que las células T CAR constituyen una gran promesa para mejorar el tratamiento del linfoma y la leucemia. Es posible que en el futuro esta estrategia reduzca o sustituya al trasplante de médula ósea", ha dicho Carl June, profesor de Inmunoterapia y director del Centro del Cáncer Abramson, en la Universidad de Pensilvania, con motivo de la presentación de estos datos en Atlanta. Se asienta así un posible cambio en el abordaje de ciertos tipos de cáncer hematológico, que en sus estadios más avanzados solo cuentan con la opción del trasplante de médula ósea.<br /> <a href="http://hematologia.diariomedico.com/2012/12/11/area-cientifica/especialidades/hematologia/autoinfusion-de-celulas-tcar-contra-la-leucemia" target="_blank">enero 1/2013 (Diario Médico) </a></p></div> </span>
2013-01-06T08:17:29-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/467
Factores de riesgo: La exposición temprana al estrés afecta el cerebro de las niñas
2013-01-04T06:16:22-05:00
Revista Finlay
<div style="line-height: 20px;"><p><span style="font-family: Arial; line-height: 150%; font-size: 9pt;">Las niñas nacidas en familias con niveles altos de estrés son más propensas a sufrir ansiedad y trastornos de la función cerebral en la adolescencia, sugiere una investigación reciente publicada en <em>Nature Neuroscience. </em>El estudio también ha hallado que los bebés de sexo femenino que vivían con madres estresadas tenían niveles más altos de cortisol, una hormona del estrés, y unas conexiones cerebrales menos efectivas entre las áreas que regulan la emoción (amígdala y corteza prefrontal ventromedial). Sin embargo, los bebés masculinos chicos no parecían estar afectados por esos problemas.</span></p> <p><span style="font-family: Arial; line-height: 150%; font-size: 9pt;">Los investigadores observaron a casi 600 niños y a sus familias en 1990 y 1991. Algunos de los niños, que ahora tienen 21-22 años, continuaron participando en el estudio. El equipo reunió investigación de campo y observación en el hogar con las medidas de laboratorio más innovadoras, lo que hace que este estudio sea realmente novedoso y prepara el camino para una mejor comprensión sobre la forma en que el cerebro se desarrolla.</span></p> <p><span style="font-family: Arial; line-height: 150%; font-size: 9pt;">Estos hallazgos plantean preguntas sobre las diferencias en la forma en que el estrés temprano afecta la vida de niños y niñas. Ahora se conoce que las mujeres pueden tener mayores niveles de trastornos del estado de ánimo y de ansiedad, y esas diferencias sexuales son muy pronunciadas, sobre todo en la adolescencia. </span></p></div> <a href="http://www.nature.com/neuro/journal/v15/n12/full/nn.3257.html" target="_blank">[Nat Neurosci 2012]</a><br /> <span class="txPeque">Burghy CA, Stodola DE, Ruttle PL, Molloy EK, Armstrong JM, Oler JA, et al.</span>
2013-01-04T06:16:22-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/466
Ciencia y Tecnología: Revelan nacimiento y migración de células cerebrales inhibitorias
2013-01-04T06:08:23-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un equipo ha revelado por primera vez el momento del nacimiento y origen embrionario de una clase crítica de células cerebrales inhibitorias, las células en candelabro, y el rastreo de las vías específicas que toman durante el desarrollo temprano en la corteza cerebral del ratón.</p> <p>Los expertos han demostrado que estas células nacen en una parte no reconocida previamente en el cerebro embrionario, la zona germinal ventral.</p> <p>En el caso de las células en candelabro, por su anatomía distintiva, se necesitan para entender cómo trabajan los circuitos del cerebro. A diferencia de otras células inhibitorias, éstas conectan con las células excitadoras en un determinado lugar anatómico, el segmento inicial del axón, el lugar donde una célula piramidal genera su mensaje transmisible.</p> <p>Además de descubrirse que las células en candelabro nacen tarde, después de otras células inhibitorias, en una parte de la corteza que no se conocía nada, una vez que han nacido, estas células toman una ruta muy estereotipada en la corteza y asumen posiciones muy específicas, en tres capas corticales.</p> <p>Estos descubrimientos tienen implicaciones para la investigación de enfermedades, ya que se sabe que el número y la densidad de células en candelabro disminuyen en la esquizofrenia, una asociación que también se ha revelado recientemente en la epilepsia.<br /> <a href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=3843" target="_blank"><strong>diciembre 28/2012 (Neurologia.com)</strong></a></p> <p>Taniguchi H, Lu J, Huang ZJ.<em><strong>The Spatial and Temporal Origin of Chandelier Cells in Mouse Neocortex</strong></em>.<a href="http://www.sciencemag.org/content/early/2012/11/20/science.1227622.abstract?sid=4c73a473-d757-46ac-b340-86daf14c8ee8" target="_blank"><em>Science</em></a>. DOI: 10.1126/science.1227622 . 2012 Nov 22.</p> </span>
2013-01-04T06:08:23-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/465
Cáncer: Tratamiento multidisciplinar del cáncer sin especial relevancia en el cuidado de la enfermedad
2013-01-03T13:10:49-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los tratamientos multidisciplinares planificados para combatir el cáncer no tienen especial relevancia en el cuidado de la enfermedad, según un estudio publicado en <a href="http://jnci.oxfordjournals.org/content/early/2012/12/24/jnci.djs502.abstract" target="_blank"><em><strong>Journal of the National Cancer Institute</strong></em></a> (doi: 10.1093/jnci/djs502).</p> <p>Con el fin de determinar los efectos de los tratamientos multidisciplinares planificados en el cuidado del cáncer, investigadores de la Universidad de Harvard (Massachusetts, Estados Unidos) recolectaron información sobre este tipo de terapias en 138 Hospitales de Veteranos estadounidenses, y la relacionaron con datos administrativos y de registro de la enfermedad.</p> <p>Esta asociación se hizo con el propósito de medir la recepción de la atención recomendada, la supervivencia, o la utilización del tratamiento en pacientes con cáncer colorrectal, de pulmón o de próstata, entre otros.</p> <p>Los científicos demostraron que existía únicamente una pequeña relación entre la presencia de tratamientos tumorales multidisciplinares y el tipo de tratamiento que los pacientes recibieron. La mayoría de los cuidados no se vieron afectados por la presencia de tratamientos multidisciplinares.</p> <p>Esto significa, según los autores del estudio, que los tratamientos multidisciplinares no tienen gran influencia en la calidad del cuidado de la enfermedad realizado en Hospitales de Veteranos.<br /> diciembre 31/2012 (DiarioMédico)</p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Nancy L. Keating, Mary Beth Landrum, Elizabeth B. Lamont, Samuel R. Bozeman, Lawrence N. Shulman, Barbara J. McNeil.<em><strong> Tumor Boards and the Quality of Cancer Care</strong>.JNCI J Natl Cancer Inst</em>. Dic 28, 2012</p> </span>
2013-01-03T13:10:49-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/464
Medicamentos: Estatinas, efectivas contra el paludismo
2013-01-03T13:00:38-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Según un nuevo estudio publicado en <a href="http://www.plospathogens.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.ppat.1003099;jsessionid=B1DEF3281E4B78B758C3B5A995FC5D4A" target="_blank"><em><strong>PLOS Pathogens</strong> </em></a>(doi:10.1371/journal.ppat.1003099), la lovastatina, combinada con un tratamiento tradicional contra el paludismo, reduce la neuroinflamación y protege contra el deterioro cognitivo en ratones con paludismo cerebral.</p> <p>Aunque existen diferencias entre el paludismo en modelos animales y la enfermedad humana, estos nuevos hallazgos indican que las estatinas deben ser tenidas en cuenta en la práctica clínica en el paludismo cerebral. Estudios en niños que sufren la enfermedad muestran que los déficits cognitivos, como el deterioro de la memoria, del aprendizaje, del lenguaje o las habilidades matemáticas, persisten en muchos individuos incluso después de haber sido curada la infección.</p> <p>Las estatinas, comúnmente utilizadas para reducir el colesterol, han mostrado ser efectivas también modulando una variedad de respuestas del sistema inmune. En su investigación, Guy Zimmerman, coautor del estudio y catedrático de la Facultad de Medicina de la Universidad de Utah de EE.UU, y su equipo, evaluaron los efectos del fármaco en ratones con la enfermedad infecciosa. Descubrieron que la adición de lovastatina al tratamiento antipalúdico reducía la cantidad de leucocitos en sangre y la permeabilidad de los vasos sanguíneos en el cerebro. La lovastatina también reducía la producción de moléculas de oxígeno reactivo y otros factores que producen inflamación.</p> <p>"Los mecanismos moleculares que dan lugar al paludismo cerebral y la subsiguiente disfunción cognitiva no han sido descubiertos todavía" comenta Zimmerman. "En cualquier caso, el hecho de que el tratamiento con estatinas reduzca tanto la inflamación de los vasos sanguíneos como la disfunción cognitiva sugiere que una combinación de factores vasculares e inflamatorios conduce a la patología cerebral y a los déficits intelectuales".<br /> <a href="http://infecciosas-sida.diariomedico.com/2012/12/28/area-cientifica/especialidades/infecciosas-sida/estatinas-puden-ser-efectivas-contra-malaria" target="_blank"><strong>diciembre 28/2012 (DiarioMédico)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari</strong>.</p> <p>Patricia A. Reis, Vanessa Estato, Tathiany I. da Silva, Joana C. d'Avila, Luciana D. Siqueira.<em><strong>Statins Decrease Neuroinflammation and Prevent Cognitive Impairment after Cerebral Malaria</strong></em>.<em>PLoS Pathog</em> 8(12): e1003099. Dic 27, 2012</p> </span>
2013-01-03T13:00:38-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/463
Cardiopatía Isquémica: El infarto cardiaco con anemia implica riesgo en transfusión sanguínea
2012-12-28T14:32:10-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las grandes transfusiones en pacientes con infarto cardiaco y anemia parecen aumentar el riesgo de mortalidad, según los datos de un metaanálisis compuesto por diez estudios que ha analizado a más de 203 000 pacientes y que se publica en <a href="http://archinte.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1485987" target="_blank"><em><strong> Archives of Internal Medicine</strong></em></a> (doi: 10.1001/2013.jamainternmed.1001.).</p> <p>Cuando los pacientes con infarto cardiaco acuden a urgencias con algún grado de anemia o pacientes con anemia tienen un infarto , se tiende a realizar una transfusión de sangre porque ayuda a que el corazón obtenga más oxígeno.</p> <p>Pero recientes directrices sugieren que no hay sólida evidencia para alentar o desalentar esta práctica común, según Saurav Chatterjee, de la Escuela Médica Alpert de la Universidad Brown de Providence, en Rhode Island (Estados Unidos).</p> <p>Se analizaron los datos de los pacientes con anemia y infartos cardiacos que recibieron transfusiones de dos unidades o más de sangre o con una lectura de hematocrito superior al 30 % , llamadas liberales, más restringidas o ninguna transfusión. El riesgo de muerte fue un 12 % mayor en los que recibieron transfusiones liberales que en los que no las recibieron, así como el doble probabilidades de sufrir otro ataque al corazón.</p> <p>Beneficio-riesgo<br /> No obstante, Chatterjee no considera que las transfusiones deban contraindicarse en anémicos con infarto cardíaco. "Se ha de seguir el criterio clínico hasta que existan resultados de sólido estudio clínico aleatorizado, pero teniendo en cuenta el riesgo en casos dudosos".<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2012/12/26/area-cientifica/especialidades/cardiologia/actualidad/ataque-cardiaco-anemia-implica-riesgo-transfusion-sanguinea" target="_blank"><strong>diciembre 26/2012 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Chatterjee S, Wetterslev J, Sharma A, Lichstein E, Mukherjee D.<em><strong>Association of Blood Transfusion With Increased Mortality in Myocardial Infarction: A Meta-analysis and Diversity-Adjusted Study Sequential Analysis</strong>.Arch Intern Med</em>. 2012 Dec 24:1-8</p></span>
2012-12-28T14:32:10-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/462
Factores de riesgo: Trastorno bipolar materno y riesgo aumentado de parto prematuro
2012-12-28T14:29:48-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las mujeres con trastorno bipolar tienen más probabilidades de dar a luz de forma prematura (antes de las 37 semanas) y de padecer otras complicaciones durante el embarazo y el parto, según un estudio reciente publicado en<a href="http://www.bmj.com/content/345/bmj.e7085" target="_blank"><em><strong> British Medical Journal</strong> </em></a>(doi: org/10.1136/bmj.e7085).</p> <p>El estudio contó con una muestra de 320 madres con trastorno bipolar que recibían tratamiento con estabilizadores del estado de ánimo y 554 madres con el mismo trastorno, pero sin seguir tratamiento. Se las comparó con un grupo de 331 137 madres que no sufrían dicho trastorno. Las mujeres con trastorno bipolar, con y sin tratamiento, tenían más probabilidades de un parto con cesárea, un parto instrumental o un parto no espontáneo que las mujeres sanas. El riesgo de las mujeres en tratamiento era de un 37,5%, alrededor de un 31% para las que no seguían un tratamiento y un 21% para las que no tenían dicho trastorno. Las madres con y sin tratamiento también tenían más probabilidades de dar a luz de forma prematura que las que no padecían el trastorno: el 8,1%, el 7,6% y el 4,8%, respectivamente.</p> <p>Los bebés de madres que no seguían un tratamiento contaban con más probabilidades de padecer microcefalia y de sufrir episodios de hipoglucemia que aquellos nacidos de madres sin trastorno bipolar. No hubo diferencias apreciables entre las madres con y sin tratamiento, así que probablemente los estabilizadores del estado de ánimo (litio, antipsicóticos, anticonvulsionantes) no son la única razón por la que estas madres presentan un mayor riesgo de sufrir complicaciones durante el embarazo y el parto.<br /> <a href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=3828" target="_blank"><strong>diciembre 21/2012 (Neurologia.com)</strong></a></p> <p>Bodén R, Lundgren M, Brandt L, Reutfors J, Andersen M, Kieler H<em><strong>.Risks of adverse pregnancy and birth outcomes in women treated or not treated with mood stabilisers for bipolar disorder: population based cohort study</strong></em>.<em>BMJ</em> 2012;345:e7085, 8 Nov 2012</p> </span>
2012-12-28T14:29:48-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/461
Hipertensión arterial: Investigadores españoles hallan "una nueva ruta" en la estrategia de la lucha contra la hipertensión
2012-12-27T08:18:03-05:00
Revista Finlay
<p><img title="hta_280_278" src="/public/site/images/mikhail/hta_280_278.jpg" alt="hta_280_278" width="278" height="200" />La actuación sobre el exceso de radicales libres de oxígeno y de productos derivados de la ciclooxigenasa-2 podría dar lugar a una nueva estrategia en la lucha contra la hipertensión arterial. Así lo indican dos grupos de científicos de la Red de Investigación Cardiovascular (RECAVA) en sendos artículos publicados en la edición de enero de la revista <em>Antioxidants and Redox Signalling. </em><br /> <br /> Los expertos consideran que tanto el estrés oxidativo, como los prostanoides producidos por la enzima inflamatoria ciclooxigenasa-2 están implicados en la hipertensión, y sugieren que intervenir en la relación entre ambos tipos de mediadores "podría ser una opción terapéutica prometedora para revertir las alteraciones vasculares provocadas por la hipertensión".<br /> <br /> Para llegar a estas conclusiones, los investigadores de RECAVA han utilizado dos modelos animales, unos con hipertensión espontánea y otros a los que se les había inducido hipertensión usando Angiotensina II. Posteriormente, evaluaron los efectos de fármacos antioxidantes y de un inhibidor selectivo de la ciclooxigenasa-2 en ambos grupos.<br /> <br /> Los resultados muestran que "tanto los antioxidantes utilizados como el inhibidor de la ciclooxigenasa-2 previenen el desarrollo de hipertensión inducido por Angiotensina II y normalizan las respuestas vasoconstrictoras incrementadas y las respuestas vasodilatadoras disminuidas, observadas en animales hipertensos". Además, los primeros "disminuyen el incremento en la expresión de la ciclooxigenasa-2".<br /> <br /> Por su parte, el tratamiento de los animales con el inhibidor de la ciclooxigenasa-2 "normaliza distintos parámetros relacionados con el estrés oxidativo que estaban incrementados en animales hipertensos".</p> <br /><br /><a href="http://online.liebertpub.com/doi/abs/10.1089/ars.2011.4335?prevSearch=redondo&searchHistoryKey=" target="_blank">Antioxidants and Redox Signalling (2012); doi:10.1089/ars.2011.4335</a>
2012-12-27T08:18:03-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/460
Enfermedad de Alzheimer: Confirman la relación entre una proteína proinflamatoria y el alzhéimer
2012-12-25T08:28:38-05:00
Revista Finlay
<p>La revista Nature publica un trabajo que revela la relación del complejo proteínico NLRP3 con el alzhéimer. En esta enfermedad, en que se da una activación crónica del llamado inflamasoma, NLRP3 podría estar bloqueando la eliminación del beta-amiloide, uno de los componentes patogénicos de la enfermedad y nocivo para las neuronas.<br /> <br /> Los investigadores han trabajado con ratones transgénicos que desarrollan una patología similar al alzhéimer. En el modelo, han observado que cuando falta NLRP3 no se producen las alteraciones de memoria espacial, de comportamiento, de plasticidad sináptica y de densidad de espinas dendríticas en las neuronas piramidales del hipocampo de los animales transgénicos. Además, los animales que carecían de la proteína tenían menos depósitos de beta-amiloide en el hipocampo y la corteza cerebral.<br /> <br /> Los resultados indican que NRLP3 tiene una función clave en mecanismos inflamatorios del sistema nervioso central implicados en la disfunción conductual y cognitiva en el alzhéimer, así como un rol importante en la eliminación de las placas de amiloide.<br /> <br /> <strong>También en muestras post mórtem</strong><br /> <br /> Los científicos estudiaron también el cerebro post mórtem de personas que habían padecido alzhéimer, y obtuvieron resultados que apuntan en la misma dirección, relacionando la molécula NRLP3 con la inflamación observada en esta enfermedad.<br /> <br /> El trabajo, dirigido desde la Universidad de Bonn, ha contado con la colaboración del área del Banco de Tejidos Neurológicos del Biobanco del IDIBAPS, que ha aportado muestras de tejido cerebral humano post mórtem procedentes de donantes con alzhéimer avanzado. Ellen Gelpí, responsable del Banco de Tejidos Neurológicos, se encuentra entre los firmantes del artículo.</p> <a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature11729.html" target="_blank">Nature (2012); doi:10.1038/nature11729</a>
2012-12-25T08:28:38-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/459
Ciencia y Tecnología: Mano robótica controlada por la mente podría representar un avance
2012-12-22T07:43:07-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una mano robótica que es controlada por el pensamiento de una mujer que está paralizada del cuello para abajo le ofrece un nivel de control y movimiento que nunca antes se había logrado con este tipo de extremidad artificial, afirman los científicos que la desarrollaron.</p> <p>La mano prostética de la mujer funciona casi igual que una mano normal, según el equipo de la Universidad de Pittsburgh.</p> <p>La paciente de 52 años había sido diagnosticada con una enfermedad degenerativa del cerebro y de la columna trece años antes, y con el tiempo ya no podía mover sus brazos ni piernas. En febrero de 2012, los investigadores implantaron dos matrices de microelectrodos en la corteza motora izquierda de la mujer.</p> <p>Una matriz de microelectrodos es un dispositivo que conecta a las células del cerebro (las neuronas) a un circuito electrónico. La corteza motora es la parte del cerebro que inicia el movimiento.</p> <p>Las matrices de microelectrodos en el cerebro de la mujer se conectaron a la mano robótica. Entonces, realizó un entrenamiento de 14 semanas para aprender a usar la mano artificial, según un artículo que aparece en la revista <a href="http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2812%2961816-9/fulltext" target="_blank"><em><strong>The Lancet</strong></em></a> (doi:10.1016/S0140-6736(12)61816-9).</p> <p>Para el segundo día del entrenamiento, la mujer podía mover la mano libremente sin ayuda de la computadora. Con el tiempo, pudo completar más del 91 % de las tareas que buscaban evaluar su capacidad de controlar la mano, y realizaba las tareas más de un 30 % más rápidamente que al inicio del entrenamiento.</p> <p>La rápida adaptación de la paciente a la mano robótica se debió en parte a una nueva forma de conectar su cerebro a la mano, explicó el autor del estudio Andrew Schwartz.</p> <p>"Al desarrollar prótesis controladas por la mente, uno de los mayores desafíos siempre ha sido cómo traducir las señales cerebrales que inciden en el movimiento de las extremidades a señales de computadora que puedan controlar la prótesis robótica de manera confiable y precisa. La mayoría de prótesis controladas por la mente lo han logrado mediante un algoritmo que conlleva utilizar una compleja "biblioteca de conexiones entre la computadora y el cerebro", señaló en un comunicado de prensa de la revista.</p> <p>"Sin embargo, nosotros usamos un método completamente distinto, que utiliza un algoritmo de computadora basado en modelo que imita de cerca la forma en que un cerebro sano controla el movimiento de las extremidades. El resultado es una mano prostética que se puede mover con mucha más precisión y naturalidad que con los esfuerzos anteriores", explicó Schwartz.</p> <p>Esta "interfaz entre cerebro y máquina es un impresionante logro tecnológico y biomédico", afirmó Gregoire Courtine, del Instituto Suizo de Tecnología en Lausana, quien escribió un editorial acompañante.<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_132318.html" target="_blank"><strong>diciembre17/2012 (Medlineplus)</strong> </a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Jennifer L Collinger , Brian Wodlinger , John E Downey , Wei Wang , Elizabeth C Tyler-Kabara , Douglas J Weber. <em><strong>High-performance neuroprosthetic control by an individual with tetraplegia</strong></em>.<em>The Lancet</em>, 17 Dic 2012</p> </span>
2012-12-22T07:43:07-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/458
Ciencia y Tecnología: Descubren mecanismo clave en la regeneración del músculo
2012-12-20T07:07:13-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Investigadores del Instituto de Investigación Biomédica de Bellvitge (Idibell) han identificado una nueva diana selectiva para el tratamiento de lesiones y distrofias musculares. El hallazgo, publicado en la revista <a href="http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0050477" target="_blank"><em><strong>Plos One</strong> </em></a>(doi:10.1371/journal.pone.0050477), se basa en una asociación de las proteínas alfa-enolasa y plasmina, informa el citado centro en un comunicado.</p> <p>El músculo esquelético posee una gran capacidad de regeneración tras una lesión o en enfermedades genéticas como la distrofia muscular de Duchenne, el trastorno neuromuscular más frecuente en niños. Esta patología se debe a un defecto en el gen de la distrofina que hace que la membrana del músculo sea inestable, lo que conduce a la degeneración de las fibras musculares.</p> <p>La regeneración muscular implica una reestructuración del tejido y requiere de la participación de enzimas extracelulares, como la plasmina. La alfa-enolasa, una enzima presente en el citoplasma de las células, hace posible la actividad de la plasmina en la superficie celular, otorgando a la célula la capacidad de degradar el tejido circundante.</p> <p>En este estudio, los investigadores del Idibell demuestran que la asociación de la alfa-enolasa y la plasmina regula dos procesos conectados en el músculo lesionado o con distrofia: por una parte, la atracción (reclutamiento) de células inmunitarias para eliminar el tejido dañado y, por otra parte, la formación de nuevos tejidos musculares a partir de células madre. Los investigadores observaron en el laboratorio que estas células madre perdían la capacidad de activarse y fusionarse para formar las fibras del músculo esquelético cuando aplicaban inhibidores específicos de la unión alfa-enolasa/plasmina.</p> <p>Los investigadores también realizaron experimentos en ratones con lesión muscular y distrofia. Al tratarlos con los mismos inhibidores, los animales presentaban un defecto importante en la regeneración muscular.</p> <p>Marcador de estrés patológico</p> <p>"Estos resultados demuestran que la combinación de la alfa-enolasa y la plasmina es necesaria para la restauración del tejido muscular lesionado", comenta la investigadora del Idibell Roser López-Alemany, coordinadora del estudio.</p> <p>Recientemente, un amplio metaanálisis proteómico ha señalado que la alfa-enolasa es la primera proteína expresada diferencialmente, tanto en patologías humanas como en el modelo de ratón, lo que sugiere que "podría considerarse un marcador de estrés patológico en un elevado número de enfermedades", explica López-Alemany.</p> <p>Este estudio indica que la asociación alfa-enolasa/plasmina es una nueva diana selectiva para las intervenciones terapéuticas en patologías musculares, ya que "demuestra que la alfa-enolasa es responsable de la actividad de la plasmina asociada a la regeneración muscular", concluye la investigadora del Idibell.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/investigacion/idibell/identifica/mecanismo/clave/regeneracion/muscular/_f-11+iditem-18733+idtabla-1" target="_blank"><strong>diciembre 19/2012 (JANO)</strong></a></p> <p>Díaz-Ramos À, Roig-Borrellas A, García-Melero A, Llorens A, López-Alemany R. <em><strong>Requirement of Plasminogen Binding to Its Cell-Surface Receptor ?-Enolase for Efficient Regeneration of Normal and Dystrophic Skeletal Muscle</strong></em>. <em>PLoS ONE</em> 7(12): e50477. Dic 11, 2012</p> </span>
2012-12-20T07:07:13-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/457
Ciencia y Tecnología: Crean científicos marcapasos biológico
2012-12-19T15:01:30-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un equipo de investigadores del Instituto Cedars-Sinai Heart infectó células del corazón de conejillos de Indias con un virus al que se injertó el gen Tbx18.</p> <p>Este gen se encuentra activo cuando se forman las células que regulan los latidos cardiacos durante el desarrollo embrionario.</p> <p>En la actualidad, para ayudar a personas con deficiencia cardiaca se coloca un implante que impulsa artificial y rítmicamente los latidos del corazón.</p> <p>La vida de estos artefactos dura hasta que se agota la batería y además se pueden producir complicaciones como el enredo de cables, desplazamientos o sufrir roturas.</p> <p>Estos problemas se pueden solucionar con un marcapasos biológico, explicó el doctor Hee Cheol Cho del Cedars-Sinai.</p> <p>Cuando los científicos introdujeron el gen, las células cardiacas de los roedores adquirieron los rasgos característicos de las células marcapasos del corazón, indicaron los científicos.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=817131&Itemid=1" target="_blank">diciembre 18/2012 (PL) </a></p> </span>
2012-12-19T15:01:30-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/456
Ciencia y Tecnología: Descubren mecanismo para impedir que sistema inmune destruya el hígado
2012-12-19T14:59:06-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un grupo de investigadores españoles del Centro Nacional de Investigaciones Cardiovasculares (CNIC) halló un mecanismo para impedir que el sistema inmune destruya el hígado en caso de infección, lo que podría tener "importantes implicaciones" prácticas.</p> <p>En concreto, el equipo de Guadalupe Sabio identificó una nueva vía de señalización que controla la producción de TNF, una citoquina, responsable del crecimiento y la diferenciación de distintos tipos de células e implicada en diferentes procesos patológicos.</p> <p>Cuando el sistema inmune tiene que luchar contra algún tipo de infección pone en marcha una serie de células encargadas de localizar y destruir los microrganismos que están atacando al organismo, explicó Sabio.</p> <p>Para ello, es necesario que aumente el nivel en sangre de la proteína TNF.</p> <p>"Como todo en esta vida, el exceso es perjudicial y demasiada TNF puede llegar a destruir el hígado y causar la muerte", señaló.</p> <p>Así, este equipo de investigadores logró descubrir una estrategia que evita el exceso de la proteína y, por lo tanto, el consecuente daño al hígado.</p> <p>Los científicos demostraron que dos kinasas concretas regulan la cantidad de TNF.</p> <p>El hallazgo tiene pues importantes implicaciones prácticas, ya que se podría lograr reducir los niveles en sangre de la proteína sin modificar la actividad del gen del TNF, según el CNIC.</p> <p>"Cualquier fármaco que impida la actividad de dichas kinasas conseguiría que los niveles de la proteína se rebajaran lo suficiente como para dejar de ser letales", detalló Sabio.<br /> diciembre 18/2012 (EFE)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2012-12-19T14:59:06-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/455
Enfermedad de Alzheimer: Las neuronas comienzan a morir por alzhéimer por el control deficiente del ciclo celular
2012-12-18T11:51:25-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las dos proteínas, de beta-amiloide y tau, que caracterizan a la enfermedad avanzada de Alzheimer (EA), inician a las neuronas sanas hacia el camino de la muerte celular mucho antes de la aparición de las placas mortales y los ovillos neurofibrilares que trabajan juntos supuestamente para reactivar el bloqueado del ciclo celular en las células del cerebro, según un estudio presentado este lunes en la reunión anual de la Sociedad Americana de Biología Celular que se celebra en San Francisco.</p> <p>En un modelo de ratón de la enfermedad de Alzheimer, George Bloom, de la Universidad de Virginia (Estados Unidos) descubrió que las neuronas comienzan a morir por la enfermedad porque rompen la primera ley de seguridad neuronal humana, permanecer fuera del ciclo celular.</p> <p>La mayoría de las neuronas adultas normales son permanentemente postmitóticas, es decir, que se han terminado de dividir y quedan bloqueadas en el ciclo celular, en contra de lo que sucede con las neuronas en la enfermedad de Alzheimer, que con frecuencia vuelven a entrar en el ciclo celular, pero no completan la mitosis, y finalmente mueren.</p> <p>Al tener en cuenta esta nueva perspectiva como un problema del ciclo celular, el doctor Bloom y sus colegas de la Universidad de Virginia y la Universidad de Alabama, en Birmingham, hallaron lo que ellos llaman una "vía irónica" a la muerte celular neuronal, un proceso que requiere la acción coordinada de ambas, beta-amiloide y tau, que son los bloques de construcción de placas y ovillos, respectivamente. Los resultados del equipo muestran lo tóxicas que las dos proteínas pueden ser aún cuando están libres en la solución y no se agregan a placas y ovillos.</p> <p>Mediante el uso de neuronas de ratón cultivadas, los investigadores encontraron que los oligómeros de beta-amiloide, que son agregados pequeños de tan solo unas pocas moléculas de beta-amiloide cada uno, inducen a las neuronas a volver a entrar en el ciclo celular, pero curiosamente las neuronas deben hacer y acumular tau para que este ciclo celular de reentrada se produzca. El mecanismo de estar fuera del lugar de reentrada en el ciclo celular requiere que los oligómeros de beta-amiloide activen múltiples enzimas de proteína quinasa para a continuación adjuntar un fosfato a un sitio específico en la proteína tau.</p> <p>En el seguimiento de los resultados de las células cultivadas, el doctor Bloom y sus colegas confirmaron que beta-amiloide inducida, tau-dependiente del ciclo celular de re-entrada, se produce en el cerebro de los ratones que fueron genéticamente modificados para imitar cerebros de álzheimer humanos. Se halló que los cerebros de ratón acumulan un número masivo de neuronas que habían pasado de una parada del ciclo celular permanente, conocido como G0 (G cero), para G1, la primera etapa del ciclo celular, cuando tenían seis meses.</p> <p>Sorprendentemente, los ratones que carecían de idénticos genes funcionales tau no manifestaron ningún signo del ciclo celular de reentrada, lo que confirma los resultados de los cultivos celulares. El ciclo celular neuronal de reentrada, un paso clave en el desarrollo de la enfermedad de Alzheimer puede ser causada por la señalización de beta-amiloide a través de tau, por lo que beta-amiloide y tau co-conspiran para provocar acontecimientos seminales en la patogénesis de Alzheimer independientemente de su incorporación a las placas y los ovillos.</p> <p>Lo más importante, según estima el doctor Bloom, es que las proteínas quinasas activadas y las formas fosforiladas de tau identificados en este estudio representan objetivos potenciales para el diagnóstico precoz y el tratamiento de la enfermedad de Alzheimer.<br /> <a href="http://neurologia.diariomedico.com/2012/12/17/area-cientifica/especialidades/neurologia/neuronas-comienzan-morir-por-alzheimer-control-deficiente-del-ciclo-celular" target="_blank">diciembre 17/2012 (Diario Médico) </a></p> </span>
2012-12-18T11:51:25-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/454
Ciencia y Tecnología: Troncales de la grasa, posible terapia para el envejecimiento
2012-12-18T11:42:21-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las células madre del tejido adiposo podrían evitar la degeneración. Un experimento murino lo analiza, mientras llega la traslación clínica.</p> <p>El envejecimiento es inevitable, algo que no está reñido con que se pueda controlar. Según Antonio Ayala Gómez, catedrático y jefe del Grupo de Investigación Bioquímica del Envejecimiento de la Universidad de Sevilla (US), es posible con suplementos nutricionales, dietas, ejercicio y control del estrés; esas intervenciones mejoran las funciones, "pero nosotros vimos la necesidad de abrir un nuevo frente de batalla con las terapias celulares, ya que estudios clínicos manifiestan que las células madre adultas tienen un gran potencial para reparar tejidos dañados y mejorar los que han perdido su función". Aprovechando esa capacidad de las células madre -incluso cuando aún no se producen manifestaciones clínicas-, este grupo se planteó el uso de terapias celulares para el control del envejecimiento.</p> <p>La investigación, iniciada en 2011, se lleva a cabo en colaboración con dos clínicas de Sevilla, el Centro Andaluz de Biología Molecular y Medicina Regenerativa (Cabimer), el Hospital de Huesca y otros grupos de investigación internacionales. Los primeros resultados aparecen ya en la revista //Approaches to Aging Control: "Nuestra hipótesis de trabajo es que las células madre adultas obtenidas del organismo de una persona en edades tempranas se podrían congelar para su uso futuro, administrándolas posteriormente de forma local o sistémica. Una vez inyectadas en el organismo podrían tener la capacidad -viajando por los tejidos- de reparar eventuales daños y regenerar mucho antes de que haya una lesión incipiente".</p> <p>Proceso<br /> Para comprobar si una vez inyectadas las células se produce un rejuvenecimiento de los tejidos dañados, este grupo de Sevilla experimenta con cuarenta ratones de laboratorio, a los que se practica una liposucción; una vez aisladas y purificadas las células madre del tejido adiposo, se colocan en una placa de cultivo para expandirlas -un proceso que tarda aproximadamente 14 o 15 días- y después se congelan.</p> <p>Mientras tanto, a esos mismos ratones les inducen diferentes enfermedades (hepática, endotelial o pancreática) para aplicarles una inyección local o sistémica de células madre. "Antes de inyectarlas -para el seguimiento- se marcan, insertándoles mediante un lentivirus el gen de la proteína luciferasa. Hemos comprobado que las células están dando señales hasta ocho días", ha destacado.</p> <p>Pasado ese tiempo, se estudian los cortes histológicos murinos para ver el daño y el grado de protección obtenido con el tratamiento con células madre. Los resultados definitivos se tendrán en dos o tres meses.</p> <p>De momento, han realizado inyecciones locales y en enero aplicarán la inyección sistémica a otros cuarenta animales: "Es lo que más nos interesa, porque funcionaría como un tratamiento preventivo".</p> <p>La intención de estos investigadores es trasladar este trabajo al estudio clínico, pero en España no está permitido el uso de terapia celular fuera del quirófano. "Cuando demostremos que estas células son capaces de viajar, localizar y recuperar la zona dañada se abrirán muchas posibilidades para trasladarlo a la clínica", concluye.<br /> <a href="http://biotecnologia.diariomedico.com/2012/12/17/area-cientifica/especialidades/biotecnologia/actualidad/troncales-grasa-posible-terapia-envejecimiento" target="_blank">diciembre 17/2012 (Diario Médico)</a></p> </span> <br />
2012-12-18T11:42:21-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/453
Cáncer: Nuevas opciones terapéuticas para el mieloma múltiple
2012-12-18T11:38:26-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los resultados de un ensayo avanzado que compara opciones terapéuticas para mieloma múltiple refractario concluyen que el tratamiento que combina pomalidomida, un nuevo fármaco inmunomodulador, con bajas dosis de dexametasona puede ser superior al tratamiento con solo altas dosis de dexametasona en pacientes con enfermedad resistente y refractaria.</p> <p>Esta combinación ha mostrado una significativa supervivencia libre de progresión (quince semanas frente a ocho) y ventajas en supervivencia global en los mielomas más difíciles de tratar.</p> <p>Los datos, presentados en el Congreso de la Asociación Americana de Hematología (ASH2012) que se ha celebrado en Atlanta, avalarían un futuro tratamiento estándar para pacientes que han agotado todas las opciones disponibles.</p> <p>Combinaciones<br /> Actualmente el mieloma múltiple se controla con combinaciones de fármacos esteroideos, como dexametasona (para reducir la inflamación y regular la respuesta inmune) y terapias dirigidas, como el bortezomib y la lenalidomida (para inhibir el crecimiento y la reproducción del tumor). Sin embargo, muchos pacientes se vuelven resistentes a esas terapias y tienen un pronóstico fatal.</p> <p>En el estudio multicéntrico internacional dirigido por Meletios Dimopoulos, jefe del Departamento de Terapéuticas Clínicas en el Hospital Alexandra de Atenas, en el que también participan dos centros españoles (la Universidad de Salamanca y el Instituto Catalán de Oncología), se demuestra que la pomalidomida se dirige directamente a la enfermedad por diferentes vías: "No solo anima al sistema inmunológico a atacar y destruir las células del mieloma, sino que también previene el crecimiento de nuevos vasos sanguíneos e inhibe el crecimiento de las células del mieloma", según Dimopoulos.</p> <p>Por el contrario, otra investigación presentada, aún en fase I/II, se centra en pacientes de mieloma múltiple que no han sido tratados previamente, con el fin de facilitar un tratamiento oral más eficaz y con menos efectos secundarios que los actuales. Se trata de añadir un inhibidor oral del proteasoma (aún sin nombre y el primero para tratar el mieloma, el MLN9708) a los tratamientos estandarizados de lenalidomida y dexametasona.</p> <p>Terapias diana<br /> "Estamos buscando terapias diana más seguras y que se adapten mejor a los pacientes, y creemos que este inhibidor cumplirá tal objetivo", ha explicado Shaji Kumar, consultor de Hematología en la Clínica Mayo de Rochester y responsable del ensayo, recordando que se busca superar al bortezomib, que se administra con inyecciones y puede causar neuropatía periférica, lo que reduce la adherencia al tratamiento.</p> <p>Al rescate del paciente difícil<br /> Los estudios sobre nuevos agentes terapéuticos desvelados en la reunión ASH2012 se dirigen especialmente a las hematopatías malignas más difíciles de tratar por la resistencia de algunos subgrupos de pacientes y también a terapias más seguras y con vías de administración más asequibles. Los expertos los han definido como "oportunidades sin precedentes" para desarrollar nuevas terapias para atacar, bloquear y silenciar las mutaciones genéticas que causan formas letales de mielomas, leucemias y mielofibrosis, entre otras. Son nuevas perspectivas que revolucionarán los tratamientos, especialmente para los pacientes que ahora tienen pocas opciones de vida, buscando convertir la progresión de una enfermedad letal en un proceso crónico que pueda manejarse con las nuevas terapias para las neoplasias sanguíneas más agresivas.<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2012/12/14/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/opciones-terapeuticas-mieloma-multiple" target="_blank">diciembre 17/2012 (Diario Médico) </a></p> </span>
2012-12-18T11:38:26-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/452
Cáncer: Bajos niveles de adiponectina están asociados con mayor riesgo de cáncer de páncreas
2012-12-18T09:11:08-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Investigadores han encontrado una relación inversa estadísticamente significativa entre los niveles prediagnósticos de adiponectina plasmática, una hormona secretada por las células de grasa que tiene propiedades sensibilizantes a la insulina y antiinflamatorios, y el riesgo de cáncer de páncreas, según un estudio publicado recientemente en <strong><em>Journal of the National Cancer Institute</em></strong>.</p> <p>Los niveles bajos de adiponectina en plasma están asociados con la resistencia a la insulina que se manifiesta en la obesidad y la diabetes mellitus, ambos de los cuales son factores de riesgo para el cáncer de páncreas.</p> <p>Con el fin de determinar si los niveles prediagnósticos plasmáticos de adiponectina tienen relación con un mayor riesgo de cáncer de páncreas, los científicos reunieron los datos de cinco estudios prospectivos de cohortes de Estados Unidos, pareados y 468 casos de cáncer de páncreas sujetos con 1080 sujetos de control sanos por cohorte, año de nacimiento, tabaquismo, estado de ayuno y mes de la extracción de sangre.</p> <p>"Nuestros datos proporcionan evidencia adicional de un vínculo biológico entre la obesidad, la resistencia a la insulina y el riesgo de cáncer de páncreas y también sugieren un papel independiente de la adiponectina en el desarrollo del cáncer de páncreas", escriben los autores, Ying Bao, del Channing Laboratory del Hospital Brigham and Women y de la Escuela de Medicina de Harvard y sus colegas.</p> <p>En un editorial acompañante, Jianliang Zhang, profesor asociado de Oncología y Steven N. Hochwald, del Departamento de Oncología Quirúrgica del Roswell Park Cancer Institute: "La detección temprana de la evaluación de la adiponectina tiene el potencial de mejorar las tasas de supervivencia de los pacientes con tumores de páncreas. También se invita a especular que las intervenciones terapéuticas para aumentar los niveles circulantes de adiponectina puede prevenir el desarrollo de cáncer de páncreas".<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2012/12/17/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/bajos-niveles-adiponectina-estan-asociados-mayor-riesgo-cancer-pancreas" target="_blank">diario 17/2012 (Diario Médico)</a><br /> Ying Bao.<a href="http://jnci.oxfordjournals.org/content/early/2012/12/17/jnci.djs637.full?sid=97f5d846-8f7f-4444-a521-5ec00612295b" target="_blank"><em><strong> Low adiponcetin Associated With Increased Pancreatic Cancer Risk</strong></em></a>. <em>JNCI </em>2012, doi:10.1093/jnci/djs637.</p> <p>Ying Bao, Edward L. Giovannucci, Peter Kraft, Meir J. Stampfer, Shuji Ogino, Jing Ma, et. al. <a href="http://jnci.oxfordjournals.org/content/early/2012/12/13/jnci.djs474.abstract" target="_blank"><em><strong>A Prospective Study of Plasma Adiponectin and Pancreatic Cancer Risk in Five US Cohorts</strong></em></a> <em>JNCI</em> 2012, doi:10.1093/jnci/djs474.</p> </span>
2012-12-18T09:11:08-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/451
Medicamentos: La FDA aprueba un mayor uso para fármaco contra el cáncer de próstata
2012-12-13T05:14:23-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Zytiga muestra beneficios para el tratamiento de la enfermedad en etapa avanzada, señala la agencia</p> <p>El uso aprobado del fármaco Zytiga ha sido expandido para que incluya el tratamiento de los hombres con cáncer de próstata resistente a la terapia hormonal en etapa avanzada antes de que se sometan a quimioterapia, anunció la Administración de Drogas y Alimentos (FDA) de EE. UU.</p> <p>Inicialmente, Zytiga fue aprobado en abril de 2011 para el tratamiento de los pacientes de cáncer de próstata cuya enfermedad había avanzado tras el tratamiento con el fármaco de quimioterapia docetaxel.</p> <p>El medicamento reduce la producción de la testosterona, la hormona sexual masculina. En el cáncer de próstata, la testosterona estimula el crecimiento de los tumores de próstata. Los medicamentos o la cirugía se utilizan para reducir la producción de la testosterona o para bloquear los efectos de la hormona.</p> <p>Sin embargo, algunos hombres tienen lo que se conoce como cáncer de próstata "resistente a la castración" o resistencia a la terapia hormonal, lo que significa que las células del cáncer de próstata siguen creciendo incluso con niveles bajos de testosterona, explicó la FDA en un comunicado de prensa.</p> <p>La aprobación ampliada se basa en un estudio de 1088 hombres con cáncer de próstata de etapa final resistente a la terapia hormonal que tomaron Zytiga (acetato de abiraterona) o un placebo inactivo en combinación con otro fármaco llamado prednisona.</p> <p>La supervivencia general media fue de poco más de 35 meses para los pacientes que tomaron Zytiga y de unos 30 meses para los que tomaron el placebo, anotó la FDA.</p> <p>Los efectos secundarios más comunes entre los pacientes que tomaban Zytiga incluyeron fatiga, incomodidad en las articulaciones, inflamación producida por la retención de fluidos, sofocos, diarrea, vómitos, tos, hipertensión, falta de aire, infecciones del tracto urinario y hematomas.</p> <p>La ampliación de la aprobación de Zytiga se realizó bajo el programa de revisión prioritaria de la FDA, que ofrece una revisión acelerada de seis meses para los medicamentos que podrían ofrecer avances importantes en el tratamiento o proveer un tratamiento cuando no existe una terapia adecuada.</p> <p>"La aprobación demuestra el beneficio de evaluar más un fármaco en un escenario de una enfermedad menos avanzada, y provee a los pacientes y a los proveedores de atención de salud con la opción de usar Zytiga antes en el curso del tratamiento", señaló en el comunicado de prensa de la FDA el Dr. Richard Pazdur, director de la Oficina de Productos Farmacológicos Oncológicos del Centro de Evaluación e Investigación de Medicamentos de la FDA.<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_132140.html" target="_blank"><strong>diciembre 10/2012 (Medlineplus)</strong></a></p> <p><em><strong>FDA expands Zytiga's use for late-stage prostate cancer.</strong></em> <a href="http://www.fda.gov/NewsEvents/Newsroom/PressAnnouncements/ucm331492.htm" target="_blank"><em>U.S. Food and Drug Administration</em></a>, news release, Dic. 10, 2012</p> </span>
2012-12-13T05:14:23-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/450
Accidentes vasculares encefálicos: Asocian consumo de bebidas azucaradas con mayor riesgo de infarto cerebral
2012-12-13T04:45:30-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Según un estudio publicado en <a href="http://ajcn.nutrition.org/content/96/6/1390.abstract" target="_blank"><em><strong>American Journal of Clinical Nutrition</strong> </em></a>(doi: 10.3945/ajcn.112.037903), se demuestra que las mujeres que consumen refrescos azucarados casi todos los días son un 83% más propensas a padecer un tipo de accidente cerebrovascular (ACV) que aquellas que rara vez toman esas bebidas dulces. Estudios previos habían revelado una asociación entre el alto consumo de azúcar y la obstrucción arterial.</p> <p>Casi 40 000 personas respondieron un cuestionario sobre la alimentación, la salud y el estilo de vida en 1995 y en el año 2000. El equipo dividió a los participantes en cuatro grupos: los que rara vez tomaban bebidas gaseosas, los que consumían uno o dos vasos por semana, los que consumían entre tres y cuatro vasos por semana y los que ingerían refrescos casi todos los días. Los refrescos incluían gaseosas y jugos azucarados, y no las versiones dietéticas o los jugos 100% de fruta. El equipo determinó cuántos participantes desarrollaron enfermedad cardíaca o tuvieron un ACV desde el inicio del estudio hasta el 2008. Las mujeres fueron las más propensas a padecer un ACV si consumían un refresco casi todos los días, comparado con las que nunca lo hacían. En los hombres no se observó la misma relación. El efecto de los refrescos en el metabolismo explicaría el aumento del riesgo cardiovascular en las consumidoras frecuentes de estas bebidas.</p> <p>Los investigadores concluyen que existen pruebas suficientes contra las bebidas azucaradas como para justificar las medidas para reducir su popularidad y orientar a la población a optar por productos más saludables.<br /> <a href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=3812" target="_blank"><strong>diciembre 12/2012 (Neurologia.com)</strong> </a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Ehab S Eshak, Hiroyasu Iso, Yoshihiro Kokubo, Isao Saito, Kazumasa Yamagishi, Manami Inoue.<em><strong>Soft drink intake in relation to incident ischemic heart disease, stroke, and stroke subtypes in Japanese men and women: the Japan Public Health Centre-based study cohort</strong></em>.<a href="http://ajcn.nutrition.org/content/96/6/1390.abstract" target="_blank"><em>Am J Clin Nutr</em></a> Oct 17, 2012, <em> </em>vol. 96 no. 6 1390-1397</p> </span>
2012-12-13T04:45:30-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/449
Enfermedad de Alzheimer: La demencia se relaciona con la fragilidad en los ancianos
2012-12-13T04:40:42-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las personas de más de 90 años que tienen dificultades para caminar y sufren otras discapacidaes físicas son más propensas a padecer demencia, según un estudio reciente publicado en<a href="http://archneur.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1384979" target="_blank"><em><strong> Archives of Neurology</strong> </em></a>(doi:10.1001/jamaneurol.2013.583).</p> <p>La investigación incluyó a 629 personas que se sometieron a varias pruebas de capacidades físicas. La edad medoia de los participantes era de 94 años, y el 72.5% eran mujeres. Las pruebas incluyeron un paseo de cuatro metros, ponerse de pie, mantener el equilibrio de pie y la fuerza de agarre. Cuánto peor puntuaban los participantes en estas pruebas físicas, más probable era que presentaran una pérdida de capacidades mentales conocida como demencia (p < 0,001). Los resultados revelan que incluso los declives modestos en el rendimiento físico se asociaban con un aumento en la probabilidad de demencia. La asociación más firme se observó con la ralentización del paso, seguido de la capacidad de ponerse de pie cinco veces partiendo sentado en una silla, la fuerza de agarre y el equilibrio de pie.</p> <p>Investigaciones anteriores habían sugerido una relación entre una reducción de las capacidades físicas y problemas de memoria y cognitivos en los adultos mayores de menos edad. El estudio concluye que se necesita más investigación para determinar si el declive en las capacidades físicas contribuye al deterioro cognitivo y si es un factor de riesgo modificable para la demencia en la edad avanzada.<br /> <a href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=3809" target="_blank"><strong>diciembre 10/2012 (Neurologia.com)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Szofia S. Bullain, Maria M. Corrada, Barbara Agee Shah, Farah H. Mozaffar, Martina Panzenboeck, Claudia H. Kawas.<em><strong>Poor Physical Performance and Dementia in the Oldest OldThe 90+ Study</strong></em> .<em>Arch Neurol</em>. 2012;():1-7.</p> </span>
2012-12-13T04:40:42-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/448
Ciencia y Tecnología: Nuevo método para la obtención de células madre utilizadas en el reemplazo óseo
2012-12-12T04:36:32-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las células madre mesenquimatosas humanas (hMSC) se pueden convertir en células óseas y son útiles para la ingeniería y la regeneración de tejidos. Sin embargo, cuando se cultivan en el laboratorio pierden rápidamente su capacidad para seguir dividiéndose y mueren. En un artículo publicado en <em><strong>BioResearch</strong> </em>Open Access se describe un método para las hMSC manipuladas por ingeniería genética para hacerlas inmortales y que conserven su capacidad de convertirse en células óseas.</p> <p>D.S. Bischoff, N.S. Makhigani y DT Yamaguchi de la Veterans Administration Greater Los Ángeles Healthcare System y The David Geffen School of Medicine at University of California, Los Ángeles, insertaron un gen llamado telomerasa humana (TERT) en las hMSC. Los autores proporcionaron evidencia para apoyar la capacidad delTERT humano para mejorar la capacidad de crecimiento de las hMSCs en el artículo "Expresión constitutiva de la telomerasa humana aumenta el potencial de proliferación de las células madre mesenquimatosas humanas". Ellos demostraron que fueron capaces de producir una línea celular estable de hMSC que puede crecer en cultivo a través de divisiones celulares repetidas y que las células madre pueden diferenciarse en osteoblastos para su uso potencial en aplicaciones de ingeniería ósea.</p> <p>La generación de una línea de células madre mesenquimatosas humana estable que retiene el potencial osteoblástico y adipogénico tiene importantes beneficios para los estudios de ingeniería ósea, particularmente aquellos que requieren un gran número de células", dice el editor jefe Jane Taylor, PhD, en la MRC Centre for Regenerative Medicine, University of Edinburgh, Scotland.<br /> <a href="http://www.liebertpub.com/global/pressrelease/new-method-for-creating-long-lived-stem-cells-used-for-bone-replacement-reported-in-bioresearch-open-access/1166/" target="_blank">diciembre 11/2012 (Eurekalert)</a></p> <p>David S. Bischoff, Nalini S. Makhijani, Dean T. Yamaguchi. <a href="http://online.liebertpub.com/doi/full/10.1089/biores.2012.0252" target="_blank"><em><strong>Constitutive Expression of Human Telomerase Enhances the Proliferation Potential of Human Mesenchymal Stem Cells</strong></em></a>.<em> BioResearch</em> Open Access 2012, doi:10.1089/biores.2012.0252.</p> </span>
2012-12-12T04:36:32-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/447
Ciencia y Tecnología: Medicina regenerativa, a la vanguardia del estudio de las neuropatologías
2012-12-12T04:28:06-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Será el primero de una serie de ensayos que se iniciarán en centros europeos en los próximos diez años para comprobar la eficacia de la terapia celular en esta enfermedad neurodegenerativa. Los resultados de este trabajo, denominado "Transeuro", repercutirán inevitablemente en la investigación en otras enfermedades neurológicas, como la enfermedad de Alzheimer. Es este uno de los campos donde la medicina regenerativa ha causado más expectativas, por cuanto no existen tratamientos definitivos.</p> <p>No obstante, anteriores intentos no han salido airosos, como los realizados a principios de 2000 en varios centros estadounidenses, que concluyeron con el fallecimiento de los enfermos con párkinson. Los investigadores suecos prefieren obviar esos trabajos, en los que encuentran problemas metodológicos, y remitirse a los que llevaron a cabo en sus propios centros durante las décadas de 1980 y 1990; en aquellas experiencias, se llegó a demostrar una serie de beneficios significativos al retirar la terapia farmacológica en un tercio de los pacientes durante largos peridos de tiempo, llegando incluso a los veinte años.</p> <p>Con igual esperanza se observan los trabajos de terapia celular en la lesión medular; aquí la investigación aún se encuentra en fases experimentales. Uno de los últimos estudios publicados, en la revista <strong><em>Brain</em></strong>, ha empleado células de glía envolvente olfatoria para tratar el daño medular en perros.</p> <p>Epitelio olfatorio<br /> El trabajo, dirigido por Robin Franklin, del Instituto de Células Madre de la Universidad de Cambridge, ha estudiado a los animales que habían sufrido una lesión grave en la médula espinal que les impedía utilizar las patas. Transcurrido un año desde el accidente, los investigadores inyectaron las células ubicadas en el epitelio olfatorio canino en la zona dañada y compararon su efecto con otros animales.</p> <p>La mejoría constatada en los animales tratados con la terapia celular no se observó en los animales del grupo control. Los buenos resultados han permitido el inicio de un ensayo en fase I que también ha concluido avalando la seguridad del procedimiento.<br /> <a href="http://biotecnologia.diariomedico.com/2012/12/10/area-cientifica/especialidades/biotecnologia/actualidad/medicina-regenerativa-cabeza-estudio-neuropatologias" target="_blank">diciembre 11/2012 (Diario Médico) </a></p> <p>Nicolas Granger, Helen Blamires, Robin J. M. Franklin, Nick D. Jeffery. <a href="http://brain.oxfordjournals.org/content/135/11/3227.full?sid=897e67b0-199e-4e16-90b9-5c32c9784bbd" target="_blank"><em><strong>Autologous olfactory mucosal cell transplants in clinical spinal cord injury: a randomized double-blinded trial in a canine translational model</strong></em></a>. <em>Brain</em> (2012) 135(11): 3227-3237, doi:10.1093/brain/aws268.</p> </span>
2012-12-12T04:28:06-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/446
Ciencia y Tecnología: Deterioro cognitivo causado por la falta de sueño
2012-12-10T04:55:18-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Se ha hallado una vía molecular en el cerebro que es la responsable del deterioro cognitivo que se produce por la falta de sueño. Los autores creen que los déficit cognitivos causados por privación del sueño, como son la incapacidad de concentración o los problemas con el aprendizaje y la memoria, pueden ser reversibles al reducir la concentración de una enzima específica que se acumula en el hipocampo del cerebro.</p> <p>Los resultados, publicados en la revista <strong><em>Nature</em></strong>, muestran que los ratones privados del sueño presentan unos mayores niveles de la enzima PDE4 y menores de AMPc, una molécula importante en la formación de nuevas conexiones sinápticas en el hipocampo, que los que duermen correctamente.</p> <p>Tratando a los ratones con inhibidores de la PDE4, encargado de reducir el déficit de cAMP inducido por la privación de sueño, la plasticidad sináptica y la memoria dependiente del hipocampo. Esto reduce las deficiencias en las conexiones sinápticas en el hipocampo y, por lo tanto, contrarresta algunas de las consecuencias que tiene la falta de sueño sobre la memoria.<br /> <a href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=1861" target="_blank">diciembre 9/2012 (Neurología.com) </a></p> <p><strong>Información relacionada</strong>:</p> <p>V Wiescholleck, D Manahan-Vaughan. <a href="http://www.nature.com/tp/journal/v2/n3/full/tp201217a.html" target="_blank"><em><strong>PDE4 inhibition enhances hippocampal synaptic plasticity in vivo and rescues MK801-induced impairment of long-term potentiation and object recognition memory in an animal model of psychosis</strong></em></a>. <em>Translational Psychiatry</em> 2012, doi:10.1038/tp.2012.17.</p> </span>
2012-12-10T04:55:18-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/445
Tabaquismo: Dejar de fumar alivia molestias de dolores de espalda
2012-12-10T04:30:26-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un nuevo estudio, publicado en <strong><em>Journal of Bone and Joint Surgery</em></strong>, muestra que los fumadores que sufren trastornos de la columna vertebral con dolores de espalda, experimentan menos molestias una vez que dejan de fumar durante al menos ocho meses, en comparación con aquellos que continuan fumando.</p> <p>Dado que el tabaquismo ha sido identificado como un factor de riesgo modificable de varios trastornos con dolor crónico, los investigadores revisaron el historial de tabaquismo y los dolores experimentados por más de 5300 pacientes con dolor espinal o radicular por un trastorno vertebral, tratado quirúrgicamete o no, durante más de ocho meses.</p> <p>En el momento de empezar el tratamiento, los pacientes que nunca habían fumado experimentaban menos dolores que los fumadores habituales y, aquellos que habían dejado de fumar durante el periodo de estudio. Los fumadores habituales tenían dolores significativamente más fuertes en todas las escalas analógicas visuales, en comparación con aquellos que nunca habían fumado.</p> <p>"Sabemos que la nicotina incrementa el dolor", comenta el autor del estudio Glenn R. Rechtine, del Departamento de Ortopedia de la Universidad de Rochester, Estados Unidos. "En este estudio, si se dejaba el tabaco durante el tratamiento, el paciente se encontraba mejor. Si continuaban fumando, no había mejorías estadísticamente significativas, sin tener en cuenta el tratamiento. Básicamente, la probabilidad de mejorar el tratamiento está bastante disminuida si se es fumador".<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/2012/12/07/area-profesional/entorno/dejar-fumar-alivia-molestias-dolores-espalda" target="_blank">diciembre 9/2012 (Diario Médico) </a></p> <p>Caleb Behrend, Mark Prasarn, Ellen Coyne, MaryBeth Horodyski, John Wright, Glenn R. <a href="http://jbjs.org/article.aspx?articleid=1378036" target="_blank"><em><strong>Rechtine. Smoking Cessation Related to Improved Patient-Reported Pain Scores Following Spinal Care</strong></em></a>. <em> J Bone Joint Surg</em>, 2012; 94(23):2161-2166. doi: 10.2106/JBJS.K.01598.</p> </span>
2012-12-10T04:30:26-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/444
Cáncer: Un 50% de los tumores se tratarán con medicina personalizada en la próxima década
2012-12-08T07:26:04-05:00
Revista Finlay
<p>A partir de la próxima década, la mitad de los tumores se tratarán mediante medicina personalizada, es decir, mediante fármacos específicos diseñados en función de las características genéticas de cada paciente. Ésta es una de las conclusiones del Congreso sobre Medicina Personalizada del Cáncer, que ha reunido hasta este martes a 200 investigadores en L'Hospitalet de Llobregat (Barcelona), convocados por el Instituto de Investigación Biomédica de Bellvitge (Idibell).<br /> <br /> El investigador Manel Esteller ha explicado a Europa Press que "no todos los tumores son iguales, aunque lo parezcan a vista de microscopio", ya que un tumor de mama y uno de colon tienen alteraciones genéticas diferentes y ello hace que se busquen fármacos específicos dirigidos a esta alteración y que no afecten a la célula sana.<br /> <br /> Según Esteller, actualmente, sólo un 10% de los tumores son tratados de forma personalizada, pero "en la próxima década pasarán a ser el 50% porque conoceremos la alteración genética que lo hace más débil".<br /> <br /> El avance más notable realizado durante los últimos años en el tratamiento del cáncer ha sido la irrupción de nuevos fármacos que permiten una quimioterapia más "moderna" que evita parte de los efectos secundarios.<br /> <br /> Entre otras innovaciones, el doctor Esteller destaca "los avances en el campo de las leucemias y los linfomas, donde hay leucemias que, por su alteración genética, deben recibir un fármaco determinado".<br /> <br /> El congreso celebrado en L'Hospitalet ha contado con una veintena de ponentes destacados en investigación oncológica, especialmente en el estudio de los perfiles genéticos y epigenéticos que permiten personalizar el tratamiento de los pacientes y desarrollar nuevos fármacos.</p><p>Tomado de <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/50/tumores/trataran/medicina/personalizada/proxima/decada/_f-11+iditem-18639+idtabla-1" target="_blank">jano</a></p>
2012-12-08T07:26:04-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/443
Cardiopatía Isquémica: La hipotermia a 32 ºC reduce las secuelas cerebrales de una parada cardíaca en el 44% de los casos
2012-12-08T07:23:16-05:00
Revista Finlay
<p>Una de las complicaciones que surgen después de restablecer el latido tras una parada cardiaca, es la elevada posibilidad de sufrir secuelas neurológicas como consecuencia de la falta de riego sanguíneo en el cerebro. Concretamente, dos tercios de los supervivientes acaban sufriendo algún tipo de disfunción cerebral, desde una leve discapacidad hasta la muerte cerebral.<br /> <br /> Ahora, científicos de la Sociedad Española de Cardiología y el Hospital La Paz han reducido esa posibilidad mediante el enfriamiento del cerebro entre 32 ºC y 34 ºC durante las horas siguientes a la reanimación cardiaca (hipotermia terapéutica). “Existen diferentes técnicas para disminuir la temperatura corporal, desde cubitos de hielo a suero helado o incluso una manta térmica. Pero hace un tiempo que las nuevas tecnologías (como los métodos endovasculares) han permitido ajustar la temperatura cerebral de forma exacta, lo que nos ha llevado a plantearnos qué temperatura es más eficaz, si 32 o 34 grados”, explica el Dr. Esteban López de Sá, miembro de la Sociedad Española de Cardiología (SEC) y responsable de la Unidad Coronaria del Hospital La Paz, de Madrid.<br /> <br /> Ante ello, un equipo de investigadores liderados por el Dr. Esteban López de Sá decidió realizar un estudio piloto para comprobar qué temperatura mejoraba la supervivencia de estos infartos. Así, tras estudiar a 36 pacientes y regular su temperatura mediante un método automático endovascular que consiste en implantar un catéter en la vena cava inferior, donde se hinchan unos balones con suero helado que permiten enfriar la sangre más o menos según la temperatura del paciente, se ha comprobado que existe un mejor pronóstico en los pacientes que se someten a 32º C que en que lo hacen a 34 ºC. Concretamente, la supervivencia de los primeros, a los seis meses del tratamiento, fue del 44%, frente al 11% de los segundos.<br /> <br /> “El estudio nos ha permitido comprobar, además, que los pacientes que peor pronóstico presentan son aquellos cuyo ritmo inicial es de asistolia (ausencia de actividad eléctrica en el miocardio), frente aquellos que presentan fibrilación ventricular”, afirma este especialista. <br /> <br /> El trabajo 'Hypothermia in Comatose Survivors from Out-of-Hospital Cardiac Arrest' ha sido publicado en la revista <em>Circulation </em>y presentado en la reciente reunión anual de la American Heart Association. Sus resultados han sido muy bien acogidos por la comunidad científica. “Hemos recibido muchas felicitaciones por este estudio, no solo por la iniciativa de emprenderlo ni por la dificultad de llevarlo a cabo, sino también por lo que podrá significar en el tratamiento de los pacientes que han sobrevivido a un paro cardiaco”, concluye el Dr. López de Sá.</p> <br /><br /><a href="http://circ.ahajournals.org/content/early/2012/11/06/CIRCULATIONAHA.112.136408.abstract?sid=46f24dc6-362c-4986-a358-12dd3323247b" target="_blank">Circulation (2012); doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.112.136408 </a>
2012-12-08T07:23:16-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/442
Diabetes Mellitus: Niveles altos de insulina pueden provocar aumento de peso
2012-12-08T07:02:16-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Según los datos de un estudio realizado en ratones y publicado e<a href="http://www.cell.com/cell-metabolism/abstract/S1550-4131%2812%2900453-6http://" target="_blank"><em><strong>n Cell Metabolism</strong></em></a> (doi:10.1016/j.cmet.2012.10.019), la obesidad se desarrolla como consecuencia de los niveles altos crónicos de insulina y no al contrario, como dice la creencia generalizada.</p> <p>Este estudio intenta, por tanto, demostrar que el aumento de la insulina es una consecuencia secundaria de la obesidad y la resistencia a la insulina. Esta nueva investigación ayuda por tanto a solucionar este dilema demostrando que los animales con la insulina baja persistentemente se mantienen en forma incluso ingiriendo alimentos ricos en grasas. "Los resultados son una de las primeras evidencias en mamíferos de que la insulina circulante conduce a la obesidad por sí misma", comentan los autores.</p> <p>Los resultados son también importantes con los estudios clínicos ya que demuestran que la utilización a largo plazo de insulina por las personas con diabetes tiende a conllevar un aumento de peso, según comenta James Johnson, de la Universidad de Columbia Británica, en Canadá.</p> <p>Johnson y su equipo aprovecharon la peculiaridad genética de los ratones de tener dos genes de la insulina. El Insulin1 es predominante en el pancreas y el Insulin2 aparece también en el cerebro. Eliminando el gen Insulin2 totalmente y variando el número de copias buenas de Insulin1, los investigadores crearon ratones que variaban solamente en sus niveles de insulina en sangre en ayunas. Ante la comida alta en grasas, aquellos con una copia y la insulina baja en ayunas estuvieron completamente protegidos de la obesidad, incluso sin ninguna pérdida de apetito.<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2012/12/07/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/la-insulina-alta-puede-provocar-aumento-de-peso" target="_blank"><strong>diciembre 7/2012 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Arya E. Mehran, Nicole M. Templeman, G. Stefano Brigidi, Gareth E. Lim, Kwan-Yi Chu, Xiaoke Hu, Jose Diego Botezelli, Ali Asadi, Bradford G. Hoffman, Timothy J. Kieffer et al.<em><strong> Hyperinsulinemia Drives Diet-Induced Obesity Independently of Brain Insulin Production.</strong></em><strong></strong><em>Cell Metabolism</em> 16(6) pp. 723 - 737.5 December 2012</p> </span>
2012-12-08T07:02:16-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/441
Diabetes Mellitus: Genes asociados a bajo peso al nacer, baja estatura y diabetes tipo 2
2012-12-05T21:42:08-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un trabajo, que se publica en <strong><em>Nature Genetics</em></strong>, desvela cuatro regiones genéticas (HMGA2, LCORL, ADRB1 y un locus en el cromosoma 5) que contribuyen en el bajo peso al nacer. Tres de ellas influyen también en el metabolismo adulto y parece que tienen un papel en la aparición, a largo plazo, de la talla baja adulta, la diabetes tipo 2 (DM2) y la hipertensión arterial.</p> <p>"Este amplio estudio aporta nuevas pruebas sobre el fuerte papel de los genes en el crecimiento fetal", dice uno de los coordinadores, Struan F. A. Grant, director asociado del Centro de Genómicas Aplicadas en el Hospital Infantil de Filadelfia. "El efecto acumulativo de los genes resulta sorprendentemente fuerte; es equivalente al del tabaquismo materno, que es un factor reconocido en el bajo peso del nacimiento. Ahora además, sabemos que esto eleva el riesgo de sufrir diversos trastornos en la edad adulta".</p> <p>El metanálisis se ha llevado a cabo con datos de cerca de 70 000 individuos, de cincuenta estudios. Es el segundo trabajo más amplio que se publica sobre peso al nacer, elaborado por el Consorcio de Genética en el Nacimiento Prematuro. "Aporta información clave sobre los mecanismos implicados en el crecimiento intraútero", apunta la primera firmante, Rachel M. Freathy, de la Universidad de Exeter.</p> <p>Entre los muchos centros que participan están el Centro para la Investigación en Epidemiología Medioambiental (Creal), el Instituto de Investigación del Hospital del Mar (IMIM), el Centro de Regulación Genómica (CRG) y la Universidad Pompeu Fabra (UPF), todos ellos en Barcelona, así como la Universidad de Zaragoza y el Ciber de Epidemiologia y Salud Pública (CiberESP).<br /> <a href="http://genetica.diariomedico.com/2012/12/03/area-cientifica/especialidades/genetica/genes-asociados-bajo-peso-nacer-estatura-corta-y-dm2" target="_blank">diciembre 4/2012 (Diario Médico) </a></p> <p>Momoko Horikoshi, Hanieh Yaghootkar, Dennis O Mook-Kanamori, Ulla Sovio, H Rob Taal, et al. <a href="http://www.nature.com/ng/journal/vaop/ncurrent/full/ng.2477.html" target="_blank"><em><strong>New loci associated with birth weight identify genetic links between intrauterine growth and adult height and metabolism</strong></em></a>. <em>Nature Genetics</em> 2012, doi:10.1038/ng.2477 .</p> </span>
2012-12-05T21:42:08-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/440
Ciencia y Tecnología: Demuestran que no todas las células madre son igual de eficaces para su empleo en medicina regenerativa
2012-11-27T15:45:51-05:00
Revista Finlay
<p>Científicos de las Universidades de Granada y Alcalá de Henares han demostrado que no todas las células madre que se aíslan en un laboratorio tienen la misma eficacia a la hora de emplearlas en medicina regenerativa y en la construcción de tejidos artificiales. En un trabajo publicado recientemente en la revista Tissue Engineering han demostrado que, en contra de los que se pensaba hasta ahora, únicamente un grupo de las células madre extraídas del cordón umbilical y mantenidas en cultivo en el laboratorio son útiles para su posterior aplicación terapéutica.<br /> <br /> En la actualidad, el cordón umbilical constituye una importante fuente de células madre para la medicina regenerativa y la construcción de tejidos artificiales. De los distintos tipos de células madre existentes en el cordón, las denominadas 'células madre de la gelatina de Wharton' están despertando un gran interés en la medicina regenerativa debido a su fácil accesibilidad, su gran potencial para diferenciarse hacia tejidos muy distintos y sus propiedades inmunológicas.<br /> <br /> Mediante una combinación de experimentos que conllevan investigaciones microscópicas y microanalíticas, y el estudio de los genes implicados en la viabilidad celular, los investigadores han establecido que sólo un grupo de las células madre extraídas del cordón y mantenidas en cultivo en el laboratorio son útiles para su aplicación terapéutica.<br /> <br /> <strong>Células más idóneas</strong><br /> <br /> La importancia del trabajo, que la revista destaca como el más relevante de su último número, radica en la posibilidad de seleccionar para la ingeniería tisular y la medicina regenerativa las células madre más idóneas y eficaces de la gelatina de Wharton del cordón umbilical. El artículo explica por qué se han obtenido hasta ahora resultados contradictorios cuando se utilizaban estas células, ya que no se había seleccionado previamente en dicha población el grupo de células más idóneas. <br /> <br /> La investigación realizada en la UGR abre la posibilidad de seleccionar también subgrupos de células en otras poblaciones de células madre de tejidos diferentes para aumentar la eficacia terapéutica en distintos protocolos de medicina regenerativa.<br /> <br /> El grupo de investigación de Ingeniería Tisular del departamento de Histología de la Universidad de Granada, que ha realizado el trabajo y que dirige el profesor Antonio Campos Muñoz, es el mismo que recientemente ha construido córnea y piel artificial utilizando células madre y nuevos biomateriales desarrollados en Granada.<br /> <br /> Forman también parte del grupo granadino los profesores Miguel Alaminos Mingorance e Ingrid Garzón. Esta última fue ya premiada en el Congreso Mundial de Ingeniería Tisular y Medicina Regenerativa celebrado en Seúl por un trabajo preliminar al que ahora acaba de ser publicado.</p><p><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/demuestran/no/todas/celulas/madre/igual/eficaces/empleo/medicina/regenerativa/_f-11+iditem-18570+idtabla-1" target="_blank">Tomado de Jano</a></p>
2012-11-27T15:45:51-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/439
Enfermedad de Alzheimer: Logran científicos bloquear síntomas del alzhéimer en ratones
2012-11-27T15:31:00-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una investigación de la clínica universitaria berlinesa Charité y la universidad suiza de Zurich encontró que el bloqueo de una molécula del sistema inmunológico frena las síntomas de la enfermedad de Alzheimer en los ratones.</p> <p>En Alemania y Suiza un total de un millón y medio de personas sufren de alzhéimer, una enfermedad cuyas causas aún no son aclaradas. Respecto a los resultados que se dieron a conocer este lunes en esas dos instituciones, queda por investigar si los logros conseguidos en ratones de laboratorio se puede reproducir en los hombres.</p> <p>Muchas investigaciones acerca del alzhéimer se centran de momento en la fase de brote, es decir tras la aparición de los primeras síntomas. En el centro de esta investigación fue analizado el papel de algunas proteínas que funcionan como mensajeros químicos: las interleucinas.</p> <p>La investigación del equipo suizo-alemán apareció en el más reciente número de la revista especializada <strong><em>Nature Medicine</em> </strong>y en ella los científicos coordinados por Frank Heppner y Burkhard Becher estudiaron el papel de las proteínas IL-12 e IL-23.</p> <p>"El punto de partida fue que los ratones con alzéhimer producen de manera más fuerte las interleucinas 12 y 23", dijo Frank Heppner, del instituto de Neuropatologías del complejo hospitalario y de institutos de investigación médica, Charité, en Berlín.</p> <p>Ambas sustancias contienen la molécula inmunológica p40. Los científicos tomaron en consideración ratones que no podían producir la molécula.</p> <p>En el cerebro de dichos animales, los investigadores encontraron el 65 % menos de depósitos de beta-amiloide, una proteína típica del alzhéimer tanto en ratones como en personas.</p> <p>En ulteriores experimentos los científicos inyectaron directamente a ratones con alzhéimer, anticuerpos contra la p40 en la sangre y en el cerebro. Los que recibieron la inyección en el cerebro mejoraban su memoria.</p> <p>Los científicos admitieron que los mecanismos de la p40 tienen que ser mejorados pero se dijeron seguros de la posibilidad de poder construir un puente entre los ratones y los seres humanos para el tratamiento de esta enfermedad.</p> <p>En una pequeña investigación separada, los expertos analizaron los líquidos cerebrales de 30 pacientes con alzhéimer y 20 normales y encontraron una relación entre los valores de p40 y las prestaciones cerebrales de los participantes.</p> <p>"Los resultados se completan con una investigación estadunidense que encontró valores mayores de p40 en el suero sanguíneo de pacientes con alzhéimer", dijo Heppner.</p> <p>El paso sucesivo será aclarar si los anticuerpos contra la p40 ayudan también a los hombres, la ventaja es que dichos anticuerpos se utilizan ya contra la psoriasis.</p> <p>El Alzhéimer es una enfermedad degenerativa que se manifiesta con el deterioro progresivo de las capacidades cognitivas y con trastornos de conducta. Afecta con mayor frecuencia personas mayores de 65 años.<br /> noviembre 26/2012 (Notimex)</p> <p>Johannes vom Berg, Stefan Prokop, Kelly R Miller, Juliane Obst, Roland E Kälin, et al.<a href="http://www.nature.com/nm/journal/vaop/ncurrent/full/nm.2965.html" target="_blank"><em><strong> Inhibition of IL-12/IL-23 signaling reduces Alzheimer's disease-like pathology and cognitive decline</strong></em></a>.<em> Nature Medicine</em> 2012, doi:10.1038/nm.2965 .</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2012-11-27T15:31:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/438
Factores de riesgo cardiovascular: Relacionan abortos espontáneos con riesgo de afecciones cardiacas
2012-11-23T16:54:37-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un estudio halló que el endurecimiento de las arterias es más común en las mujeres que han perdido más embarazos</p> <p>Un estudio reciente halla que las mujeres que han sufrido una o más pérdidas del embarazo están en mayor riesgo de endurecimiento de las arterias (aterosclerosis), lo que puede llevar a problemas como el ataque cardiaco y el accidente cerebrovascular (ACV).</p> <p>El estudio será presentado en la reunión anual de la Asociación Americana del Corazón (American Heart Association), en Los Ángeles.</p> <p>Los investigadores observaron los datos de salud de más de un millón de mujeres danesas para examinar la asociación entre el aborto espontáneo y el ataque cardiaco, el ACV o la hipertensión renovascular, que es la hipertensión provocada por el estrechamiento de las arterias que llevan sangre a los riñones.</p> <p>En comparación con las mujeres que no habían experimentado pérdidas, las mujeres que habían perdido un embarazo tenían un 11 % más probabilidades de sufrir un ataque cardiaco. El riesgo fue de más del doble en las mujeres que habían sufrido cuatro o más pérdidas del embarazo, según un comunicado de prensa de la asociación cardiaca.</p> <p>Las mujeres que sufrieron un aborto espontáneo tenían un riesgo de ACV un 13 % más alto, y las que sufrieron cuatro o más pérdidas tenían un riesgo un 89 % más elevado.</p> <p>Las mujeres que sufrieron una pérdida del embarazo tenían un riesgo de hipertensión renovascular un 15 % más alto, y entre las que sufrieron cuatro o más abortos el riesgo casi se cuadruplicaba.</p> <p>Cada pérdida del embarazo adicional sufrida por una mujer llevaba a un aumento del 9 % en el riesgo de ataque cardiaco, a un aumento del 13 % en el riesgo de ACV, y a un aumento del 19 % en el riesgo de hipertensión renovascular.</p> <p>Aunque el estudio halló una asociación entre el número de abortos espontáneos y ciertos riesgos cardiacos, no probó una relación causal. Debido a que este estudio se presentó en una reunión médica, sus datos y conclusiones deben ser considerados como preliminares hasta que se publiquen en una revista revisada por profesionales.<br /> <a href="http://consumer.healthday.com/espanol/Article.asp?AID=670489" target="_blank"><strong>noviembre 6/2012 (HealthDay News)</strong></a></p> </span>
2012-11-23T16:54:37-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/437
Nutrición: El ejercicio físico a temperaturas extremas incrementa las necesidades de hidratos de carbono un 76%
2012-11-23T16:08:23-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Expertos en medicina del deporte recuerdan que, a la hora de hidratarse, los deportistas han de primar los líquidos que aporten la cantidad necesaria de hidratos de carbono y sodio, el electrolito que más se pierde durante la sudoración.</p> <div class="content"><p>El ejercicio físico a temperaturas extremas incrementa las necesidades de hidratos de carbono en un 76 por ciento, han señalado expertos durante el simposio 'Hidratación adecuada ante diferentes circunstancias', enmarcado en el XIV Congreso Nacional de la Federación Española de Medicina del Deporte, que tiene lugar estos días en Santander.<br /> <br /> Estas necesidades pueden ser cubiertas con la ingesta de bebidas, aunque su eficacia dependerá en gran parte de la cantidad y tipo de hidratos de carbono que contengan.<br /> <br /> En general, si la práctica de actividad física es intensa, de larga duración, y se desarrolla en condiciones ambientales de calor y humedad, la pérdida de líquido que conlleva en el organismo puede desencadenar en estrés térmico; alteración de la cognición y de la función cardiovascular; aparición de fatiga y, consecuentemente, en un deterioro en el rendimiento físico.<br /> <br /> Por ello, la jefe de Servicio de Medicina, Endocrinología y Nutrición del Centro de Medicina del Deporte del Consejo Superior de Deportes, Nieves Palacios, aconseja a los deportistas una hidratación y alimentación adecuada.<br /> <br /> <strong>Importancia del sodio</strong><br /> <br /> En su hidratación, los deportistas han de primar los líquidos que aporten la cantidad necesaria de hidratos de carbono y sodio, el electrolito que más se pierde durante la sudoración y fundamental para mantener el equilibrio de los fluidos celulares.<br /> <br /> "Bebidas con esta composición son recomendables para todas aquellas actividades deportivas de duración superior a una hora", ha señalado, por su parte, la doctora Juana Morillas, profesora de la Facultad Ciencias de la Salud y Actividad Física de la Universidad Católica San Antonio.<br /> <br /> A su juicio, cuando el ejercicio físico es prolongado, es conveniente incluir hidratos de carbono en la bebida, ya que existen "hechos demostrados científicamente" que demuestran que la aparición de fatiga responde a la disminución en el organismo de hidratos de carbono y a la aparición de deshidratación debido a la perdida de agua y electrolitos a través del sudor.<br /> <br /> Para la doctora Raquel Blasco, especialista en Medicina Interna del Centro Regional de Medicina Deportiva de Castilla y León (Valladolid), la fórmula de la bebida debe incluir hidratos de carbono y electrolitos en cantidad suficiente para promover las respuestas fisiológicas que mejoren el rendimiento del deportista y contrarrestar la sensación de fatiga.<br /> <br /> En sus palabras, una correcta reposición de líquidos y electrolitos dependerá fundamentalmente de que el deportista aprenda desde el entrenamiento a hidratarse correctamente; de que la ingesta de líquidos se realice en pequeñas cantidades y de la formulación y composición de la bebida que ingiera el deportista.</p></div>
2012-11-23T16:08:23-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/436
Nutrición: Las personas que consumen pan diariamente tienen menos poblemas cardiovasculares
2012-11-23T16:05:00-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las personas que consumen pan a diario, dentro de una dieta equilibrada, presentan unos parámetros clínicos más saludables desde el punto de vista cardiovascular, en comparación con las que no lo consumen o no lo hacen de forma regular, según el estudio Predimed, desarrollado por investigadores del programa Ingenio-consolider de Alimentos Funcionales, del departamento de Nutrición y Bromatología de la Facultad de Farmacia de la Universidad de Barcelona.</p> <p>El estudio, que se engloba dentro de la campaña Pan cada día, pretende dar a conocer los beneficios de la dieta mediterránea, y ha analizado la importancia del consumo de pan, como parte de esta dieta, en una población de edad avanzada con alto riesgo cardiovascular.</p> <p>Para realizar la investigación se seleccionaron 275 voluntarios de entre 55 y 80 años, que no tenían una enfermedad cardiovascular diagnosticada, pero que sí padecían algún factor de riesgo cardiovascular como hipertensión arterial, tabaquismo o sobrepeso. Los participantes cumplimentaron encuestas y se les clasificó en cinco grupos en función de sus hábitos de consumo de pan, considerando consumidores habituales a aquellos que ingerían entre una y siete raciones diarias, cada una de ellas de 75 gramos.</p> <p>"Se ha llevado a cabo un estudio metabolómico, que ha permitido identificar los factores que están detrás de los efectos positivos en el consumo de pan. Además, en aquellas personas que consumen más de una ración al día de la forma integral, se ha apreciado una disminución de insulina, ya que gracias a la fibra, la entrada de azúcar en el organismo es más lenta", ha explicado Rafael Llorach Asunción, director de la investigación.</p> <p>Los autores del estudio, tras analizar los datos extraídos, observaron que las personas que consumen pan todos los días tienen un perfil lipídico más saludable que los no consumidores o aquellos que lo ingieren de forma esporádica. Además, los datos reflejaron una menor concentración plasmática de colesterol LDL, y mayor de HDL entre los consumidores diarios de pan, tanto de blanco como de integral.</p> <p>Llorach también ha recordado que "el consumo de pan no está asociado al aumento de peso, siempre que se realice dentro de una dieta equilibrada".<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/2012/11/21/area-profesional/entorno/consumo-pan-previene-problemas-cardiovasculares" target="_blank"><strong>noviembre 21/2012 (Diario Médico)</strong></a></p> </span>
2012-11-23T16:05:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/435
Cardiopatía Isquémica: Señales de envejecimiento temprano indican dolencias cardiacas
2012-11-18T05:53:50-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La gente que presenta señales de avejentamiento "con marcadas entradas, calvicie, arrugas cerca de los lóbulos de sus orejas o bolsas bajo los ojos " tiene más probabilidades de desarrollar una enfermedad cardiaca que personas de su misma edad pero que lucen más jóvenes, sugiere un nuevo estudio.</p> <p>Los médicos señalan que el resultado subraya la diferencia entre la edad biológica y la cronológica.</p> <p>"El verse viejo para la edad que se tiene es indicativo de una mala salud cardiovascular", dijo Anne Tybjaerg-Hansen, doctora de la Universidad de Copenhague en Dinamarca.</p> <p>Ella dirigió el estudio y reveló los resultados en una conferencia de la Asociación Estadounidense del Corazón en Los Angeles.</p> <p>Como consuelo, las arrugas en otra parte del rostro y las canas parecen ser solamente consecuencias ordinarias del paso del tiempo y no tienen relación con los riesgos cardiacos.</p> <p>En el estudio participaron 11 000 daneses mayores de 40 años cuando inició en 1976. Al principio, los científicos documentaron apariencia, midieron las llamadas patas de gallo, arrugas u otras señales de envejecimiento.</p> <p>En los siguientes 35 años, 3400 participantes desarrollaron enfermedades de corazón (arterias obstruidas) y 1700 sufrieron ataques cardiacos.</p> <p>El riesgo de estos problemas de salud aumentó con cada señal adicional de avejentamiento presente al inicio del estudio. Ese criterio fue válido para individuos de todas las edades y ambos sexos, incluso después de tomar en cuenta otros factores, como antecedentes familiares de enfermedades cardiacas.</p> <p>Aquellos con tres o cuatro de estas señales de avejentamiento "entradas en las sienes, calvicie en la corona de la cabeza, arrugas en los lóbulos o bolsas amarillentas alrededor de los párpados" tuvieron un 57% más de riesgo de sufrir un ataque cardiaco y un 39 % de enfermedades cardiacas en comparación con personas sin ninguna de estas señales.</p> <p>El tener bolsas amarillentas bajo los ojos, que podría ser señal de un acumulamiento de colesterol, representaron el mayor riesgo, de acuerdo con los científicos. La calvicie en hombres ha estado ligada a riesgos de problemas cardiacos antes, posiblemente relacionada con los niveles de testosterona. El grupo solamente pudo suponer por qué las arrugas en los lóbulos podrían aumentar el riesgo.</p> <p>Kathy Magliato, cirujana cardiaca del Centro de Salud St. John en Santa Mónica, California, dijo que los médicos necesitan prestar más atención a las señales presentes en el rostro del paciente.</p> <p>"Estamos tan apurados por colocar un tensiómetro para medir la presión sanguínea o el estetoscopio en el pecho" que las señales obvias y evidentes de riesgo son pasadas por alto, dijo.<br /> noviembre 7/2012 (AP)</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p> </span>
2012-11-18T05:53:50-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/434
Cáncer: Científicos hallan diferencias genéticas en los no fumadores con cáncer de pulmón
2012-11-17T14:21:54-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un equipo internacional de científicos identificó tres regiones genéticas asociadas con un mayor riesgo de cáncer de pulmón en mujeres asiáticas que nunca habían fumado.</p> <p>Dijeron que sus hallazgos proporcionan más pruebas de que el riesgo de cáncer de pulmón en las personas que nunca han fumado, sobre todo entre las mujeres asiáticas, podría estar asociado con características genéticas específicas que lo distinguen del cáncer del pulmón en fumadores.</p> <p>Los investigadores analizaron datos de 14 estudios que incluyeron a un total de unas 14 000 mujeres asiáticas (6600 con cáncer de pulmón y 7500 sin la enfermedad). El equipo halló que las variaciones en tres ubicaciones del genoma (dos en el cromosoma 6 y una en el cromosoma 10) se asociaban con el cáncer de pulmón en las mujeres asiáticas que nunca habían fumado.</p> <p>El descubrimiento sobre el cromosoma 10 fue particularmente importante, ya que no había sido encontrado en investigaciones anteriores, según el estudio, que aparece en la revista <a href="http://www.nature.com/ng/journal/vaop/ncurrent/full/ng.2456.html" target="_blank"><em><strong>Nature Genetics</strong></em></a> (doi:10.1038/ng.2456).</p> <p>"Nuestro estudio provee evidencia firme de que unas variantes genéticas heredadas comunes contribuyen a un mayor riesgo de cáncer de pulmón en las mujeres asiáticas que nunca han fumado", señaló en un comunicado de prensa del Instituto Nacional del Cáncer de EE. UU. el coautor del estudio, el Dr. Nathaniel Rothman, investigador principal de la división de epidemiología y genética del cáncer del instituto.</p> <p>"Esas variantes también podrían aumentar el riesgo de cáncer de pulmón asociado con factores ambientales, como el humo ambiental de tabaco", añadió.</p> <p>Los investigadores no hallaron una asociación entre el riesgo de cáncer de pulmón en las mujeres asiáticas que nunca habían fumado y las variaciones en una ubicación del cromosoma 15 que se han relacionado con el riesgo de cáncer de pulmón en los fumadores. Esto provee más pruebas de que la variación genética en el cromosoma 15 podría relacionarse con fumar, señalaron los autores en el comunicado de prensa.</p> <p>El equipo de investigación también halló cierta evidencia de que las mujeres asiáticas con una de las variantes genéticas recién identificadas podrían ser más vulnerables a los efectos del humo de segunda mano. Pero se necesita más investigación para confirmarlo.</p> <p>El cáncer de pulmón entre las personas que nunca han fumado es la séptima causa principal de muerte por cáncer en todo el mundo, según el comunicado de prensa.</p> <p>Históricamente, la mayoría de diagnósticos de cáncer de pulmón en las mujeres del este de Asia han sido en mujeres que nunca habían fumado. Las tres variaciones genéticas identificadas en este estudio no se han asociado con el riesgo de cáncer de pulmón en otras poblaciones.<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_131249.html" target="_blank"><strong>noviembre 12/2012 (Medlineplus)</strong></a></p> <p>Qing Lan, Chao A Hsiung, Keitaro Matsuo, Yun-Chul Hong, Adeline Seow, Zhaoming Wang. <em><strong>Genome-wide association analysis identifies new lung cancer susceptibility loci in never-smoking women in Asia</strong></em>. <em>Nature Genetics</em> 11 Nov 2012 .</p> </span>
2012-11-17T14:21:54-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/433
Cardiopatía Isquémica: Señales de envejecimiento temprano indican dolencias cardiacas
2012-11-17T06:34:23-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La gente que presenta señales de avejentamiento "con marcadas entradas, calvicie, arrugas cerca de los lóbulos de sus orejas o bolsas bajo los ojos " tiene más probabilidades de desarrollar una enfermedad cardiaca que personas de su misma edad pero que lucen más jóvenes, sugiere un nuevo estudio.</p> <p>Los médicos señalan que el resultado subraya la diferencia entre la edad biológica y la cronológica.</p> <p>"El verse viejo para la edad que se tiene es indicativo de una mala salud cardiovascular", dijo Anne Tybjaerg-Hansen, doctora de la Universidad de Copenhague en Dinamarca.</p> <p>Ella dirigió el estudio y reveló los resultados en una conferencia de la Asociación Estadounidense del Corazón en Los Angeles.</p> <p>Como consuelo, las arrugas en otra parte del rostro y las canas parecen ser solamente consecuencias ordinarias del paso del tiempo y no tienen relación con los riesgos cardiacos.</p> <p>En el estudio participaron 11 000 daneses mayores de 40 años cuando inició en 1976. Al principio, los científicos documentaron apariencia, midieron las llamadas patas de gallo, arrugas u otras señales de envejecimiento.</p> <p>En los siguientes 35 años, 3400 participantes desarrollaron enfermedades de corazón (arterias obstruidas) y 1700 sufrieron ataques cardiacos.</p> <p>El riesgo de estos problemas de salud aumentó con cada señal adicional de avejentamiento presente al inicio del estudio. Ese criterio fue válido para individuos de todas las edades y ambos sexos, incluso después de tomar en cuenta otros factores, como antecedentes familiares de enfermedades cardiacas.</p> <p>Aquellos con tres o cuatro de estas señales de avejentamiento "entradas en las sienes, calvicie en la corona de la cabeza, arrugas en los lóbulos o bolsas amarillentas alrededor de los párpados" tuvieron un 57% más de riesgo de sufrir un ataque cardiaco y un 39 % de enfermedades cardiacas en comparación con personas sin ninguna de estas señales.</p> <p>El tener bolsas amarillentas bajo los ojos, que podría ser señal de un acumulamiento de colesterol, representaron el mayor riesgo, de acuerdo con los científicos. La calvicie en hombres ha estado ligada a riesgos de problemas cardiacos antes, posiblemente relacionada con los niveles de testosterona. El grupo solamente pudo suponer por qué las arrugas en los lóbulos podrían aumentar el riesgo.</p> <p>Kathy Magliato, cirujana cardiaca del Centro de Salud St. John en Santa Mónica, California, dijo que los médicos necesitan prestar más atención a las señales presentes en el rostro del paciente.</p> <p>"Estamos tan apurados por colocar un tensiómetro para medir la presión sanguínea o el estetoscopio en el pecho" que las señales obvias y evidentes de riesgo son pasadas por alto, dijo.<br /> noviembre 7/2012 (AP)</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p> </span>
2012-11-17T06:34:23-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/432
Hipertensión arterial: Presión arterial sin control puede dañar el cerebro a los 40
2012-11-15T12:46:17-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La presión arterial alta no controlada daña la estructura y función del cerebro tan pronto como al inicio de los 40 años de edad, según un estudio de la Universidad de California en Davis.</p> <p>Según el estudio, incluso los cerebros de personas en edad madura, que no tenían un diagnóstico clínico de hipertensión, muestran evidencia del silencioso daño estructural del cerebro.</p> <p>La investigación descubrió un "envejecimiento acelerado" del cerebro en personas con hipertensión y prehipertensión en la década de sus 40 años de edad, que incluía daño a la integridad estructural de la materia blanca del cerebro y al volumen de su materia gris.</p> <p>Ese hallazgo sugiere que la lesión vascular del cerebro "se desarrolla insidiosamente durante toda la vida con efectos visibles", indicó el estudio.</p> <p>Se trata del primer estudio que demuestra que hay un daño estructural en los cerebros de adultos al inicio de la edad madura como resultado de la alta presión arterial.</p> <p>La alta presión arterial ya ha sido vinculada con el daño estructural a la materia blanca del cerebro y el deterioro cognitivo en los individuos de edad avanzada.</p> <p>La investigación, publicada en línea en la revista médica <a href="http://www.thelancet.com/journals/laneur/article/PIIS1474-4422%2812%2970241-7/abstract" target="_blank"><em><strong>The Lancet Neurology</strong></em></a> (doi:10.1016/S1474-4422(12)70241-7) y que aparecerá en el ejemplar impreso de diciembre próximo, enfatiza la necesidad de poner atención a los factores de riesgo vasculares para el envejecimiento del cerebro, explicó Charles DeCarli, coautor del estudio.</p> <p>"El mensaje aquí es sumamente claro: Las personas pueden influenciar la salud del cerebro a la edad avanzada, conociendo y tratando su presión arterial mientras son jóvenes", observó DeCarli, profesor de neurología y director del Centro de la Enfermedad de Alzheimer de UC Davis.</p> <p>"Las personas en nuestro estudio eran normales desde el punto de vista cognitivo, así que la ausencia de síntomas no significa nada", precisó.</p> <p>La presión arterial normal debe ser de 120 para la presión arterial sistólica, o sea el número en la parte superior, y por debajo de 80 para la presión diastólica, el número en la parte inferior.</p> <p>Se calcula que cerca de 50 millones de estadounidenses sufren de hipertensión, condición vinculada con un riesgo del 62 % de enfermedad cerebrovascular, como un ataque isquémico, y un riesgo del 49 % de enfermedad cardiovascular.</p> <p>Es el factor de riesgo más grande de mortalidad en EE.UU., indicó el estudio.</p> <p>Otros estudios han identificado vínculos entre la presión arterial elevada y un mayor riesgo de lesión cerebral y atrofia, que conduce a un desempeño cognitivo reducido y a una mayor probabilidad de demencia.</p> <p>Por ello, se considera que la hipertensión es un importante factor de riesgo "modificable" para el deterioro cognitivo en la vejez.</p> <p>Según el estudio, hay evidencia de que reducir la presión arterial a partir de los 40 años de edad y entre personas al inicio de su vejez puede ayudar a prevenir el deterioro cognitivo y la demencia en la ancianidad.</p> <p>El estudio, titulado "Los efectos de la presión arterial sistólica en la integridad de la materia blanca en los adultos jóvenes: del estudio del corazón de Framingham", incluyó a 579 participantes de Framingham (Massachusetts) que, en promedio, tenían 39 años de edad cuando se les reclutó para el estudio, iniciado en 2009.</p> <p>Los participantes fueron divididos entre los que tenían presión arterial normal, los que eran prehipertensos y los que tenían alta presión arterial. También se tomó en cuenta factores como el tratamiento médico para la alta presión arterial y el uso de cigarrillos.</p> <p>El estudio recurrió a imágenes por resonancia magnética (MRI, en inglés) para determinar la salud cerebral de los participantes, usando varias medidas de la lesión de la materia blanca, como la anisotrofía fraccional, y el volumen de la materia gris.</p> <p>En personas hipertensas, la anisotrofía fraccional en los lóbulos frontales fueron se redujo en un promedio del 6.5% por ciento, y esos individuos también registraron una reducción, en promedio, del 9% de la materia gris en el lóbulo frontal del cerebro.</p> <p>Los autores notaron que la rigidez de las arterias, con el proceso de envejecimiento, causa un aumento de la presión arterial, lo que a su vez provoca que disminuya el flujo de sangre al cerebro.<br /> octubre 31/2012 (EFE).-</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.</strong></p> <p>Pauline Maillard , Sudha Seshadri , Alexa Beiser , Jayandra J Himali , Rhoda Au , Evan Fletcher . <em><strong>Effects of systolic blood pressure on white-matter integrity in young adults in the Framingham Heart Study: a cross-sectional study</strong></em>.<em>The Lancet Neurology</em>, 2 Nov 2012</p> </span>
2012-11-15T12:46:17-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/431
Medicamentos: Fármaco reduce tumor cerebral en niños con esclerosis tuberosa
2012-11-15T12:40:36-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Según un nuevo estudio publicado en <a href="http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2812%2961134-9/fulltext" target="_blank"><em><strong>The Lancet</strong> </em></a>(doi:10.1016/S0140-6736(12)61134-9), un fármaco originalmente utilizado para la prevención del rechazo a los órganos trasplantados ha sido ahora relacionado con un reducción importante de una modalidad concreta de tumor cerebral en pacientes con esclerosis tuberosa (TSC), lo que demuestra la efectividad del everolimus en la reducción de la división celular.</p> <p>"Todos los pacientes que participaron en este estudio experimentaron una reducción de tamaño de sus tumores después del tratamiento con everolimus", comenta el doctor Franz, codirector de la Clínica Infantil de TSC, de Cincinnati, en EEUU y autor principal del estudio. "El 35 % de los pacientes con everolimus tuvieron al menos un 50 % de reducción en el volumen del tumor después de 42 semanas de media de tratamiento".</p> <p>La tercera fase de la investigación fue llevada a cabo con la participación de 117 pacientes con TSC asignados aleatoriamente a sendos tratamientos con placebo o con everolimus. Los pacientes tenían un promedio de edad de nueve años y medio aunque con edades que oscilaban entre la niñez y la edad adulta. Ninguno de los pacientes tratados con placebo mostraron mejoría en los tumores.</p> <p>"La cirugía se consideraba la terapia estándar para este tipo de enfermedades pero el everolimus es una potencial alternativa, y la principal terapia médica aplicada hoy para el tratamiento de la TSC", dice el doctor Franz.</p> <p>En las fases anteriores de la investigación previa de 2010, los pacientes ya dijeron notar una mejoría en la calidad de vida y las evaluciones neuropsicológicas mejoraron después de tres y seis meses, respectivamente, tras el del tratamiento con everolimus.</p> <p>Los mTOR (Mammalian target of rapamycin) relacionados con el crecimiento y la reprodución celular en la TSC están también implicados en otros tipos de cáncer y en ciertas enfermedades neurológicas, como el alzhéimer, la diabetes tipo 2, el párkinson, la enfermedad de Huntington o el autismo. Esto convierte al everolimus en un inhibidor de mTOR y en un tratamiento efectivo para el tratamiento de los trastornos asociados<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2012/11/15/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/farmaco-reduce-tumor-cerebral-en-ninos-con-esclerosis-tuberosa" target="_blank"><strong>noviembre 11/2012 (Diario Médico)</strong> </a></p> <p>David Neal Franz , Elena Belousova , Steven Sparagana , E Martina Bebin , Michael Frost , Rachel Kuperman. <em><strong>Efficacy and safety of everolimus for subependymal giant cell astrocytomas associated with tuberous sclerosis complex (EXIST-1): a multicentre, randomised, placebo-controlled phase 3 trial.</strong>The Lancet</em>, 14 Nov 2012</p> </span>
2012-11-15T12:40:36-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/430
Diabetes Mellitus: La diabetes aumenta de dos a cuatro veces la probabilidad de fallecer por enfermedad cardiovascular
2012-11-13T22:34:36-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Cerca del 65% de los diabéticos muere por alguna dolencia cardiovascular.</p> <div class="content"><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;"> </span></div></div></div> <p>La diabetes aumenta de dos a cuatro veces la probabilidad de fallecer por enfermedad cardiovascular, tal y como ha evidenciado un informe del US Department of Health and Human Services que recoge la Fundación Española del Corazón (FEC) y la Sociedad Española de Cardiología (SEC).<br /> <br /> En concreto, "cerca del 65% de los diabéticos muere por alguna dolencia cardiovascular", que se presenta bajo la forma de "angina de pecho, infarto, muerte súbita o ictus", indica el presidente de la sección de Riesgo Vascular y Rehabilitación Cardiaca de la SEC, el doctor Enrique Galve.<br /> <br /> Con motivo del Día Mundial de la Diabetes, que se celebra este miércoles, 14 de noviembre, los expertos de ambas sociedades recuerdan que "en la mayoría de los casos, la diabetes es evitable manteniendo unos hábitos saludables". <br /> <br /> En la actualidad, 346 millones de personas en todo el mundo padecen diabetes, según la Organización Mundial de la Salud (OMS), que considera esta enfermedad "la epidemia del siglo XXI". <br /> <br /> En España, el 13,8% de la población padece este síndrome, tal y como evidencia el estudio 'dia@bet.es' llevado a cabo por el Centro de Investigación Biomédica en Red de Diabetes y Enfermedades Metabólicas Asociadas (Ciberdem). De ellos, un 43,5% no sabe que lo es.</p></div>
2012-11-13T22:34:36-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/429
Ciencia y Tecnología: Una gota de sangre materna servirá para detectar enfermedades en el feto
2012-11-13T22:31:27-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El centro de investigaciones tecnológicas IK4-IKERLAN investiga una nueva técnica de diagnóstico prenatal más rápida, más barata y menos invasiva que las actuales.</p> <p>Diagnosticar enfermedades genéticas del feto a través de una muestra de la sangre materna de forma rápida, no invasiva y con menor coste. Este es el ambicioso objetivo del proyecto AngeLab, que se ha marcado como reto desarrollar la tecnología necesaria para identificar el ADN del feto contenido en la sangre de la madre para, a partir de una sola gota de esta, saber si el futuro bebé padece alguna enfermedad genética.</p> <p>El proyecto, liderado por el centro de investigaciones tecnológicas IK4-IKERLAN, cuenta con un presupuesto de cerca de 11 millones de euros, financiados en parte por la Unión Europea a través del VII Programa Marco.</p> <p>"Estimamos que el test completo podría lanzarse al mercado con un precio de entre 100 y 200 euros", señala Jesús Ruano, investigador de IK4-IKERLAN y líder del proyecto. "Hemos conseguido -añade- que empresas y centros públicos pioneros en el mundo del diagnóstico prenatal no invasivo, hospitales públicos, centros de investigación expertos en Lab-on-a-Chip, en biología molecular, y empresas fabricantes se unan en AngeLab con el objetivo de desarrollar este novedoso sistema automatizado y más económico para separar y analizar el ADN fetal de la sangre materna".</p> <p>El consorcio impulsor de AngeLab está formado por líderes mundiales en diagnóstico prenatal no invasivo y en tecnologías Lab-on-a-Chip (laboratorio en un chip). Asimismo cuenta con el asesoramiento de un comité externo para cuestiones científicas, económicas y éticas, lo que sitúa el proyecto a la vanguardia internacional de la investigación en este ámbito.</p> <p>Ventajas respecto a otros métodos</p> <p>AngeLab parte de la constatación de que los métodos invasivos de diagnóstico prenatal, tales como la amniocentesis, comportan un riesgo para el embarazo, además de ser muy costosos en términos económicos. El precio medio de un diagnóstico prenatal completo se sitúa en torno a 875 euros con las técnicas actuales.</p> <p>El análisis de ADN fetal circulante, en el que se basa la tecnología que desarrollará el proyecto, se emplea en otros ámbitos, pero su uso para el diagnóstico de síndrome de Down y otras aneuploidías sigue sin estar extendido por la complejidad de las técnicas (secuenciación masiva, espectrometría de masas...), por la dificultad en la interpretación de los resultados, porque su reproducibilidad no ha sido demostrada y por el elevado coste que conllevan.</p> <p>Además del diagnóstico de alteraciones cromosómicas, el proyecto prevé incluir en su dispositivo el diagnóstico de enfermedades recesivas, enfermedades por alteración en el número de copias de ciertos genes, o de enfermedades dominantes en las que la madre sea la transmisora, novedades pioneras en el contexto internacional y no contempladas en otros proyectos de investigación actualmente en curso.</p> <p>Por tanto, un test de este tipo podría detectar con carácter prenatal las principales enfermedades graves de origen genético, que van desde fibrosis quística o atrofia muscular espinal hasta diferentes aneuploidías (como el síndrome de Down o de Edwards), entre otras.</p> <p>Si los resultados de este proyecto de investigación se confirman, el producto resultante superará a los mecanismos actuales en fiabilidad del diagnostico, seguridad del embarazo y coste-efectividad del test.</p> <p>Validación con pacientes</p> <p>El proyecto tiene previsto finalizar sus trabajos dentro de cuatro años, y planea validar técnicamente su funcionamiento con pacientes a través de más de 400 pruebas diagnosticas en el Hospital Donostia (Biodonostia) y en el Hospital Universitario Basurto.</p> <p>Además del centro tecnológico IK4-IKERLAN, las entidades vascas que forman parte de AngeLab son el Servicio Vasco de Salud, Osakidetza (HU Basurto, concretamente)/ BIOEF, el Instituto BioDonostia, IK4-GAIKER, y las empresas DNA Data y POC MicroSolutions. Completan el consorcio Fundación Rioja Salud (España) HSG-IMIT y CAN (Alemania), WUT (Polonia), CING y NIPD (Chipre), EVGroup (Austria), Ademtech (Francia), y Biopharma (Reino Unido). El consorcio se reunió recientemente en Arrasate-Mondragón para iniciar los trabajos de investigación.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/gota/sangre/materna/servira/detectar/enfermedades/feto/_f-11+iditem-18413+idtabla-1" target="_blank">noviembre 12/2012 (JANO.es)</a></p> </span>
2012-11-13T22:31:27-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/428
Enfermedad de Alzheimer: Detectan signos de enfermedad de Alzheimer más tempranos observados hasta ahora
2012-11-07T10:54:15-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un equipo de investigadores encuentran altos niveles de proteína ?-amiloide en pacientes con una mutación en el gen PSEN1, muchos años antes del comienzo de los síntomas.</p> <p>La revista <strong><em>The Lancet Neurology</em></strong> publica esta semana dos artículos que describen los signos de alzhéimer más tempranos observados hasta ahora. El descubrimiento se ha hecho en pacientes con un tipo de alzhéimer temprano y hereditario, en el que aparece mutado el gen PSEN1.</p> <p>En uno de los estudios se analizaron diversos parámetros en 44 individuos de entre 18 y 26 años, de los cuales 20 tenían la mutación y 24 no. Los autores encontraron diferencias notables en la estructura y la función cerebral. Los portadores de la mutación mostraron más actividad en el hipocampo y presentaban menos materia gris en ciertas áreas del cerebro.</p> <p>Además, el análisis del líquido cefalorraquídeo mostró que los individuos con la mutación producían mayor cantidad de proteína ?-amiloide, implicada en el depósito de placas amiloides en el cerebro que están asociadas con la degeneración de las estructuras neuronales.</p> <p>Las placas amiloides suelen aparecer entre 10 y 15 años antes del comienzo de la enfermedad y son el principal marcador del alzhéimer. Este estudio, no obstante, ha identificado altos niveles de la proteína antes de que las placas se depositen en el cerebro, y por lo tanto mucho antes de que aparezca la enfermedad.</p> <p>Eric Reiman, del Banner Alzheimer Insitute de Arizona, y uno de los autores del estudio, afirma que estos resultados "sugieren que los cambios en el cerebro comienzan muchos años antes del comienzo clínico del alzhéimer, e incluso antes de que empiecen a aparecer los depósitos amiloides".</p> <p>"Esto arroja nuevas preguntas sobre los cambios cerebrales más tempranos implicados en el alzhéimer y sobre la medida en que estos podrían ser objetivo de futuras terapias de prevención", añade el investigador.</p> <p>En el segundo estudio, desarrollado por el mismo grupo de científicos, se buscaron depósitos amiloides en los cerebros de personas con la mutación en el gen PSEN1 y se descubrió que las placas comienzan a formarse cuando los individuos tienen algo menos de 30 años.</p> <p>Adam Fleisher, que ha liderado esta segunda investigación, señala que estos descubrimientos "ayudarán a sentar las bases para la evaluación de los tratamientos que prevengan el alzhéimer familiar y a comprender las etapas tempranas de los tipos de alzhéimer no precoces, más comunes".<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/detectan/signos/alzheimer/mas/tempranos/observados/ahora/_f-11+iditem-18398+idtabla-1" target="_blank">noviembre 6/2012 (JANO.es) </a></p> <p><strong>Nota</strong>: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo del artículo a través de Hinari.</p> <p>Eric M Reiman, Yakeel T Quiroz, Adam S Fleisher, Kewei Chen, Carlos Velez-Pardo, Marlene Jimenez-Del-Rio, et. al.<a href="http://www.thelancet.com/journals/laneur/article/PIIS1474-4422%2812%2970228-4/abstract" target="_blank"><em><strong> Brain imaging and fluid biomarker analysis in young adults at genetic risk for autosomal dominant Alzheimer's disease in the presenilin 1 E280A kindred: a case-control study</strong></em></a>. <em>The Lancet Neurology</em> 2012, doi:10.1016/S1474-4422(12)70228-4.</p> </span>
2012-11-07T10:54:15-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/427
Ciencia y Tecnología: Un nuevo dispositivo permite alimentar los marcapasos con la energía del latido del corazón
2012-11-06T05:38:35-05:00
Revista Finlay
<p>Un dispositivo en fase experimental convierte la energía del latido de un corazón en electricidad suficiente para alimentar un marcapasos, según un estudio presentado en las sesiones científicas de 2012 de la Asociación Americana del Corazón, que se celebran hasta el 7 de noviembre en Los Ángeles (Estados Unidos). Los resultados de esta investigación se publican en<em> Journal of the American Heart Association.<br /> </em><br /> En el estudio, los investigadores probaron un dispositivo de recogida de energía que utiliza la piezoelectricidad (carga eléctrica generada por el movimiento). Las baterías de los marcapasos convencionales se agotan a los 5-7 años desde la implantación del dispositivo.<br /> <br /> Según el autor principal del estudio e investigador del Departamento de Ingeniería Aeroespacial de la Universidad de Michigan en Ann Arbor (Michigan, Estados Unidos), Amin Karami, este dispositivo podría ser una herramienta "prometedora" para la tecnología de los marcapasos.<br /> <br /> La piezoelectricidad podría usarse también en otros dispositivos cardíacos implantables, como desfibriladores, que tienen necesidades mínimas de energía, añadió el director de esta investigación, para quien con esta tecnología se evitarían muchas operaciones. "Muchos de los pacientes son niños que viven con marcapasos durante muchos años", subrayó Karami.<br /> <br /> Los investigadores midieron el ritmo cardíaco marcado por las vibraciones en el pecho y, posteriormente, reprodujeron esas vibraciones en un shaker (instrumento musical de percusión) conectado a un prototipo de recolector de energía cardíaca que los científicos desarrollaron.<br /> <br /> La energía del recolector actuó como los científicos habían predicho: generó más de diez veces la potencia que requieren los marcapasos modernos.</p> <p><strong>Implantar el recolector</strong><br /> <br /> El siguiente paso es la implantación del recolector de energía, que tiene aproximadamente la mitad del tamaño de las baterías que se utilizan en en los marcapasos, explicó Karami. Los investigadores esperan poder integrar esta tecnología en los marcapasos comerciales.<br /> <br /> Hay dos tipos de recolectores de energía que pueden alimentar un marcapasos típico: lineal y no lineal. Los primeros funcionan bien sólo a una frecuencia cardíaca específica, por lo que los cambios de ritmo del corazón podrían impedir que se recogiera la energía suficiente.<br /> <br /> Por el contrario, un recolector no lineal (el tipo usado en el estudio) utiliza imanes para mejorar la producción de energía y es menos sensible a los cambios de la frecuencia cardíaca, por lo que consigue suficiente energía de los latidos.<br /> <br /> El director de esta investigación, financiada por el Instituto Nacional de Estándares y Tecnología y el Centro Nacional para el Avance de las Ciencias Traslacionales, aseguró que los teléfonos móviles o los hornos microondas no afectarían al dispositivo no lineal.</p><p>Tomado de <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/nuevo/dispositivo/permite/alimentar/marcapasos/energia/latido/corazon/_f-11+iditem-18376+idtabla-1" target="_blank">Jano</a></p>
2012-11-06T05:38:35-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/426
Prevención de las enfermedades crónicas: Recomiendan limitar el consumo diario de sal a menos de 1,5 gramos
2012-11-06T05:35:12-05:00
Revista Finlay
<img title="sal_282_237" src="/public/site/images/mikhail/sal_282_237.jpg" alt="sal_282_237" width="237" height="200" />Nuevas investigaciones refrendan la recomendación de la Asociación Americana del Corazón de limitar el consumo diario de sodio (sal) a menos de 1.500 miligramos (1,5 gramos), con el fin de disminuir el riesgo de sufrir un accidente cerebrovascular.<br /> <br /> El estudio, publicado en <em>Journal of the American Heart Association, </em>se basa en una revisión exhaustiva de investigaciones recientes que refuerzan el informe que la asociación divulgó en 2011 respecto a los beneficios de restringir el sodio a menos de 1.500 miligramos por día.<br /> <br /> "Nuestra recomendación es simple en el sentido de que se aplica a toda la población de Estados Unidos, no sólo a los grupos de riesgo, --dijo Nancy Brown, director ejecutivo de la Asociación Americana del Corazón--. Los estadounidenses de todas las edades, independientemente de los factores de riesgo individuales, pueden mejorar la salud de su corazón y reducir el riesgo de enfermedad cardiovascular con la restricción de su consumo diario de sodio a menos de 1.500 miligramos".<br /> <br /> Algunos informes recientes han llevado a la confusión sobre los niveles de sal diarios más saludables para todos los grupos de la población. "Nuestra revisión detallada de estos estudios identificó graves deficiencias metodológicas que limitan el valor de dichos informes en la revisión del consumo de sodio", explicó el profesor de Salud Pública Global de la Universidad de Tulane (Luisiana, Estados Unidos), Paul K.Whelton.<br /> <br /> La mayoría de los estadounidenses ingieren sodio muy por encima de sus necesidades fisiológicas y recomendaciones de las guías médicas, con un consumo medio diario de de más de 3.400 miligramos por día.
2012-11-06T05:35:12-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/418
Ciencia y Tecnología: Calcio revela conexiones entre neuronas
2012-10-29T10:05:56-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un equipo liderado por neurocientíficos del MIT ha desarrollado una manera de monitorear cómo las células cerebrales se coordinan entre sí para controlar comportamientos específicos, como iniciar el movimiento o la detección de un olor.</p> <p>La nueva técnica de imágenes, basada en la detección de iones de calcio en las neuronas, podría ayudar a mapear los circuitos del cerebro que desempeñan tales funciones. También podría proporcionar nuevos conocimientos sobre los orígenes del autismo, el trastorno obsesivo-compulsivo y otras enfermedades psiquiátricas, dice Guoping Feng, autor principal de un artículo que aparece en la edición de octubre de la revista <em><strong>Neuron</strong></em>.</p> <p>"Para entender los trastornos psiquiátricos, tenemos que estudiar modelos animales para saber lo que pasa en el cerebro cuando el animal se comporta de manera anormal", dice Feng, y Patricia Poitras catedrática en Neurociencias y miembro del Instituto McGovern para la Investigación del Cerebro en el MIT. "Esta es una herramienta muy potente que realmente nos ayudará a entender los modelos animales de estas enfermedades y estudiar cómo el cerebro funciona normalmente y en un estado de enfermedad."<br /> El autor principal del artículo es Qian Chen del Instituto McGovern.</p> <p>La realización de cualquier tipo de función cerebral requiere muchas neuronas en diferentes partes del cerebro para comunicarse entre sí. Ellas logran esta comunicación mediante el envío de señales eléctricas, provocando un flujo de iones de calcio en las células activas. Empleando colorantes que se unen al calcio, los investigadores han captado la actividad neuronal en las neuronas. Sin embargo, el cerebro contiene miles de tipos de células, cada una con distintas funciones, y el colorante es captado no selectivamente por todas las células, por lo que es imposible con este enfoque determinar el calcio en determinados tipos de células.</p> <p>Para superar esto, el equipo del MIT creó un sistema de imágenes del calcio que pueden ser dirigidas a tipos específicos de células, utilizando un tipo de proteína verde fluorescente (GFP). Junichi Nakai de la Universidad Saitama en Japón desarrolló por primera vez una GFP que se activa cuando se une al calcio, y uno de los autores de artículo de <em>Neuron</em>, Loren Looger del Howard Hughes Medical Institute, modificó la proteína haciendo que su señal fuera lo suficientemente fuerte como para utilizar en animales vivos.</p> <p>Los investigadores del MIT lograron por ingeniería genética que los ratones expresaran esta proteína en un tipo de neurona conocidas como células piramidales, por la vinculación del gen con una secuencia reguladora de ADN que es activa solamente en esas células. Empleando microscopia de dos fotones para visualizar las células a alta velocidad y alta resolución, los investigadores pueden identificar las células piramidales que están activas cuando el cerebro está realizando una tarea específica o respondiendo a un estímulo determinado.</p> <p>En este estudio, el equipo fue capaz de identificar las células en la corteza somatosensorial que se activan cuando las barbas de un ratón se tocan, y las células olfatorias que responden a ciertos aromas.</p> <p>Los investigadores ahora están desarrollando ratones que expresan las proteínas sensibles al calcio y que también muestran síntomas de comportamiento autista y trastorno obsesivo-compulsivo. Con el empleo de estos ratones, los investigadores planean buscar los patrones de disparo de las neuronas que se diferencian de las de los ratones normales. Esto podría ayudar a identificar exactamente lo que va mal a nivel celular.</p> <p>"En este momento, solo se sabe que los defectos de comunicación neurona-neurona juegan un papel clave en los trastornos psiquiátricos. No sabemos la naturaleza exacta de los defectos y los tipos celulares específicos involucrados", dice Feng. "Si supiéramos qué tipos de células son anormales, podríamos encontrar formas de corregir los patrones anormales de activación".</p> <p>Los investigadores también planean combinar su tecnología de imagen con optogenética, lo que les permitiría apagar o encender tipos específicos de neuronas. Mediante la activación de células específicas y observando luego la respuesta en las células diana, ellos serán capaces de mapear con precisión los circuitos cerebrales.<br /> <a href="http://www.eurekalert.org/pub_releases/2012-10/miot-crc101712.php" target="_blank">octubre 28/2012 (Eurekalert)</a></p> <p>Qian Chen, Joseph Cichon, Wenting Wang, Li Qiu, Seok-Jin R. Lee, Nolan R. Campbell, et. al. <a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0896627312006605" target="_blank"><em><strong>Imaging Neural Activity Using Thy1-GCaMP Transgenic Mice</strong></em></a>. <em>Neuron</em> 2012 76(2) pp. 297 - 308.</p> </span>
2012-10-29T10:05:56-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/417
Cáncer: Nuevos marcadores específicos en tumor de mama y colorrectal
2012-10-29T09:58:26-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>César Rodríguez, coordinador científico de la cita, ha destacado algunos de los estudios que se presentan en las sesiones plenarias.</p> <p>El estudio del Grupo Español de Investigación en Cáncer de Mama (Geicam) se centra en el nivel de proliferación alto (medido por Ki67), que es un factor predictivo independiente para la respuesta completa patológica en una población no seleccionada para HER2, de pacientes con cáncer de mama operables tratadas con quimioterapia neoadyuvante.</p> <p>Por su parte, el Grupo Español Multidisciplinar en Cáncer Digestivo (Gemcad) ha comentado su trabajo sobre los efectos adversos del tratamiento adyuvante en cáncer de colon. En dicho estudio se han analizado 35 polimorfismos de nucleótidos únicos en 18 genes relacionados con el metabolismo y la toxicidad del tratamiento en tejidos parafinados de 202 pacientes con cáncer colorrectal en estadio III.</p> <p>Se ha visto que los polimorfismos de los genes CCNH y ABCG2 se relacionan con desarrollo de neuropatía periférica crónica grave inducida por oxaliplatino. La determinación de estos polimorfismos podría ser de utilidad en la individualización de la quimioterapia adyuvante.</p> <p>Juan Jesús Cruz, presidente de la SEOM, ha explicado a Diario Médico que el cáncer hereditario sigue ocupando un lugar importante en dicho simposio, puesto que las técnicas de secuenciación de última generación han permitido que avance el consejo genético.</p> <p>Largos supervivientes<br /> Emilio Alba, anterior prediente de la SEOM, ha sido uno de los impulsores del manifiesto de largos supervivientes. El éxito del tratamiento del cáncer hace que el 50 % de los diagnosticados de un cáncer se curen, cifra superior en mujeres que en hombres. "Este grupo de pacientes tiene unas peculiaridades específicas que debemos atender, y más de la mitad tiene más de 70 años, con lo cual debemos prestar atención a las comorbilidades específicas de la edad".</p> <p>La vicepresidenta de la SEOM, Pilar Garrido, ha defendido que los pacientes oncológicos sean evaluados de forma multidisciplinar, bien en unidades específicas o por medio de comités antitumorales. "Es necesario establecer un tratamiento coordinado para poder mantener una buena calidad asistencial. También se requiere que el paciente se implique en su enfermedad con la ayuda de un médico más involucrado en la personalización".<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2012/10/25/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/marcadores-cancer-mama-pulmon" target="_blank">octubre 28/2012 (Diario Médico) </a></p> </span>
2012-10-29T09:58:26-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/416
Prevención de las enfermedades crónicas: Ejercicio físico previene deterioro cerebral
2012-10-26T09:04:59-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La práctica frecuente de ejercicio físico previene la atrofia cerebral que se produce con los años, publicó la revista Neurology (10.1212/WNL.0b013e3182703fd2).</p> <p>La ejercitación física no tiene que ser intensa para mantener la buena salud mental, basta solamente una caminata ágil o trotar, indicaron investigadores de la Universidad de Edimburgo, Escocia, quienes realizaron un estudio de tres años con más de 600 ancianos.</p> <p>En cambio, actividades para ejercitar la mente como llenar un crucigrama o simplemente socializar, al parecer, carecen de efectos beneficiosos en el tamaño del cerebro.</p> <p>Se conoce que el cerebro tiende a encogerse con los años, lo cual se encuentra asociado con la pérdida de memoria y de capacidades cognitivas.</p> <p>Aún los científicos desconocen porqué el ejercicio físico favorece la salud cerebral, pero se cree que aumenta el flujo sanguíneo, de oxígeno y nutrientes al cerebro.</p> <p>Al comienzo de la investigación los ancianos involucrados tenían 70 años y se les pidió que llevaran un registro de sus actividades diarias.</p> <p>Después de tres años, los voluntarios fueron sometidos a un escáner para evaluar los cambios en el cerebro.</p> <p>En el estudio se tuvo en cuenta el estado de salud, el género y nivel intelectual.</p> <p>"Las personas en sus 70 años que participaban en más ejercicio físico, incluida una caminata varias veces a la semana, mostraron menos encogimiento cerebral y de otros signos de envejecimiento del cerebro que aquéllos que eran menos físicamente activos", dice el doctor Alan Gow, autor principal del trabajo.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=639781&Itemid=1" target="_blank"><strong>octubre 23/2012 (PL)</strong></a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Alan J. Gow, Mark E. Bastin, Susana Muñoz Maniega, Maria C. Valdés Hernández, Zoe Morris, Catherine Murray. <em><strong>Neuroprotective lifestyles and the aging brain: Activity, atrophy, and white matter integrity</strong></em>. <em>Neurology</em> 79:1802-1808. Oct 23, 2012</p> </span>
2012-10-26T09:04:59-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/415
Enfermedades del sistema nervioso: El sueño regula el comportamiento emocional de los niños en el día
2012-10-19T14:30:45-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una extensión modesta en la duración del sueño de los niños mejora su capacidad de regular sus emociones en el día, mientras que una disminución del tiempo para dormir provoca un deterioro detectable en su comportamiento, concluye un estudio.</p> <p>El análisis "Impacto de la ampliación y restricción del sueño sobre la inestabilidad emocional y la impulsividad de los niños", expone que la cantidad de tiempo dedicada por los menores a dormir está vinculada a una mejoría o deterioro de su conducta.</p> <p>El estudio, publicado en la revista <a href="http://pediatrics.aappublications.org/content/early/2012/10/10/peds.2012-0564.abstract?sid=0b0176a2-4402-4ab8-ad3c-194c7f44c5f6" target="_blank"><em><strong>Pediatrics</strong></em></a> (doi:10.1542/peds.2012-0564 ), coordinado por Reut Gruber, de la McGill University, de Canadá, examina el impacto que tiene una moderada extensión o restricción del sueño del niño en su comportamiento en la escuela.</p> <p>En la investigación participaron 34 niños de ambos sexos, de 7 a 11 años de edad, con un desarrollo típico, sin problemas de sueño, médicos, académicos o de comportamiento.</p> <p>Los menores se distribuyeron en dos grupos paralelos con el fin de determinar el impacto en su conducta en la escuela de una extensión experimental del sueño, sumando una hora en relación con la duración habitual de lunes a viernes, y de restricción eliminando esa misma hora de sueño bajo las mismas condiciones.</p> <p>Los resultados mostraron que una modesta suma de sueño cada noche, un promedio de 27 minutos entre los niños de 7 a 11 años, resultó en una mejoría significativa en su capacidad para regular sus emociones, incluida la limitación del comportamiento inquieto-impulsivo en la escuela.</p> <p>Por el contrario, los niños que disminuyeron su sueño 54 minutos reportaban en el día somnolencia y hubo un deterioro detectable en su comportamiento emocional.</p> <p>Los autores del estudio dicen que estos nuevos hallazgos apoyan la importancia del sueño en los niños en edad escolar y la necesidad de mayores esfuerzos para eliminar los problemas de sueño del menor.</p> <p>Advierten que el sueño sano es esencial para el estado de alerta y otras funciones claves relacionadas con el éxito académico.</p> <p>En Estados Unidos, un estimado del 64 % de niños en edad escolar, de 6 a 12 años, van a la cama antes de las 9 pm, pero el 43 % de los chicos de entre 10 a 11 años duermen menos de la cantidad recomendada cada noche.</p> <p>Esta semana la Academia Estadunidense de Pediatría difunde también los resultados del estudio "Efectos de la estrategia Intervenciones y Apoyos para un Comportamiento Positivo en Toda la Escuela (SWPBIS) en niños con problemas de conducta".</p> <p>El autor principal de este estudio fue Catherine P. Bradshaw, del Centro Johns Hopkins para la Prevención de la Violencia Juvenil de Baltimore, Maryland.</p> <p>La estrategia se aplica anualmente en 16 mil escuelas en todo Estados Unidos y tiene la intención de reducir los problemas de conducta de los estudiantes mediante la alteración de los comportamientos del personal y el desarrollo de sistemas y apoyos para satisfacer las necesidades conductuales de los niños.</p> <p>Los investigadores analizaron durante cuatro años una muestra de 12 mil 344 niños de 37 escuelas primarias, 52.9 % o hombres, 45.1 afroestadounidenses y 46.1 anglosajones.</p> <p>Aproximadamente el 49 % de ellos recibió comidas gratis o a precio reducido, y el 12.9 % servicios de educación especial al inicio del estudio.</p> <p>El análisis confirmó la eficacia de la estrategia, con efectos importantes en varios niveles sobre los problemas de conducta de los niños, así como de concentración, el funcionamiento socio-emocional y el comportamiento prosocial.</p> <p>Los niños en las escuelas donde se aplica la estrategia también tenían un 33 % menos de probabilidades de recibir un reporte de disciplina que los de las escuelas de comparación y los efectos fueron más fuertes entre los menores que asistieron a un kindergarten donde también se aplica el SWPBIS.<br /> octubre 16/2012 (Notimex).</p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Reut Gruber, Jamie Cassoff, Sonia Frenette, Sabrina Wiebe, Julie Carrier.I<strong><em>mpact of Sleep Extension and Restriction on Children's Emotional Lability and Impulsivity.</em></strong><em>Pediatrics </em>peds.2012-0564 ;Oct 15, 2012</p> </span>
2012-10-19T14:30:45-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/414
Enfermedades del sistema nervioso: La reprogramación celular aporta una pista en párkinson
2012-10-19T13:58:24-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La reprogramación celular de Yamanaka, Nobel de Medicina, ha servido para identificar cómo el daño en la membrana celular causado por una mutación genética se asocia a ciertos síntomas del párkinson.</p> <p>En un estudio que publica la edición electrónica de <a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature11557.html" target="_blank"><em><strong>Nature</strong> </em></a>(doi:10.1038/nature11557), el grupo de Juan Carlos Izpisúa, director del Centro de Medicina Regenerativa de Barcelona (CMRB) y del Laboratorio de Expresión Génica en el Instituto Salk (La Jolla, California), ha desarrollado células de pluripotencialidad inducida (iPS) a partir de células de la piel de pacientes con párkinson, mediante la técnica reprogramadora.</p> <p>Las células iPS que se diferenciaron posteriormente en células madre neuronales presentaban la mutación que se encontraba en los pacientes: una alteración en el gen LRRK2, ya conocida por su relación con la enfermedad de Parkinson esporádica y familiar.</p> <p>Arquitectura celular<br /> Sobre ese modelo celular de la enfermedad, los científicos han podido determinar que la mutación altera la morfología de la membrana que rodea al núcleo de las células madre neuronales. El daño en la arquitectura nuclear conduce a la destrucción de las células, así como a la capacidad para generar nuevas neuronas funcionales, incluyendo las dopaminérgicas.</p> <p>Los resultados obtenidos a partir de las células se han contrastado con muestras de cerebro postmortem de pacientes con párkinson para concluir que presentaban la misma alteración en la membrana del núcleo celular.</p> <p>"Este hallazgo ayuda a explicar por qué la enfermedad de Parkinson, que tradicionalmente se ha asociado con la pérdida de neuronas dopaminérgicas y con alteraciones motoras, puede también presentar además de disfunciones motoras, otras no motoras, tales como depresión y ansiedad", expone Izpisúa. "Nuestro trabajo identifica la degeneración del núcleo como un factor previamente desconocido en la enfermedad de Parkinson".</p> <p>El trabajo no concluye si las alteraciones observadas en la membrana nuclear de las células madre neuronales causan el mal de Parkinson o si estas aberraciones son una consecuencia de la enfermedad, pero "abren la puerta al tratamiento farmacológico de estos pacientes".</p> <p>Así, los investigadores, del CMRB, del Instituto Salk, de la Universidad de California, en San Diego, y del Instituto de Biofísica de Pekín, han utilizado técnicas de edición genética para corregir las mutaciones en la células madre neuronales; la corrección ha permitido reparar el daño de la membrana nuclear, y mejorar la supervivencia y el funcionamiento de esas células.</p> <p>También han podido reparar químicamente el daño en el envoltorio nuclear, administrando un inhibidor de la mutación en la cinasa de este estudio, lo que corrobora los resultados obtenidos en la corrección génica. "Los ensayos clínicos actuales exploran la posibilidad del trasplante de células madre neuronales, así como su posterior diferenciación con el fin de compensar el régimen de dopamina. Nuestro trabajo proporciona una plataforma excepcional para el desarrollo de ensayos similares en células de pacientes una vez corregidas", señala Izpisúa.</p> <p>El hallazgo también podría tener repercusiones en el diagnóstico, pues "las observaciones realizadas en muestras de pacientes, tales como los parámetros de deformación nuclear, se podrían añadir al conjunto de factores que se tienen en cuenta a la hora de efectuar el diagnóstico de la enfermedad de Parkinson".</p> <p>Envejecimiento<br /> Este trabajo se enmarca en una línea de investigación del grupo de Izpisúa que desde hace tiempo se plantea el envejecimiento como un factor de riesgo clave para diversas enfermedades, desde las cardiovasculares a las neurodegenerativas. "Es obvio y evidente, pero es un hecho:enfermamos más frecuentemente cuando envejecemos, lo que invita a estudiar la posibilidad de intervenir en este proceso como una vía paralela para tratar de curar determinadas patologías", expone a DM en un correo electrónico.</p> <p>En ese estudio, donde se ha trabajado con un modelo de párkinson en células reprogramadas, se ha constatado que "las alteraciones asociadas a la mutación en las células madre neuronales aparecían a medida que estas células se hacían viejas, y no se manifestaban mientras eran jóvenes. De hecho, la alteración en la membrana nuclear ya se había identificado en anteriores estudios en células con progeria, y en otros tipos celulares en la población normal, conforme envejece".<br /> <a href="http://neurologia.diariomedico.com/2012/10/17/area-cientifica/especialidades/neurologia/reprogramacion-celular-en-parkinson" target="_blank"><strong>octubre 17/2012 (Diario Médico)</strong> </a></p> <p>Guang-Hui Liu, Jing Qu, Keiichiro Suzuki, Emmanuel Nivet, Mo Li, Juan Carlos Izpisua Belmonte.<em><strong>Progressive degeneration of human neural stem cells caused by pathogenic LRRK2</strong></em>. <em>Nature </em> 17 Oct 2012</p> </span>
2012-10-19T13:58:24-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/413
Cáncer: Una de cada cuatro pacientes con cáncer de mama se ha sentido desorientada durante el tratamiento
2012-10-19T13:50:46-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una de cada cuatro mujeres con cáncer de mama reconoce haberse sentido sola, desinformada o desorientada en algún momento del tratamiento, según se desprende de una encuesta "on line" realizada por la Asociación Española Contra el Cáncer (AECC) a 1318 pacientes que tenían este tumor o que ya lo habían superado.</p> <p>Además, el 66 % de las encuestadas tenía menos de 50 años, un hecho que refleja que cada vez son más jóvenes las mujeres que padecen este tipo de cáncer. Y es que, según ha recordado la presidenta de la AECC, Isabel Oriol, cada año se detectan unos 20 000 nuevos casos en España, aunque las cifras no son del todo reales dado que no existe estadísticas nacionales sobre la incidencia que tiene este cáncer.</p> <p>No obstante, a pesar de que la mitad de las mujeres encuestadas considera suficiente la información recibida en el momento del diagnóstico, son todavía "muchas" las que en algún momento se han sentido desinformadas o desorientadas. "Este dato es muy significativo y quiere decir que los profesionales sanitarios y las asociaciones de pacientes tenemos todavía mucho por hacer", ha recalcado Oriol.</p> <p>En este sentido, uno de los aspectos más importantes a la hora de conseguir que la paciente tenga pleno conocimiento de la enfermedad, de la terapia a la que va a ser sometida y, por tanto, se sienta orientada, es la presencia de equipos multidisciplinares compuestos por ginecólogos, cirujanos, oncólogos médicos, oncólogos radioterapéuticos, radiólogos, enfermeros, gestores de casos y psicólogos.</p> <p>"Es imprescindible que todas las mujeres diagnosticadas sean tratadas por un equipo multidisciplinar que incluya expertos en cirugía plástica o reparadora y en la discusión de los casos antes de decidir el primer tratamiento", ha comentado el presidente del Comité Técnico Nacional (CTN) de la AECC, Josep Tabernero.</p> <p>Aunque en España más de la mitad de los hospitales cuentan con equipos multidisciplinares, según ha asegurado el presidente del Grupo Español de Investigación del Cáncer de Mama (GEICAM), Miguel Martín, "menos" del 50% de las mujeres con este tipo de tumor son atendidas por estos equipos.</p> <p>Dicho esto, Martín ha señalado que una de las principales causas por las que las mujeres no se sienten del todo informadas es por el "estado de shock" en el que se encuentran en el momento de conocer el tumor, que les impide procesar toda la información que se les está aportando. Sin embargo, entre las encuestadas, 6 de cada 10 reconoce ser consciente de que su caso o historia clínica ha sido vista por un equipo multidisciplinar.</p> <p>Por ello, los especialistas han destacado la necesidad de informar a las mujeres de todos los aspectos relacionados con este tipo de cáncer incluso antes de que lo padezcan. "Hay que mejorar la información antes de que la enferma sea realmente enferma", ha recalcado el presidente del GEICAM.</p> <p>Estas declaraciones han sido corroboradas por la vicepresidenta de la Federación Española de Cáncer de Mama (FECMA), Montserrat Domènech, quien ha subrayado la importancia de acudir a los programas de detención precoz disponibles en todas las comunidades autónomas. "La población debe conocer lo que se está cociendo porque cada vez vamos a ver a más mujeres con cáncer de mama", ha advertido.</p> <p>Por otra parte, los datos de la investigación han reflejado que el ginecólogo fue el que confirmó el diagnóstico de cáncer de mama al 41 % de las mujeres, seguido del cirujano en un 30 % de los casos. Además, fue un bulto en el pecho el motivo por el que el 65 % de las mujeres acudió a su médico de Atención Primaria o ginecólogo.</p> <p>Menos de un mes desde la detección hasta el inicio del tratamiento</p> <p>Respecto a la rapidez en el comienzo de las terapias, el estudio realizado por la AECC ha mostrado que el tiempo de espera desde la sospecha del cáncer hasta el tratamiento fue inferior a un mes para el 52 % de las pacientes encuestadas.</p> <p>Asimismo, de aquellas que fueron diagnosticadas a través de un programa de detección precoz, el 66 % conservó la mama, y en aquellas que fueron diagnosticadas hace menos de dos años se observa una tendencia decreciente en la realización de mastectomías --50,9 % de mastectomías entre las encuestadas diagnosticadas hace más de dos años, frente a 44,6 % en las diagnosticadas hace menos de dos años--.</p> <p>En relación a la prueba del ganglio centinela --una de las principales prácticas del tratamiento del cáncer de mama en España--, el 74 % de las mujeres encuestadas asegura que se les realizó la prueba, frente a un 17,7 % que dice que no se lo hicieron y un 5 % que reconoce que le informaron de que en su caso esta prueba no era necesaria.</p> <p>Por último, el presidente de la Sociedad Española de Senología y Patología Mamaria (SESPM), Carlos Vázquez, ha recordado la necesidad de que las mujeres de entre 58 y 60 años se realicen una mamografía cada dos años para detectar cuanto antes un posible caso de cáncer de mama.<br /> octubre 17/2012 (JANO)Una de cada cuatro mujeres con cáncer de mama reconoce haberse sentido sola, desinformada o desorientada en algún momento del tratamiento, según se desprende de una encuesta "on line" realizada por la Asociación Española Contra el Cáncer (AECC) a 1318 pacientes que tenían este tumor o que ya lo habían superado.</p> <p>Además, el 66 % de las encuestadas tenía menos de 50 años, un hecho que refleja que cada vez son más jóvenes las mujeres que padecen este tipo de cáncer. Y es que, según ha recordado la presidenta de la AECC, Isabel Oriol, cada año se detectan unos 20 000 nuevos casos en España, aunque las cifras no son del todo reales dado que no existe estadísticas nacionales sobre la incidencia que tiene este cáncer.</p> <p>No obstante, a pesar de que la mitad de las mujeres encuestadas considera suficiente la información recibida en el momento del diagnóstico, son todavía "muchas" las que en algún momento se han sentido desinformadas o desorientadas. "Este dato es muy significativo y quiere decir que los profesionales sanitarios y las asociaciones de pacientes tenemos todavía mucho por hacer", ha recalcado Oriol.</p> <p>En este sentido, uno de los aspectos más importantes a la hora de conseguir que la paciente tenga pleno conocimiento de la enfermedad, de la terapia a la que va a ser sometida y, por tanto, se sienta orientada, es la presencia de equipos multidisciplinares compuestos por ginecólogos, cirujanos, oncólogos médicos, oncólogos radioterapéuticos, radiólogos, enfermeros, gestores de casos y psicólogos.</p> <p>"Es imprescindible que todas las mujeres diagnosticadas sean tratadas por un equipo multidisciplinar que incluya expertos en cirugía plástica o reparadora y en la discusión de los casos antes de decidir el primer tratamiento", ha comentado el presidente del Comité Técnico Nacional (CTN) de la AECC, Josep Tabernero.</p> <p>Aunque en España más de la mitad de los hospitales cuentan con equipos multidisciplinares, según ha asegurado el presidente del Grupo Español de Investigación del Cáncer de Mama (GEICAM), Miguel Martín, "menos" del 50% de las mujeres con este tipo de tumor son atendidas por estos equipos.</p> <p>Dicho esto, Martín ha señalado que una de las principales causas por las que las mujeres no se sienten del todo informadas es por el "estado de shock" en el que se encuentran en el momento de conocer el tumor, que les impide procesar toda la información que se les está aportando. Sin embargo, entre las encuestadas, 6 de cada 10 reconoce ser consciente de que su caso o historia clínica ha sido vista por un equipo multidisciplinar.</p> <p>Por ello, los especialistas han destacado la necesidad de informar a las mujeres de todos los aspectos relacionados con este tipo de cáncer incluso antes de que lo padezcan. "Hay que mejorar la información antes de que la enferma sea realmente enferma", ha recalcado el presidente del GEICAM.</p> <p>Estas declaraciones han sido corroboradas por la vicepresidenta de la Federación Española de Cáncer de Mama (FECMA), Montserrat Domènech, quien ha subrayado la importancia de acudir a los programas de detención precoz disponibles en todas las comunidades autónomas. "La población debe conocer lo que se está cociendo porque cada vez vamos a ver a más mujeres con cáncer de mama", ha advertido.</p> <p>Por otra parte, los datos de la investigación han reflejado que el ginecólogo fue el que confirmó el diagnóstico de cáncer de mama al 41 % de las mujeres, seguido del cirujano en un 30 % de los casos. Además, fue un bulto en el pecho el motivo por el que el 65 % de las mujeres acudió a su médico de Atención Primaria o ginecólogo.</p> <p>Menos de un mes desde la detección hasta el inicio del tratamiento</p> <p>Respecto a la rapidez en el comienzo de las terapias, el estudio realizado por la AECC ha mostrado que el tiempo de espera desde la sospecha del cáncer hasta el tratamiento fue inferior a un mes para el 52 % de las pacientes encuestadas.</p> <p>Asimismo, de aquellas que fueron diagnosticadas a través de un programa de detección precoz, el 66 % conservó la mama, y en aquellas que fueron diagnosticadas hace menos de dos años se observa una tendencia decreciente en la realización de mastectomías --50,9 % de mastectomías entre las encuestadas diagnosticadas hace más de dos años, frente a 44,6 % en las diagnosticadas hace menos de dos años--.</p> <p>En relación a la prueba del ganglio centinela --una de las principales prácticas del tratamiento del cáncer de mama en España--, el 74 % de las mujeres encuestadas asegura que se les realizó la prueba, frente a un 17,7 % que dice que no se lo hicieron y un 5 % que reconoce que le informaron de que en su caso esta prueba no era necesaria.</p> <p>Por último, el presidente de la Sociedad Española de Senología y Patología Mamaria (SESPM), Carlos Vázquez, ha recordado la necesidad de que las mujeres de entre 58 y 60 años se realicen una mamografía cada dos años para detectar cuanto antes un posible caso de cáncer de mama.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/cada/cuatro/pacientes/cancer/mama/sentido/desorientada/durante/tratamiento/_f-11+iditem-18240+idtabla-1" target="_blank"><strong>octubre 17/2012 (JANO)</strong></a></p> </span>
2012-10-19T13:50:46-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/412
Cáncer: Técnica británica ayudará a localizar tumores cerebrales diminutos
2012-10-17T08:42:20-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>Los tumores cerebrales diminutos podrían diagnosticarse en un futuro gracias a una nueva técnica de imagen, probada con éxito en ratones, que emplea un tinte para mostrar la presencia en el cerebro de una proteína vinculada al cáncer.</p> <p>Esta técnica, desarrollada por científicos de la Universidad de Oxford (este de Inglaterra), permitiría a los oncólogos diagnosticar antes la diseminación del cáncer al cerebro del enfermo, situación que padece uno de cada diez pacientes de esta enfermedad.</p> <p>Los tumores cerebrales más pequeños pueden tratarse con radioterapia o extraerse mediante cirugía pero son difíciles de diagnosticar, por lo que muchas veces se convierten en letales.</p> <p>La investigación consistió en probar en ratones un tinte especial que permite observar la presencia y la concentración en el cerebro de una proteína vinculada al cáncer metastásico, tras someter al paciente a una resonancia magnética.</p> <p>Los resultados del estudio, apoyado por la organización Cancer Research UK, fueron publicados por la revista estadounidense <em><strong>Proceedings of the National Academy of Sciences</strong></em>.</p> <p>Para mejorar las tasas de supervivencia, "es urgente encontrar nuevos métodos de diagnóstico para detectar este tipo de cáncer cuanto antes", según explicó la investigadora principal del estudio, Nicola Sibson, de la organización Gray Institute de la Universidad de Oxford.</p> <p>Sibson confía en que, si los ensayos clínicos tienen éxito y esta técnica se generaliza, su descubrimiento permitirá aumentar el número de opciones terapéuticas para estos pacientes.</p> <p>"Este emocionante descubrimiento revela que una sola proteína puede permitir a los médicos hacer un dibujo con un tinte médico para detectar que el cáncer se ha extendido al cerebro en un estadio muy temprano, cuando el tratamiento tiene más probabilidad de funcionar", explicó la doctora Julie Sharp, de Cancer Research UK.</p> <p>En los últimos años, la inversión en investigación ha hecho posible grandes progresos en el tratamiento de los tumores cerebrales, en especial en niños, pero aún es necesario mejorar los resultados en adultos, subrayó Sharp.<br /> octubre 17/2012 (EFE)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p><strong></strong>Sébastien Serres, Manuel Sarmiento Soto, Alastair Hamilton, Martina A. McAteer, W. Shawn Carbonell, Matthew D. Robson, et. al.<strong><a href="http://www.pnas.org/content/109/17/6674.full?sid=863bdc50-bf6d-4948-8bb4-1a0852c3b61a" target="_blank"><em> Molecular MRI enables early and sensitive detection of brain metastases</em></a>. </strong><em>PNAS</em> 2012 109 (17) 6674-6679; doi:10.1073/pnas.1117412109.<strong><br /> </strong></p></div> </span>
2012-10-17T08:42:20-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/411
Nobel: Nobel de Física para estudios pioneros de la interacción entre la luz y la materia
2012-10-09T09:42:17-04:00
Revista Finlay
<div id="tamano"><p>El Nobel de Física ha premiado este año al francés Serge Haroche (Casablanca, Maruecos-1944), del Colegio de Francia y de la Escuela Superior Normal, y el norteamericano David Wineland (Wisconsin, EEUU-1944) de la Universidad de Colorado (EEUU), por sus <strong>trabajos pioneros de la interacción entre la luz y la materia</strong>, según ha anunciado el Comité del los Premios Nobel en una comparecencia pública en Estocolmo (Suecia).</p> <p>Según ha informado el portavoz de la institución, ambos investigadores pusieron la primera piedra de los "métodos experimentales que han permitido medir y manipular los sitemas cuánticos individuales". <strong>"Han abierto la puerta a una nueva era de experimentación en la física cuántica"</strong>, ha subrayado el fallo del premio, "al lograr la observación directa de partículas cuánticas individuales sin destruirlas".</p> <p>Quizá la aplicación más prometedora que ha permitido vislumbrar el trabajo de ambos investigadores es el diseño en el futuro de ordenadores súper rápidos basados en física cuántica.</p> <p>Los ganadores de este premio, dotado con ocho millones de coronas suecas (cerca de 930.000 euros), un 20% menos que el año pasado.</p> <p>Juan Ignacio Cirac, director de la División de Teoría del Instituto Max- Planck de Óptica Cuántica y quizá el científico español que más sonaba para ganar el galardón en la categoría de Física, <strong>compartió en el año 2010 la prestigiosa Medalla Franklin de Física</strong> con uno de los premiados este año, David Wineland, y con Peter Zöller, con quién también compartió el Premio Fundación BBVA Fronteras del Conocimiento en la categoría de Ciencias Básicas en 2008.</p> <h3>Demasiado pronto para el padre del bosón de Higgs</h3> <p>Es difícil que las quinielas de los colegas de profesión acierten con el vencedor en la categoría de Física, pero a diferencia de otros, este año había un nombre que sonaba en el olimpo de la Física: el de Peter Higgs. Después de la confirmación, mediante dos experimentos independientes realizados en el CERN de Ginebra, de la <a href="http://www.elmundo.es/elmundo/2012/07/04/ciencia/1341382835.html">existencia del Bosón de Higgs</a> el británico había ocupado el primer puesto en las apuestas sobre el Premio Nobel de Física de 2012. Sin embargo, no eran pocos los que aseguraban que aún era pronto para darle el galardón a Higgs.</p> <p>El Nobel en esta categoría se ha otorgado ya 105 veces. El año pasado, el galardón <a href="http://www.elmundo.es/elmundo/2011/10/04/ciencia/1317718798.html"> premió a tres astrónomos</a>, el estadounidense Saul Perlmutter, al australiano-estadounidense Brian Schmidt y al también estadounidense Adam G. Riess, por sus <strong>descubrimientos sobre la aceleración de la expansión del Universo</strong> a través de sus observaciones de supernovas muy distantes.</p> <p>En 2010, el galardón también fue sonado debido a la juventud del hallazgo y de uno de los investigadores premiados. Ese año el Nobel fue para Andre Geim y Konstantin Novoselov, ambos investigadores de la Universidad de Manchester (Reino Unido), por sentar la base de las investigaciones con un nuevo material llamado grafeno.</p> <p>El galardón recién anunciado llega tras el anuncio el lunes del primer Nobel científico de la semana, en la categoría de Medicina, que ha reconocido al británico <strong>John P. Gurdon y al japonés Shinya Yamanaka</strong> por sus investigaciones sobre la repogramación celular.</p></div>
2012-10-09T09:42:17-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/410
Ciencia y Tecnología: Implantes coronarios que desaparecen
2012-10-09T09:36:48-04:00
Revista Finlay
<div id="tamano"><p><img title="stent_para_el_corazn_470" src="/public/site/images/mikhail/stent_para_el_corazn_470.jpg" alt="stent_para_el_corazn_470" width="259" height="172" />Para solucionar las obstrucciones arteriales, los especialistas en cardiología a menudo recurren a los 'stents', dispositivos cilíndricos que tienen forma de tubo y que, colocados en el interior de los vasos sanguíneos, permiten una adecuada circulación de la sangre.</p> <p>Habitualmente, estas mallas son metálicas, por lo que, una vez introducidas, permanecen en el organismo de los pacientes. Sin embargo, un nuevo tipo de dispositivo que <strong>'desaparece' de las arterias</strong> tras haber cumplido su función va abriéndose camino en los quirófanos españoles.</p> <p>Se trata de los 'stents' reabsorbibles, un producto que, realizado a partir de materiales biodegradables, se 'disuelve' en un plazo máximo de dos años <strong>sin dejar ningún residuo</strong>, tal y como explica Eulogio García, consultor de Hemodinámica y Cardiología Intervencionista del Hospital Clínico San Carlos de Madrid.</p> <p>Hasta la fecha, la colocación de estos 'stents' se ha realizado de forma experimental -apenas 150 pacientes en todo el mundo y unos 10 casos en España-, aunque, tal y como se avanzó en el X Curso Internacional de Terapia Endovascular y Miocárdica, celebrado estos días en Madrid, su uso en los hospitales de nuestro país irá en aumento y empezará a utilizarse habitualmente de forma clínica.</p> <h3>Tercera generación</h3> <p>Su uso supone el <strong>tercer paso en la evolución de los 'stents'</strong>. Estas mallas nacieron en los 80 para mantener abiertas las arterias después de que se comprobara que, con el tratamiento convencional entonces -<a href="http://www.elmundo.es/elmundosalud/documentos/2006/11/angioplastia.html" target="_blank">la angioplastia</a>-, las reobstrucciones eran habituales.</p> <p>La primera generación de estos dispositivos no conseguía cumplir con éxito su objetivo (el cuerpo reaccionaba ante el cuerpo extraño favoreciendo en muchos casos nuevos bloqueos arteriales), por lo que, en unos años se desarrollaron los 'stents' recubiertos de fármaco. Estos últimos evitan, en mayor medida, nuevas oclusiones, aunque también se relacionan con otros problemas, sobre todo si hay que volver a intervenir en la zona.</p> <p>"Los nuevos 'stents' reabsorbibles se amoldan mejor a la estructura de las arterias coronarias y con su uso se evita tener una estructura metálica en los vasos. Además, se pueden realizar pruebas de imagen, como un TAC multicorte, para evaluar la zona tratada con mayor facilidad", señala García, quien cree que, aunque esto no sucederá en un futuro próximo, a medio o largo plazo "sí es previsible que estos dispositivos puedan llegar a sustituir" a los convencionales farmacoactivos.</p> <p>De momento, su utilización <strong>no se recomienda en casos en los que las arterias estén muy calcificadas</strong> y en bifurcaciones importantes ya que, como explica García, su 'navegabilidad' por la arteria es "ligeramente inferior" a los existentes. Con todo, este especialista señala que estas limitaciones podrían superarse ya que los 'stents' bioabsorbibles están dando buenos resultados en este sentido en recientes investigaciones.</p><p><a href="http://www.elmundo.es/elmundosalud/2012/10/08/corazon/1349698488.html?a=21e41fdbe41cd933b2e7ff6837d90b38&t=1349788772&numero=" target="_blank">Tomada del Mundo</a></p></div>
2012-10-09T09:36:48-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/409
Ciencia y Tecnología: Dos nuevas mutaciones, causa de muerte súbita
2012-10-08T08:18:19-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un equipo de médicos del Hospital Virgen Macarena, en Sevilla, ha identificado dos nuevas mutaciones genéticas relacionadas con la miocardiopatía arritmogénica del ventrículo derecho, causa de muerte súbita.</p> <p>Francisco Trujillo, responsable de la consulta monográfica de cardiopatías hereditarias del Hospital Universitario Virgen Macarena, de Sevilla, ha realizado un estudio que pone de relieve que las cardiopatías hereditarias representan más del 50 % de las muertes súbitas en personas menores de 35 años, a pesar de que la mayoría de las veces pasan de forma desapercibida y asintomática y, en ocasiones, solo se descubre con el fallecimiento.</p> <p>Asimismo, revela el descubrimiento de dos nuevas mutaciones relacionadas con la miocardiopatía arritmogénica del ventrículo derecho, primera causa de muerte súbita en personas jóvenes de Andalucía, y que nunca antes se habían descrito: mutaciones en los genes de la desmoplaquina y de la placofilina 2. El trabajo se ha presentado en el último Congreso Europeo de Cardiología, en Múnich, y en el Congreso Internacional de Medicina Forense de Cádiz.</p> <p>Cuando se plantearon este análisis observaron que más del 90 % de los familiares de pacientes con cardiopatía hereditaria no eran estudiados. Se decidió analizar entonces a 15 familias -150 individuos-, descubriendo que más de la mitad tienen la enfermedad de sus progenitores. "Se refleja, por tanto, que los familiares de primer grado de pacientes con muerte súbita cardiaca presentan un riesgo elevado de padecer la enfermedad".</p> <p>Familia de primer grado<br /> El análisis clínico se basó en la historia clínica -con una referencia especial a los antecedentes familiares, ya que es importante recabar la información de quién se ha muerto súbitamente en la familia con menos de 35 años- y en la evaluación física: electrocardiograma, ecocardiograma, prueba de esfuerzo, Holter, cardiorresonancia con gadolinio -en la mayoría de los casos-, y estudios genéticos en las que son de naturaleza hereditaria.</p> <p>La prevención de la muerte súbita en personas jóvenes va unida a un estudio exhaustivo de los familiares de primer grado donde el análisis genético tiene un papel primordial. Los análisis con los pormenores génicos han sido llevados a cabo por el grupo de Lorenzo Monserrat, en La Coruña, (Health in Code), especializados en el diagnóstico genético en enfermedades cardiovasculares.</p> <p>Según Trujillo, estos profesionales recibieron los análisis de sangre y han realizado el estudio genético, así como una revisión bibliográfica de todo lo que existe sobre esa mutación. A su juicio, el análisis genético permite confirmar la enfermedad, estratificar el riesgo que presenta y poner la diana en la población más afectada. Sin embargo, por motivos económicos "solo hemos enviado muestras de familias con mayor riesgo. En dos de ellas con miocardiopatías arritmogénicas se ha demostrado que tenían dos mutaciones que estaban relacionadas con la enfermedad. Más del 50 % de los estudios genéticos enviados han dado resultados positivos", ha concluido el experto.<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2012/10/08/area-cientifica/especialidades/cardiologia/investigacion/dos-nuevas-mutaciones-causa-muerte-subita-" target="_blank">octubre 7/2012 (Diario Médico)</a></p> </span>
2012-10-08T08:18:19-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/408
Cáncer: Variantes genéticas en gen FASN, asociadas al desarrollo de miomas uterinos
2012-10-08T08:07:46-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El grupo de Cynthia Morton, directora del Centro de Miomas Uterinos del Hospital Brigham and Women, en Boston, ha descubierto un alelo que otorga riesgo genético de desarrollar un mioma, según los datos de un trabajo que se publicado recientemente en <em><strong>The American Journal of Human Genetics</strong></em>.</p> <p>El citado equipo ha analizado los datos de 7000 mujeres y ha detectado variantes genéticas que se asocian de forma significativa a los miomas uterinos en tres genes, incluido el FASN, que codifica la proteína FAS. Las muestras estudiadas provenían de varias cohortes de estudios, por lo que los datos se pueden extrapolar a amplios grupos poblacionales.</p> <p>Sobreexpresión<br /> Estudios adicionales han mostrado que la expresión de dicha proteína es tres veces mayor en las muestras de los miomas que en el miometrio normal. "La sobreexpresión de esta proteína se ha encontrado en varios tipos de tumores, por lo que se piensa que será importante para la supervivencia de las células tumorales".</p> <p>Para Morton, los resultados del trabajo son un paso adelante hacia la medicina personalizada "en mujeres que tienen un riesgo genético de desarrollar miomas. Conocer ese factor de riesgo genético puede ser una buena herramienta para el manejo médico precoz de dichos tumores".<br /> <a href="http://ginecologia-y-obstetricia.diariomedico.com/2012/10/05/area-cientifica/especialidades/ginecologia-y-obstetricia/variantes-geneticas-gen-fasn-se-asocian-desarrollo-miomas-uterinos" target="_blank">octubre 7/2012(Diario Médico)</a></p> <p>Stacey L. Eggert, Karen L. Huyck, Priya Somasundaram, Raghava Kavalla, Elizabeth A. Stewart, Ake T. Lu, et.al. <a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0002929712004211" target="_blank"><em><strong>Genome-wide Linkage and Association Analyses Implicate FASN in Predisposition to Uterine Leiomyomata</strong></em></a>. <em>The American Journal of Human Genetics</em>,<br /> 91(4) pp. 621 - 628.</p> </span>
2012-10-08T08:07:46-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/407
Medicamentos: Las estatinas podrían reducir el riesgo de padecer glaucoma
2012-10-03T08:03:28-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las personas que toman estatinas tienen una menor probabilidad de ser diagnosticadas de glaucoma, según un estudio que se publica en <strong><em>Ophthalmology</em></strong>. Un equipo dirigido por Joshua Stein, de la Universidad de Michigan (Estados Unidos), ha comprobado que el riesgo se redujo un 8 % en quienes habían consumido estos fármacos de forma continua durante dos años.</p> <p>Se trata del mayor análisis sobre la cuestión realizado hasta la fecha. Partió de una base de datos clínicos de una población de ciudadanos estadounidenses mayores de 60 años de diversas procedencias étnicas que consumieron estatinas para controlar la hiperlipidemia entre 2001 y 2009.</p> <p>Los investigadores evaluaron el riesgo de estos pacientes de padecer glaucoma de ángulo abierto y recalcan que su estudio, a diferencia de otros publicados con anterioridad, ajustó los cálculos teniendo en cuenta a aquellos pacientes que padecían diabetes mellitus o hipertensión arterial y que, por lo tanto, podrían falsear los resultados.</p> <p>Nervio óptico<br /> En los últimos años se han ido acumulando evidencias científicas de que el empleo de estatinas podría proteger el nervio óptico y las fibras nerviosas de la retina. Se desconocen los mecanismos que explicarían este efecto preventivo, pero Stein ha aventurado que la capacidad de las estatinas para reducir el riesgo de glaucoma "podría deberse a varios factores, como la mejora del flujo sanguíneo hacia el nervio óptico y las células nerviosas de la retina".</p> <p>Los fármacos para el control de las dislipemias también potenciarían "el drenaje del humor acuoso, lo que reduciría la presión intraocular", según el investigador.</p> <p>Los resultados de su estudio sugieren que el empleo de estatinas podría tener un mayor efecto preventivo si tiene lugar antes del diagnóstico de glaucoma.<br /> <a href="http://oftalmologia.diariomedico.com/2012/10/02/area-cientifica/especialidades/oftalmologia/estatinas-podrian-reducir-riesgo-padecer-glaucoma" target="_blank">octubre 1/2012 (Diario Médico) </a></p> <p>Joshua D. Stein, Paula Anne Newman-Casey, Nidhi Talwar, Bin Nan, Julia E. Richards, David C. Musch. <a href="http://www.aaojournal.org/article/S0161-6420%2812%2900401-0/fulltext" target="_blank"><em><strong>The Relationship Between Statin Use and Open-Angle Glaucoma</strong></em></a>. <em>Ophthalmology</em> 2012, vol. 119(10): págs 2074-2081. DOI: 10.1016/j.ophtha.2012.04.029.</p> </span>
2012-10-03T08:03:28-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/406
Medicamentos: Droga para la diabetes mellitus, efectiva en pacientes de alto riesgo
2012-10-03T07:56:51-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un tratamiento experimental para la diabetes mellitus tipo 2 desarrollado por Johnson & Johnson probó ser efectivo para reducir el azúcar en la sangre en pacientes sometidos a terapia con insulina a largo plazo y con alto riesgo de problemas cardiacos, según un estudio presentado el martes.</p> <p>La droga, canagliflozin, también condujo a reducciones clínicamente significativas de la presión arterial y a pérdida de peso, que podrían ser de beneficio para diabéticos con un elevado riesgo de problemas al corazón, dijeron investigadores.</p> <p>"Es siempre un desafío intentar reducir peso, reducir la glucosa de la sangre, reducir la presión arterial y aquí tienes un agente que te ayudará a reducir el peso, el azúcar de la sangre y la presión arterial", afirmó David Matthews, uno de los principales investigadores del estudio, en una entrevista telefónica.</p> <p>Los más de 1700 pacientes de un subestudio de 18 semanas en que se comparó la droga en dosis de 100 miligramos o 300 miligramos frente a placebo sufrían de diabetes tipo 2 desde hacía 16 años, en promedio, y estaban siendo sometidos a terapia con insulina por un promedio de siete años.</p> <p>Más de la mitad de ellos tenían historial previo de ataques cardíacos, derrames cerebrales o problemas vasculares.</p> <p>Tras 18 semanas de tratamiento diario, la AC1 -una medida común de azúcar en la sangre- fue reducida en un 0,65 % en pacientes que tomaban 100 miligramos de canagliflozin y en un 0,73 % en pacientes que ingerían 300 miligramos de la droga, frente a prácticamente ningún cambio registrado en los pacientes que recibían placebo.</p> <p>"Estas son caídas clínicamente significativas, no hay duda de ello", afirmó Matthews, profesor de diabetes en el Oxford Centre for Diabetes, Endocrinology & Metabolism en Oxford, Inglaterra.</p> <p>Los resultados fueron presentados en una reunión de la Asociación Europea para el Estudio de la Diabetes (EASD) en Berlín.</p> <p>La droga de J&J también condujo a reducciones estadísticamente significativas de la presión arterial sistólica en ambas dosis, así como a bajas en la presión arterial diastólica, o ambos extremos en la lectura de la presión arterial.</p> <p>El canagliflozin pertenece a una nueva clase de tratamientos para la diabetes llamados inhibidores SGLT2 que actúan mediante el bloqueo de la reabsorción de la glucosa por parte del riñón y aumenta la excreción de glucosa en la orina para reducir el azúcar en la sangre.<br /> octubre 1/2012 (Reuters)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2012-10-03T07:56:51-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/405
Ciencia y Tecnología: Nueva lente para la corrección de la visión intermedia y de lejos en pacientes con catarata
2012-10-02T22:47:57-04:00
Revista Finlay
<p>El Dr. José Alfonso, del Instituto Fernández-Vega, y el Dr. Javier Mendicute, de la Clínica Begitek, han presentado la nueva lente multifocal de Alcon durante un simposio sobre cirugía del cristalino celebrado en el marco del 88º Congreso de la Sociedad Española de Oftalmología, que se celebra estos días en Barcelona.<br /> <br /> Con la implantación de la lente AcrySof IQ ReSTOR +2.5, los pacientes con catarata consiguen una visión intermedia y de lejos con más nitidez, lo que les permitirá, en palabras de Enrique Chico, vicepresidente de Alcon Iberia, “disfrutar de una independencia casi total de las gafas”.</p> <p>"Los oftalmólogos", añade Chico, "conocedores de la plataforma AcrySof amplían el rango terapéutico con el objetivo de seleccionar la opción más adecuada para cada paciente”. Las características de este nuevo desarrollo oftalmológico permiten una mayor luminosidad y adaptación al ojo por su diseño asférico y su perfil de borde recto.</p> <div class="inner_content"><br /><!-- .listaRss { position: relative; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 0px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 0px; height: 400px; width: 420px ! important; }.listaRss2 { background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 0px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 10px 0pt; width: 440px; }.fondo_blanco { z-index: 3; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); visibility: hidden; opacity: 0.7; height: 395px ! important; width: 438px; }.fondo_gris { z-index: 4; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(102, 102, 102); visibility: hidden; opacity: 0.6; height: 235px; width: 328px ! important; }.capa_rss { z-index: 5; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); border: 2px solid rgb(205, 205, 205); height: 265px ! important; width: 310px ! important; visibility: hidden; }.contenido_rss { z-index: 6; position: absolute; height: 190px; width: 312px ! important; visibility: hidden; }.contenido_rss h3 { float: left; margin: 0px; font: bold 11px Arial,Helvetica,sans-serif; color: rgb(102, 102, 102); }.contenido_rss .cabecera { width: 299px ! important; padding: 6px; border-bottom: 1px solid rgb(236, 236, 236); }.contenido_rss img { float: right; margin: 0px; padding: 0px; }.contenido_rss a img { border: 0px none; }.contenido_rss ul { margin: 0px 2px 0px 0px; padding: 0px; }.contenido_rss li { background: url("/static/portadas/rss/img/fnd_lista_rss.gif") repeat-x scroll left bottom transparent; list-style-type: none; margin: 0px ! important; padding: 2px 2px 2px 5px; font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss li img { float: left; }.contenido_rss li a { display: block; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); padding: 2px 0px; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss li a:hover { display: block; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(234, 238, 243); padding: 2px 0px; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss .sin_borde { background: none repeat scroll 0% 0% transparent; font-size: 10px; color: rgb(102, 102, 102); }.contenido_rss .sangria { padding: 0px 0px 0px 21px; font-size: 9px; }.limpiar { clear: both; line-height: 1px; font-size: 1px; height: 1px; }.listaRssizq { padding: 2px 0px; width: 183px ! important; float: left; border-right: 1px solid rgb(204, 204, 204); }.listaRssizq a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRssizq img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; }.listaRssder { padding: 2px 0px 2px 7px; width: 208px ! important; float: left; }.listaRssder a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRssder img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; }.entrar a { color: rgb(0, 51, 102); text-decoration: none; }.entrar a:hover { color: rgb(0, 51, 102); text-decoration: underline; }.listaRss2 { background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 5px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 10px 0pt; width: 420px ! important; }.listaRss2 a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRss2 img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; } --> <form> <input name="ocultar" type="hidden" value="1" /> </form></div>
2012-10-02T22:47:57-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/404
Ciencia y Tecnología: Descubren dinámica entre el reloj biológico y la actividad neuronal
2012-10-01T08:42:07-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Biólogos de la Universidad de Nueva York han descubierto una vía en la que los relojes biológicos controlan la actividad neuronal -un descubrimiento que arroja nueva luz sobre los ciclos de sueño-vigilia, y ofrece posibles nuevas direcciones para la investigación de terapias dirigidas a los trastornos del sueño y al desfase horario o " jetlag".<br /> "Los hallazgos responder a una pregunta importante -cómo los relojes biológicos impulsan la actividad de las neuronas reloj las que, a su vez, regulan los ritmos de comportamiento", explicó Justin Blau, profesor asociado en el Departamento de Biología de la Universidad de Nueva York y autor principal del estudio. Sus conclusiones aparecen en la <strong><em> Journal of Biological Rhythms</em></strong>.</p> <p>Los científicos conocen que nuestros relojes biológicos controlan la actividad neuronal. Pero antes no se entendía cómo ocurría este proceso -es decir, cómo la información de los relojes biológicos conduce los ritmos en la actividad eléctrica de las neuronas marcapasos las que, a su vez, impulsan los ritmos diarios.</p> <p>Para comprender este mecanismo, los investigadores examinaron los relojes biológicos, o circadianos de la mosca de la fruta <em>Drosophila</em>, las que son empleadas comúnmente para la investigación en esta área. Estudios anteriores de los "genes reloj" en moscas de la fruta permitieron la identificación de genes que funcionan de manera similar en los seres humanos.</p> <p>En su estudio, los investigadores se centraron en ocho neuronas marcapasos maestras localizadas en el cerebro central -estas neuronas establecen el calendario de las transiciones diarias entre el sueño y la vigilia en la mosca. En concreto, ellos fueron capaces de aislar estas neuronas en animales e identificar grupos de genes expresados diferencialmente entre el amanecer y el atardecer.</p> <p>En una serie de experimentos de seguimiento se concentraron en un gen, Ir, cuya expresión era mucho mayor al atardecer que al amanecer y mucho más altamente expresada en las neuronas marcapasos que en el resto del cerebro. Ir codifica un canal de potasio que ayuda a establecer el estado de reposo de las neuronas -por lo que su expresión rítmica hace que sea un excelente candidato para ayudar a relacionar al reloj biológico con la actividad de la neurona marcapasos. Los altos niveles de expresión del Ir al atardecer deben hacer a las neuronas marcapasos mucho más difícil la señalización que los niveles bajos observados en la madrugada, un hallazgo que concuerda con estudios anteriores que muestran que las neuronas marcapasos se disparan más al amanecer que al atardecer.</p> <p>Los autores también descubrieron que las manipulaciones genéticas que aumentan o disminuyen los niveles de Ir afectan los ritmos de comportamiento. Pero quizás lo más interesante sea que estos niveles también se asociaron con cambios en el momento y la fuerza de las oscilaciones en el núcleo del reloj.</p> <p>"La biología nunca es tan simple como imaginamos", explicó Blau. "Estábamos buscando una vía en el reloj biológico que uniera el núcleo del reloj a la actividad neuronal. El gen Ir parece hacer esto, pero también, sorprendentemente, retroalimenta la regulación del núcleo del reloj por si mismo. Los circuitos de retroalimentación parecen estar profundamente arraigados en el reloj biológico y presumiblemente ayuden a estos relojes a funcionar tan bien. "<br /> <a href="http://www.eurekalert.org/pub_releases/2012-09/nyu-nbu092512.php" target="_blank">septiembre 30/2012 (Eurekalert)</a></p> <p>Marc Ruben, Mark D. Drapeau, Dogukan Mizrak, Justin Blau. <a href="http://jbr.sagepub.com/content/27/5/353.full" target="_blank"><em><strong>A Mechanism for Circadian Control of Pacemaker Neuron Excitability</strong></em></a>. <em>J Biol Rhythms</em>, octubre 2012; vol. 27, 5: pp. 353-364. doi: 10.1177/0748730412455918.</p> <p><strong>La editora recomienda</strong>:</p> <p><a href="http://jbr.sagepub.com/content/27/4/267.full" target="_blank"><em><strong>Large Ventral Lateral Neurons Determine the Phase of Evening Activity Peak across Photoperiods in Drosophila melanogaster</strong></em></a></p> <p><a href="http://jbr.sagepub.com/content/27/4/280.full" target="_blank"><em><strong>Adult Emergence Rhythm of Fruit Flies Drosophila melanogaster under Seminatural Conditions</strong></em></a>.</p> </span>
2012-10-01T08:42:07-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/403
Enfermedades del sistema nervioso: Identificado nuevo gen que codifica para el dolor lumbar
2012-09-28T14:26:21-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Investigadores del King College de Londres han identificado por primera vez un gen asociado con la degeneración producida por la edad en los discos intervertebrales de la columna vertebral, una causa común de dolor lumbar.</p> <p>El cálculo del costo en el Reino Unido fue estimado en 7 mil millones de euros al año debido a las bajas por enfermedad y los costos de tratamiento, sin embargo, las causas del dolor de espalda no están aún del todo claras. Hasta ahora la causa genética del dolor lumbar asociada a la degeneración del disco lumbar (LDD) era desconocida, pero el mayor estudio hasta la fecha, publicado esta semana en <em>Annals of Rheumatic Diseases</em>, ha revelado una asociación con el gen PARK2.</p> <p>Los investigadores, financiados por el Wellcome Trust y Arthritis Research UK, dicen que tiene que investigar más sobre esta sorprendente asociación con el fin de entender completamente cómo se dispara, y que este nuevo hallazgo podría allanar el camino hacia el desarrollo de nuevos tratamientos en el futuro.</p> <p>La LDD es una característica común relacionada con la edad, más de un tercio de mujeres de mediana edad tienen al menos un disco degenerado en su columna vertebral. Los discos se deshidratan, pierden altura y las vértebras junto a los discos desarrollan crecimientos óseos llamados osteofitos. Estos cambios pueden causar o contribuir con el dolor lumbar. Entre el 65-80 % de las LDD es heredada, lo que sugiere que los genes juegan un papel clave.</p> <p>Los científicos compararon las imágenes por resonancia magnética de la columna vertebral en 4600 individuos con los datos asociados al genoma, los cuales mapearon los genes de todos los voluntarios. Se identificó que el gen PARK2 estaba implicado en personas con discos degenerados y podría afectar la velocidad a la cual se deterioran.</p> <p>Los investigadores afirman que los resultados muestran que el gen puede ser desconectado en las personas con LDD. Aunque todavía no está claro cómo esto podría suceder, se piensa que los factores ambientales, como el estilo de vida y la dieta, podrían desencadenar este cambio, provocando así alteraciones conocidas como modificaciones epigenéticas del gen.</p> <p>El Dr. Frances Williams, profesor titular del Departamento de Investigación del Twin Research and Genetic Epidemiology at King's College de Londres, dijo: "El dolor de espalda puede tener un grave impacto en la vida de las personas y es una de las causas más comunes de baja por enfermedad, costando tanto al National Health Service (NHS) y a la economía del Reino Unido miles de millones cada año.</p> <p>"Hemos llevado a cabo, a partir de datos recopilados en todo el mundo, el más grande análisis de asociación con todo el genoma de la degeneración del disco lumbar (LDD). Sabemos que las personas cuyos discos se desgastan tienen un mayor riesgo de episodios de dolor de espalda, pero los discos normales humanos son difíciles de conseguir para el estudio por lo que hasta ahora nuestro conocimiento de la biología humana normal era incompleto.</p> <p>"Identificamos un gen llamado PARK2 asociado con la LDD. Hemos demostrado que el gen puede ser apagado en personas con la afección."</p> <p>Esperamos que las investigaciones venideras para definir el papel de este gen concluyan una de las más importantes causas de dolor lumbar. Basados en este hallazgo y mejorando nuestro conocimiento de la enfermedad, se podrían algún día desarrollar nuevos tratamientos más eficaces para el dolor de espalda causado por esta condición común.<br /> <a href="http://www.kcl.ac.uk/newsevents/news/newsrecords/2012/09-Sept/new-back-pain-gene-identified-in-largest-genetic-study-of-its-kind.aspx" target="_blank">septiembre 26/2012 (King's College London) </a></p> <p>Frances M K Williams, Aruna T Bansal, Joyce B van Meurs, Jordana T Bell, Ingrid Meulenbelt, Pradeep Suri, et. al. <a href="http://ard.bmj.com/content/early/2012/09/18/annrheumdis-2012-201551.full?sid=88e405e3-3250-473c-9c17-c414dea827a9" target="_blank"><em><strong>Extended report: Novel genetic variants associated with lumbar disc degeneration in northern Europeans: a meta-analysis of 4600 subjects</strong></em></a>.<em> Ann Rheum Dis</em> 2012. doi:10.1136/annrheumdis-2012-201551.</p> </span>
2012-09-28T14:26:21-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/402
Factores de riesgo: Un exceso de sal podría dañar la salud de los niños, según un estudio
2012-09-26T09:48:47-04:00
Revista Finlay
<img title="salt_280_266" src="/public/site/images/mikhail/salt_280_266.jpg" alt="salt_280_266" width="184" height="137" />Al igual que la mayoría de adultos de Estados Unidos, muchos niños estadounidenses consumen demasiada sal en la dieta, advierte un estudio reciente. <p>E igual que en los adultos, ese sodio adicional podría aumentar sus niveles de presión arterial, sobre todo entre los niños con un peso superior al normal.</p> <p>"La ingesta de sodio se asocia de forma positiva con la presión arterial sistólica y el riesgo de prehipertensión e hipertensión en los niños y adolescentes de EE. UU., y esa asociación podría ser potente entre los que tienen sobrepeso o son obesos", escribieron la investigadora Quanhe Yang y colegas de los Centros para el Control y la Prevención de Enfermedades (CDC) de EE. UU.</p> <p>La presión arterial sistólica es la cifra superior en una lectura de la presión arterial, y representa la fuerza con que la sangre sale del corazón hacia el resto del cuerpo.</p> <p>Sin embargo, no todos están convencidos de que el sodio sea el único factor que aumenta la presión arterial de los niños.</p> <p>"Este estudio observó un nutriente aislado. No se enfatizó la calidad de la dieta", planteó la dietista pediátrica Lauren Graf, del Hospital Pediátrico de Montefiore en la ciudad de Nueva York. "Una ingesta alta de sodio podría ser un marcador de que hay otras áreas de la dieta que no son tan sanas, y podría sugerir una ingesta baja de nutrientes que reducen la presión arterial, como el calcio, el magnesio y el potasio".</p> <p>Los resultados del estudio aparecen en la edición del 17 de septiembre de la revista <em>Pediatrics</em>.</p> <p>Las directrices dietarias más recientes del gobierno recomiendan que la mayoría de estadounidenses no consuman más de 2,300 miligramos de sodio al día, aunque a la mayoría de personas les iría bien con significativamente menos sodio. En general, la cantidad mínima de sodio recomendada para la mayoría de estadounidenses es de 1,500 mg al día, según las directrices.</p> <p>Sin embargo, la mayoría de estadounidenses consumen bastante más que el límite recomendado de sodio cada día. Una ingesta alta de sodio y tener sobrepeso o ser obeso son factores conocidos que contribuyen a la hipertensión, según la información de respaldo del estudio.</p> <p>El estudio actual incluyó datos de una muestra nacionalmente representativa de niños de EE. UU. de 2003 a 2008. El estudio incluyó a más de 6,200 niños entre los 8 y los 18 años de edad.</p> <p>Todos los niños proveyeron información sobre la dieta en las últimas 24 horas cuando entraron al estudio, y 91 por ciento dieron información sobre sus dietas en un segundo día durante una entrevista telefónica.</p> <p>Los investigadores hallaron que el niño y adolescente promedio consumían casi 3,400 mg de sodio al día. La ingesta de sodio aumentaba con la edad, y los chicos consumían más que las chicas, en promedio. El consumo de sodio fue más alto entre los blancos no hispanos que en otras razas.</p> <p>Los niños de peso normal comían la mayor cantidad de sal, seguidos de los niños obesos y con sobrepeso. La prevalencia de sobrepeso y obesidad del estudio fue de 37 por ciento.</p> <p>Los niños y adolescentes con unos niveles más altos de sodio tenían tasas más altas de prehipertensión e hipertensión. El estudio halló que al comparar a los que tenían el consumo más alto de sodio con los que tenían el consumo más bajo, los que consumían la mayor cantidad de sodio tenían el doble de probabilidades de tener una presión arterial elevada. En los niños y adolescentes con sobrepeso y obesos, los que tenían las tasas más altas presentaban 3.5 veces más riesgo de tener prehipertensión o hipertensión.</p> <p>A medida que los niveles de sodio aumentaban, los niveles de presión arterial también lo hacían. Por ejemplo, entre los niños con sobrepeso y obesos, el grupo que consumía menos sodio tenía una presión arterial sistólica promedio de 106.2 mm Hg, mientras que el próximo grupo tenía 108.8 mm Hg.</p> <p>Cuando los niveles de sodio aumentaron nuevamente, el tercer grupo tenía niveles sistólicos de 109 mm Hg en promedio, mientras que el grupo con el consumo más alto tenía niveles sistólicos promedios de 112.8 mm Hg, según el estudio.</p> <p>"Fue interesante que entre los niños de peso normal, la ingesta de sodio no tuvo un impacto tan grande sobre la presión arterial como entre los niños con sobrepeso y obesos", planteó el Dr. Michael Moritz, director clínico de nefrología pediátrica del Hospital Pediátrico de Pittsburgh. "Sabemos que tener sobrepeso predispone a la hipertensión, y el sodio también aumenta el riesgo de hipertensión, pero la pregunta es qué sucede cuando ocurren en relación mutua".</p> <p>Moritz dijo que todavía no está claro qué impacto estas elevaciones ligeras de la presión arterial tendrán sobre la salud futura de los niños, si es que tienen alguno.</p> <p>Graf apuntó que consumir niveles altos de sodio a largo plazo no es sano para nadie, y aconseja a los padres ser conscientes de la cantidad de sodio en la dieta de sus hijos, pero no enfocarse en ella.</p> <p>Graf recomendó evitar las comidas procesadas siempre que sea posible, porque contienen mucho sodio. Una fuente sorprendente de sodio es el pan y los productos de pan, como los bagels. Un bagel grande sencillo puede contener 700 mg de sodio, advirtió Graf.</p> <p>Recomendó dar a los niños más frutas y verduras, así como alimentos de grano integral no demasiado procesados. "Mientras más comida fresca compre, menos tendrá que pensar en contar los miligramos de sodio", planteó.</p> <p>Aunque el estudio encontró una asociación entre el consumo de sal y una presión arterial más alta en los niños, no demostró que exista una relación causal.</p> <br /><em>Artículo por HealthDay, traducido por Hispanicare</em> <p>FUENTES: Lauren Graf, M.S., R.D., pediatric dietitian, Children's Hospital at Montefiore, New York City; Michael Moritz, clinical director, pediatric nephrology, Children's Hospital of Pittsburgh; Sept. 17, 2012, <em>Pediatrics</em></p> <div>HealthDay</div>
2012-09-26T09:48:47-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/401
Obesidad: Un programa comunitario en EEUU beneficia a algunos niños obesos
2012-09-26T09:43:55-04:00
Revista Finlay
Los niños con sobrepeso que participaron de un programa para adelgazar en sedes comunitarias de Estados Unidos no engordaron y mejoraron su calidad de vida, incluidas las relaciones con sus pares y en la escuela. <p>El programa de seis meses para mejorar la dieta, aumentar el ejercicio y reducir el uso de "pantallas", fue una adaptación de tratamientos intensivos que habían ayudado a adelgazar a niños obesos, pero con un alto precio.</p> <p>"A pesar de la alta prevalencia de la obesidad infantil, los padres de niños obesos saben que los programas terapéuticos disponibles son pocos y dispersos", dijo Gary Foster, de la Temple University, en Filadelfia.</p> <p>Los Centros para el Control y la Prevención de Enfermedades de Estados Unidos (CDC por su sigla en inglés) estiman que el 17 por ciento de los niños y los adolescentes de Estados Unidos son obesos. Y los niños obesos son más propensos a ser adultos obesos, lo que eleva el riesgo de desarrollar diabetes, enfermedad cardiovascular y otras enfermedades.</p> <p>Además, la obesidad afecta desproporcionadamente a los niños de las minorías y de bajos ingresos.</p> <p>Foster dirigió el estudio financiado por United Health Group. Los 155 participantes eran niños de entre 6 y 17 años con un tamaño corporal a partir del percentilo 85.</p> <p>Con sus padres, los niños concurrieron a 12 sesiones en las que los pesaban y los ayudaban a controlar la comida y el ejercicio, y a fijar objetivos asociados con el peso y las conductas. Los padres organizaron otras 12 sesiones hogareñas para trabajar con planillas brindadas por los especialistas y controles telefónicos.</p> <p>Los niños y los adolescentes recibieron puntos por cumplir los objetivos durante el estudio que, luego, podían cambiar por premios pequeños. El 84 por ciento de los niños y sus padres finalizó el programa.</p> <p>Aunque los participantes estaban creciendo y ganaron altura y peso, tendieron a hacerlo más cerca del peso normal para la edad durante el programa. Por ejemplo, el 92 por ciento calificaba como obeso al inicio del estudio, comparado con el 82 por ciento a los seis meses.</p> <p>Al finalizar el programa, los niños calificaron mejor su calidad de vida, según revelaron las escalas de evaluación física, emocional, social y escolar. En la revista Pediatrics, el equipo escribe que antes de las sesiones, su calidad de vida era similar a la de los niños con cáncer.</p> <p>Foster comentó que el programa no incluyó especialistas como psicólogos infantiles y que los líderes de grupo carecían de experiencia en el tratamiento de la obesidad infantil, lo que, para él, es lo que hace que los resultados sean tan promisorios.</p> <p>El experto adelantó que el próximo paso será tratar de simplificar aún más el programa, para facilitarles el trabajo a las familias y hacer más económica su aplicación.</p> <p>Dos investigadores declararon trabajar para United Health Group y otros dos, incluido Foster, con consultores de la empresa.</p> <p>El equipo no controló el peso de los participantes después de los seis meses, de modo que se desconoce si los efectos se prolongaron. Tampoco se compararon los resultados con los de un grupo de niños que no participaron del programa.</p> <p>FUENTE: Pediatrics, online 17 de septiembre del 2012</p> <div>Reuters Health</div>
2012-09-26T09:43:55-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/400
Medicamentos: Presentan nuevos datos de dos terapias experimentales para la diabetes
2012-09-25T05:51:09-04:00
Revista Finlay
Las farmacéuticas Boehringer Ingelheim y Lilly presentarán los últimos resultados disponibles de la investigación de dos de las moléculas empagliflozina y LY2605541 durante el próximo congreso de la Asociación Europea para el Estudio de la Diabetes (EASD, en sus siglas en inglés) que se celebrará en octubre en Berlín (Alemania). Ambos compuestos, todavía en fase de investigación, son fruto de la alianza firmada por ambas compañías para dar una respuesta a las necesidades de los pacientes con diabetes.<br /><div class="content"><p><br /> La empagliflozina es un inhibidor del cotransportador de sodio y glucosa tipo 2 (SGLT-2), y en concreto se presentarán datos de eficacia y seguridad de fase IIb, incluidos los relativos a efectos sobre la HbA1c, presión arterial y peso.<br /> <br /> Por su parte, el LY2605541 es un nuevo análogo de la insulina basal del que se presentarán datos preclínicos y de estudios clínicos de fase I y fase II relativos a los efectos, sobre el control glucémico y otros parámetros en pacientes con DM1 y DM2.<br /> <br /> Asimismo, en el Congreso también se presentarán datos de la linagliptina, cuyo nombre comercial es 'Trajenta', un inhibidor de la dipeptidil peptidasa (DPP-4) que ya está disponible para los pacientes españoles.<br /> <br /> En concreto, se presentarán los resultados de un estudio fase III que evalúa la eficacia y la seguridad a largo plazo de linagliptina o placebo añadidos a insulina basal en pacientes no controlados adecuadamente con la insulinoterapia basal y tres análisis agrupados de datos fase III en poblaciones de pacientes con DM2.</p><p>Fuente: <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/presentan/nuevos/datos/dos/terapias/experimentales/diabetes/_f-11+iditem-18055+idtabla-1" target="_blank">Jano</a></p></div>
2012-09-25T05:51:09-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/399
Prevención de las enfermedades crónicas: Destaca OPS aprobación de estrategia contra enfermedades crónicas
2012-09-25T05:44:09-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La Organización Panamericana de la Salud (OPS) destacó la aprobación de su estrategia para la prevención de enfermedades no transmisibles (ENT) y llamó a comer de manera sana alimentos de la cocina tradicional regional.</p> <p>"Queremos llamar la atención sobre el tema de la prevención de las enfermedades crónicas y mostrar que se puede cocinar a la alta escuela con los elementos de la cocina tradicional de nuestra región", señaló la directora de la OPS, Mirta Roses.</p> <p>Las declaraciones de Roses se dieron en el desarrollo de la muestra gastronómica de comida saludable, que se llevó a cabo en las oficinas generales de la OPS, en la capital estadounidense.</p> <p>En el evento participaron los chefs de las sedes diplomáticas de México, Brasil, Jamaica, Perú, Panamá e Hungría.</p> <p>La víspera, las autoridades sanitarias de las Américas aprobaron, una estrategia para la prevención y el control de las ENT, con el objetivo de reducir en 25 % la mortalidad prematura por enfermedades cardiovasculares, cáncer, diabetes y enfermedades respiratorias crónicas para 2025.</p> <p>Se estima que de alcanzar esa meta fijada por la Asamblea Mundial de la Salud este año, se salvaría la vida de unos tres millones de personas en las Américas.</p> <p>En la región, tres de cada cuatro personas padecen enfermedades crónicas no transmisibles resultado de factores de riesgo como la alimentación no saludable, la inactividad física, el tabaquismo y el consumo nocivo del alcohol, entre otras.</p> <p>Según cifras de la OPS, unas 4.45 millones de personas mueren cada año en la región a causa de ENT que corresponde al 75 % de todas las defunciones, de esa proporción, 1.5 millones de personas mueren antes de los 70 años de edad.</p> <p>Los objetivos de la nueva estrategia se centran en que los países generen alianzas multisectoriales para la prevención y control de estas enfermedades y reduzcan la prevalencia de los factores de riesgo.</p> <p>También marca el compromiso de los países para mejorar la cobertura en los sistemas de salud y la atención de ENT, así como la instauración de mecanismos de vigilancia e investigación de estas enfermedades.<br /> septiembre 24/2012 (Notimex)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2012-09-25T05:44:09-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/398
Enfermedades del sistema nervioso: Expertos renuevan esperanzas en el tratamiento del Parkinson al identificar nuevos subtipos de ataxias espinocerebelosas
2012-09-24T06:12:31-04:00
Revista Finlay
<p>Expertos de la Red Iberoamericana multidisciplinar para el estudio de los trastornos del movimiento: enfermedad de Parkinson y ataxias espinocerebelosas (RIBERMOV) han renovado sus esperanzas para el tratamiento y diagnóstico de estas enfermedades al identificar nuevos subtipos de ataxias espinocerebelosas, un hecho que se considera crucial para comprender la prevalencia y fisiopatología de ambas.<br /> <br /> Así lo han expuesto los científicos en el 'III Curso Iberoamericano para el estudio multidisciplinar de los trastornos del movimiento', que se está celebrando en Lima (Perú), con una importante representación de expertos españoles. Con este hallazgo, ya son 70 los subtipos de ataxia que se han asignado "a causas genéticas", señala el coordinador de RIBERMOV, el doctor Antoni Matilla.<br /> <br /> Este especialista añade que todo el conocimiento adquirido con estos novedosos descubrimientos se dirige "a la implantación de nuevas herramientas de diagnóstico molecular y al desarrollo de estrategias terapéuticas para el manejo de estos trastornos".<br /> <br /> Durante este encuentro también se van a avanzar algunas de las características de un test genético capaz de analizar hasta 285 genes asociados al diagnóstico de diversas enfermedades, explica el Dr. Matilla.<br /> <br /> 'NEURO GeneProfile 285', como se denomina este panel genético, ha sido desarrollado conjuntamente por investigadores de Sistemas Genómicos, del Instituto Germans Trias i Pujol de Badalona (Barcelona) y del Instituto de Investigación Biomédica de Bellvitge (Barcelona).</p><p><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/expertos/renuevan/esperanzas/tratamiento/parkinson/identificar/nuevos/subtipos/ataxias/espinocerebelosas/_f-11+iditem-18049+idtabla-1" target="_blank">Tomado de Jano</a></p>
2012-09-24T06:12:31-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/397
Medicamentos: Alertan de un aumento de dolores de cabeza causados por un uso excesivo de analgésicos
2012-09-24T06:05:40-04:00
Revista Finlay
Un grupo de expertos del Instituto Nacional para la Salud y la Excelencia Clínica del Reino Unido (NICE, por sus siglas en inglés) ha recomendado restringir el uso de analgésicos para el dolor de cabeza después de detectar que hay muchos ciudadanos que podrían estar sufriendo este tipo de dolencias precisamente por un consumo excesivo de estos medicamentos.<br /> <br /> Los fármacos que podrían estar causando este trastorno son el paracetamol (acetaminofeno), la aspirina y los antiinflamatorios no esteroideos (AINES), como el ibuprofeno, cuando se usan durante más de 15 días al mes. Asimismo, los triptanos, opioides y ergolinas también podrían causarlo si se toman durante al menos 10 días al mes.<br /> <br /> Según los científicos, aún no se tienen datos precisos sobre la incidencia de este tipo de trastorno, pero podrían afectar a entre un 1 y 2% de la población, aunque la Organización Mundial de la Salud (OMS) eleva la cifra hasta un 5%.<br /> <br /> El profesor Martin Underwood, de la Escuela Médica de Warwick (Inglaterra) y director del grupo de expertos, señala que "esto puede terminar convirtiéndose en un círculo vicioso en el que tu dolor empeora y tú tomas más analgésicos y entonces su dolor se vuelve aún peor y así sucesivamente".<br /> <br /> Los científicos no saben exactamente por qué los analgésicos provocan este efecto en el cerebro. Según indica el doctor Manjit Matharu, neurólogo del Hospital Nacional de Neurología y Neurocirugía de Londres, apunta que a los 10 o 15 días de usar fármacos se produce un punto de inflexión por el que la medicación pasa a ser un problema.<br /> <br /> "La proporción de personas que toman analgésicos en exceso para el dolor de cabeza es de una por cada 50, por lo que se podría estimar que hay (en el Reino Unido) un millón de personas que tienen dolor de cabeza casi todos los días debido al uso de analgésicos", asegura este especialista.<br /> <br /> Ambos autores apuntan a que las personas con antecedentes familiares de esta dolencia pueden ser genéticamente más vulnerables al uso excesivo de medicamentos.
2012-09-24T06:05:40-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/396
Obesidad: Relacionan el bisfenol A de los envases con la obesidad en adolescentes
2012-09-24T06:03:15-04:00
Revista Finlay
<p>Un estudio de la NYU School of Medicine de Nueva York publicado en la revista<em> JAMA </em>indica que los adolescentes con altos niveles de bisfenol A (BPA) tienen mayor probabilidad de ser obesos.<br /> <br /> El BPA es un componente de algunos plásticos y se utiliza en muchos envases de alimentos y bebidas. Trabajos anteriores ya habían asociado este compuesto con enfermedades como la diabetes.<br /> <br /> Los autores estudiaron una muestra de unos 3.000 niños y adolescentes y relacionaron los niveles de BPA en la orina con la masa corporal. En los grupos con altas concentraciones de la sustancia la prevalencia de la obesidad era del doble que en los grupos con bajas concentraciones de BPA.<br /> <br /> Según concluye el trabajo, “el 92,6% de los niños mayores de 6 años estudiados entre 2003 y 2004 tenían niveles detectables de BPA en la orina, y el 99% de este BPA provenía de la dieta”.<br /> <br /> Estudios experimentales previos habían mostrado que la exposición a BPA afecta a algunos mecanismos metabólicos, sugiriendo que podría incrementar la masa corporal y contribuir a la obesidad, aunque no hayaron evidencias en este sentido.<br /> <br /> <strong>Muestra representativa</strong><br /> <br /> Los científicos de la NYU School of Medicine aseguran que esta es “la primera vez que se asocia la exposición a un compuesto químico ambiental con la obesidad infantil en una muestra nacional representativa”.<br /> <br /> La Agencia de Alimentos y Medicamentos (FDA) de Estados Unidos ya prohibió el BPA en la fabricación biberones y otros productos para bebés, pero el año pasado rechazó extender la prohibición de este compuesto a las latas de aluminio y otros envases de alimentos.</p> <br /><br /><a href="http://jama.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1360865" target="_blank">JAMA (2012); doi:10.1001/2012.jama.11461 </a>
2012-09-24T06:03:15-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/395
Cáncer: Primera revisión global de los programas de mamografía, Europea se suma al debate mundial
2012-09-14T08:42:18-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><span class="textonormal"><img title="220px-mamografa_birads_iv_301" src="/public/site/images/mikhail/220px-mamografa_birads_iv_301.jpg" alt="220px-mamografa_birads_iv_301" width="153" height="209" /></span>El beneficio de los programas nacionales de mamografías en Europa que permiten salvar vidas al detectar tumores en fases iniciales supera el daño que pueden causar por el exceso de diagnósticos, y las mujeres deberían ser más conscientes del equilibrio beneficio-riesgo, dijeron investigadores el jueves.</p> <p>En la primera revisión global de los programas de mamografía en Europa, los científicos hallaron que por cada 1000 mujeres de edades entre los 50 y los 69 años que son sometidas a estas pruebas cada año, se salvan entre siete y nueve vidas.</p> <p>Pero en un hallazgo que posiblemente se sume al ya creciente debate internacional sobre los beneficios de los controles rutinarios contra el cáncer, también encontraron que en ese mismo grupo cuatro mujeres serían "sobrediagnosticadas".</p> <p>Ese "sobrediagnóstico" se produce cuando la tecnología detecta un tumor benigno que nunca habría supuesto un problema para el paciente.</p> <p>Stephen Duffy, profesor de pruebas diagnósticas por imagen en la Universidad Queen Mary de Londres y uno de los dos investigadores jefe del estudio, dijo que el daño causado por el sobrediagnóstico en unas cuantas mujeres se veía claramente superado por la reducción en el número de muertes.</p> <p>"(Esta revisión) aporta resultados de las pruebas a millones de mujeres, y confirma que los servicios de diagnóstico por imagen están aportando los beneficios esperados de los estudios realizados hace unos años", dijo en ocasión de la publicación del estudio en <strong><em>Journal of Medical Screening</em> </strong>el jueves.</p> <p>"En particular, es una buena noticia que las vidas salvadas por las mamografías superen a los casos de sobrediagnóstico por un factor de dos a uno", añadió.</p> <p>Los cánceres de mama "sobrediagnosticados" son tumores detectados durante las pruebas pero que nunca hubieran dado ningún síntoma durante la vida de una mujer y no habrían sido diagnosticados si no se hubiera realizado la prueba.</p> <p>Eso puede llevar a las mujeres a someterse a tratamientos invasivos e innecesarios y a sufrir el impacto físico y psicológico de ser diagnosticadas con un cáncer que nunca habría salido a la luz de otra forma.</p> <p>Los investigadores hallaron también que por cada 1000 mujeres analizadas, 170 tendrían al menos una evaluación no invasiva antes de confirmarse un resultado negativo, y 30 pacientes serían llamadas al menos una vez para un procedimiento invasivo, como una biopsia, antes de obtener un resultado negativo.</p> <p>Estos tipos de resultados se llaman "falsos positivos" y pueden causar estrés y ansiedad hasta que se confirma el negativo.</p> <p>Los casos de sobrediagnóstico y falsos positivos han protagonizado debates entre pacientes oncológicos y expertos en Europa y Estados Unidos que estallaron en el 2009 a raíz de que los responsables sanitarios estadounidenses cuestionaran el valor de las mamografías rutinarias en mujeres a partir de los 40 años y sugirieron elevar el piso de las pruebas anuales a los 50 años.</p> <p>Expertos nórdicos publicaron en el 2010 un estudio que no halló pruebas de que las mamografías tuvieran algún efecto en los índices de mortalidad y dijeron que era momento de "cuestionar si las mamografías han tenido el efecto prometido".</p> <p>En todo el mundo, el cáncer de mama es el más común entre las mujeres y 1,38 millones de pacientes fueron diagnosticadas con esta enfermedad en el 2008, según la base de datos Globocan de la Organización Mundial de la Salud.</p> <p>En Europa, incluidos países de fuera de la Unión Europea, se dieron 425 000 nuevos casos de cáncer de mama en el 2008 y 129 000 europeas murieron por la enfermedad.<br /> septiembre 13/2012 (Reuters)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Allan Hackshaw. <a href="http://jms.rsmjournals.com/content/19/suppl_1/1.short" target="_blank"><em><strong>The benefits and harms of mammographic screening for breast cancer: building the evidence base using service screening programmes</strong></em></a>. <em>J Med Screen</em>, septiembre 2012: vol. 19 no. suppl 1 1-2. doi: 10.1258/jms.2012.012074.</p> </span>
2012-09-14T08:42:18-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/394
Medicamentos: Fármaco contra el alzhéimer podría tener ciertos beneficios
2012-09-13T09:31:05-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un fármaco experimental que no logró contener el deterioro en los pacientes con mal de Alzheimer podría ser útil si es suministrado antes, según los resultados más amplios de dos importantes estudios.</p> <p>Algunos pacientes que recibieron la nueva droga tuvieron niveles estables de placa cerebral y menos indicios de daños en el tejido nervioso frente a otros que recibieron un placebo, dijeron el martes los investigadores.</p> <p>El fármaco, llamado bapineuzumab, es fabricado por Pfizer Inc. y Johnson & Johnson. Los nuevos resultados sugieren que podría ser benéfico si es suministrado antes de que ocurra un daño generalizado y pérdida de la memoria que quizá no sea posible revertir, según los expertos.</p> <p>El bapineuzumab está diseñado para ayudar a despejar el amiloide, el material que forma la placa pegajosa que atrofia el cerebro de los pacientes, perjudicando las células del tejido nervioso y dañando la memoria y el pensamiento. Los médicos no saben si el amiloide es la causa o solamente un síntoma del alzhéimer, pero muchas empresas estudian posibles medicinas para removerlo.</p> <p>"Estamos muy decepcionados de no haber podido encontrar un tratamiento para poder proporcionarlo a corto plazo a nuestros pacientes con demencia", dijo la doctora Reisa Sperling, directora del centro de Alzheimer en el Hospital Brigham and Women's de Boston y quien encabezó uno de los estudios.</p> <p>Pero las pruebas de imágenes cerebrales y de fluido de la médula espinal "son muy alentadoras" y sugieren que el fármaco le está "haciendo algo a la biología de la enfermedad".</p> <p>Ahora "tenemos un camino por delante" para probarlo en personas con demencia senil moderada, o aquellas que muestran placa en las imágenes cerebrales pero que no han desarrollado aún los síntomas de la demencia, dijo Sperling. De las personas que padecen demencia moderada, aproximadamente del 15 al 20% al año desarrollarán el mal de Alzheimer.</p> <p>Unos 35 millones de personas sufren demencia en todo el mundo, y el alzhéimer es la forma más común. En Estados Unidos, unos cinco millones lo tienen. Las medicinas actuales como Aricept y Namenda solo disminuyen los síntomas en forma temporal, pero aún no existe una cura.</p> <p>Este año los investigadores tenían esperanzas de lograr un avance sustancial para tratar la enfermedad, aunque estudio tras estudio han sido decepcionantes, entre ellos los resultados reportados antes sobre el bapineuzumab. El fármaco no logró detener el declive mental ni mejorar las actividades de la vida diaria en los pacientes con casos leves de alzhéimer en dos estudios realizados en Estados Unidos y Canadá.</p> <p>La investigación de Sperling involucró a personas que tienen un gen que eleva el riesgo de contraer la enfermedad. El doctor Stephen Salloway, neurólogo de la Facultad de Medicina de la Universidad Brown, en Providence, Rhode Island, encabezó el otro estudio de personas sin ese gen.</p> <p>Ambos investigadores son asesores de las empresas que elaboran el fármaco y el martes presentaron los resultados en una conferencia de neurología en Estocolmo.<br /> septiembre 12/2012 (AP)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p></span>
2012-09-13T09:31:05-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/393
Factores de riesgo: Potencial terapéutico de quema de grasa en el cáncer de mama
2012-09-11T16:19:49-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La quema de grasas tiene una gran relevancia para las células normales y cancerosas. Dos estudios realizados por Arkaitz Carracedo, del Biogune, recogen el impacto de este proceso en la obesidad, el cáncer de mama y la función de las células madre hematopoyéticas.</p> <p>El metabolismo de las grasas es una preocupación creciente en los ámbitos de la salud y la estética en las sociedades desarrolladas. Pero existen consecuencias de este proceso más allá del mero impacto de la acumulación de lípidos en el organismo. Los lípidos son una de las fuentes de energía más concentradas y, por lo tanto, encarnan un valioso nutriente para las células en condiciones de carencia energética. No obstante, se sabe muy poco sobre el impacto de los procesos de quema de grasas en la salud de nuestras células.</p> <p>Dos estudios independientes liderados por Arkaitz Carracedo, investigador Ikerbasque del Centro de Investigación Biogune, en el marco de un equipo dirigido por Pier Paolo Pandolfi, de la Facultad de Medicina de Harvard (Estados Unidos), han desentrañado cómo componentes que intervienen en el proceso de la quema de grasas impactan en la salud celular y corporal. Estos estudios han descubierto que la proteína supresora de tumores PML, que se encarga de que la célula se comporte correctamente y de mantener las células tumorales bajo control, regula el proceso de la quema de grasa. La actividad metabólica de PML ha permitido descubrir nuevas y paradójicas funciones de esta proteína.</p> <p>El primer estudio, publicado en agosto en <em>The Journal of Clinical Investigation</em>, ha sido realizado con modelos celulares y de ratón, define el mecanismo por el que PML regula la quema de grasas (a través de unos factores denominados PPAR) y muestra que las alteraciones en este proceso resultan en una acumulación excesiva de grasa y el desarrollo de obesidad. "Además, de manera sorprendente, al regular el metabolismo descubrimos que PML ejerce una actividad paradójica en el cáncer de mama, ya que en vez de mantener bajo control las células cancerosas les proporciona una ventaja selectiva en condiciones de necesidad energética", ha afirmado Carracedo.</p> <p>Esta observación está relacionada con el incremento de los niveles de PML en un subconjunto de tumores de mama y se asocia con un peor pronóstico. Por lo tanto, este estudio muestra una actividad de la proteína PML inesperada en el cáncer de mama, pues en vez de mantener las células cancerosas bajo control, les suministra energía para sobrevivir. "Estos datos cambian nuestra visión sobre la proteína PML y nos ha conducido a estudiar si los fármacos que se utilizan para inhibir PML en leucemias pueden ser de utilidad en el tratamiento del cáncer de mama".</p> <p>Las CM hematopoyéticas<br /> El segundo estudio, llevado a cabo por Carracedo conjuntamente con Keisuke Ito, de la Facultad de Medicina Albert Einstein, en la Universidad Yeshiva (Nueva York), ha definido por primera vez la contribución de la quema de grasas en el mantenimiento y la función de las células madre hematopoyéticas. Este trabajo, publicado el pasado mes en<em> Nature Medicine</em>, describe cómo las células madre hematopoyéticas necesitan altos niveles de quema de grasas para mantener su función.</p> <p>De hecho, la inhibición farmacológica o genética de este proceso metabólico (regulado por PML y PPAR delta) resulta en la incapacidad de las células madre hematopoyéticas para suministrar células sanguíneas, mientras que su activación potencia la capacidad de estas células para mejorar la eficacia de trasplantes de médula ósea.</p> <p>"La idea de que esta vía tenga relevancia en la función de la célula madre sanguínea es muy excitante, ya que abre la posibilidad de que, mediante el empleo de algunos de estos fármacos, podamos requerir menor cantidad de médula ósea para trasplantes, un material que es muy preciado y limitado. Esperamos que futuras investigaciones determinen si estos fármacos pueden llegar a ser una realidad para el paciente".</p> <p>¿Qué hemos aprendido de estos estudios? La quema de grasas tiene una tremenda relevancia para las células normales y las cancerosas. Ambos estudios recogen el impacto de este proceso en diversos aspectos de la investigación biomédica: obesidad, cáncer de mama y función de las células madre hematopoyéticas.</p> <p>"Pero, de manera importante, el proceso descrito tiene un gran potencial terapéutico. PML, los PPAR y la quema de grasas pueden ser modulados empleando compuestos que están en la farmacia de los hospitales o que ya han pa sado evaluaciones de toxicidad y tolerancia en pruebas clínicas. Por lo tanto, entender la relevancia de este proceso para la obesidad, la función de las células madre hematopoyéticas y el cáncer de mama podría desembocar en el uso de dichos fármacos para mejorar el tratamiento de tales enfermedades".<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2012/09/06/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/potencial-terapeutico-quema-grasa-cancer-mama" target="_blank">septiembre 9/2012 (Diario Médico) </a></p> </span>
2012-09-11T16:19:49-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/392
Obesidad: Una persona puede ser obesa y al mismo tiempo estar metabólicamente sana y en forma
2012-09-11T08:28:27-04:00
Revista Finlay
<p>Una persona puede ser obesa y al mismo tiempo estar metabólicamente sana y en forma y puede tener el mismo riesgo de mortalidad por causa cardiovascular o cáncer que personas con normopeso, según los resultados de un estudio publicado esta semana en la revista<em> European Heart Journal.</em><br /> <br /> "Se sabe que la obesidad está ligada a numerosas enfermedades crónicas, tales como problemas de tipo cardiovascular o cáncer. Sin embargo, parece haber un sub-grupo entre las personas obesas que no padece las complicaciones metabólicas características de la obesidad", explica el primer autor de este estudio, Francisco B. Ortega (PhD).<br /> <br /> El doctor Ortega trabaja actualmente como investigador y docente en el Departamento de Educación Física y Deportiva de la Universidad de Granada (UGR), así como en el Departamento de Biociencias y Nutrición del Instituto Karolinska de Suecia.<br /> <br /> Este trabajo se realizó durante una de las estancias que el investigador Francisco Ortega ha desarrollado en la Universidad de Carolina del Sur (USA) con el profesor Steven N. Blair, uno de los investigadores de mayor prestigio del mundo en temas de ejercicio físico, condición física y salud. Blair es el investigador responsable del 'Aerobics Center Longitudinal Study' (ACLS), estudio del que se deriva la investigación, que incluye a más de 43.000 personas, seguidas durante un promedio de 15 años o hasta que murieron, informa la UGR en una nota.<br /> <br /> Ortega y sus colegas observaron que entre un 30-40 por ciento de los participantes obesos eran metabólicamente sanos. "Dos hallazgos principales se desprenden de nuestro estudio. Primero, el tener una mejor forma física, concretamente una mejor capacidad cardiorespiratoria (o aeróbica), debe considerarse de ahora en adelante como una característica de este sub-grupo conocido como metabólicamente sano pero obeso. En segundo lugar, nuestro estudio sugiere que una vez que la capacidad cardiorrespiratoria es debidamente tenida en cuenta, las personas metabólicamente sanas pero obesas tienen un menor riesgo de mortalidad por causa cardiovascular o cáncer que el resto de personas obesas y además, muestran un riesgo similar a las personas con normopeso".<br /> <br /> "El mensaje para la población general que se deriva de este estudio, junto con estudios previos, es que independientemente del estado de peso corporal y grasa, aquellas personas con una mejor capacidad cardiorrespiratoria, tienen un menor riesgo de enfermedad y mortalidad", afirma Ortega.<br /> <br /> "Las implicaciones clínicas para el personal sanitario es que si se realiza una valoración del perfil lipídico, porcentaje graso y forma física, se puede hacer un pronóstico más preciso del riesgo cardiovascular y de cáncer de personas obesas", dijeron los autores del trabajo.</p> <br /><br /><a href="http://eurheartj.oxfordjournals.org/content/early/2012/08/27/eurheartj.ehs237.extract?sid=f875080b-5f8e-4e0f-9bbd-4cdbb541a1a7" target="_blank">European Heart Journal (2012); doi: 10.1093/eurheartj/ehs237</a>
2012-09-11T08:28:27-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/391
Ciencia y Tecnología: Crean proteína sintética activada por luz ultravioleta para detectar cáncer
2012-09-04T08:17:06-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Investigadores de la Universidad Johns Hopkins (Maryland, Estados Unidos) han creado una proteína sintética que, cuando es activada por luz ultravioleta, puede guiar a los médicos en la identificación de partes del cuerpo donde hay cáncer, artritis u otros trastornos.</p> <p>La técnica podría llevar a un nuevo tipo de diagnóstico con escáner y servir en un futuro para aplicar medicamentos a zonas del cuerpo donde hayan signos de enfermedad. En un estudio publicado en <em><strong>Proceedings of the National Academy of Sciences</strong></em>, los científicos probaron con éxito la proteína sintética en modelo murino para localizar cáncer de páncreas y próstata, además de para detectar el crecimiento anormal de la actividad ósea asociada con el síndrome de Marfan.</p> <p>La proteína sintética desarrollada por el equipo de investigadores se une al colágeno cercano que ha sido degradado por distintas enfermedades como el cáncer.</p> <p>"Las células enfermas son como ladrones que irrumpen en una casa y provocan muchos daños pero que desaparecen cuando la policía llega", comenta S. Michael Yu del Instituto de Nanobiotecnología de la Universidad Johns Hopkins y autor del estudio. "En vez de buscar a los ladrones, nuestra proteína sintética reacciona ante las pistas dejadas en la escena del crimen."</p> <p>Las proteínas sintéticas utilizadas en el estudio, denominadas CMPs, son atraídas a los filamentos de colágeno, particularmente dañados por la enfermedad. Las etiquetas fluroescentes se sitúan en cada CMP permitiendo a los doctores identificar las zonas dañadas mediante equipos de escáner especializados. Las zonas brillantes indican la localización del colágeno dañado asociado con la enfermedad.</p> <p>En el desarrollo de la técnica, los científicos se enfrentaron a un reto ya que CMPs tendían a unirse una con otra formando estructuras propias, similares al ADN, de una manera que podría impedir que se asociaran con el colágeno dificultando la localización de la enfermedad.</p> <p>Para remediar esto, los científicos sintetizaron las CMPs que poseían una jaula química para atrapar las proteínas que se unían unas con otras. Justo antes de que la sangre entrara para buscar el colágeno dañado, una potente luz ultravioleta se utiliza para abrir la jaula y permitir que las CMPs inicien su función.</p> <p>En las pruebas realizadas con ratones que tenían células cancerígenas humanas de próstata y páncreas se comprobó que, a través de una serie de imágenes fluorescentes tomadas durante más de cuatro días, los investigadores rastrearon cadenas simples de proteínas sintéticas esparcidas a través de las zonas del tumor por los vasos sanguíneos y uniéndose al colágeno dañado por el cáncer.</p> <p>Pruebas similares demostraron que las CMPs podrían identificar huesos y cartílagos que contienen grandes cantidades de colágeno degradado. Por lo tanto, la nueva proteína podría ser utilizada para el diagnóstico y tratamiento relacionados con daño en óseo y en cartílago.<br /> <a href="http://bioquimica-clinica.diariomedico.com/2012/08/30/area-cientifica/especialidades/bioquimica-clinica/proteina-sintetica-activada-por-luz-ultravioleta-detectar-cancer" target="_blank">septiembre 3/2012 (Diario Médico)</a></p> <p>Yang Lia, Catherine A. Fossb, Daniel D. Summerfieldc, Jefferson J. Doyled, Collin M. Torokb, Harry C. Dietzd, et. al. <a href="http://www.pnas.org/content/early/2012/08/21/1209721109.abstract?sid=7aed9ddd-f319-4d1a-8cc6-4b21a2bf2d47" target="_blank"><em><strong>Targeting collagen strands by photo-triggered triple-helix hybridization</strong></em></a>. <em>PNAS</em>, agosto 27/2012; doi: 10.1073/pnas.1209721109.</p> </span>
2012-09-04T08:17:06-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/390
Accidentes vasculares encefálicos: Llevar una vida estresante aumenta el riesgo de ictus
2012-09-04T08:10:11-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El estrés no controlado en nuestra vida diaria tiene consecuencias negativas ya conocidas en nuestra salud cardiaca y nos hace propensos a padecer enfermedades como depresión. Sin embargo, los efectos sobre el sistema nervioso, aunque se sospechaban, no estaban claros hasta ahora.</p> <p>Por primera vez, un estudio del madrileño Hospital Clínico San Carlos, ha analizado qué incidencia tienen los acontecimientos estresantes en el aumento de la probabilidad de sufrir un accidente cerebrovascular. La conclusión es clara: el estrés, independientemente de otros factores biológicos o ambientales, eleva el riesgo de padecer un ictus.</p> <p>"Todo el mundo parece tener claro que una sobrecarga emocional, psicofísica, por estrés, afecta al corazón pero no existían trabajos que evaluaran los efectos del estrés en el cerebro tratados más allá de una manera superficial", afirma José A. Egido, coordinador de Unidad de Ictus en el Hospital Clínico San Carlos, y uno de los autores de la investigación.</p> <p>El equipo de científicos diseñó una muestra caso -control de 150 pacientes en edad laboral menores de 65 años y 300 personas sanas de edad similar seleccionadas al azar en el mismo distrito de cada caso. Los niveles de estrés crónico de los participantes fueron evaluados utilizando valores cuantitativos combinados de cuatro escalas, donde se incluía haber vivido acontecimientos estresantes en el último año, síntomas como ansiedad o depresión y bienestar general; y pautas de comportamiento indicativas de la personalidad tipo A (hostilidad, agresión, impaciencia, entre otros, medidos por la Escala ERCTA).</p> <p>Los resultados del trabajo, que aparecen en la publicación internacional <em><strong>Journal of Neurology Neurosurgery and Psychiatry</strong></em>, mostraron que llevar una vida estresante, independientemente de los otros factores estudiados, puede aumentar el riesgo de infarto cerebral. Así, en comparación con el grupo de personas sanas, el riesgo de un accidente cerebrovascular era casi cuatro veces más alto entre aquellos que habían sufrido un acontecimiento importante el año antes. Un valor alto en la escala ERCTA aumentaba en más del doble el riesgo de ictus, tal como ocurría si se era fumador y si se tomaban más de dos bebidas energéticas al día.</p> <p>"El estrés es muy difícil de medir ya que cada persona lo percibe de distinta manera y la personalidad puede influir en cómo le afecta", explica Egido quien añade que la personalidad tipo A responde al ejemplo del típico ejecutivo agresivo.</p> <p>Además, los científicos tuvieron en cuenta los factores biológicos de los pacientes, tratados en colaboración con el equipo de enfermería de la propia unidad. Se trata de valores de riesgo ya conocidos como la diabetes, hipertensión arterial, hipercolesterolemia, historial previo de anormalidades rítmicas cardiacas y somnolencia diurna. También fueron preguntados por su estilo de vida, incluyendo el consumo de cafeína, alcohol y bebidas energéticas, si fumaban o no, si tenían pareja y trabajo.</p> <p>"Tener una puntuación alta en acontecimientos estresantes de todo tipo multiplica por cuatro la posibilidadess de sufrir un ictus independientemente de otros factores que se tengan como hipertensión o diabetes. Es decir el etrés per se aumenta considerablemente el riesgo de ictus", explica Egido "No es que los estresados tengan más ictus por tomar café sino por el estrés en sí".</p> <p>Además, según el investigador que no descarta en un futuro poner en marcha en el hospital programas de intervención por estrés mediante terapia psicológica, la diferencia de género no tiene consecuencias en la investigación sino que en ambos sexos la repercusión del estrés sobre el riesgo de ictus es la misma.</p> <p>Cómo disminuir el estrés:<br /> José A. Egido, coordinador de Unidad de Ictus en Hospital Clínico San Carlos, recomienda realizar actividades relajantes y ejercicio físico de forma periódica para combatir el estrés. Además, herramientas como la psicoterapia pueden ser útiles para disminuir los niveles de ansiedad. "Es imposible cambiar circunstancias estresantes como enviuduar o quedarse en paro pero sí se puede aprender a tratar de otra manera la vida que llevamos", añade.<br /> <a href="http://neurologia.diariomedico.com/2012/08/30/area-cientifica/especialidades/neurologia/llevar-vida-estresante-aumenta-riesgo-ictus" target="_blank">septiembre 3/2012 (Diario Médico) </a></p> <p>Jose Antonio Egido, Olga Castillo, Beatriz Roig, Isabel Sanz, Maria Rosa Herrero, Maria Teresa Garay, et. al. <a href="http://jnnp.bmj.com/content/early/2012/07/30/jnnp-2012-302420.full?sid=592b5050-2283-4779-9777-7b16cf13ac2e" target="_blank"><em><strong>Is psycho-physical stress a risk factor for stroke? A case-control study</strong></em></a>.<em> J Neurol Neurosurg Psychiatry</em>; doi:10.1136/jnnp-2012-302420.</p> </span>
2012-09-04T08:10:11-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/389
Medicamentos: Potencia de las estatinas está relacionada con los efectos secundarios musculares
2012-09-02T08:18:59-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>Según una investigación realizada en la Escuela de Medicina de San Diego de la Universidad de California (Estados Unidos), los dolores y la debilidad muscular podrían estar relacionados con los fármacos para tratar el colesterol en pacientes que se somenten a tratamientos con estatinas. El estudio ha sido publicado en <a href="http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0042866" target="_blank"><em><strong>PLos ONE</strong></em></a> (doi:10.1371/journal.pone.0042866).</p> <p>"Estos descubrimientos inciden en que la fuerza de los tratamientos con estatinas tienen un riesgo más alto y deberían ser utilizados con mucha precaución", asegura Beatrice Golomb, profesora del departamento de Medicina de Familia y Preventiva de la Universidad de California.</p> <p>El estudio ha examinado la relación entre los casos adversos de dolores musculares con cada uno de los medicamentos más importantes, en total de 147.789 informes entre 2005 y 2011. Observando las estatinas más comúnmente utilizadas, la más fuerte, rosuvastatina, era la que mostraba las tasas más altas de problemas musculares, seguida por atorvastatin, simvastatina, pravastatina y lovastatina.</p> <p>"Los datos analizados en este estudio sugieren que la más potente de las estatinas, rosuvastatina, podría compensar con creces las posibles ventajas de seguridad debido a factores tales como que es menos soluble en la grasa o no penetra en las células musculares como lo hacen otras estatinas", afirma Golomb.</p> <p>El equipo de Golomb mostró que los pacientes con problemas musculares relacionados con la potencia de las estatinas encontraron alivio a síntomas después de dejar de ingerir el tratamiento. Además la fuerza del músculo se volvió a desarrollar en pacientes que habían ingerido estatinas de alto impacto, mientras que los pacientes que ingerían estatinas de menos potencia tenían un riesgo significativamente menor de reaparición.</p> <p>"Nuestro estudio sugiere que la fuerza individual de la estatina es un determinante extremo de los problemas que puede causar éste fármaco", concluye golomb.<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2012/08/23/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/potencia-estatinas-esta-relacionado-efectos-secundarios-musculares" target="_blank"><strong>agosto 23/2012 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Hoffman KB, Kraus C, Dimbil M, Golomb BA (2012) . <em><strong>A Survey of the FDA's AERS Database Regarding Muscle and Tendon Adverse Events Linked to the Statin Drug Class</strong></em>. <em>PLoS ONE </em>7(8): e42866.</p></div> </span>
2012-09-02T08:18:59-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/388
Nutrición: El chocolate brinda protección frente a los derrames cerebrales
2012-09-02T08:16:26-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Instituto Karolinska en Estocolmo (Suecia) aseguran que el consumo de chocolate previene algunas enfermedades cerebrovasculares, como el derrame o la apoplejía, según un estudio publicado en el último número de la revista <em>Neurology.</em><br /> <br /> La investigación incluyó a más de 37.000 ciudadanos suecos, quienes fueron divididos en cuatro grupos, de acuerdo con la cantidad de chocolate que consumían. Al cabo de diez años, los del grupo que más chocolate consumía presenta un 17% menos de probabilidades de sufrir un evento cerebrovascular.<br /> <br /> Tal como explica la profesora Susanna Larsson, autora del estudio, "el efecto beneficioso del consumo de chocolate puede estar vinculado a los flavonoides que contiene, ya que éstos parecen proteger contra la enfermedad cardiovascular debido a sus propiedades antioxidantes, anticoagulantes y antiinflamatorias".<br /> <br /> "También es posible que los flavonoides en el chocolate disminuyan las concentraciones de colesterol malo en la sangre y reduzcan la presión arterial", sugiere la investigadora.<br /> <br /> El estudio también observó que, aunque el chocolate negro ha sido vinculado en el pasado con beneficios para el corazón, la opción preferida de los hombres que participaron en la investigación fue el chocolate con leche (que contiene menos de un 50% de cacao).<br /> <br /> "Este estudio sugiere que comer una cantidad moderada de otros tipos de chocolate también puede ser beneficioso en los hombres", asegura Larsson, quien admite, no obstante, que será necesario llevar a cabo más investigaciones y que, en cualquier caso, "estos resultados no deben usarse como excusa para comer chocolate en lugar de hacer ejercicio o seguir una dieta sana".</p> <br /><br /><a href="http://www.neurology.org/content/early/2012/08/29/WNL.0b013e31826aacfa.abstract?sid=cf18ce75-0f60-4d23-9f45-afa33d09e2f9" target="_blank">Neurology (2012); doi: 10.1212/WNL.0b013e31826aacfa</a> <div class="inner_content"><br /><!-- .listaRss { position: relative; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 0px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 0px; height: 400px; width: 420px ! 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2012-09-02T08:16:26-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/387
Cáncer: Registran prueba para pesquisa del cáncer de colon
2012-08-31T17:06:14-04:00
Revista Finlay
<p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> <img src="http://www.granma.cubaweb.cu/2012/08/31/nacional/inmuno_ensayo.jpg" border="1" alt="" hspace="2" vspace="2" width="301" height="207" align="right" />Una prueba rápida desarrollada por Investigadores del Centro de Inmunoensayo para la detección específica de sangre humana oculta en heces fecales —importante marcador de riesgo de la probable presencia de cáncer colorectal y otros padecimientos del tracto digestivo—, obtuvo el registro sanitario del Centro para el Control Estatal de Medicamentos (CECMED).</span></p> <span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> </span><p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">El Máster en Ciencias Aramís Sánchez Gutiérrez, jefe de Programas Nacionales de esa entidad perteneciente al Polo Científico del oeste de la capital, explicó a <strong>Granma</strong> que el mencionado procedimiento fue validado en un estudio que involucró a unos 7 450 adultos mayores de 50 años, de ambos sexos, en dos municipios de la provincia de Santiago de Cuba y uno de Mayabeque.</span></p> <span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> </span><p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">Del total de personas estudiadas con el diagnosticador SUMASOHF, basado en el empleo de la tecnología SUMA, 662 mostraron resultados positivos reiterados. Una vez remitidos a consultas especializadas de gastroenterología, donde se les aplicó otro grupo de exámenes, pudieron confirmarse 555 dolencias del tracto digestivo, entre ellas catorce casos de cáncer de colon, y otros 78 con pólipos adenomatosos y colitis ulcerativa.</span></p> <span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> </span><p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">Precisamente, la mayoría de las neoplasias colorectales surgen a partir de ese tipo de lesiones precancerosas, por tanto su descubrimiento temprano permite eliminarlas antes de que se transformen en un tumor maligno.</span></p> <span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> </span><p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">Según precisó el científico, la institución está en capacidad de suministrar los dispositivos y reactivos necesarios para garantizar la progresiva introducción de esta prueba en el sistema nacional de salud, a partir de los meses finales del presente año, sobre todo en lo referido a su empleo en la pesquisa activa del cáncer de colon.</span></p> <span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> </span><p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">Durante el 2011 fallecieron en Cuba por esa causa 2 281 personas, y la enfermedad muestra una tendencia general al incremento de su incidencia y mortalidad. </span></p> <span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> </span><p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">A nivel mundial el cáncer colorectal ocupa el tercer lugar en las muertes por neoplasias, además de ser el más frecuente del aparato digestivo.</span></p>
2012-08-31T17:06:14-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/386
Medicamentos: Relacionan uso de antibióticos con obesidad en la infancia
2012-08-23T15:17:58-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Investigadores de la Facultad de Medicina y la Wagner School de la Universidad de Nueva York aseguran que el tratamiento con antibióticos en los recién nacidos puede condicionar el peso en la edad infantil, tras haber comprobado en un estudio con 10 000 niños que aquellos que de bebés consumieron estos fármacos presentan más riesgo de sobrepeso años más tarde.</p> <p>Los resultados de este trabajo se publican en<a href="http://www.nature.com/ijo/journal/vaop/ncurrent/full/ijo2012132a.html" target="_blank"><em><strong> International Journal of Obesity </strong></em></a>(doi:10.1038/ijo.2012.132).</p> <p>En concreto, los expertos observaron que los niños expuestos a antibióticos desde su nacimiento hasta los 5 meses de edad pesaban más que el resto de niños. Hasta los 20 meses de vida, esto se plasmó en forma de pequeños incrementos en el índice de masa corporal (IMC); a los 38 meses, no obstante, los niños tratados con antibióticos presentaban un 22% más de probabilidades de tener sobrepeso.</p> <p>Asimismo, la edad del tratamiento es relevante, ya que los niños que tomaron antibióticos entre los 6 y los 14 meses no presentaban un índice de masa corporal significativamente mayor que el los niños que no recibieron antibióticos en ese mismo periodo.</p> <p>Como reconocen los responsables de la investigación, Leonardo Trasande y Jan Blustein, el estudio sólo muestra una correlación entre ambos factores que, a su juicio, deben tenerse en cuenta ante la posibilidad de que haya una causalidad directa que deberá corroborarse en posteriores estudios.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/bebes/tratados/antibioticos/antes/6/meses/presentan/mas/riesgo/sobrepeso/edad/infantil/_f-11+iditem-17809+idtabla-1" target="_blank"><strong>agosto 21/2012 (JANO)</strong></a></p> <p>L Trasande, J Blustein, M Liu, E Corwin, L M Cox, M J Blase.<em><strong> Infant antibiotic exposures and early-life body mass</strong></em>. <em>International Journal of Obesity</em>. 21Agosto 2012</p> </span>
2012-08-23T15:17:58-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/385
Ciencia y Tecnología: Desarrollan nuevo método anticonceptivo masculino
2012-08-20T08:22:03-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un nuevo anticonceptivo masculino fue desarrollado por expertos estadounidenses, quienes ya realizaron los primeros ensayos del compuesto en ratones de laboratorio con resultados alentadores, destaca un estudio divulgado en la revista<a href="http://www.cell.com/fulltext/S0092-8674%2812%2900929-4" target="_blank"><em><strong> Cell </strong></em></a> (10.1016/j.cell.2012.06.045).</p> <p>Los especialistas del Baylor College of Medicine, de Houston, identificaron una molécula que a través de la sangre llega hasta la zona de los testículos donde se produce el esperma, y reduce la cantidad de espermatozoides, así como su capacidad de movimiento. La inyección de la molécula -denominada JQ1- llevó a los animales a la esterilidad, pero no redujo el nivel hormonal ni el deseo sexual, y tras el experimento el esperma volvió a desarrollarse con normalidad, destaca la investigación.</p> <p>JQ1 frena a varias proteínas que influyen en la actividad de los genes. Entre esas proteínas se encuentra la BRDT, relevante para el desarrollo del esperma y cuyo efecto queda bloqueado por la molécula, indica el trabajo.</p> <p>Aunque desde hace varios años se buscan métodos anticonceptivos masculinos cómodos y reversibles, hasta la fecha ello no se ha logrado, pero se espera que algunos puedan estar a punto en los próximos años, pues se llevan a cabo ensayos con parches, pastillas e inyecciones.</p> <p>Sin embargo, en la actualidad el peso de evitar un embarazo aún recae principalmente sobre las mujeres. Las opciones disponibles para ellos siguen siendo las mismas de antaño: el condón y la vasectomía.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=536081&Itemid=1" target="_blank"><strong>agosto 16/2012 (PL)</strong></a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011<strong> "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Martin M. Matzuk, Michael R. McKeown, Panagis Filippakopoulos, Qinglei Li, Lang Ma, Julio E. Agno.<em><strong> Small-Molecule Inhibition of BRDT for Male Contraception</strong></em>.Cell, Volume 150, Issue 4, 673-684, 17 agosto 2012</p> </span>
2012-08-20T08:22:03-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/384
Tabaquismo: La OMS anima al resto de países a prohibir las marcas comerciales en las cajetillas de tabaco
2012-08-17T21:47:33-04:00
Revista Finlay
<p>La directora general de la Organización Mundial de la Salud (OMS), Margaret Chan, ha acogido con "gran satisfacción" la decisión "histórica" del Tribunal Superior de Australia de dar luz verde a la homogeneización del diseño de las cajetillas de tabaco, al tiempo que hace un llamamiento al resto de países para que sigan el ejemplo del Gobierno australiano en su lucha contra el tabaquismo.<br /> <br /> Pese al intento de las grandes empresas tabaqueras de desafiar la legislación del país oceánico, el alto tribunal australiano anunció este miércoles que obligar a la industria a vender las cajetillas de tabaco sin ningún tipo de logo o marca comercial, lo que se conoce como cajetillas genéricas, no vulnera la Constitución estatal.<br /> <br /> Tras esta decisión, Chan ha asegurado que este tipo de empaquetado es "una forma muy eficaz de contrarrestar las implacables estrategias de marketing de la industria". En este sentido, ha acusado a las tabaqueras de actuar "a la desesperada" para luchar contra una medida que debería generar un 'efecto dominó' "por el bien de la salud pública".<br /> <br /> De hecho, la máxima representante de este organismo de Naciones Unidas asegura que el caso ha sido seguido de cerca por varios países, que están considerando medidas similares para combatir el tabaquismo.</p> <p>En España el pasado mes de marzo el Comité Nacional para la Prevención del Tabaco (CNPT) pidió al Gobierno que apoyara este tipo de envasado para evitar el uso de reclamos como el color, logotipos vistosos, promociones, etc. El Ministerio de Sanidad todavía no se ha pronunciado sobre si va a poner en marcha esta medida o no.</p> <p><strong>Los jóvenes, los más vulnerables</strong><br /> <br /> Francisco Camarelles, portavoz del CNPT, señala que los jóvenes son "los que más se dejan llevar" por los "colores llamativos" y las "estrategias publicitarias" de las tabaqueras, y recuerda que el consumo de tabaco en España en mujeres y jóvenes es "de los más altos de Europa", de ahí que defienda la implantación de una medida similar en nuestro país.<br /> <br /> Actualmente, la Comisión Europea trabaja en la renovación de la directiva europea de productos del tabaco, aprobada en 2001, que podría recoger en su articulado el envasado genérico. En este sentido, Camarelles reclama al Ministerio de Sanidad español que apoye esta medida, como ya han hecho las autoridades de otros países como Francia, Reino Unido y Bélgica.</p><p><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/oms/anima/resto/paises/prohibir/marcas/comerciales/cajetillas/tabaco/_f-11+iditem-17790+idtabla-1" target="_blank">Tomado de Jano</a></p>
2012-08-17T21:47:33-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/383
Ciencia y Tecnología: Descubren que el zinc es clave en la neurotransmisión cerebral
2012-08-16T12:07:12-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC) han descubierto que el zinc es "clave" en la neurotransmisión del sistema nervioso, y que la carencia de este oligoelemento se asocia a la depresión y a otras disfunciones. Así se ha publicado en la revista <em>Antioxidants & Redox Signaling, </em>en la que además se explica que su disponibilidad "depende de la producción de óxido nítrico".<br /> <br /> En este sentido, el investigador del Instituto Cajal del CSIC, Javier Garzón, confirma que los receptores neuronales, que se encargan de recoger las señales de los neurotransmisores, "activan la producción de óxido nítrico para liberar el zinc, que se encuentra atrapado por una serie de proteínas".<br /> <br /> Y es que, estos neurotransmisores son las moléculas encargadas de transferir la información de una neurona a otra. Pero lo descubierto ahora es que el zinc es "esencial" en estas funciones. "Es un modulador de la excitabilidad neuronal", señala este especialista.<br /> <br /> Las moléculas de este elemento, que se hallan en la carne, el marisco o el pescado, son muy abundantes en el sistema nervioso, pero "se encuentran atrapadas por proteínas para que no ejerzan efectos descontrolados", argumenta Garzón. Por ello, y para liberarlo en cantidades apropiadas, compuestos receptores celulares para neurotransmisores, como los opioides, la serotonina, la dopamina, los cannabinoides o la noradrenalina, generan el óxido nítrico.<br /> <br /> Así, y con este último avance obtenido, el científico del CSIC considera "clave" conocer las alteraciones de estos procesos para entender disfunciones nerviosas como la depresión o el letargo. Algunas de ellas, las achaca a "adicciones y obsesiones como el alcoholismo, la anorexia y la bulimia", concluye.</p> <br /><br /><a href="http://online.liebertpub.com/doi/abs/10.1089/ars.2012.4517?prevSearch=allfield%253A%2528zinc%2529%2Band%2B%2528allfield%253A%2528garz%25C3%25B3n%2529%2529&searchHistoryKey=" target="_blank">Antioxidants & Redox Signaling (2012); doi:10.1089/ars.2012.4517</a>
2012-08-16T12:07:12-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/382
Ciencia y Tecnología: Descifran un conjunto de proteínas cruciales para el tratamiento de una amplia gama de enfermedades
2012-08-16T12:03:48-04:00
Revista Finlay
<p>Un equipo de científicos de la Universidad de Sheffield, en el Reino Unido, ha descifrado un conjunto de proteínas que podría ser clave para tratar una amplia gama de enfermedades crónicas, entre las que se hallarían la distrofia miotónica y varios tipos de cáncer. El estudio ha sido publicado en <em>Nature Communications.</em><br /> <br /> Los investigadores del Departamento de Biología Molecular y Biotecnología de la Universidad de Sheffield, en colaboración con científicos de la Escuela Médica de Harvard, en Estados Unidos, describen en este trabajo cómo un conjunto de proteínas llamado TREX actúa como 'pasaporte' para la transferencia de los modelos celulares que crean las proteínas esenciales para la vida.<br /> <br /> El profesor Stuart Wilson, quien dirigió la investigación, explica que "el proceso de producción de proteínas consiste en la conversión del código genético en un mensaje que se decodifica para producir una proteína. Dicho mensaje se compone de una molécula especial llamada ARNm, que se produce en una parte de la célula llamada núcleo, pero posteriormente debe ser transportado a un compartimiento separado, llamado citoplasma, donde se decodifica para producir una proteína. Cuando este proceso, que es esencial para la vida, funciona mal, puede conducir a enfermedades como la enfermedad de la motoneurona, o el cáncer".<br /> <br /> Los investigadores han demostrado cómo las proteínas TREX dejan una marca en el ARNm que, en última instancia, propicia que la proteína transportadora Nxf1 lo conduzca al citoplasma y, así, crear proteínas. Según Wilson, "sólo cuando el ARNm llega al final de la línea de producción en el núcleo, y pasa todos los 'controles de calidad', se le da el pasaporte que le permite ser transportado al citoplasma".<br /> <br /> El investigador añade que, "hasta ahora, no estaba claro cómo la célula sabe cuándo el ARNm ha llegado al final de la línea de producción en el núcleo, y, por lo tanto, cuándo se le debe dar el pasaporte que le permita el paso al citoplasma. Ahora, en nuestra nueva investigación, hemos identificado cómo se emite el mencionado pasaporte, permitiendo así el transporte del ARNm, y la producción de proteínas en la célula".<br /> <br /> Según los investigadores, esta nueva información podrá utilizarse para resolver los problemas en el transporte del ARNm que causan enfermedades mortales.</p> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/ncomms/journal/v3/n8/full/ncomms2005.html" target="_blank">Nature Communications (2012); doi:10.1038/ncomms2005</a>
2012-08-16T12:03:48-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/381
Ciencia y Tecnología: Descubren molécula que convierte células madre en células del corazón
2012-08-16T11:16:02-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Durante años, los científicos han buscado una fuente de células del corazón que pueda ser utilizada para estudiar la función cardiaca en el laboratorio, o para reemplazar el tejido dañado en pacientes enfermos.</p> <p>Ahora, en un estudio publicado en <a href="http://www.cell.com/cell-stem-cell/abstract/S1934-5909%2812%2900336-0" target="_blank"><em><strong></strong></em><strong><em>Cell Stem Cell </em></strong></a>(10.1016/j.stem.2012.04.025), investigadores del Instituto de Investigación Médica Sanford-Burnham, el Instituto de Investigación Biomolecular Humana, y ChemRegen Inc., en San Diego (California), han descubierto una molécula, la ITD-1, que convierte las células madre en células del corazón.</p> <p>"La enfermedad cardiaca es la principal causa de muerte en Estados Unidos. Debido a que no se puede reemplazar la pérdida de músculo cardiaco, esta condición irreversible conduce a una disminución de la función cardiaca y, finalmente, a la muerte. La única forma de reemplazar con eficacia las células del tejido muscular perdido -llamadas cardiomiocitos- consiste en trasplantar el corazón entero", explica el doctor Mark Mercola, de Sanford-Burnham, quien añade que "el uso de un fármaco para crear nuevo músculo cardiaco, a partir de células madre, es una opción más interesante que el trasplante de corazón".</p> <p>Según Erik Willems, investigador en el laboratorio de Mercola, y primer autor del estudio, explica que "la molécula ITD-1 podría dar lugar a un fármaco que limitara la difusión de la cicatriz en la insuficiencia cardíaca, promoviendo la formación de músculo".</p> <p>Los investigadores descubrieron que ITD-1 bloquea un proceso celular conocido como señalización TGF-beta.</p> <p>TGF-beta (factor de crecimiento transformante beta) es una proteína producida por un tipo de células para influir en el comportamiento de las demás. Esta proteína trabaja desde fuera de la célula, uniéndose a un receptor en la superficie celular, e iniciando una cascada de señalización intracelular que hace que los genes se conecten o se desconecten.</p> <p>La molécula ITD-1 favorece la degradación del receptor de TGF-beta, inhibiendo así todo el proceso. Con la señalización de TGF-beta desactivada, las células madre se encaminan hacia la cardiogénesis. ITD-1 es el primer inhibidor selectivo de la TGF-beta, por lo que también podría tener aplicaciones en otros muchos procesos controlados por dicho factor.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/descubren/molecula/convierte/celulas/madre/celulas/corazon/_f-11+iditem-17758+idtabla-1" target="_blank"><strong>agosto 3/2012 (JANO)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Erik Willems, Joaquim Cabral-Teixeira, Dennis Schade, Wenqing Cai, Patrick Reeves, Mark Mercola.<em><strong> Small Molecule-Mediated TGF-? Type II Receptor Degradation Promotes Cardiomyogenesis in Embryonic Stem Cells</strong></em>. <em>Cell Stem Cell</em>, Volume 11, Issue 2, 242-252, 3 agosto 2012</p> </span>
2012-08-16T11:16:02-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/380
Aterosclerosis: El consumo de yema de huevo es casi tan malo como fumar en pacientes de arterioesclerosis
2012-08-15T08:21:29-04:00
Revista Finlay
<p>El consumo de yema de huevo es "casi tan malo como fumar" para los enfermos de arterioesclerosis, según un estudio de la Universidad Occidental (Canadá). El trabajo, dirigido por el doctor David Spence y cuyos resultados se han publicado en la revista <em>Atherosclerosis, </em>evidencia que la ingesta de este alimento "acelera esta enfermedad de un modo similar al tabaco".<br /> <br /> Concretamente, los expertos aseguran que el consumo regular de yemas de huevo tiene sólo un 33% menos de efectos negativos que el de cigarrillos. Según advierten, este hábito puede producir "el aumento de la acumulación de placa en la carótida", lo que supone un factor de riesgo para el accidente cerebrovascular y el infarto de miocardio. <br /> <br /> Tal como concluye el doctor Spence, "se ha demostrado que, con el envejecimiento, la placa se acumula poco a poco en las arterias, y las yemas de huevo hacen que ello suceda más rápidamente".</p> <br /><br /><a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0021915012005047" target="_blank">Atherosclerosis (2012); doi: 10.1016/j.atherosclerosis.2012.07.032,</a> <div class="inner_content"><br /><!-- .listaRss { position: relative; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 0px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 0px; height: 400px; width: 420px ! important; }.listaRss2 { background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 0px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 10px 0pt; width: 440px; }.fondo_blanco { z-index: 3; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); visibility: hidden; opacity: 0.7; height: 395px ! important; width: 438px; }.fondo_gris { z-index: 4; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(102, 102, 102); visibility: hidden; opacity: 0.6; height: 235px; width: 328px ! important; }.capa_rss { z-index: 5; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); border: 2px solid rgb(205, 205, 205); height: 265px ! important; width: 310px ! important; visibility: hidden; }.contenido_rss { z-index: 6; position: absolute; height: 190px; width: 312px ! important; visibility: hidden; }.contenido_rss h3 { float: left; margin: 0px; font: bold 11px Arial,Helvetica,sans-serif; color: rgb(102, 102, 102); }.contenido_rss .cabecera { width: 299px ! important; padding: 6px; border-bottom: 1px solid rgb(236, 236, 236); }.contenido_rss img { float: right; margin: 0px; padding: 0px; }.contenido_rss a img { border: 0px none; }.contenido_rss ul { margin: 0px 2px 0px 0px; padding: 0px; }.contenido_rss li { background: url("/static/portadas/rss/img/fnd_lista_rss.gif") repeat-x scroll left bottom transparent; list-style-type: none; margin: 0px ! important; padding: 2px 2px 2px 5px; font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss li img { float: left; }.contenido_rss li a { display: block; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); padding: 2px 0px; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss li a:hover { display: block; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(234, 238, 243); padding: 2px 0px; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss .sin_borde { background: none repeat scroll 0% 0% transparent; font-size: 10px; color: rgb(102, 102, 102); }.contenido_rss .sangria { padding: 0px 0px 0px 21px; font-size: 9px; }.limpiar { clear: both; line-height: 1px; font-size: 1px; height: 1px; }.listaRssizq { padding: 2px 0px; width: 183px ! important; float: left; border-right: 1px solid rgb(204, 204, 204); }.listaRssizq a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRssizq img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; }.listaRssder { padding: 2px 0px 2px 7px; width: 208px ! important; float: left; }.listaRssder a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRssder img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; }.entrar a { color: rgb(0, 51, 102); text-decoration: none; }.entrar a:hover { color: rgb(0, 51, 102); text-decoration: underline; }.listaRss2 { background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 5px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 10px 0pt; width: 420px ! important; }.listaRss2 a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRss2 img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; } --> <form> <input name="ocultar" type="hidden" value="1" /> </form></div>
2012-08-15T08:21:29-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/379
Factores de riesgo: Un estudio confirma que las migrañas no están asociadas con el deterioro cognitivo
2012-08-15T08:10:22-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Brigham and Women's Hospital de Boston (Estados Unidos) han confirmado mediante un estudio que las migrañas, que afectan a un 20% de las mujeres, no están asociadas con el deterioro cognitivo. <br /> <br /> Pese a que trabajos anteriores habían relacionado este trastorno con un mayor riesgo de lesiones cerebrales, se constata que éste no resulta en ningún tipo de demencia. Las conclusiones de la investigación se publican en la revista<em> British Medical Journal.</em><br /> <br /> La autora principal de este estudio, la investigadora de la División de Medicina Preventiva del Brigham and Women's Hospital, Dra. Pamela Rist, indica que las migrañas, "aunque son dolorosas, no están vinculadas a la disminución cognitiva". <br /> <br /> Tras procesar los datos correspondientes a más de 6.000 mujeres, el equipo liderado por la Dra. Rist observó que las que padecieron alguna migraña durante el periodo de estudio no presentaban tasas significativamente diferentes de deterioro cognitivo respecto a las que no padecieron migrañas.</p> <br /><br /><a href="http://www.bmj.com/content/345/bmj.e5027" target="_blank">British Medical Journal (2012); doi: 10.1136/bmj.e5027</a>
2012-08-15T08:10:22-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/378
Cardiopatía Isquémica: Investigación aclara tratamiento excesivo de angina de pecho
2012-08-11T08:45:42-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una investigación en una de las cadenas de hospitales más grandes de Estados Unidos ha arrojado nueva luz sobre las preocupaciones que ocasiona un tratamiento innecesario de la angina de pecho.</p> <p>Muchos médicos destapan arterias para disminuir el dolor, con lo que proporcionan un alivio rápido, pero algunos estudios muestran que los fármacos son una alternativa más segura y barata para pacientes cuyos problemas cardíacos no amenazan su vida.</p> <p>Esa investigación ha cambiado la forma de pensar sobre la conveniencia de practicar rutinariamente el procedimiento de abrir las arterias llamado angioplastia. Pero los expertos dicen que el costo y la incertidumbre sobre los riesgos a pacientes determinados son algunos de los motivos por los que los médicos se han resistido a cambiar de práctica.</p> <p>HCA Holdings Inc., una cadena de hospitales con sede en Nashville, dijo el lunes que los investigadores desean informaciones sobre los procedimientos cardíacos practicados en algunos de sus 163 hospitales. Un artículo en el <em><strong>New York Times</strong></em> insinúa que algunos pacientes recibieron angioplastias y stents (endoprótesis) innecesarios.</p> <p>Todos los años se practican unas 700 000 angioplastias y casi la mitad son electivas, efectuadas en pacientes con un dolor de pecho estable. Las evidencias sugieren que las cifras no han bajado notablemente desde que un importante estudio en el 2007 indicó que el tratamiento con fármacos era igualmente efectivo para prevenir ataques cardíacos y muertes relacionadas.</p> <p>Una angioplastia puede costar 20 000 dólares y suele incluir la inserción de una endoprótesis para mantener las arterias abiertas. A menudo requiere que el paciente permanezca una noche en el hospital. El tratamiento con fármacos puede tardar algunos meses en aliviar el dolor y suele requerir varias medicinas, incluso aspirinas y estatinas, pero la mayoría tienen versiones genéricas que cuestan cientos de dólares por año y no miles.</p> <p>Los pacientes a menudo prefieren la solución más rápida, y el cardiólogo Harlan Krumholz, de la Universidad de Yale, dice que muchos enfermos creen erróneamente que las angioplastias electivas serán más efectivas para salvarles la vida.</p> <p>Los médicos pueden disentir con los estudios y recomendar angioplastias, pero están obligados "a explicar a los pacientes que su opinión disiente con las evidencias", aclaró Krumholz el martes.<br /> agosto 10/2012 (AP)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2012-08-11T08:45:42-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/377
Ciencia y Tecnología: Descubren una molécula que convierte células madre en células del corazón
2012-08-09T08:25:18-04:00
Revista Finlay
Durante años, los científicos han buscado una fuente de células del corazón que pueda ser utilizada para estudiar la función cardiaca en el laboratorio, o para reemplazar el tejido dañado en pacientes enfermos. Ahora, en un estudio publicado en <em>Cell, </em>investigadores del Instituto de Investigación Médica Sanford-Burnham, el Instituto de Investigación Biomolecular Humana, y ChemRegen Inc., en San Diego (California), han descubierto una molécula, la ITD-1, que convierte las células madre en células del corazón.<br /> <br /> "La enfermedad cardiaca es la principal causa de muerte en Estados Unidos. Debido a que no se puede reemplazar la pérdida de músculo cardiaco, esta condición irreversible conduce a una disminución de la función cardiaca y, finalmente, a la muerte. La única forma de reemplazar con eficacia las células del tejido muscular perdido -llamadas cardiomiocitos- consiste en trasplantar el corazón entero", explica el doctor Mark Mercola, de Sanford-Burnham, quien añade que "el uso de un fármaco para crear nuevo músculo cardiaco, a partir de células madre, es una opción más interesante que el trasplante de corazón".<br /> <br /> Según Erik Willems, investigador en el laboratorio de Mercola, y primer autor del estudio, explica que "la molécula ITD-1 podría dar lugar a un fármaco que limitara la difusión de la cicatriz en la insuficiencia cardíaca, promoviendo la formación de músculo".<br /> <br /> Los investigadores descubrieron que ITD-1 bloquea un proceso celular conocido como señalización TGF-beta. TGF-beta (factor de crecimiento transformante beta) es una proteína producida por un tipo de células para influir en el comportamiento de las demás. Esta proteína trabaja desde fuera de la célula, uniéndose a un receptor en la superficie celular, e iniciando una cascada de señalización intracelular que hace que los genes se conecten o se desconecten.<br /> <br /> La molécula ITD-1 favorece la degradación del receptor de TGF-beta, inhibiendo así todo el proceso. Con la señalización de TGF-beta desactivada, las células madre se encaminan hacia la cardiogénesis. ITD-1 es el primer inhibidor selectivo de la TGF-beta, por lo que también podría tener aplicaciones en otros muchos procesos controlados por dicho factor.
2012-08-09T08:25:18-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/376
Eventos de enfermedades crónicas: Los desmayos podrían producirse por factores genéticos
2012-08-09T08:19:41-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un estudio de la Universidad de Melbourne en Victoria (Australia) publicado en <strong><em>Neurology</em></strong>, afirma que los desmayos pueden tener una fuerte predisposición genética.</p> <p>"La pregunta es si los desmayos son causados por factores genéticos además de factores ambientales o una mezcla de ambos", comenta Samuel F. Berkovic, de la Universidad de Melbourne y miembro de la Academia Americana de Neurología.</p> <p>El estudio se ha realizado en 51 parejas de gemelos entre las edades de 9 y 69 años a través de un cuestionario telefónico. Los investigadores reunieron información sobre la historia médica de las familias en lo relacionado a los desmayos y descubrieron que de 51 parejas de gemelos, el 57 % habían sufrido algún episodio de desmayo.</p> <p>Los investigadores encontraron que en los que uno de los gemelos había sufrido un desmayo, los que eran idénticos tenían el doble de probabilidades en comparación con los mellizos. El riesgo de desmayo que no estaba relacionado con factores externos también fue mucho mayor en los gemelos idénticos en comparación con los mellizos. Por lo que en los primeros había muchas más probabilidades de desmayo que en los segundos.</p> <p>"Nuestros resultados sugieren que mientras los desmayos parece tener un fuerte componente genético, puede haber múltiples genes y múltiples factores ambientales que influyen en el fenómeno", concluye Berkovic.<br /> <a href="http://neurologia.diariomedico.com/2012/08/07/area-cientifica/especialidades/neurologia/desmayos-podrian-provocarse-factores-geneticos" target="_blank">agosto 8/2012 (Diario Médico)</a></p> <p><strong>Nota</strong>: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo del artículo a través de Hinari.</p> <p>Karl Martin Klein, San San Xu, Kate Lawrence, Alexandra Fischer, Samuel F. Berkovic. <a href="http://www.neurology.org/content/79/6/561.abstract?sid=e6017bbb-afe4-4565-bb73-51b7fd3053f6" target="_blank"><em><strong>Evidence for genetic factors in vasovagal syncope: A twin-family study</strong></em></a>. <em>Neurology</em> agosto 7, 2012 79:561-565. doi: 10.1212/WNL.0b013e3182635789.</p> </span>
2012-08-09T08:19:41-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/375
Eventos de enfermedades crónicas: La siesta más beneficiosa es la que dura menos de media hora
2012-08-09T08:16:47-04:00
Revista Finlay
La siesta que más beneficia a la salud es aquella que dura un máximo de 30 minutos y que se hace en el sofá, según afirma el coordinador del grupo de trabajo de Salud Mental de la Sección del Sueño de la Sociedad Española de Médicos de Atención Primaria (SEMERGEN), Enric Zamorano.<br /> <br /> "El sueño es algo beneficioso para el organismo porque repara lo que has desgastado tanto física como psicológicamente. Sin embargo, echarse la siesta es cuestión de poco tiempo y de no tener un sueño profundo porque, de lo contrario, puede provocar que no duermas por la noche", ha recalcado este experto.
2012-08-09T08:16:47-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/374
Cáncer: Nuevo objetivo terapéutico para tratar el cáncer de mama más agresivo
2012-08-03T22:48:16-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una investigación de la Universidad de Western en Canadá ha identificado un nuevo objetivo para las terapias en los cánceres de mama más agresivos, a través de una proteína llamada Nodal que se encuentra en las células embrionarias o en las células madre. El estudio ha sido publicado en la revista <a href="http://cancerres.aacrjournals.org/content/72/15/3851.abstract?sid=d4e443fc-8cea-4d68-b5ed-04c3c8b783a2" target="_blank"><em><strong>Cancer Research</strong></em></a> (doi:10.1158/0008-5472.CAN-11-3951).</p> <p>Lynne-Marie Postovit, autora del estudio y profesora del departamernto de Anatomía y Biología Celular de la Escuela de Medicina y Odontología de la Universidad de Western asegura que la proteína Nodal promueve la vascularización de los tumores, proporcionando nutrientes y oxígeno para ayudar al desarrollo de las células. "Hemos determinado que los cánceres invasivos más agresivos, emíten una proteína embrionaria llamada Nodal, relacionada con un mayor número de vasos sanguíneos en el tumor. Lo que permite que el tumor se desarrolle y se expanda por todo el cuerpo", afirma Postovit.</p> <p>Durante el estudio, los investigadores modificaron genéticamente a los ratones para que desarrollaran este tumor y posteriormente para que detuvieran la emisión de la proteína Nodal, de forma que los vasos sanguíneos se colapsaban y el tumor disminuía su expansión y crecimiento. Se ha demostrado que se puede manipular esta proteína embrionaria para que disminuyan los niveles de oxígeno y se produzca una necrosis de las células tumorales.</p> <p>"Se debería tener en cuenta esta terapia para los pacientes que tienen tumores muy avanzados y vascularizados como un nuevo tratamiento para la terapia contra el cáncer", asegura Daniela Quail, otra autora del estudio.<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2012/08/01/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/nuevo-objetivo-terapeutico-para-tratar-cancer-mama-agresivo" target="_blank"><strong>agosto 1/2012 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Daniela F. Quail, Logan A. Walsh, Guihua Zhang, Scott D. Findlay, Juan Moreno, Lynne-Marie Postovit.<em><strong>Embryonic Protein Nodal Promotes Breast Cancer Vascularization.</strong></em><em>Cancer Res</em>. Agosto 1, 2012 72:3851-3863</p> </span>
2012-08-03T22:48:16-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/373
Cáncer: Las células madre inductoras del cáncer
2012-08-02T07:33:56-04:00
Revista Finlay
<p><img title="300px-mouse_embryonic_stem_cells_75" src="http://www.medisur.sld.cu/public/site/images/mikhail/300px-mouse_embryonic_stem_cells_75.jpg" alt="300px-mouse_embryonic_stem_cells_75" width="118" height="99" />La hipótesis más pujante, pero también más polémica, de la oncología moderna es que los tumores se forman del mismo modo que los órganos: a partir de una pequeña población de células madre que, además, serían las responsables de que el cáncer se reproduzca después de haberlo tratado. Tres nuevos trabajos —dos en <em>Nature</em> y uno en <em>Science</em>— han añadido este miércoles mucha fuerza a esa idea al demostrar la existencia de esas células madre en modelos animales de tres de los cánceres humanos más refractarios al tratamiento, los de cerebro, piel e intestino. Los resultados resaltan la importancia de dirigir fármacos específicos contra las células madre del cáncer.</p> <p>Los oncólogos saben desde hace tiempo que, en muchos casos, no basta con destruir la mayor parte de un tumor, porque las pocas células que sobreviven al tratamiento son capaces de reconstruir el cáncer y causar una recaída, a menudo fatal. Estas y otras evidencias han extendido la hipótesis de que la parte resistente del tumor original, por pequeña que sea, contiene células madre programadas para reproducirlo. Confirmar —o refutar— esta idea es una prioridad de la investigación oncológica.</p><p>De confirmarse, la nueva hipótesis supondría un cambio de paradigma —el término acuñado por el filósofo Thomas Kuhn para las nuevas miradas a los viejos problemas— en la biología del cáncer. Los tumores se han visto tradicionalmente como células enloquecidas que se escapan de los controles habituales y empiezan a proliferar de una forma caótica. La nueva teoría, explican los investigadores a EL PAÍS, es que un tumor se forma a partir de unas pocas células madre por un programa de crecimiento ordenado y jerárquico muy similar, en su lógica interna, al de los órganos y tejidos normales del cuerpo.</p> <p>Luis Parada, un biólogo molecular de origen colombiano, y sus colegas del departamento de biología del desarrollo de la Universidad de Tejas en Dallas han utilizado ratones modificados para servir como modelos del glioblastoma humano, el cáncer primario (no debido a metástasis) de cerebro más común, actualmente incurable. La agresividad de este tumor —tiene una supervivencia media de un año— se debe precisamente a su resistencia a la terapia y a su rápida recurrencia incluso tras la extirpación quirúrgica.</p><p>Los detalles técnicos del experimento de los científicos de Dallas son de una complejidad disuasoria, pero un vistazo sobre ellos permite captar la idea general. Estos científicos, como muchos otros investigadores del cáncer, utilizan modelos del cáncer humano. Son ratones con modificaciones genéticas que, en este caso, les hacen desarrollar de forma espontánea, y con alta frecuencia, cánceres cerebrales muy similares al glioblastoma humano.</p> <p>“Hemos identificado un subconjunto de células de tumor cerebral que crecen despacio o permanecen en descanso”, explica Parada, “y que parecen ser la fuente de la recurrencia del cáncer tras la terapia estándar”. Se trata de la quimioterapia con la temozolomida, fármaco que se administra habitualmente a los pacientes de glioblastoma para tratar de detener el crecimiento del tumor. “Esta terapia ataca a las células cancerosas que crecen más deprisa, pero no a esas otras que son las responsables de reconstruir los nuevos tumores”.</p> <p>“Por todo lo que sabemos”, prosigue Parada, “esta es la primera identificación de una célula madre del cáncer en un tumor formado espontáneamente dentro del cuerpo de un mamífero”. Hasta ahora, las evidencias sobre estas células eran más indirectas: las células de un tumor humano se separaban, se seleccionaban las que contenían los marcadores propios de las células madre neuronales y se inyectaban en ratones para ver si producían tumores.</p> <p>En los nuevos experimentos, como vimos antes, los tumores se desarrollan espontáneamente, y los investigadores se limitan a marcar las células madre y comprobar que el nuevo tumor deriva enteramente de ellas, explica Parada. Este y sus colegas también demuestran que destruir esas células madre es una técnica eficaz para impedir el crecimiento del tumor.</p><p>En un segundo estudio, publicado en <em>Nature</em> como el anterior, Cédric Blanpain y su equipo de la Universidad Libre de Bruselas alcanza unas conclusiones muy similares con el cáncer de piel. De nuevo mediante el uso de ratones modificados para servir como modelo de esos tumores humanos, estos científicos han identificado una subpoblación persistente de células cancerosas que tienen todas las propiedades de las células madre.</p> <p>Y en un tercer trabajo presentado en <em>Science</em>, un grupo encabezado por Hugo Snippert, del Centro Médico de la Universidad de Utrecht, en Holanda, hace lo propio con los cánceres intestinales. Este artículo se basa en parte en investigaciones anteriores del laboratorio de Eduard Batlle, del Institut de Recerca Biomèdica (IRB) de Barcelona.</p> <p>“Los tres trabajos”, dice Snippert a EL PAÍS, “constituyen una fuerte evidencia de que hay una jerarquía entre las células de un tumor, de forma muy similar a lo que ocurre en un tejido sano normal; y las células madre del cáncer son también, en cierto modo, similares a las células madre del tejido normal”.</p><p> </p>
2012-08-02T07:33:56-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/372
Obesidad: Estudian tejido adiposo pardo
2012-08-01T12:15:51-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La región del cuello de niños sanos produce calor por la acumulación de grasa parda, que ayuda a mantener el peso corporal a diferencia de la blanca, difundió <em><strong>Journal of Pediatrics</strong></em> (doi:10.1016/j.jpeds.2011.09.035).</p> <p>Cuando los niños nacen tienen una abundante cantidad de tejido adiposo marrón, principalmente en la espalda, lo que los mantiene calientes y los ayuda a adaptarse a la vida fuera del útero.</p> <p>Esta, sin embargo, desaparece a medida que las personas crecen y es sustituida por la blanca, que se fija a las caderas y expande a la cintura.</p> <p>Investigadores de la Universidad de Nottingham, Reino Unido, emplearon tecnologías termodirigidas para determinar si hay grasa parda en el cuerpo después de los primeros años de vida.</p> <p>Según los científicos la región del cuello de los niños sanos produce calor.</p> <p>"Solo hay unos 50 gramos de grasa marrón en la región del cuello, que se "enciende" y "apaga" durante el día, ya que el cuerpo está expuesto a diferentes temperaturas, especialmente si se está comiendo o haciendo ejercicio", señaló Michael Symonds, de la Escuela Universitaria de Ciencias Clínicas.</p> <p>Para los científicos, el reto principal es emplear este hallazgo para determinar qué podría activar la grasa parda y prevenir el exceso de grasa corporal.</p> <p>Si se estimulara ese tipo de grasa se podría comer más sin exceder el peso corporal, lo perjudicial es que se gastaría energía de forma innecesaria, se sudaría mucho y se estaría caliente y delgado, expresó Symonds.</p> <p>Sin embargo, los agentes para estimular ese tejido graso podrían ser tóxicos.</p> <p>Pero Symons señala que el estudio con imágenes térmicas podría aportar una mayor información sobre lo que se come.</p> <p>"Potencialmente, podríamos añadir un índice termogénico a las etiquetas de los alimentos para indicar si el producto aumenta o disminuye la producción de calor de la grasa parda".<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=530547&Itemid=1" target="_blank">julio 31/2012 (PL) </a></p> <p><strong>Nota</strong>: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo del artículo a través de Hinari.</p> <p>Vicente Gilsanz, Michelle L. Smith, Fariba Goodarzian, Mimi Kim, et al. <a href="http://www.jpeds.com/article/S0022-3476%2811%2900949-8/abstract" target="_blank"><em><strong>Changes in Brown Adipose Tissue in Boys and Girls during Childhood and Puberty</strong></em></a>. <em>Journal of Pediatrics</em> vol. 160 (4), págs 604-609.e1.</p> </span>
2012-08-01T12:15:51-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/371
Prevención de las enfermedades crónicas: Advierten sobre efectos del ruido en la memoria y el aprendizaje
2012-07-31T14:00:59-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La exposición al ruido fuerte puede afectar la memoria y el aprendizaje, hipótesis de los investigadores del Centro de Estudios Farmacológicos y Botánicos (Cefybo), de la Universidad de Buenos Aires (UBA)<strong></strong>.</p> <p>Los científicos basaron estas conclusiones en experimentos con ratas, cuyo sistema nervioso guarda similitud con el de los seres humanos.</p> <p>Cuando estos animales fueron expuestos a un ruido con intensidades de entre 95 y 97 decibeles (dB), superiores a un nivel seguro (70-80 dB), tuvieron dificultades de aprendizaje y de memoria.</p> <p>Llamó la atención de los científicos que las ratas sometidas a un ruido único durante dos horas tuvieron un mayor daño neuronal en el hipocampo- zona asociada con la memoria y el aprendizaje- en comparación con las expuestas a un periodo corto durante dos semanas.</p> <p>Los animales utilizados en el estudio tenían entre 15 y 30 días de vida, lo que equivale a una edad de entre seis y 22 años en los humanos.</p> <p>El mayor daño neuronal entre los animales expuestos por periodos cortos podría explicarse por la plasticidad cerebral ya que en la etapa de desarrollo aún se está formando el sistema nervioso.</p> <p>Aunque este estudio sugiere que el ruido intenso puede afectar a los niños y adolescentes que escuchan música alta con aparatos digitales, aún es demasiado pronto para alarmarse, sostienen los científicos.</p> <p>En su estudio -explicaron- emplearon ruido blanco, señal que contiene todas las frecuencias de sonido y que se percibe como un televisor sin sintonía.</p> <p>La música que escuchan los niños posee bajas frecuencias y no se sabe todavía qué es lo que provoca el daño.</p> <p>El próximo paso para los científicos es averiguar el mecanismo molecular por el cual las células del hipocampo resultan afectadas por el ruido.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=529884&Itemid=1" target="_blank">julio 30/2012 (PL) </a></p> </span>
2012-07-31T14:00:59-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/370
Ciencia y Tecnología: Desarrollan un nanofármaco que combina fototermia y quimioterapia para la lucha contra el cáncer
2012-07-30T22:25:10-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Instituto de Tecnología Química de Valencia --centro mixto del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC) y de la Universitat Politècnica de València, el Instituto de Bioingeniería de la Universidad Miguel Hernández de Elche (UMH) y el Centro de Investigación Biomédica en Red en Bioingeniería, Biomateriales y Nanomedicina (CIBER-BBN)-- han desarrollado un nuevo nanofármaco que combina fototermia y quimioterapia para la lucha contra el cáncer.<br /> <br /> Hasta el momento, los investigadores han aplicado este nuevo nanofármaco sobre cultivos celulares de glioma humano. Los resultados obtenidos son interesantes para los tratamientos del cáncer de piel (melanomas) y de tumores no sólidos del sistema nervioso como los gliomas, han explicado los responsables del trabajo en un comunicado.<br /> <br /> El estudio, publicado en la revista<em> Dalton Transactions, </em>ha sido coordinado por el Dr. Pablo Botella, por parte del ITQ, y Eduardo Fernández (UMH y CIBER-BBN). El nuevo nanofármaco está formado por partículas híbridas que contienen agregados de nanopartículas de oro (nanoclústeres) protegidos por una cubierta de sílice porosa en el interior de la cual se incorporan moléculas de un fármaco antitumoral (camptotecina).<br /> <br /> Los nanoclústeres de oro presentan actividad fototérmica, absorbiendo luz en el rango del infrarrojo cercano (800 nm). Según explica el Dr. Botella, "mientras que los tejidos orgánicos son prácticamente transparentes a dicha radiación, su absorción por parte de los nanoclústeres de oro provoca un gran incremento de temperatura a nivel local". "Cuando esto se produce dentro de una célula cancerosa, se genera un aumento de las tensiones internas, lo que conduce a la destrucción de la misma", añade el experto.<br /> <br /> Como fuente de luz en el rango del infrarrojo cercano se utiliza un láser biomédico (800 nm) que trabaja en la escala de femtosegundos (1 fs = 1x10-15 seg). La acumulación de las nanopartículas híbridas oro/sílice en las células cancerosas está favorecida en gran medida por el aumento de la permeabilidad vascular que tiene lugar a nivel de un tumor.<br /> <strong><br /> Células malignas</strong><br /> <br /> Además, la liberación del agente quimioterápico transportado en el interior de la cubierta porosa de las partículas, permite eliminar aquellas células malignas que no hayan sido alcanzadas por el láser.<br /> <br /> "Con ello se asegura una efectividad mucho mayor que con la terapia tradicional, así como la ausencia total de efectos secundarios provocados por la actividad citotóxica de la camptotecina en otros tejidos", apunta Eduardo Fernández, investigador de la Universitat Miguel Hernández y del Centro de Investigación Biomédica en Red en Bioingeniería, Biomateriales y Nanomedicina (CIBER-BBN).<br /> <br /> "El estudio ha completado su fase inicial llevada a cabo sobre cultivos celulares y, actualmente, se está planificando el desarrollo de la siguiente etapa preclínica sobre modelos animales de cáncer de piel y de gliomas. No obstante, todavía es pronto para avanzar el comienzo de la aplicación en humanos", concluye Botella.</p> <br /><br /><a href="http://pubs.rsc.org/en/content/articlelanding/2012/dt/c2dt30381g" target="_blank">Dalton Transactions (2012); doi: 10.1039/C2DT30381G</a>
2012-07-30T22:25:10-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/369
Alcoholismo: El 80% de la población mundial padece resaca al menos una vez al año
2012-07-27T11:04:42-04:00
Revista Finlay
<p>Si buscamos la definición de ‘resaca’ en la Real Academia Española de la lengua, el mal cuerpo que le deja a uno la ingesta excesiva del alcohol no aparece hasta la tercera posición. Antes se encuentran el movimiento en retroceso de las olas después de que han llegado a la orilla y el limo o residuos que el mar o los ríos dejan en la orilla después de la crecida.<br /> <br /> No deja de ser curioso, pues este cuadro de sufrimiento tan “mísero”, según lo califica Joris C. Verster, investigador de la Universidad de Utrecht (Holanda) y reconocido experto mundial en la materia, “lo experimenta el 80% de la población mundial al menos una vez a lo largo de un año”, explica a SINC el científico.<br /> <br /> “La resaca tiene importantes efectos socieconómicos, pues disminuye la eficiencia del trabajador y aumenta sus conflictos interpersonales, y también incrementa el riesgo de accidente laboral”, detalla, por su parte, Gemma Prat, investigadora de la Escuela de Psicología de la Universidad de Barcelona.<br /> <br /> Con la esperanza de desentrañar sus causas y consecuencias se creó, en 2009, el grupo de Investigación de la Resaca Causada por el Alcohol (Alcohol Hangover Research Group, AHRG). “La resaca se da cuando los niveles de alcohol en sangre bajan a cero”, señala Verster. Pero si ya no hay tóxicos en el cuerpo, ¿por qué ese cansancio, sed, mareos, escalofríos, debilidad, tembleque, falta de memoria, dolor de cabeza y hasta 39 síntomas más?<br /> <br /> <strong>No se debe a la deshidratación<br /> </strong><br /> Ningún estudio ha dado con la causa de la resaca. Sí se sabe que no es debida ni a la deshidratación –que, aunque ocurre, no es causal–, ni a alteraciones en hormonas, electrolitos, cortisol, glucosa, cuerpo cetónicos, triglicéridos ni lactato. Investigaciones relativamente recientes, revisadas en 2010, sugieren que la severidad del malestar está relacionada con factores inmunológicos.<br /> <br /> “Es importante recalcar que el fenómeno de la resaca y el de deshidratación debido al alcohol no son lo mismo –afirma Verster–. Una resaca se puede experimentar tras una sola sesión de toma de alcohol, mientras que la deshidratación requiere de un consumo prolongado, generalmente de varios días”. Además, el experto explica que la resaca dura unas 20 horas, mientras que la deshidratación por alcohol es más larga, tiene un patrón hormonal distinto y puede producir alucinaciones y convulsiones.<br /> <br /> La teoría inmunológica como origen de la resaca se basa en que el alcohol activaría las señales de alarma del cuerpo liberando citoquinas, que serían las moléculas responsables del dolor de cabeza y el malestar, tan parecido al de cuando estamos enfermos. Estudios con animales y humanos demuestran que tras una infusión de citoquinas los individuos experimentan dolor de cabeza, náuseas, vómitos, aplatanamiento y otros síntomas típicos de este malestar. Otro fenómeno que cuadra con esta teoría es la falta de memoria: “las ‘lagunas’ son una consecuencia conocida de la activación del sistema inmunológico”, explica Verster.<br /> <br /> <strong>Mitos y leyendas</strong><br /> <br /> En realidad, la resaca es como un puzle donde intervienen muchas piezas: el consumo de tabaco y otras drogas, la edad y el género pueden influir en que usted jure al día siguiente que no volverá a beber nunca más. Pero ¿hay bebidas que dan más resaca que otras? ¿Es cierto que la resaca es peor si ‘mezclas’? La respuesta está en los congéneres.<br /> <br /> ”Los congéneres son moléculas orgánicas tóxicas propias del proceso de elaboración del alcohol y que le confieren color y sabor”, cuenta en su investigación Damaris Rohsenow, científico de la Universidad de Brown (EE UU). El whisky americano tiene 37 veces más congéneres que el vodka, y en un estudio publicado en la revista Alcoholism Clinical & Experimental Research (2010), Rohsenow y su equipo demostraron que la resaca que causa el whisky es mucho peor que la del vodka.<br /> <br /> Aunque el origen del malestar del día siguiente sigue siendo principalmente el etanol de las bebidas alcohólicas, los congéneres influyen en la severidad de los síntomas. De más a menos, las bebidas con peor resaca son el brandi, el vino tinto, el ron, el whisky, el vodka, la cerveza y el zumo de naranja mezclado con etanol puro.<br /> <br /> El ‘garrafón’, al ser alcohol de menos calidad, tiene más congéneres, por lo que es cierto que da más resaca. Al combinar distintos alcoholes, los congéneres a los que se expone el cuerpo son más y más variados, así que es verdad: ‘mezclar’ da peores resacas.</p> <p><strong>Alivio temporal</strong><br /> <br /> De todas estas sustancias la más estudiada es el metanol. Este congénere es procesado por la enzima alcohol deshidrogenasa (ADH) en dos metabolitos muy tóxicos: ácido fórmico y paraformaldehido. Pero esta ADH tiene especial afinidad por el etanol, así que solo cuando acaba de procesarlo se pone manos a las obras con el metanol. Por eso este congénere se postula como candidato a provocar los síntomas de la resaca una vez que no hay etanol en el cuerpo.<br /> <br /> “Esta es la explicación de por qué un pequeño consumo de alcohol durante la resaca hace que disminuyan los síntomas de malestar”, explica Verster. La ADH deja de producir metabolitos tóxicos, pero el alivio es solo temporal y se acumula más metanol para más tarde.</p> <p>Otro de los factores que no se deben olvidar es quela resaca va acompañada de falta de sueño. No solo porque el día anterior se haya trasnochado, sino “porque el consumo de alcohol afecta a la calidad del reposo”, afirma Prats.<br /> <br /> “En dosis pequeñas, el alcohol reduce el tiempo de latencia e incrementa las horas totales de sueño –explican en su investigación Rohsenow y su equipo–. Pero no en dosis altas”. Los efectos del alcohol sobre el sueño son distintos durante una primera fase, en la que se está metabolizando el etanol, y una segunda, cuando se está eliminando. “Es en esta segunda fase de la noche cuando el sueño es más ligero y uno se despierta con más facilidad”, señalan los científicos.<br /> <br /> <strong>Tratamientos efectivos</strong><br /> <br /> “La búsqueda de un tratamiento contra la resaca es tan antigua como esta dolencia, pero a día de hoyno existen estudios rigurosos al respecto ni tratamientos efectivos, ni un especial interés farmacéutico en obtenerlos”, afirma Vester.<br /> <br /> ¿Qué se puede hacer para mejorar la resaca? Partiendo de que la respuesta inflamatoria puede ser su principal causa, “el único tratamiento con algún efecto sería aquel que inhibiera la síntesis de prostaglandinas", explica Vester. "La aspirina, el ácido tolfenámico y el extracto de la higuera de chumbo (Opuntia ficus indica) podrían ser efectivos”, apunta el investigador.<br /> <br /> Café, vitamina B6, comer cinco almendras, infusión de ortigas, zumos de cítricos, un vaso de leche y otros remedios de la abuela y de internet no parecen tener demasiado efecto. O al menos no hay estudios que lo demuestren. Ir bebiendo agua durante la noche aliviará la deshidratación, comer bien antes y después ayudará al estómago, pero la única solución es no beber o hacerlo con moderación.</p> <br /><br /><a href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1530-0277.2009.01116.x/pdf" target="_blank">Alcoholism: Clinical and Experimental Research (2009); doi: 10.1111/j.1530-0277.2009.01116.x</a>
2012-07-27T11:04:42-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/368
Obesidad: Dos de cada tres niños con obesidad severa sufren riesgo cardiovascular
2012-07-27T10:54:10-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Dos de cada tres niños con obesidad severa está expuesto a un mayor riesgo cardiovascular y presenta al menos un factor de riesgo como la hipertensión, según una investigación realizada por la Universidad Vrije (VU) de Amsterdam, a la que ha tenido acceso Efe.</p> <p>El estudio se realizó de julio de 2005 a julio 2007 con 307 niños e entre 2 y 18 años a los que se les diagnosticó obesidad severa (54 %), mientras que el 14 % tenía un alto nivel de glucosa en sangre y un 0,07 sufrían diabetes de tipo 2.</p> <p>Este tipo de diabetes, la más frecuente, está estrechamente ligada a los estilos de vida y se presenta cuando el cuerpo no puede procesar la insulina adecuadamente.</p> <p>Entre los niños, que representaban 161 casos de los 307 analizados en el estudio, los menores de 12 años (límite de la infancia) sufrían más obesidad severa que los adolescentes, al contrario de lo que ocurren con el cupo femenino.</p> <p>No obstante, el factor de riesgo cardiovascular era más común en los adolescentes que en los niños, sobre todo en cuestión de triglicéridos y HDL-Colesterol.</p> <p>Por lo que respecta a las chicas, el HDL-Colesterol sufre más desajustes en las adolescentes que en las niñas.</p> <p>Los hombres sufren más por triglicéridos, además de ser un mayor número en los casos analizados, el 52 % del total.</p> <p>El estudio destaca también el crecimiento del sobrepeso, incluida la obesidad entre los niños en Holanda en las últimas tres décadas, al aumentar de un 5,1 % hasta un 13,3 % entre los chicos y de un 7,2 % a un 14,9 % entre las chicas de 1980 y 2009.</p> <p>La obesidad aumentó aún más, según el informe, ya que en el mismo periodo pasó de un 0,3 % a un 1,8 %, en chicos y de un 0,5 % a un 2,2 %, en chicas.</p> <p>El 60 % de los casos estudiados con obesidad severa son holandeses y el 40 % restante son extranjeros, entre los que destacan los menores de origen turco (14 %) y marroquí (8 %), que presentan una tasa mayor de obesidad infantil respecto al resto de la población del país.</p> <p>En cambio, los niños de origen holandés eran los que más sufrían de presión arterial.<br /> julio 24/2012 (EFE).-</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2012-07-27T10:54:10-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/367
Nutrición: Más del 8% de los tumores pancreáticos se podrían evitar con la dieta
2012-07-25T22:16:44-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Aumentar la ingestión de antioxidantes (vitaminas C, E y selenio) podría ayudar a reducir el riesgo de desarrollar cáncer de páncreas hasta en dos tercios, según concluye un trabajo que se publica en la edición digital de la revista <em><strong>Gut</strong></em>.</p> <p>De hecho, el trabajo indica que uno de cada doce (8,3 %) de esos tumores podría evitarse. La conclusión se extrae del estudio Prospectivo Europeo de Investigación en Cáncer (EPIC).</p> <p>El trabajo ha estudiado a más de 23 500 personas con entre 40 y 74 años reclutadas para el EPIC entre 1993 y 1997. Los participantes completaron un diario exhaustivo sobre su alimentación, que se cotejó con una base de 11 000 alimentos diferentes. De los sujetos analizados, 49 personas desarrollaron un tumor pancreático en los diez años siguientes a entrar en el estudio. El 55 % eran varones. En 2010 la cifra aumentó a 86 personas, de las que el 44 % eran hombres. Como media, estos pacientes vivieron seis meses tras el diagnóstico.</p> <p>Los investigadores compararon las ingestas nutricionales de los diagnosticados con el tumor en los diez años de seguimiento en el EPIC con las de otros 4000 sujetos sanos. La ingestión diaria de selenio en el grupo situado en el 25 %que más cantidad consumía redujo aproximadamente la mitad el riesgo del cáncer pancreático comparado con los individuos en el 25 % que menos consumían el antioxidante. La reducción del riesgo, aunque no tan acusada, se confirmaba también para la ingesta de vitamina C, E y selenio.</p> <p>El selenio está presente en los cereales, frutos secos, pescado y carne; la vitamina E en diversos aceites vegetales, frutos secos, semillas, margarinas y la yema de huevo, mientras que la vitamina C se encuentra en frutas y verduras.<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2012/07/25/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/mas-del-8-tumores-pancreaticos-se-podrian-evitar-con-dieta" target="_blank">julio 24/2012 (Diario Médico)</a><br /> Paul J R Banim, Robert Luben, Alison McTaggart, Ailsa Welch, Nicholas Wareham, Kay-Tee Khaw, Andrew R Hart. <a href="http://gut.bmj.com/content/early/2012/06/28/gutjnl-2011-301908" target="_blank"><em><strong>Dietary antioxidants and the aetiology of pancreatic cancer: a cohort study using data from food diaries and biomarkers</strong></em></a>. <em>Gut</em>, publicado julio 23/2012.</p> </span>
2012-07-25T22:16:44-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/366
Cáncer: La vacunación frente al cáncer de cérvix puede beneficiar a mujeres ya infectadas por VPH
2012-07-24T16:30:45-04:00
Revista Finlay
<p>Los expertos recomiendan vacunar frente al cáncer de cérvix a mujeres con lesiones producidas por el virus del papiloma humano (VPH) y que además presentan factores de riesgo de desarrollar un cáncer. Ésta es una de las principales conclusiones del I Foro de Actualización en Prevención del Cáncer de Cérvix Castilla y León, que acaba de celebrarse en Salamanca.</p> <p>El virus del papiloma humano (VPH) es la causa necesaria para el desarrollo de un cáncer de cérvix. Desde que se produce una infección por uno de los tipos oncogénicos de este virus, que normalmente se elimina de manera natural, hasta llegar a tener un carcinoma in situ o un cáncer invasor, la mujer puede padecer lesiones de diferente grado de malignidad (bajo grado o alto grado) que se pueden tratar y curar. Como señaló el Dr. Eiros Bouza, catedrático de Microbiología de la Facultad de Valladolid y moderador del foro, “Castilla y León es una de las comunidades con mejor cobertura vacunal frente al cáncer de cérvix, pero no hay que bajar la guardia”.<br /> <br /> Las mujeres menores de 18 años de esta Comunidad ya han sido vacunadas en un alto porcentaje, pero la carga de la enfermedad en función de las lesiones displásicas y preneoplásicas diagnosticadas, aún es considerable. “Entre los 36 y los 45 años repunta el VPH en las mujeres y el papel de los ginecólogos no sólo en el tratamiento, sino también en la prevención de reinfecciones es muy importante”, señalaba el Dr. Bouza.<br /> <br /> En este foro, el Dr. Angel García Iglesias, profesor titular de Medicina y jefe de Sección del Servicio de Ginecología del Hospital Clínico Universitario de Salamanca, presentó datos del perfil etario y del grado de lesión de las mujeres con citologías positivas remitidas a su servicio durante tres años (806 pacientes en 2009; 851 en 2010 y 883 en 2011), así como del seguimiento y de la respuesta al tratamiento de las pacientes con lesiones cervicales. Así mismo, se discutió la importancia de la respuesta inmune para prevenir las lesiones del cuello del útero y los factores que pueden alterarla, así como si la vacunación podría beneficiar a las pacientes con riesgo de presentar lesiones recurrentes que pueden terminar en un cáncer.<br /> <br /> En lo que puede considerarse una muestra representativa de todo Castilla y León, las mujeres con edades comprendidas entre 16 y 25 años presentaron con más frecuencia solo infección por VPH (el 40%), mientras que las lesiones de bajo grado se producían más a menudo en el grupo de 26 a 30 años y las lesiones de alto grado aparecían sobre todo en las mujeres de 36 a 45 años (al 38,90% de las mujeres de esta edad se les diagnosticó y trató una lesión de alto grado precursora de cáncer) y en menor medida en las de 31 a 35 años (30,87%).<br /> <br /> <strong>Reinfección y vacunación para prevenirla</strong></p> <p>No obstante, en todos los grupos etarios se identificaron lesiones de bajo grado y de alto grado de diversa consideración. Por ejemplo, se han diagnosticado lesiones de alto grado en chicas de 25 años y carcinomas en mujeres de 28 años. En este sentido, el Dr. García Iglesias abordó un problema que se presenta habitualmente en la práctica clinica: reciben una paciente con lesiones en el cuello del útero, precursoras de cáncer, causadas por el virus del papiloma humano (VPH); la tratan adecuadamente, con tratamientos escisionales como la conización y ocasionalmente con tratamientos destructivos como la histerectomía, según lo requiera, y a los pocos meses vuelve a estar infectada por el VPH.<br /> <br /> Según los resultados recogidos en su departamento en los últimos años, existe un número considerable de pacientes que vuelven a reinfectarse. En concreto, se identificaron recurrencias en más del 9% de las mujeres tratadas en su servicio y en el 18,70% de estas mujeres se registraron lesiones vaginales poshisterectomia a los 12 meses del tratamiento.<br /> <br /> La experiencia acumulada ha permitido a los expertos conocer la importancia de la respuesta inmune al VPH y los factores que pueden alterarla. Asimismo, han establecido los factores que favorecen la reinfección por VPH, tales como edad (más de 40 años), tabaquismo, menopausia, tomar anticonceptivos largo tiempo, embarazos y abortos y grado de la citología (displasia que se mantiene durante tiempo). De modo que en los casos de mujeres que ya han sido tratadas de una lesión causada por el VPH y presentan algunos de estos factores predictores, los expertos recomiendan la vacunación para prevenir una reinfección.<br /> <br /> La pregunta que suscitó más interés entre los asistentes es si una mujer infectada por el VPH, independientemente de su edad, se puede beneficiar o no de la vacunación. Los estudios dicen que si se vacuna, la infección que presenta no se ve afectada por la vacunación, ni mejora ni empeora y se podrían evitar futuras reinfecciones. Los expertos asistentes al foro recomendaron la vacunación porque en cualquier caso la paciente ya infectada por un tipo de VPH va a tener una respuesta inmunológica que va a ayudar a eliminar los VPH que sean de la misma especie e incluso porque sentirse protegida en algunos casos puede reconfortar a nivel psicológico.</p>
2012-07-24T16:30:45-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/365
Medicamentos: El efecto del fármaco clopidogrel para evitar la recaída tras un infarto es menor de lo que se pensaba
2012-07-24T16:26:48-04:00
Revista Finlay
El fármaco clopidogrel, utilizado habitualmente para evitar la recaída tras un ataque al corazón, tiene menor efecto del que se le suponía, según una investigación española publicada en <em>Thrombosis Research </em>y recogida por la plataforma SINC.<br /> <br /> El estudio, realizado por el Hospital de León y el Instituto de Biomedicina de la Universidad de León, revela que el clopidogrel, utilizado habitualmente para evitar una recaída tras un ataque al corazón, tiene menor efecto del que se le suponía en un determinado grupo de pacientes.<br /> <br /> Así, los investigadores analizaron, desde 2004, la actividad de las células sanguíneas llamadas plaquetas en el infarto. Aunque ya se había estudiado anteriormente, es la primera vez que se realiza un análisis tan detallado de la actividad plaquetaria dependiente del receptor diana del clopidogrel en los primeros momentos tras el ataque cardíaco.<br /> <br /> Este interés por las plaquetas se debe a que son las células que en última instancia desencadenan el infarto. Tras la formación de placas en las arterias coronarias por acúmulo de colesterol, llega un momento en el que pueden romperse y ahí acuden las plaquetas para tapar la herida.<br /> <br /> La investigación, realizada con 41 pacientes, ha demostrado que la potencia en este contexto es inferior a lo que se pensaba. "La investigación es limitada", ha declarado el autor principal Alejandro Diego Nieto, quien ha reconocido que "habría que corroborarla con ensayos multicéntricos con miles de pacientes".<br /> <br /> Sin embargo, el trabajo apunta la conveniencia de intensificar los estudios actuales sobre moléculas alternativas que parecen hasta diez veces más potentes que el clopidogrel. "Estas moléculas modernas son también antiplaquetarios orales y habría que estudiar si su efecto final también es limitado", ha añadido.
2012-07-24T16:26:48-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/364
Nutrición: Un estudio constata las ventajas de la dieta proteinada frente a la hipocalórica en diabetes tipo 2
2012-07-19T21:45:44-04:00
Revista Finlay
El Colegio Oficial de Médicos de Barcelona ha albergado la presentación de los resultados finales del estudio DiaproKal, cuyas principales conclusiones confirman que la dieta proteinada (DP) es eficaz y segura en el tratamiento de pacientes diabéticos tipo 2 con obesidad. El acto ha contado con la presencia del Dr. Albert Goday, jefe de sección del Servicio de Endocrinología y Nutrición del Hospital del Mar de Barcelona y coordinador del estudio, y el Dr. Farouk Radwan, médico y bioquímico, experto en eieta proteinada y nutrición del Hospital Universitario de Montreal (Canadá).<br /> <br /> El ensayo, realizado en siete hospitales españoles de referencia, ha evaluado la seguridad y tolerabilidad de una dieta proteinada que incluye una combinación específica de cromo, biotina y ginseng americano, en comparación con una dieta hipocalórica (DH), en pacientes diabéticos tipo 2 con obesidad, durante 4 meses.<br /> <br /> Los resultados muestran que la DP es tan segura como la DH y más eficaz en la mejora del control glucémico y la pérdida de peso en pacientes diabéticos tipo 2 con obesidad. Tal como ha explicado el Dr. Goday, el estudio permite afirmar que los niveles de cetonemia de los pacientes tratados con DP se sitúan siempre en valores de seguridad (menos de 3mmol/L), y, además, muestra que los valores hepático y renal de los pacientes tratados con DP son normales y muy similares a los de los pacientes con DH.<br /> <br /> <strong>Un dieta eficaz para tratar la diabesidad</strong><br /> <br /> En cuanto a la eficacia el estudio muestra que la DP, con una combinación específica de cromo, biotina y ginseng americano cultivado, es más eficaz que la DH, ya que ofrece una mayor mejora del perfil glucémico y de reducción del peso y el perímetro de cintura que la hipocalórica. En cifras, el 87,5% de los pacientes con DP presenta una hemoglobina glucosilada (HbA1c) –indicador de referencia para el diagnóstico de diabetes tipo 2- en valores normalizados (menos del 7%). Todo ello supone que, el número de pacientes que mejora este valor es casi tres veces superior en el grupo de DP que en el de DH.<br /> <br /> “La DP junto con la combinación de cromo, biotina y ginseng americano cultivado, que ya habían demostrado beneficios sobre el perfil glucémico del paciente por sí solos, aporta una nueva solución más eficaz para el paciente diabético tipo 2”, comenta el Dr. Radwan.<br /> <br /> La pérdida de peso también ha sido un dato destacado por el Dr. Goday en su presentación, ya que, según ha recordado, la comunidad médica considera que una reducción de entre el 5% y el 10% del peso corporal proporciona una importante mejora de las patologías asociadas al exceso de peso. En este sentido, los resultados del estudio muestran que en 4 meses, el grupo con DiaproKal ha reducido de media 14,12Kg su peso corporal (un 15 %), mientras que los que siguen la DH tan sólo han reducido una media de 4,37Kg (menos de un 5%). Esto permite afirmar que los pacientes del grupo con Diaprokal han reducido su peso más del triple que los tratados con dieta hipocalórica.<br /> <br /> El perímetro de cintura (PC) ha sido otros de los principales puntos del estudio que han centrado la atención del Dr. Goday. Los pacientes tratados con DP presentan una reducción media de su PC de 11,83 cm, casi tres veces más que los que siguieron una DH, en los que la reducción fue de 4,72 cm de media. Esta reducción permitió que el 31% de los pacientes en tratamiento con DP presentaran un PC fuera de alto riesgo cardiovascular. En cambio, tan sólo el 14% de los pacientes en tratamiento con DH lo consiguió.<br /> <strong><br /> Perfil del estudio</strong><br /> <br /> El estudio DiaproKal, cuya empresa promotora es PronoKal Group, especializada en tratamientos de pérdida de peso y mantenimiento, basados en DP, es un ensayo clínico abierto, controlado, aleatorizado (1:1), prospectivo (4 meses de seguimiento) y multicéntrico, que ha contado con una muestra final de 89 pacientes.<br /> <br /> Los pacientes eran hombres y mujeres de entre 30 y 65 años con obesidad y diabetes tipo 2 de menos de 10 años de evolución y distribuidos en dos grupos. Un grupo, formado por 45 pacientes, son abordados a través de dieta proteinada (DiaproKal), y el otro, de 44 pacientes, siguen una dieta hipocalórica equilibrada (ingesta calórica 10% por debajo del gasto metabólico basal, calculado según la fórmula de la FAO/OMS/ONU).
2012-07-19T21:45:44-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/363
Enfermedad de Alzheimer: Científicos brasileños hallan proteína que puede combatir el alzhéimer
2012-07-19T16:00:28-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El científico brasileño Pedro Hirata afirmó que el descubrimiento de la acción de la proteína STI1, que sirve de protección a las neuronas, podría ser usada en un futuro para combatir el mal de Alzheimer.</p> <p>"Identificamos una acción benéfica que puede convertirse en un tratamiento", apuntó Hirata al sitio web G1, el portal de noticias de la Globo.</p> <p>Hirata es uno de los autores del estudio que identificó la proteína y que fue publicado en la <em><strong>Journal of Neurochemistry </strong></em>(DOI: 10.1111/j.1471-4159.2011.07613.x).</p> <p>De acuerdo con el investigador, el estudio determinó las interacciones químicas de la STI1, una de las responsables de conectar la neurona a otras sustancias que quedan en la superficie y por ello recibe el nombre de conectante.</p> <p>Añade que encima de las neuronas está otra proteína llamada prion, que funciona como receptor de sustancias del ambiente externo, mientras las conectantes establecen el enlace entre el prion y la neurona.</p> <p>Tras referir que existen diferentes tipos de conectantes y cada uno provoca un efecto diferente, el grupo de investigadores halló que la STI1 protege las neuronas y tiene un rol importante en la formación de la memoria.</p> <p>Hirata sostuvo que la idea es que un tratamiento futuro, que requiere ser desarrollado en laboratorio, utilice la STI1 para blindar las neuronas, proteína que además ocuparía los espacios de conexión, dificultando la interacción de las tóxinas con las células.</p> <p>"Esperamos conseguir esos dos efectos con la proteína STI1", subrayó el investigador brasileño, según el G1.</p> <p>El mal de Alzheimer es una enfermedad degenerativa, actualmente incurable, común en personas mayores de 60 años.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=526491&Itemid=1" target="_blank">julio 17/2012 (PL) </a></p> <p>Maxime Béland, Xavier Roucou. <a href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1471-4159.2011.07613.x/full" target="_blank"><em><strong>The prion protein unstructured N-terminal region is a broad-spectrum molecular sensor with diverse and contrasting potential functions</strong></em></a>. <em>Journal of Neurochemistry</em> 2012, vol 120(6), págs: 853-868.</p> </span>
2012-07-19T16:00:28-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/362
Cardiopatía Isquémica: Más de la mitad de las muertes hospitalarias por infarto de miocardio se producen tras un 'shock' cardiogénico
2012-07-12T18:42:25-04:00
Revista Finlay
<p>El 61,3% de las muertes hospitalarias por síndrome coronario agudo se producen en pacientes con un 'shock' cardiogénico, un estado por el que el corazón que ha quedado dañado es incapaz de suministrar suficiente sangre al resto de los órganos. Así se desprende de los últimos datos recabados por la Sociedad Española de Medicina Intensiva, Crítica y Unidades Coronarias (SEMICYUC) de su registro de análisis del retraso en el infarto agudo de miocardio ARIAM, relativos a 2011.<br /> <br /> Dicho registro muestra también que el 66,7% de los pacientes con síndrome coronario agudo con elevación persistente del segmento ST (SCACEST) fallecen en el hospital a causa de un 'shock' cardiogénico, mientras que, del resto, la mitad tampoco consiguen superar su patología. Además, se da un alto índice de pacientes que fallecen debido a una muerte súbita con fibrilación ventricular, o disociación electromecánica, que representan el 19,4% de estos fallecimientos.<br /> <br /> En el caso del SCASEST, hasta un 20% de los fallecimientos se deben a causas no cardiológicas, de ahí que los intensivistas aconsejen el ingreso del paciente en unidades polivalentes en detrimento de las unidades monográficas exclusivamente cardiológicas. Asimismo, insisten en la necesidad de que los pacientes avisen al médico en los primeros síntomas de un accidente cardiovascular y, del mismo modo, reclaman que no haya pasividad terapéutica en la atención prehospitalaria del síndrome coronario agudo en relación con el uso de la 'Aspirina', la realización de un electrocardiograma prehospitalario y la monitorización del paciente.</p> <p><strong>Mejora en 2012</strong><br /> <br /> Igualmente, los resultados del Registro ARIAM alertan de la baja utilización de la ecocardiografía en UCI, que sólo se emplea en el 40% de los enfermos y, sorprendentemente, en el 33% de los pacientes con grupo de 'Killip' superior a 1.<br /> <br /> Según el coordinador nacional de ARIAM, estos datos han mejorado notablemente en 2012, y actualmente se realiza un ecocardiograma en UCI en más del 70% de los pacientes con síndrome coronario agudo.</p><p>Tomado de <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/mas/mitad/muertes/hospitalarias/infarto/miocardio/producen/tras/shock/cardiogenico/_f-11+iditem-17586+idtabla-1" target="_blank">Jano</a></p><p> </p>
2012-07-12T18:42:25-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/361
Enfermedad de Alzheimer: Descubren una mutación genética que protege del Alzheimer y la demencia senil
2012-07-12T18:14:31-04:00
Revista Finlay
<p>Un equipo de investigadores islandeses ha identificado una mutación genética que reduce la acumulación de proteína amiloide en forma de placas en el cerebro, una de las causas del deterioro cognitivo en la demencia senil, al tiempo que ha demostrado que esta enfermedad y el Alzheimer se originan por los mismos mecanismos bioquímicos.<br /> <br /> La investigación, publicada en la revista Nature, muestra que esta alteración genética protege de ambos tipos de demencia, y que podría representar una nueva diana para mejorar los tratamientos de prevención.<br /> <br /> Según la invetigadora de la compañía farmacéutica deCODE Genetics y coordinadora del estudio, Kari Stefansson, "es la primera vez que se detecta una alteración genética relacionada con el Alzheimer y además con una función protectora".<br /> <br /> A su juicio, y a raíz de los resultados, "Alzheimer y demencia senil pueden tener los mismos mecanismos bioquímicos". El estudio analizó el genoma de 1.795 personas en busca de alteraciones del gen que codifica la proteína B-amiloide (APP, por sus siglas en inglés), ya que su acumulación en forma de placas es una de las causas de la enfermedad.<br /> <br /> Así, descubrieron que existe una mutación en el gen APP que confiere resistencia a la aparición del Alzheimer. En experimentos 'in vitro', los científicos observaron que esta alteración genética reducía en un 40% la formación de las placas; además, se observó que las personas de entre 80 y 100 años sin Alzheimer incluidas en el estudio y que eran portadoras de esta mutación tenían funciones cognitivas en mejor estado que las que no tenían esta alteración genética.<br /> <br /> El gen APP codifica la proteína APP, precursora de la B-amiloide, cuyas placas son una de las causas del deterioro cognitivo. Los científicos opinan que una de las posibles estrategias para detener el Alzheimer sería alterar las enzimas que transforman la APP en B-amiloide. Uno de estos enzimas se identificó hace más de una década y es el BACE1.</p> <br /><a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature11283.html" target="_blank">Nature (2012); doi:10.1038/nature11283</a>
2012-07-12T18:14:31-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/360
Ciencia y Tecnología: Proteínas de seda sirven para conservar vacunas sin refrigerarlas
2012-07-11T18:27:10-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una nueva tecnología permite utilizar proteínas de seda para fabricar una suerte de envoltorio molecular que permite almacenar vacunas y antibióticos sin refrigeración durante meses, e incluso años, según trabajos publicados el lunes en Estados Unidos.</p> <p>Además, esta estructura de seda puede adoptar una variedad de formas como micro-jeringuillas y micro-vesículas que permiten a estos medicamentos no refrigerados ser almacenados y administrados en un único recipiente.</p> <p>Las vacunas y antibióticos pueden de esta manera preservarse a temperaturas que van a hasta 60 grados, aseguran los autores de este trabajo.</p> <p>La proteína de seda tiene una estructura y una química únicas que la vuelven más robusta y resistente a la humedad, y estable frente a temperaturas extremas. Además es biológicamente compatible, subrayan los investigadores.</p> <p>Todas estas propiedades son de una gran utilidad para estabilizar "los antibióticos, las vacunas y otros medicamentos", explicó David Kaplan, ingeniero biomédico de la universidad de Tufts en Massachusetts (noreste), principal autor.</p> <p>"El hecho de que también podamos transformar la seda en micro-jeringuillas presenta una enorme ventaja que puede potencialmente brindar una gran cantidad de opciones útiles para estabilizar y distribuir estos medicamentos", agregó el investigador que estudia la seda desde hace 20 años.</p> <p>La mayoría de las vacunas, enzimas y anticuerpos así como muchos antibióticos y otros medicamentos deben ser refrigerados permanentemente desde su producción hasta su entrega para preservar su eficacia, lo que representa hasta el 80% del costo de una vacunación, según estimaciones.</p> <p>Expertos internacionales de la salud estiman que cerca de la mitad de las vacunas en el mundo se pierde debido a un corte en la cadena de frío.</p> <p>Incluso en los países industrializados, la pérdida de eficacia de los medicamentos con la temperatura del cuerpo es un rompecabezas para los sistemas de implantes para administrar medicamentes, según estos investigadores.</p> <p>Para este trabajo constataron que las proteínas de seda preservaban la eficacia de las vacunas contra la rubeola, la papera, y el sarampión, así como para antibióticos, penicilina y tetraciclina, hasta al menos 60 grados.</p> <p>Estos hallazgos son claramente mejores que las demás técnicas actuales de conservación, como el encapsulado en colágeno, una familia de proteínas, o en polvos y soluciones, subrayan los científicos.</p> <p>Esta investigación fue financiada con fondos de los Institutos nacionales estadounidenses de la salud (NIH).<br /> julio 19/2012 (AFP)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2012-07-11T18:27:10-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/359
Ciencia y Tecnología: Nanotecnología en terapia tumoral puede ser eficaz
2012-07-10T14:07:21-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Javier Cortés Castán, del Hospital General Universitario Valle de Hebrón, de Barcelona, ha expuesto en Salamanca que la individualización de terapias con la tecnología NAP puede ser optimizada.</p> <p>La nanotecnología aplicada en tratamientos tumorales es una herramienta clave en la lucha contra determinados procesos tumorales y su coste no tiene que ser elevado si se conoce bien el paciente diana al que tienen que ir dirigidas esas aplicaciones terapéuticas. Esta es una de las principales conclusiones que se pueden extraer de la ponencia Innovación en Oncología: Nanotecnología Dirigida al Tumor, que ha desarrollado Javier Cortés Castán, del Hospital General Universitario Valle de Hebrón, de Barcelona, en el IV Simposio Bases Biológicas de Cáncer y Terapias Personalizadas que se ha celebrado en el Centro de Investigación del Cáncer de Salamanca.</p> <p>"Con la nanotecnología podemos combinar los efectos de una aplicación más directa al estar en una escala nanomolar con los mecanismos de la medicina y sus recursos biológicos y fisiológicos", ha destacado a Diario Médico Javier Cortés Castán, y ha puesto de manifiesto que uno de los grandes precursores de esta técnica es la posibilidad de combinar fármacos con la albúmina como elemento conductor en lo que se conoce como la NAP Plataforma. Ha recordado que la nanotecnología "no es más que usar fármacos a la escala nanomolar, es decir, que su tamaño es un millón de veces más pequeño que el milímetro".</p> <p>Las ventajas son que el fármaco tiene una mayor actividad que los tratamientos clásicos, menor toxicidad y una farmacogenética más diferencial, entre otras ventajas. Cortés ha explicado que la expansión de este tipo de tecnología NAP en tratamientos tumorales ya se ha demostrado con elementos como el docetaxel, inhibidores mTOR e inhibidores de las chaperonas, aunque también auguró que se extenderá a más en los próximos años.</p> <p>El científico del Valle de Hebrón sostiene que "si la crisis económica nos permite seguir investigando en cáncer, se abre una gran posibilidad con la aplicación de la nanotecnología". Además, Cortés dejó claro en su exposición que la tendencia en este sentido es que en el futuro va a mejorar los tratamientos. "Vamos a tener mejores tratamientos con nanotecnología, conoceremos mejor los mecanismos de resistencias tanto a quimioterapia como a los fármacos y tendremos más claro cómo individualizar los tratamientos", ha agregado el investigador, que expuso estas ideas a cerca de 300 personas en el salón de actos del Centro de Investigación del Cáncer de Salamanca en la primera de las dos jornadas en las que se ha desarrollado la cita científica.</p> <p>Precisamente, en este sentido de la optimización de tratamientos, Cortés ha expuesto que, "aunque se pueda creer que la nanomedicina puede ser más cara en un principio, en el caso de los tratamientos de cáncer puede ser óptima a largo plazo, ya que si usamos un tratamiento de 100 euros pero solo se aplica al 30 % de los pacientes, a los que hemos visto que realmente les va a producir un efecto positivo, puede ser más barato que si usamos uno de 50 euros, pero se lo damos al 100 %. En el global, la nanotecnología optimizaría mejor los resultados. Tenemos que aprender a precisar muy bien a qué pacientes hay que aplicarles los tratamientos, aunque sigan siendo caros".<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2012/07/09/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/nanotecnologia-en-terapia-tumoral-puede-ser-eficaz" target="_blank">julio 8/2012 (Diario Médico)</a></p> </span>
2012-07-10T14:07:21-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/358
Tabaquismo: La ayuda de los profesionales aumenta un 30% las probabilidades de éxito a la hora de dejar el tabaco
2012-07-09T05:46:19-04:00
Revista Finlay
<p>La ayuda de los profesionales sanitarios hace que las probabilidades de abandonar el hábito tabáquico se incrementen un 30%, mientras que sólo el 3% de las personas que intentan dejar de fumar sin la ayuda profesional lo consiguen. Estos son algunos de los datos que se comentaron durante la presentación del DVD 'Discutir o Dialogar', una iniciativa llevada a cabo por el Ayuntamiento de Madrid con la colaboración de Pfizer.<br /> <br /> Se trata de una herramienta, dirigida a los profesionales de la salud, en la que se expone la importancia que tiene la entrevista motivacional a la hora de conseguir que más fumadores decidan abandonar este hábito. “Hay dos formas de abordar la entrevista dirigida a concienciar al paciente sobre la necesidad de dejar de fumar: la ‘tradicional’, en la que se recurre al empleo de recriminaciones, lo que genera resistencia y poco compromiso por parte del paciente; y la que se explica detalladamente en este DVD, basada en el respeto a la persona que quiere dejar de fumar y que favorece un firme compromiso por su parte. Esta entrevista motivacional es una técnica muy sencilla que permite de manera rápida estimular el proceso de cambio de conducta del fumador”, explicó el doctor Miguel Costa Cabanillas, director del Centro de Promoción de Hábitos Saludables, de Madrid, y coautor del DVD.<br /> <br /> Por su parte, el doctor Javier Moreno, responsable del Programa de Tabaquismo de Madrid Salud, hizo un repaso a la estructura y los contenidos del DVD. “La idea principal es explicar paso a paso cómo debe ser la entrevista motivacional para promover y facilitar el cambio de comportamiento y estilo de vida del paciente. No hay que olvidar que fumar es una experiencia biográfica compleja, no una conducta aislada y simple, de ahí que el éxito de la deshabituación, un proceso basado en el ‘aprendizaje’ de vivir sin fumar, implique una firme decisión con la que el paciente debe comprometerse por razones propias y personales; aceptar que puede tomar la decisión cuándo él decida, y que mantenerse con garantías sin fumar puede implicar y anticipar obstáculos y rediseñar el contexto próximo y el estilo de vida”.<br /> <br /> En este sentido, el doctor Costa apuntó que “en este DVD no nos centramos solo en el cambio de vida referente al tabaquismo sino también a otros comportamientos de riesgo como puede ser, por ejemplo, la obesidad”.<br /> <br /> En cuanto a las estrategias que deben perseguirse en la entrevista motivacional, el doctor Moreno destacó entre las más importantes: “hacer preguntas abiertas o exploratorias; validar la perspectiva del paciente; no decidir por él sino facilitar que sea él quien tome la decisión; fomentar la autoeficacia y promover la acción. En todo este proceso es muy importante que el médico fomente la empatía y el reconocimiento del paciente”.<br /> <br /> EL DVD está estructurado en cuatro partes fundamentales: una presentación, una exposición teórica, el apartado 'Discutir' y el apartado 'Dialogar'. Tal y como comentó el doctor Moreno, “es precisamente en este último apartado donde abordamos aquellas habilidades que queremos modelar por parte de los especialistas. Además, se incluyen vídeos que enseñan cómo abordar situaciones específicas como por ejemplo, los pacientes escépticos, aquellos que ‘no pueden vivir sin el tabaco’ o los que recriminan al médico que no sea fumador y, por tanto, no se pueda poner en su lugar. Estas interpretaciones representan más del 90% de las situaciones a las que nos enfrentamos los médicos y si no las manejamos adecuadamente, pueden dar al traste con el proceso de deshabituación”.<br /> <br /> Se estima que alrededor del 30% de la población española es fumadora y que el tabaco se cobra más de 50.000 vidas al año en nuestro país. Además, el tabaquismo supone un enorme gasto para el sistema sanitario (más de 7.000 millones de euros en costes directos), fundamentalmente como consecuencia de los costes derivados de las enfermedades asociadas.</p> <div class="inner_content"><br /><!-- .listaRss { position: relative; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 0px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 0px; height: 400px; width: 420px ! important; }.listaRss2 { background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 0px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 10px 0pt; width: 440px; }.fondo_blanco { z-index: 3; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); visibility: hidden; opacity: 0.7; height: 395px ! important; width: 438px; }.fondo_gris { z-index: 4; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(102, 102, 102); visibility: hidden; opacity: 0.6; height: 235px; width: 328px ! important; }.capa_rss { z-index: 5; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); border: 2px solid rgb(205, 205, 205); height: 265px ! important; width: 310px ! important; visibility: hidden; }.contenido_rss { z-index: 6; position: absolute; height: 190px; width: 312px ! important; visibility: hidden; }.contenido_rss h3 { float: left; margin: 0px; font: bold 11px Arial,Helvetica,sans-serif; color: rgb(102, 102, 102); }.contenido_rss .cabecera { width: 299px ! important; padding: 6px; border-bottom: 1px solid rgb(236, 236, 236); }.contenido_rss img { float: right; margin: 0px; padding: 0px; }.contenido_rss a img { border: 0px none; }.contenido_rss ul { margin: 0px 2px 0px 0px; padding: 0px; }.contenido_rss li { background: url("/static/portadas/rss/img/fnd_lista_rss.gif") repeat-x scroll left bottom transparent; list-style-type: none; margin: 0px ! important; padding: 2px 2px 2px 5px; font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss li img { float: left; }.contenido_rss li a { display: block; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); padding: 2px 0px; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss li a:hover { display: block; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(234, 238, 243); padding: 2px 0px; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss .sin_borde { background: none repeat scroll 0% 0% transparent; font-size: 10px; color: rgb(102, 102, 102); }.contenido_rss .sangria { padding: 0px 0px 0px 21px; font-size: 9px; }.limpiar { clear: both; line-height: 1px; font-size: 1px; height: 1px; }.listaRssizq { padding: 2px 0px; width: 183px ! important; float: left; border-right: 1px solid rgb(204, 204, 204); }.listaRssizq a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRssizq img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; }.listaRssder { padding: 2px 0px 2px 7px; width: 208px ! important; float: left; }.listaRssder a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRssder img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; }.entrar a { color: rgb(0, 51, 102); text-decoration: none; }.entrar a:hover { color: rgb(0, 51, 102); text-decoration: underline; }.listaRss2 { background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 5px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 10px 0pt; width: 420px ! important; }.listaRss2 a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRss2 img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; } --> <form> <input name="ocultar" type="hidden" value="1" /> </form></div>
2012-07-09T05:46:19-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/357
Cáncer: El 7% de los casos de cáncer se deben a la predisposición hereditaria del paciente
2012-07-09T05:42:27-04:00
Revista Finlay
<p>En la actualidad, en España se diagnostican anualmente 162.000 nuevos casos de cáncer. De ellos, entre el 5 y el 10% están relacionados con la dotación genética del paciente, es decir, con la predisposición heredada de un familiar ascendente debido a una mutación genética. Sin embargo, aunque esta composición genética favorece el desarrollo de un tumor, “es fundamental tener en cuenta que el cáncer es un proceso multifactorial y poligénico, donde los factores de riesgo como la alimentación, el estilo de vida y las infecciones inciden mayoritariamente en el desarrollo de la enfermedad”, explica la Dra. Raquel Bratos, oncólogo médico del MD Anderson Cancer Center Madrid.<br /> <br /> A la hora de analizar las señales de alarma, los especialistas insisten en que no existe un número establecido de antecedentes familiares ante el que se deba derivar el caso a una Unidad de Consejo Genético de Cáncer. "La decisión depende de muchos aspectos, como el nivel de parentesco, la edad en el momento del diagnóstico oncológico y el tipo de tumor desarrollado, entre otros”, indica la Dra. Bratos.<br /> <br /> No obstante, existen una serie de datos clínicos que mueven a sospechar de un síndrome hereditario de predisposición al cáncer, como la existencia de otros casos en la familia, o de varios procesos oncológicos en un mismo miembro de la familia, o el desarrollo de un tumor a una edad inusualmente temprana en el momento de diagnóstico o el padecimiento de un proceso oncológico bilateral cuando el órgano afectado es par (cáncer de mama bilateral, carcinoma renal bilateral…).</p> <p><strong>Cáncer colorrectal y de mama, los más hereditarios</strong><br /> <br /> Entre los tipos de cáncer con mayor componente hereditario, destacan el carcinoma colorrectal y de mama. Así, entre un 10 y un 15% de los casos de cáncer colorrectal tiene un componente hereditario y cerca de un 25% de los pacientes diagnosticados de este carcinoma tiene otro familiar afectado. En cuanto al cáncer de mama, aunque la mayoría son esporádicos, entre un 5% y un 10% se deben a mutaciones en línea germinal de genes específicos de susceptibilidad al cáncer.<br /> <br /> Pero los signos de alarma no tienen por qué evidenciar la presencia de un cáncer hereditario, por lo que lo más recomendable es que la persona se informe detalladamente en una Unidad de Consejo Genético de Cáncer. “Este asesoramiento no implica la realización de un test genético y la información exhaustiva ayuda a reducir generalmente el nivel de ansiedad, evita interpretaciones erróneas y se individualiza cada caso para dar recomendaciones y medidas específicas”, recuerda la oncóloga del MD Anderson Cancer Center Madrid.</p>
2012-07-09T05:42:27-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/356
Medicamentos: Asocian pioglitazona para diabetes tipo 2 con riesgo de cáncer vesical
2012-07-08T10:49:40-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>Un estudio que se publica en <strong><em>Canadian Medical Association Journal </em></strong>(DOI:10.1503/cmaj.112102) ha mostrado que el uso de pioglitazona, un tipo de tiazolidinediona comúnmente empleada para tratar la diabetes mellitus tipo 2, aumenta el riesgo de desarrollar cáncer de vejiga.</p> <p>Para determinar si existe una relación entre la administración de pioglitazona y el cáncer vesical, los investigadores, coordinados por Jeffrey Johnson, de la Escuela de Salud Pública de la Universidad de Alberta, en Canadá, condujeron una revisión sistemática y un metanálisis de ensayos controlados randomizados y estudios observacionales que implicaron a 2,6 millones de pacientes.</p> <p>"En concreto, el uso de pioglitazona se asoció con un riesgo incrementado de cáncer de vejiga basado en un conjunto de estimaciones de tres estudios de cohortes que incluían a más de 1,7 millones de individuos", ha afirmado Johnson. Con rosiglitazona, otro tipo de tiazolidinediona, los autores no vieron el mismo efecto.<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2012/07/04/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/asocian-pioglitazona-para-dm-2-con-riesgo-de-cancer-vesical" target="_blank">julio 3/2012 (Diario Médico)</a></p> <p>Isabelle N. Colmers, Samantha L. Bowker, Sumit R. Majumdar, Jeffrey A. Johnson. <a href="http://www.cmaj.ca/content/early/2012/07/03/cmaj.112102" target="_blank"><em><strong>Use of thiazolidinediones and the risk of bladder cancer among people with type 2 diabetes: a meta-analysis</strong></em></a>. <em>CMAJ</em> (2012).</p></div> </span>
2012-07-08T10:49:40-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/355
Cáncer: Células sanas alrededor de un tumor lo hacen resistente a quimioterapia
2012-07-07T10:27:00-04:00
Revista Finlay
<div class="storycontent"><p>Las células sanas que rodean a un tumor contribuyen a que las células cancerígenas se vuelvan resistentes a la quimioterapia, según dos investigaciones estadounidenses que publica la revista científica <a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature11183.html" target="_blank"><em><strong>Nature </strong></em></a>(doi:10.1038/nature11183).</p> <p>En muchos tipos de cáncer, los tratamientos personalizados han logrado erradicar las células cancerígenas en el laboratorio, pero sólo han conseguido una respuesta parcial en los pacientes, por lo que los investigadores tratan de averiguar a qué se debe esta resistencia.</p> <p>“Podemos extraer células cancerígenas de un melanoma, ponerlas en un plato de laboratorio y la mayoría se vuelve extremadamente sensible a las sustancias, pero eso no es lo que vemos en pacientes”, afirmó Straussman.</p> <p>Para llegar a esta conclusión, los expertos cultivaron células cancerígenas tanto por separado como junto a células normales y las sometieron a distintos medicamentos contra el cáncer.</p> <p>Observaron que las células que crecían aisladas de las normales morían al recibir el tratamiento, mientras que aquellas que se cultivaron junto a células normales se volvieron resistentes a la mitad de las 35 sustancias que se les aplicaron.</p> <p>“Hemos descubierto que al añadir células normales a las células cancerígenas, la resistencia de éstas a la quimioterapia es muchas veces mayor. Esto sucedía especialmente cuando las tratamos con los nuevos agentes diana”, aseguró Straussman.</p> <p>Aunque su investigación se centró en el melanoma, también ha permitido identificar un conjunto de células sanas que aumentan la resistencia a la quimioterapia de los tumores de pulmón, mama, colon y páncreas.</p> <p>Según el director del Programa de Cáncer del Instituto Broad y autor de uno de los dos artículos, Todd Golub, los investigadores han hecho “grandes progresos” extrayendo muestras de las células del tumor y descartando el resto del tejido, pero ahora es “evidente” que el microambiente del tumor también influye.<br /> julio 4/2012 (EFE).-</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>“Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A.”</strong></p> <p>Ravid Straussman, Teppei Morikawa, Kevin Shee, Michal Barzily-Rokn, Zhi Rong Qian, Jinyan Du.<em><strong>Tumour micro-environment elicits innate resistance to RAF inhibitors through HGF secretion</strong></em>. <em>Nature</em>. 04 Jul 2012</p></div>
2012-07-07T10:27:00-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/354
Anuncio: La Campaña del Movimiento “Hospital Amigo del Adulto Mayor y su Familia”para el Verano 2012
2012-07-04T10:14:49-04:00
Revista Finlay
<p class="Default"><img title="campaa_del_adulto_mayor_413" src="/public/site/images/mikhail/campaa_del_adulto_mayor_413.gif" alt="campaa_del_adulto_mayor_413" width="413" height="310" />En los meses de julio y agosto se organizará en el hospital docente general Dr. Gustavo Aldereguía Lima un conjunto importante de actividades dirigida al mejoramiento de la salud de los ancianos bajo el título “La Campaña del Movimiento “Hospital Amigo del Adulto Mayor y su Familia”para el Verano 2012”.</p> <p class="Default">El programa de actividades se puede ver en la ampliación de la noticia.</p> <ul><li>“ESTRUDPROGERON EN ACCIÓN: la Campaña del Verano”: Subprograma de actividades asistenciales y académicas dirigidas a los estudiantes de pregrado de Ciencias Médicas, durante los meses de julio – agosto. Incluye cursos cortos, investigaciones rápidas y oferta de novedosos materiales didácticos relacionados con los cuidados geriátricos hospitalarios. Coordinador: Profesor. Francisco Olascoaga Pérez.</li><li>Curso de Verano: “Atención Geriátrica de Avanzada en la Comunidad”: Curso de postgrado dirigido a especialistas de MGI, durante el mes de julio. Modalidad a tiempo completo. Coordinadores: Profesor. Ángel Julio Romero Cabrera – Dr. Salvador Tamayo Muñiz.</li><li>Coloquio por el Día Mundial de Población 2012: Miércoles 11 de Julio, 11.30 AM en el Teatro del Hospital.</li><li>Academia Estival 2012 del GERIGAL: Compendio de actividades académicas con perfil múltiple que se desarrollará en la semana del 16 al 20 de julio.</li><li>Lunes 16 (11.30 AM): Simposio “PSICOGERIATRIA” / Coordinadores: Dr. Eduardo Fernández Casteleiro – Dr. Juan R. Cordero Jiménez.</li><li>Martes 17 (11.30 AM): Simposio “MUJER POSTMENOPAUSICA” / Coordinadores: Dr. Salvador Tamayo – Profesor. Roberto Pérez.</li><li>Miércoles 18 (11.30 AM): Simposio “ENFERMERIA GERIATRICA” / Coordinador: MsC. Modesto Crespo Lima.</li><li>Jueves 19 (11.30 AM): Simposio “ORTOGERIATRIA” / Coordinadores: Dr. Ernesto Alonso – Dr. Manuel Gordillo.</li><li>Viernes 20 (10.30 AM): Primer Encuentro Provincial sobre la propuesta de un Modelo de Atención Integral Centrado en la Persona Mayor / Coordinador: Dr. Salvador Tamayo Muñiz.</li><li>Ciclo de Conferencias Especiales de Educación para la Salud (“Envejecimiento: realidades y mitos”):</li><li>Sábado 7 de Julio: “Nutrición y Envejecimiento: realidades y mitos” / Dra. Lisvet Solís Leyva.</li><li>Sábado 4 de Agosto: “Demencias: realidades y mitos” / Dr. Eduardo Fernández Casteleiro.</li><li>Sábado 25 de Agosto: “Andropausia: realidades y mitos” / Dr. Salvador Tamayo Muñiz.</li></ul>
2012-07-04T10:14:49-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/353
Ciencia y Tecnología: Edelfosina en nanopartículas inhibe la metástasis linfática
2012-07-04T07:17:41-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La Universidad de Navarra y el Centro de Investigación del Cáncer de Salamanca han demostrado que tras el tratamiento oral con edelfosina, administrada en nanopartículas lipídicas, se elimina la expansión del tumor en ratones con linfoma del manto.</p> <p>El Centro de Investigación del Cáncer de Salamanca y la Universidad de Navarra han diseñado un medicamento basado en nanopartículas lipídicas cargadas con el fármaco antitumoral edelfosina, que tras su administración oral elimina el 100 %de las metástasis linfáticas en ratones con linfoma del manto.</p> <p>La investigación desarrollada con modelos animales, que ha sido publicada en la revista <strong><em>Nanomedicine UK</em></strong>, demuestra que estas nanopartículas son capaces de acumularse en los ganglios linfáticos y destruir selectivamente las células tumorales que allí se encuentran. Además, los nanosistemas hacen posible la liberación del fármaco antitumoral de manera sostenida en el tiempo.</p> <p>Faustino Mollinedo, del Centro de Investigación del Cáncer de Salamanca y uno de los coordinadores del trabajo junto a María Blanco, de la Universidad de Navarra, ha explicado a Diario Médico que el trabajo demuestra cómo la incorporación de la edelfosina en nanopartículas lipídicas implica varias mejoras en el tratamiento al compararlo con el de edelfosina libre.</p> <p>Por ejemplo, la administración oral de nanopartículas permite una mayor biodisponibilidad del compuesto y una disminución en la dosificación, puesto que las nanopartículas liberarían el compuesto poco a poco y de forma sostenida, teniéndose que abordar a los ratones solo cada cuatro días, en lugar de la forma diaria que requiere la edelfosina libre.</p> <p>No obstante, Mollinedo ha recalcado que "el aspecto más sobresaliente del trabajo es una inhibición de la metástasis mayor que la producida por la edelfosina libre, debido a una acumulación de las nanopartículas en los ganglios linfáticos. Todos estos aspectos hacen que el empleo de nanopartículas en el uso de estos éter fosfolípidos sea altamente prometedor en el camino para desarrollar un fármaco antitumoral efectivo, fácil de administrar y con menores efectos secundarios".</p> <p>El linfoma del manto es un cáncer muy agresivo, de evolución variable en cada paciente, para el que urge encontrar tratamientos eficaces.</p> <p>El investigador del Centro del Cáncer de Salamanca pone de manifiesto que el futuro que se abre con este hallazgo es que el desarrollo de nanopartículas lipídicas que puedan inhibir la diseminación de las células tumorales a través del sistema linfático es un aspecto de gran relevancia en la búsqueda de un agente antitumoral eficaz, y en particular en la optimización de la acción antitumoral del éter fosfolípido edelfosina.</p> <p>El linfoma del manto es actualmente una enfermedad incurable cuya evolución es variable en cada paciente. "Es un cáncer muy agresivo para el que no existe una terapia eficaz, y los pacientes suelen recaer, por lo que se tiene una gran urgencia de encontrar tratamientos más eficaces frente a esta enfermedad", advierte Mollinedo, y aclara que "este trabajo es una continuación de estudios previos en los que ya habíamos encontrado la eficacia de la edelfosina frente a linfoma del manto en ratones. Al conocer bien este modelo experimental, pensamos que era un buen sistema para analizar el efecto de incorporar la edelfosina en nanopartículas lipídicas; los resultados posteriores han demostrado que se ha mejorado ostensiblemente la eficacia del compuesto al incorporarlo en nanopartículas".<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2012/07/03/area-cientifica/especialidades/oncologia/edelfosina-nanoparticulas-inhibe-metastasis-linfatica" target="_blank">julio 3/2012 (Diario Médico)<br /> </a><br /> Estella-Hermoso de Mendoza A, Campanero MA, Lana H, Villa-Pulgarin JA, de la Iglesia-Vicente J, Mollinedo F, Blanco-Prieto MJ. <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22630151" target="_blank"><em><strong>Complete inhibition of extranodal dissemination of lymphoma by edelfosine-loaded lipid nanoparticles</strong></em></a>. <em>Nanomedicine</em> (Lond). 2012, 7(5):679-90.</p> </span>
2012-07-04T07:17:41-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/352
Medicamentos: Asocian pioglitazona para diabetes tipo 2 con riesgo de cáncer vesical
2012-07-04T07:09:27-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un estudio que se publica en <strong><em>Canadian Medical Association Journal </em></strong>(DOI:10.1503/cmaj.112102) ha mostrado que el uso de pioglitazona, un tipo de tiazolidinediona comúnmente empleada para tratar la diabetes mellitus tipo 2, aumenta el riesgo de desarrollar cáncer de vejiga.</p> <p>Para determinar si existe una relación entre la administración de pioglitazona y el cáncer vesical, los investigadores, coordinados por Jeffrey Johnson, de la Escuela de Salud Pública de la Universidad de Alberta, en Canadá, condujeron una revisión sistemática y un metanálisis de ensayos controlados randomizados y estudios observacionales que implicaron a 2,6 millones de pacientes.</p> <p>"En concreto, el uso de pioglitazona se asoció con un riesgo incrementado de cáncer de vejiga basado en un conjunto de estimaciones de tres estudios de cohortes que incluían a más de 1,7 millones de individuos", ha afirmado Johnson. Con rosiglitazona, otro tipo de tiazolidinediona, los autores no vieron el mismo efecto.<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2012/07/04/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/asocian-pioglitazona-para-dm-2-con-riesgo-de-cancer-vesical" target="_blank">julio 3/2012 (Diario Médico)</a></p> <p>Isabelle N. Colmers, Samantha L. Bowker, Sumit R. Majumdar, Jeffrey A. Johnson. <a href="http://www.cmaj.ca/content/early/2012/07/03/cmaj.112102" target="_blank"><em><strong>Use of thiazolidinediones and the risk of bladder cancer among people with type 2 diabetes: a meta-analysis</strong></em></a>. <em>CMAJ</em> (2012).</p> </span>
2012-07-04T07:09:27-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/351
Síndrome metabólico: La hormona TLQP-21 preserva la producción de insulina
2012-07-04T07:06:25-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un péptido derivado de VGF, TLQP-21, atenúa el desarrollo de diabetes tipo 2 al potenciar la supervivencia y la función de las células beta, según un estudio que se publica en <em><strong>Cell Metabolism</strong></em> (DOI:10.1016/j.cmet. 2012.05. 011).</p> <p>Se trata de una hormona que, según Christopher Newgard, de la Universidad de Duke, y su equipo podría proporcionar nuevas perspectivas para generar medicamentos para la diabetes tipo 1 y 2.</p> <p>La administración de TLQP-21 a ratas Zucker (que son obesas y tienen una predisposición genética a desarrollar diabetes tipo 2) mejoró significativamente los niveles de insulina y glucosa y redujo la destrucción de células beta.</p> <p>"Es la primera demostración de que TLQP-21 previene el deterioro de las células beta y estimula la secreción de insulina en presencia de glucosa", ha dicho Newgard.</p> <p>Similar a GLP-1<br /> Algunas de las funciones de la hormona en cuestión son muy parecidas a las de GLP-1 (péptido similar al glucagón-1). A través de mecanismos diferentes, ambas hormonas protegen y promueven la secreción de insulina. De ahí que las dos constituyan dianas terapéuticas de gran interés.</p> <p>Sin embargo, las terapias basadas en GLP-1 o en fármacos que lo estabilicen producen ciertos efectos adversos que, de momento, no han surgido con la administración de TLQP-21. "Las ratas mostraron un apetito normal e ingirieron cantidades adecuadas de comida, sin mostrar ningún cambio en el ritmo cardiaco o en los patrones de digestión cuando recibieron dosis altas de la hormona", ha declarado el investigador.<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2012/07/04/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/hormona-tlqp-21-preserva-produccion-de-insulina" target="_blank">julio 3/2012 (Diario Médico)</a></p> <p>Samuel B. Stephens, Jonathan C. Schisler, Hans E. Hohmeier, Jie An, Albert Y. Sun, Geoffrey S. Pitt, Christopher B. Newgard. <a href="http://www.cell.com/cell-metabolism/abstract/S1550-4131%2812%2900234-3" target="_blank"><em><strong>A VGF-Derived Peptide Attenuates Development of Type 2 Diabetes via Enhancement of Islet ?-Cell Survival and Function</strong></em></a>. <em>Cell Metabolism.</em> vol 16(1), 33-43; publicado julio 3/2012.</p> </span>
2012-07-04T07:06:25-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/350
Obesidad: Modificaciones en la leptina determinan el desarrollo de enfermedades metabólicas
2012-07-03T00:24:39-04:00
Revista Finlay
<p>Las modificaciones en los niveles de la hormona de la leptina durante la gestación o la lactancia podrían determinar un mayor riesgo de padecer enfermedades como obesidad y diabetes en la edad adulta, según investigadores del Departamento de Fisiología de la Universidad Autónoma de Madrid (UAM).<br /> <br /> Este trabajo, impulsado por la doctora Miriam Granado de la Universidad Autónoma de Madrid y los doctores Jesús Argente y Julie Chowen, del Departamento de Endocrinología del Hospital Infantil Universitario Niño Jesús, ha sido reconocido por la Asociación Europea para el Estudio de la Obesidad y publicado en <em>Endocrinology y Obesity Facts.</em><br /> <br /> Los autores observaron que la función principal de la lentina en el individuo adulto es inhibir la ingesta de alimentos y aumentar el gasto energético para, de esta forma, mantener el peso corporal. Por tanto, los individuos deficitarios en el gen de la leptina no disponen de este mecanismo de freno de la ingesta calórica, por lo que presentan una obesidad desmesurada.<br /> <br /> Además de su función reguladora del peso corporal en la edad adulta, la leptina tiene también otras funciones importantes en la infancia, ya que interviene en el desarrollo de diferentes estructuras cerebrales implicadas en el control del apetito.<br /> <br /> Los hallazgos de estos investigadores demuestran que los cambios puntuales en los niveles de leptina durante los primeros días de vida tienen una repercusión a largo plazo sobre los circuitos hipotalámicos implicados en la regulación de la ingesta, así como sobre el tejido adiposo, que ve modificada su capacidad para almacenar energía.</p> <p><strong>Ingesta y peso</strong><br /> <br /> Asimismo, la administración de una única dosis de leptina a ratas en su segundo día de vida tiene como consecuencia a largo plazo alteraciones hipotalámicas que derivan en una disminución de la ingesta de alimentos a la edad de cinco meses.<br /> <br /> Sin embargo, esta disminución en la ingesta calórica no se acompaña de una disminución en la ganancia de peso corporal, lo que sugiere que, ante una reducción de la ingesta, el tejido adiposo disminuye su capacidad de disipar energía evitando así la pérdida de peso.<br /> <br /> Por el contrario, una única inyección de un inhibidor de la acción de la leptina en el día nueve de vida de las ratas induce una disminución en la ganancia de peso corporal en la edad adulta sin producir cambios en la ingesta de alimentos, lo que implica, al contrario que en el caso anterior, un aumento en la capacidad del tejido adiposo para disipar energía.</p> <br /><br /><a href="http://endo.endojournals.org/content/152/5/1809.abstract?sid=c1572a04-cac5-4e9a-bdcc-9602b262bf8e" target="_blank">Endocrinology (2012); doi: 10.1210/en.2010-1252</a>
2012-07-03T00:24:39-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/349
Obesidad: Al mundo le sobran 15 millones de toneladas de peso
2012-06-23T13:00:35-04:00
Revista Finlay
<div id="cuerpo_noticia" class="cuerpo_noticia"><p>Sobre una báscula, la humanidad pesaría 287 millones de toneladas, de las que 15 millones son de sobrepeso. Lo afirma un estudio de la Escuela de Higiene y Medicina Tropical de la universidad de Londres. Es como si hubiera 242 millones de personas más en el mundo, anota el texto. Y también hay que alimentarlas.</p> <p>La obesidad es una epidemia y el quinto factor de muerte en el mundo, según la Organización Mundial de la Salud. Los kilos de más son una cuestión de salud, pero también social, dicen los investigadores. Las personas con sobrepeso necesitan más cantidad de energía para moverse. Eso significa más comida. “Todo el arroz, los cereales o la carne que EE UU emplea en alimentar su gordura podría sustentar a 22 millones de personas al día”, explica David Prieto-Merino, coautor del estudio junto a otros cinco expertos. El dato en todo el mundo asciende a 111 millones de personas que podrían comer de lo que ahora consumen de más los adultos con un índice de masa corporal superior a 25, para mantener (que no aumentar) su sobrepeso.</p> <div id="sumario_1|foto" class="izquierda"><a name="sumario_1"></a> <div class="media"><div class="foto figure"><a class="posicionador" title="ampliar foto"> <img src="http://ep01.epimg.net/sociedad/imagenes/2012/06/22/actualidad/1340394893_837956_1340395106_sumario_normal.png" alt="" width="300" height="434" /> <span id="capaAmpliarFotoHover_p2" class="ampliar_foto encima" style="display: none;">ampliar foto</span> </a> <p class="figcaption estirar">Fuente: London School of Hygiene &Tropical Medicine. / <span class="firma">EL PAÍS</span></p></div></div></div> <p>La investigación, con datos de 2005 —los más fiables disponibles, según los autores— y recién publicado, muestra que ese peso extra no está uniformemente repartido. Los países ricos son los más gordos, mientras que los pobres tienen serias dificultades para cubrir sus necesidades nutricionales. Según sus cálculos, 12 norteamericanos adultos pesan una tonelada (81 kilogramos de media), mientras que harían falta 17 asiáticos para llegar a esa cantidad (59 kilos).</p> <p>“La lucha contra la gordura puede ser crucial para la seguridad alimentaria y la sostenibilidad ecológica”, escriben los autores. Tanto como el crecimiento poblacional, añaden. El pasado octubre la cantidad de habitantes sobre el planeta alcanzó los 7.000 millones. La ONU estima que en 2050 habrá 2.300 millones más. Lo que ha avivado el debate de si habrá recursos suficientes para sustentar a tanta gente. Los autores del informe apuntan la necesidad de considerar también la variable de la masa corporal cuando se estudian las implicaciones ecológicas del aumento de la población. El sobrepeso incrementa la demanda de alimentos. Si todo el mundo pesara lo mismo que la media norteamericana (81 kilos), sería como si hubiera 500 millones de personas más sobre la tierra en términos de consumo de comestibles. Y esa parece ser la tendencia. “Nuestro cuerpo está genéticamente programado para comer todo lo que podamos. Pero, con los avances tecnológicos, ahora no gastamos esa energía”, dice Prieto-Merino.</p> <p>El experto añade: “Si dejáramos de consumir más de lo que necesitamos, esa comida podría ir a países donde no se cubren las necesidades alimenticias”. “La producción mundial de alimentos daría para comer a toda la población, pero el acceso es desigual”, añade Amador Gómez, director técnico de Acción Contra el Hambre. “Es un contrasentido que una parte del mundo se muera de sobrepeso y otra de desnutrición”, zanja.</p> <p>Pero la solución no es fácil. “Haría falta una adaptación muy fuerte para vencer nuestra tendencia genética a comer todo lo que disponemos”, explica Prieto-Merino. Por eso propone un estilo de vida más activo, para quemar energía. Para Gómez, “la estrategia de fondo es la erradicación de la pobreza”, que mejoraría la posibilidad de acceso a los alimentos de las naciones que ahora no pueden competir en el mercado. La situación actual está lejos de alcanzar ese equilibro de fuerzas. “Si producimos demasiado lo tiramos antes que mandarlo a países pobres para que no bajen los precios. Es la perversión total”, denuncia Prieto-Merino. Un informe del Parlamento Europeo el pasado febrero confirma que el derroche de comida es una realidad: los europeos desperdiciamos 89 millones de toneladas al año de productos que serían comestibles. Aunque no lo relaciona con estrategias de mercado.</p> <p>Los países ricos estamos más gordos y desperdiciamos más. El crecimiento descontrolado de la población es más propio de los países pobres. Todo amenaza la sostenibilidad del planeta. Por eso la comunidad científica ha querido llevar este tema a la Cumbre de Río+20. En un documento rubricado por Global Network of Science Academies (IAP), que engloba a 105 academias de todo el mundo, se alerta por primera vez de los riesgos del consumo voraz en el primer mundo y de la falta de control demográfico, sobre todo en las naciones en vías de desarrollo.</p></div>
2012-06-23T13:00:35-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/348
Cáncer: Dieta hipercalórica rica en grasas acelera el desarrollo del cáncer de páncreas
2012-06-23T12:43:04-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La investigación, realizada en ratones, muestra que una dieta alta en calorías puede provocar obesidad y alteraciones en el metabolismo tales como resistencia a la insulina, la cual es observada en personas con sobrepeso. Esto también incrementa la inflamación del páncreas y el desarrollo de cáncer.</p> <p>El grupo de científicos dirigidos por Guido Eibl, profesor del departamento de Cirugía en la Escuela de Medicina David Geffen, de la Universidad de California (Estados Unidos), utilizó una dieta basada en aceite de maíz, la cual incluía alto contenido de grasas en ratones con una mutación genética que les provocó pre cancer de páncreas. Este mismo gen, KRAS, está mutado en la mayoría de humanos con cáncer pancreático.</p> <p>Los resultados demuestran que el 90 % de estos ratones tuvieron sobrepeso y todos desarrollaron resistencia a la insulina e inflamación de páncreas. Dos de estas condiciones pueden estimular la aparición de células cancerígenas y el posterior cáncer.</p> <p>"Esto sugiere que una dieta con elevadas calorías acelera la aparición de cáncer de páncreas", ha afirmado Eibl. "Una mutación KRAS en el páncreas no es suficiente para causar este tipo de cáncer, dado que se necesita un impacto secundario. Nuestro estudio muestra que ese tipo de dietas puede proporcionar el impacto secundario y desencadenar el cáncer de páncreas", ha concluído Eibl.<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2012/06/20/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/dieta-hipercalorica-rica-grasas-acelera-desarrollo-cancer-pancreas?utm_source=CRM&utm_medium=cpc&utm_campaign=Oncolog%C3%ADa-22%2F06" target="_blank"><strong>junio 20/2012 (Diario Médico)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Pandol S, Gukovskaya A, Edderkaoui M, Dawson D, Eibl G, Lugea A.<em><strong> Epidemiology, risk factors, and the promotion of pancreatic cancer: role of the stellate cell</strong></em>.<a href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1440-1746.2011.07013.x/abstract" target="_blank"><em> J Gastroenterol Hepatol</em></a> (doi: 10.1111/j.1440-1746.2011.07013.x.). Vol. 27, Issue 5, 990, mar 13/2012</p> </span>
2012-06-23T12:43:04-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/347
Envejecimiento: Estudio aporta nuevas pistas sobre envejecimiento
2012-06-21T05:53:31-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><span class="textonormal"><img title="ejercicios_y_salud3_168" src="/public/site/images/mikhail/ejercicios_y_salud3_168.jpg" alt="ejercicios_y_salud3_168" width="134" height="136" /></span>Un equipo de científicos encontró una de las claves por la cual envejecemos, lo que en el futuro podría ayudar a desarrollar medicamentos para combatir los achaques relacionados con la edad.</p> <p>A partir de la comparación del ADN de personas centenarias con el de bebés recién nacidos, científicos españoles encontraron las claves involucradas en el proceso de envejecimiento.</p> <p>Los expertos se centraron en las marcas epigenéticas, aquellas no relacionadas con la herencia, pero que regulan las funciones de los genes al apagarlos y encenderlos.</p> <p>Publicado en la revista <a href="http://www.pnas.org/content/early/2012/06/05/1120658109.abstract?sid=020c9e7f-f245-49d2-af89-1eca58d6e782" target="_blank"><em><strong>Procedings of the National Academy of Science (PNAS)</strong></em></a>(doi:10.1073/pnas.1120658109), el estudio fue liderado por Manuel Esteller, director del Programa de Epigenética y Biología del Cáncer del Instituto de Investigación Biomédica Bellvitge en Barcelona y profesor de genética de la Universidad de Barcelona.</p> <p>Durante la investigación, los expertos hallaron que las marcas epigenéticas, ó planos de construcción ó contenidos en el ADN, se deterioran con los años.</p> <p>También los epigenomas de una persona varían en dependencia de su edad, incluso en el mismo tejido u órgano.</p> <p>De acuerdo con los científicos, una de las formas de apagar un gen es agregar compuestos químicos llamados grupos metilo a secciones específicas del ADN.</p> <p>La comparación realizada por los expertos evidencia que los jóvenes presentan un mejor control de sus genes que los ancianos centenarios.</p> <p>Mientras que un bebé nonato presenta grupos de metilo que apagan genes en más de un 80 % de los sitios posibles, una persona de 100 años los tiene en el 73 % de esas secciones.</p> <p>Pruebas posteriores con un adulto de 26 años evidencian que la mutilación se encuentra en el 78 % de los sitios en el ADN.</p> <p>Este estudio evidencia que al final de la vida, las personas pierden el control de sus apagadores genéticos y la expresión de los genes no es la apropiada.</p> <p>Los científicos piensan que con un buen estilo de vida es posible cambiar nuestro epigenoma.</p> <p>La dieta de una mujer embarazada puede influir en el riesgo de obesidad de su futuro hijo.<br /> junio 16/2012 (PL)</p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011<strong> "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Holger Heyn, Ning Li, Humberto J. Ferreira, Sebastian Moran, David G. Pisano, Manel Esteller. <em><strong>Distinct DNA methylomes of newborns and centenarians. </strong></em><strong></strong><em>PNAS</em> ;Jun 11, 2012</p> </span>
2012-06-21T05:53:31-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/346
Ciencia y Tecnología: Células madre pueden sobrevivir a la muerte y ser de nuevo funcionales
2012-06-19T06:40:52-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>Las células madre pueden sobrevivir en un medio hostil, adormeciéndose, incluso durante varios días después de la muerte, y volver a ser funcionales, según investigadores franceses cuyo trabajos abren nuevas vías terapéuticas, como por ejemplo al trasplante de médula ósea.</p> <p>Las células madre de los músculos sobreviven en "estado letárgico" 17 días después de la muerte en los seres humanos y 16 días en las ratas y, una vez colocadas de nuevo en cultura, vuelven a ser perfectamente funcionales, según el estudio publicado esta semana en la revista <a href="http://www.nature.com/ncomms/journal/v3/n6/full/ncomms1890.html" target="_blank"><em><strong>Nature Communications</strong></em></a> (doi:10.1038/ncomms1890)</p> <p>Ocurre otro tanto con las células madre de la médula ósea que generan células sanguíneas, y que permanecen viables cuatro días después de la muerte en las ratas y que son también capaces después del trasplante, de volver a proliferar en la médula, agregaron los científicos.</p> <p>Trabajos anteriores habían identificado tales células 32 horas después de la muerte en el cerebro de un feto.</p> <p>Los científicos franceses mostraron que esas células adultas pueden sobrevivir mediante una carencia de oxígeno para alcanzar ese "estado letárgico" que les permite sobrevivir y resistir a un medio ambiente extremadamente hostil.</p> <p>Este modo de supervivencia que fue puesto en evidencia, existe también en casos de grandes daños en los tejidos de los seres vivos.</p> <p>Esta reserva de células madre viables en el organismo humano después de la muerte podría servir para efectuar injertos de médula ósea (leucemia, enfermedades sanguíneas) muy utilizadas en los hospitales y "para las cuales faltan donantes", estimó el profesor Fabrice Chrétien (Instituto Pasteur/ hospital Raymond Poincaré, Garches) que dirigió estos trabajos en colaboración con Shahragim Tajbakhsh (Pasteur/CNRS).</p> <p>"Extirpamos 4 gramos de músculo de una mujer que falleció a los 97 años, 17 días después de su muerte y obtuvimos millones de células madre y conseguimos diferenciarlas en fibras musculares", agregó.</p> <p>En las ratas, las células madre de los músculos extraídas después de la muerte, una vez injertadas, permitieron restaurar la producción de una proteína deficiente, la distrofina, en ratas afectadas de myopatía, precisó Chrétien.</p> <p>Las células pasan al estado letárgico reduciendo al estricto mínimo su metabolismo: muy pocas mitocondrias (órganos celulares que producen energía a partir del oxígeno) con una caída de su reserva energética.</p> <p>De manera más general, este estado letárgico es una manera para las células adultas de esperar que "pase el chaparrón" y para superar situaciones hostiles, como por ejemplo un lesión muscular, en que el suministro de oxígeno se ve perturbado, para poder luego reiniciar el ciclo celular y reparar el tejido o el órgano dañado, explicó el científico.</p> <p>En laboratorio, "constatamos que las células madre musculares privadas de oxígeno a 4 °C sobrevivían mejor que las expuestas al oxígeno ambiente", agregó el doctor Chrétien.</p> <p>Este descubrimiento permite prever una nueva fuente y sobre todo nuevos métodos de conservación (en un refrigerador o en una mezcla gaseosa sin oxígeno) de células madre para utilización terapéutica.</p> <p>El profesor Chrétien evocó también "una técnica muy simple para seleccionar esas células a partir de la punción de una mezcla de células: con sólo meterlas en un frigorífico sin oxígeno, se consigue pasar de la concentración de 2 a 7% y a 40% de pureza", dijo.</p> <p>Una patente internacional fue registrada para cubrir las aplicaciones de este descubrimiento.<br /> junio 12/2012 (AFP) -</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Mathilde Latil, Pierre Rocheteau, Laurent Châtre, Serena Sanulli, Sylvie Mémet, Fabrice Chrétien. <em><strong>Skeletal muscle stem cells adopt a dormant cell state post mortem and retain regenerative capacity</strong></em>. <em>Nature Communications</em> 3, Article number: 903 : 12 jun/2012</p></div> </span>
2012-06-19T06:40:52-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/345
Diabetes Mellitus: Sanofi presenta los resultados del ensayo de mayor duración jamás realizado en diabetes
2012-06-15T06:24:39-04:00
Revista Finlay
anofi ha presentado en la 72ª edición de las sesiones científicas de la American Diabetes Association los resultados del ensayo ORIGIN (Outcome Reduction with Initial Glargine Intervention) que demostró que Lantus (inyección de insulina glargina [ADNr]) no tuvo ningún impacto positivo ni negativo estadísticamente significativo en los resultados cardiovasculares en comparación con el tratamiento estándar durante el periodo del estudio. Los resultados también demostraron que la insulina glargina retrasó la progresión de prediabetes a diabetes de tipo 2 y no se observó ninguna asociación entre el uso de insulina glargina y un incremento del riesgo de cáncer. <br /> <br /> ORIGIN fue un ensayo clínico aleatorizado de seis años que se diseñó para evaluar los efectos del tratamiento con insulina glargina frente a los del tratamiento estándar en los resultados cardiovasculares. En el estudio participaron más de 12.500 pacientes de todo el mundo con prediabetes o diabetes mellitus de tipo 2 reciente y riesgo cardiovascular elevado, 6.264 de los cuales fueron aleatorizados para recibir insulina glargina ajustada para alcanzar la normoglucemia en ayunas. Los dos objetivos primarios del estudio fueron la combinación de muerte cardiovascular, infarto de miocardio no mortal o infarto cerebral no mortal y el segundo la combinación de muerte cardiovascular, infarto de miocardio no mortal, infarto cerebral no mortal, procedimiento de revascularización u hospitalización por insuficiencia cardiaca. <br /> <br /> "Ahora conocemos mejor la insulina glargina que cualquier otro fármaco reductor de la glucosa con respecto a futuros resultados de salud", señala el Dr. Hertzel Gerstein, investigador principal del ensayo. "Concretamente, presenta un excelente control glucémico, reduce la progresión de la disglicemia y no tiene efectos graves para la salud a largo plazo. Además, este ensayo dirigido y analizado de forma académica es un excelente ejemplo de colaboración entre la industria y el ámbito académico."<br /> <br /> "En pacientes con prediabetes o diabetes de tipo 2 reciente y riesgo cardiovascular elevado, ORIGIN demuestra que es posible mantener niveles de HbA1c bajos y estables cercanos a la normalidad durante un período prolongado y retrasar potencialmente la progresión de prediabetes a diabetes. Sanofi se enorgullece de haber patrocinado este ensayo que ha contribuido de forma decisiva a mejorar los conocimientos sobre la diabetes y el impacto del control glucémico a largo plazo", explica el Dr. Riccardo Perfetti, vicepresidente de Asuntos Médicos de la división Global Diabetes de Sanofi.<br /> <br /> Las hipoglicemias fueron poco frecuentes. La tasa de hipoglucemia grave fue de 0,01 episodios por paciente-año de exposición para la insulina glargina y de 0,003 episodios por paciente-año para el tratamiento estándar. Las tasas de hipoglucemia globales fueron de 16,7 pacientes con acontecimientos por cada 100 pacientes-años de exposición para la insulina glargina y de 5,2 pacientes con acontecimientos por cada 100 pacientes-años para el tratamiento estándar. Además, el aumento de peso fue modesto en los participantes del grupo de insulina glargina, con una media de 1,58 kilogramos a lo largo de todo el estudio.
2012-06-15T06:24:39-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/344
Diabetes Mellitus: Uso precoz de la insulina en diabetes tipo 2 controla la enfermedad
2012-06-15T06:15:08-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los resultados del primer macroestudio que valoraba la eficacia del tratamiento con insulina en pacientes con diabetes tipo 2 se han presentado en la ADA. El Origin ha copado la atención de los asistentes a la reunión, y ha confimado que no aumenta el riesgo de cáncer.</p> <p>La opción de administrar insulina basal de forma precoz consigue mantener el control metabólico en el tiempo y sin deterioro en los pacientes con diabetes tipo 2, según apuntan los resultados del estudio Origin, que se han presentado en la LXII Reunión Anual de la Asociación Americana de Diabetes, que se está celebrando en Filadelfia. The New England Journal of Medicine ha levantado el embargo del trabajo para coincidir con su presentación.</p> <p>Para Ramón Gomis, endocrinólogo y director de investigación del Hospital Clínico-Instituto de Investigaciones Biomédicas August Pi y Sunyer (Idibaps), de Barcelona, es el estudio más potente desde el descubrimiento de la insulina que se ha hecho para analizar su impacto en una población diabética al inicio de la enfermedad.</p> <p>Se ha llevado a cabo en 12 537 pacientes con una edad media de 63 años y con riesgo cardiovascular que recibieron insulina glargina desde el inicio de la enfermedad o placebo. "Antes no se había hecho porque la insulina se había orientado a la diabetes tipo 1 y era una opción secundaria", ha apuntado Gomis a Diario Médico.</p> <p>El objetivo principal del Origin, del que Gomis es el único autor español, es ver si reducía el riesgo cardiovascular o si afectaba a factores de riesgo; el resultado "ha sido neutro: no lo ha mejorado, pero tampoco lo ha empeorado, que era algo que se decía; que la insulina podría acelerar la enfermedad cardiovascular".</p> <p>Los investigadores del estudio, patrocinado por Sanofi, han decidido continuar el segumiento abierto, "porque consideramos que el seguimiento de los efectos de la insulina será más a largo plazo y que dentro de unos años veremos los beneficios que puede tener la atención precoz con insulina".<br /> En esta continuación del estudio también se quiere valorar si la intervención con insulina puede tener memoria en el tiempo.</p> <p>También ha destacado que se ha despejado una incógnita que se tenía, puesto que se ha discutido si la insulina per se, y en este caso la insulina glargina, favorecería la aparición del cáncer en sujetos con diabetes y se ha descartado completamente: "No hay ningún impacto sobre el cáncer, con lo cual el médico que utilice insulina o análogos de la insulina prolongada como la glargina lo puede hacer sin problemas".</p> <p>Intolerancia a glucosa<br /> El investigador español se ha referido a la administración de insulina en pacientes con intolerancia a la glucosa. "Se ve que previene o retrasa en el tiempo la aparición de diabetes. Esto no se había demostrado con la insulina, aunque sí con el ejercicio físico y con cambios en el estilo de vida, incluso con metformina".</p> <p>En el estudio Origin se ha demostrado que el buen control que se consigue al principio del tratamiento se mantiene en el tiempo. "Esto es muy importante, puesto que hablábamos de fracaso secundario al tratamiento. Aquí con insulina no hay fracaso secundario; lo que se logra al principio, con dosis muy bajas de insulina, de 0,3 unidades por kilo de peso, se mantiene en el tiempo".</p> <p>A diferencia de los antidiabéticos orales en los que se van aumentando las dosis de forma gradual, con insulina no hay que modificarla.</p> <p>Con respecto a los efectos no deseados, Gomis ha comentado que en el grupo de la insulina se han constatado más hipoglucemias y un pequeño incremento del peso. "De ahí que se esté planteando la combinación con análogos de GLP1".</p> <p>Seguimiento a largo plazo<br /> Una de las dudas que ha despejado el estudio Origin es que el tratamiento a largo plazo con insulina glargina, comercializada por Sanofi bajo el nombre de Lantus, en diabéticos tipo 2 no eleva los riesgos cardiovasculares ni de desarrollo de tumores, según ha manifestado Hertzel Gernstein, del Departamento de Medicina de la Universidad McMaster, en Ontario, en la presentación del citado estudio.</p> <p>Para Lars Ryden, cardiólogo del Instituto Karolinska, en Estocolomo, los resultados del trabajo facilitan el empleo de la insulina por los cardiólogos, "ya que nosotros no lo tenemos tan fácil como los endocrinólogos, pero hemos visto que hay un control metabólico".</p> <p>Gernstein ha recordado que cerca del 80 % de los diabéticos tipo 2 necesitarán insulina a lo largo de su enfermedad y "ahora sabemos que no tendrán un aumento del riesgo cardiovascular ni de la aparición del cáncer".</p> <p>Por eso, insisten en efectuar estudios de seguimiento, "que serán pasivos; es decir, se vigilará a los participantes que mantendrán la pauta terapéutica incial. Ahora sabemos lo que pasa a los seis años, y lo que pretendemos saber es qué sucederá en diez años más".<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2012/06/12/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/insulina-precoz-diabetes-tipo-2-controla-enfermedad?utm_source=CRM&utm_medium=cpc&utm_campaign=Diario-13%2F06" target="_blank"><strong>junio 12/2012 (Diario Médico)</strong></a></p> </span>
2012-06-15T06:15:08-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/343
Diabetes Mellitus: Control de la diabetes en los días calurosos y al viajar
2012-06-11T10:48:54-04:00
Revista Finlay
<p>Salirse de la rutina diaria es lo divertido de viajar. Pero si tiene diabetes, hay una rutina que no se puede saltar: sus cuidados de la salud.</p> <p>Las comidas lejos de casa, los cambios de zona horaria, los días calurosos del verano y la contaminación ambiental pueden afectar la forma en que controla su diabetes. Antes de salir, revise estas recomendaciones para su cuidado. Si no va a viajar este verano, también podrá encontrar consejos útiles para sobrellevar las elevadas temperaturas y los altos niveles de contaminación del aire que pueden ser peligrosos para las personas con diabetes.</p> <h2>Temperaturas altas</h2> <p>Las temperaturas altas, de 80° F (26.7° C) o más, especialmente con humedad, pueden afectar sus medicamentos, los suministros para hacerse pruebas y su salud. Si tiene diabetes, es más difícil para su cuerpo controlar las temperaturas altas y la humedad. El índice de calor, la medida que indica cuánto calor siente la persona al combinar el nivel de temperatura y humedad existentes, recomienda tomar precauciones a temperaturas desde los 80° F con una humedad del 40%.</p> <ul><li>El calor puede afectar los niveles de glucosa (azúcar) en la sangre y también aumentar la absorción de algunas insulinas de acción rápida, lo que significa que necesitará hacerse la prueba de glucosa en la sangre con más frecuencia y tal vez ajustar la toma de insulina, alimentos y líquidos. </li><li>Tome suficientes líquidos, en particular agua, para evitar deshidratarse. Evite las bebidas azucaradas como el té helado y las gaseosas con azúcar.</li><li>Si su médico le ha restringido la cantidad de líquido que puede tomar, pregúntele qué debe hacer durante las horas de mucho calor. </li><li>Revise la información médica en el envase de los medicamentos para saber cuáles son las altas temperaturas que los afectan. Llévese los medicamentos que necesitará mientras esté lejos de casa y protéjalos del calor.</li><li>Si viaja y lleva insulina, no la guarde a la luz directa del sol o en un carro caliente. Manténgala en una neverita portátil, pero no la coloque directamente sobre el hielo o paquete de gel frío.</li><li>Consulte las etiquetas del medidor de glucosa y las tiras reactivas para obtener información sobre su uso en horas de mucho calor y humedad. No los deje en un carro caliente, por la piscina o la playa. </li><li>El calor puede dañar las bombas de insulina y otros equipos. No deje la bomba desconectada o los suministros a la luz directa del sol. </li><li>Realice sus ejercicios en áreas con aire acondicionado, o hágalo temprano en la mañana o en horas de la tarde, cuando hace menos calor. </li><li>Permanezca en lugares con aire acondicionado, ya sea en su casa o en sitios de su comunidad. </li></ul> <h2>Mala calidad del aire</h2> <p>La exposición al <span class="cdc-decorated"><a class="external noDecoration" href="http://www.epa.gov/aging/resources/factsheets/deh/deh_spanish_100-F-07-022.pdf"><span class="tp-label"><span class="tp-label">aire contaminado</span><span class="plugIns"> <img class="plugin" title="Archivo PDF" src="http://www.cdc.gov/TemplatePackage/images/icon_pdf.gif" border="0" alt="Archivo PDF" /> [PDF - 211KB]</span></span></a><a class="external" href="http://www.cdc.gov/spanish/CDC/descargos.html" target="_blank"><img class="externalImg" title="Aclaraci?n sobre los enlaces a sitios web externos" src="http://www.cdc.gov/TemplatePackage/images/icon_out.png" alt="Aclaraci?n sobre los enlaces a sitios web externos" /></a></span> puede afectar a las personas con diabetes y hasta aumentar su riesgo de sufrir un ataque cardiaco o un accidente cerebrovascular. Para saber si necesita cambiar su rutina, consulte el pronóstico del índice de calidad del aire para enterarse si el aire no es saludable para las personas de grupos vulnerables, como las que tienen diabetes, especialmente si tienen enfermedades cardiacas o problemas respiratorios como asma. Si el índice está entre 101 y 150, el aire no es saludable para los grupos vulnerables. Si el índice es 151 o más alto, los efectos en la salud pueden ser más graves.</p> <ul><li>Evite hacer ejercicio al aire libre en los días con aire de mala calidad para la salud. Ejercítese en áreas con aire acondicionado.</li><li>Limite la actividad física cerca de las calles con bastante tráfico para reducir su exposición al aire contaminado.</li></ul> <h2>No olvide sus medicamentos</h2> <ul><li>Empaque el doble de los suministros para la diabetes que prevé usar, en caso de que haya demoras en el viaje. </li><li>Tenga a mano refrigerios, gel o tabletas de glucosa en caso de que baje su nivel de glucosa. </li><li>Asegúrese de tener siempre a mano la tarjeta de su seguro médico y números de teléfono para emergencias, como el nombre y teléfono de su médico. </li><li>Lleve una identificación médica que diga que usted tiene diabetes. </li><li>Tenga en cuenta los cambios de las zonas horarias para saber cuándo debe tomar sus medicamentos. </li><li>Si toma insulina, asegúrese de tener también un kit de emergencia con el medicamento glucagón.</li><li>Asegúrese de que todas las jeringas y los sistemas de aplicación de insulina (incluidas las ampollas) tengan la etiqueta farmacéutica preimpresa que los identifica claramente como medicamentos. Manténgalos en el envase etiquetado original de la farmacia. </li><li>Averigüe dónde conseguir atención médica si la necesita mientras está lejos de casa. </li><li>Lleve con usted copias de las recetas médicas.</li></ul> <h2>Por el camino</h2> <ul><li>Disminuya su riesgo de coágulos sanguíneos levantándose a caminar una vez por hora o cada dos horas. </li><li>Prepare una neverita portátil con alimentos difíciles de conseguir en el viaje, como fruta fresca, verduras crudas en trozos y yogur descremado o con bajo contenido graso. </li><li>Lleve algunas botellas de agua en vez de gaseosas o jugos azucarados. </li><li>Lleve frutas secas, nueces y semillas como refrigerio. Como estos alimentos pueden tener muchas calorías, prepare porciones pequeñas (¼ de taza). </li></ul> <h2>Al volar</h2> <ul><li>Si va a viajar por avión y no desea pasar por el detector de metales con su bomba de insulina, dígale al funcionario de seguridad que lleva una puesta y pídale que inspeccione el aparato visualmente y que le realice a usted un cacheo de cuerpo entero. </li><li>Ponga todos los suministros para la diabetes en su equipaje de mano y mantenga los medicamentos y refrigerios en su asiento para fácil acceso, no los guarde en los compartimentos superiores o en las maletas que va a despachar. </li><li>Si se sirven comidas durante el vuelo, solicite por anticipado alimentos para diabéticos, bajos en grasa o bajos en colesterol. Espere hasta justo antes de que le sirvan la comida para administrarse insulina. </li><li>Si la aerolínea no ofrece comidas, llévese alimentos nutritivos.</li><li>No se olvide de empacar refrigerios en caso de demoras de vuelos. </li><li>Cuando extraiga su dosis de insulina, no inyecte aire dentro de la botella (es muy probable que el aire dentro del avión esté presurizado). </li><li>Disminuya su riesgo de coágulos sanguíneos caminando una vez por hora o cada dos horas.</li></ul> <h2>Manténgase sano</h2> <ul><li>Los cambios en las comidas, niveles de actividad y zonas horarias pueden afectar su glucosa en la sangre. Revísese los niveles con frecuencia. Consulte a su médico antes de aumentar su nivel de actividad física, como cuando vaya a un viaje en el que tendrá que caminar más.</li><li>Siga con su rutina de ejercicios. Asegúrese de realizar actividad física durante por lo menos 150 minutos a la semana.</li><li>Lávese las manos frecuentemente con agua y jabón. </li><li>Protéjase los pies. Tenga cuidado en particular al caminar sobre el pavimento caliente alrededor de la piscina y en la arena caliente de las playas. Nunca camine descalzo.</li><li>Asegúrese de estar al día con sus vacunas.</li></ul> <h3 id="moreInfo">Más información</h3> <ul><li><a href="http://www.cdc.gov/diabetes/spanish/">División de Diabetes Aplicada de los CDC</a> </li><li><span class="cdc-decorated"><a class="external" href="http://www.diabetes.org/espanol/apoyo-y-recursos-legales/viajando-con-suplementos/">Asociación Americana de Diabetes: De viaje con suministros para la diabetes</a><a class="external" href="http://www.cdc.gov/spanish/CDC/descargos.html" target="_blank"><img class="externalImg" title="Aclaraci?n sobre los enlaces a sitios web externos" src="http://www.cdc.gov/TemplatePackage/images/icon_out.png" alt="Aclaraci?n sobre los enlaces a sitios web externos" /></a></span></li><li><span class="cdc-decorated"><a class="external" href="http://diabetes.niddk.nih.gov/spanish/pubs/type1and2/specialtimes.htm">Cómo controlar la diabetes en circunstancias especiales</a><a class="external" href="http://www.cdc.gov/spanish/CDC/descargos.html" target="_blank"><img class="externalImg" title="Aclaraci?n sobre los enlaces a sitios web externos" src="http://www.cdc.gov/TemplatePackage/images/icon_out.png" alt="Aclaraci?n sobre los enlaces a sitios web externos" /></a></span> </li></ul>
2012-06-11T10:48:54-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/342
Cardiopatía Isquémica: Actúe rápido durante un ataque cardiaco
2012-06-11T10:43:00-04:00
Revista Finlay
<p><img title="ataquecardiaco_200px_150" src="http://www.revfinlay.sld.cu/public/site/images/mikhail/ataquecardiaco_200px_150.jpg" alt="ataquecardiaco_200px_150" width="150" height="150" />¿Qué tanto <em>sabe</em> sobre cómo reconocer los signos de un ataque cardiaco? ¿Sabría además qué hacer si le diera un ataque? Un nuevo estudio de la División de Prevención de Ataques Cardiacos y Accidentes Cerebrovasculares de los CDC puso una calificación muy baja al conocimiento que tienen los estadounidenses al respecto. Solo uno de cada cuatro adultos encuestados dijo que sabía cuáles son los cinco signos de advertencia de un ataque cardiaco y que hay que llamar al número de emergencias 9-11 en caso de tener uno de estos signos. Las enfermedades cardiacas son la causa principal de muerte de los hombres y mujeres en los Estados Unidos.</p> <h2>¿Cuáles son los signos de advertencia de un ataque cardiaco?</h2> <ul><li><img class="righty" src="http://www.cdc.gov/Spanish/especialesCDC/AtaqueCardiaco/AtaqueCardiaco_200px.jpg" alt="Garabato en un electrocardiograma" width="150" height="150" />dolor o molestias en la mandíbula, el cuello o la espalda; </li><li>sentir debilidad, mareo o desmayarse; </li><li>dolor o molestias en el pecho; </li><li>dolor o incomodidad en los brazos o los hombros; </li><li>dificultad para respirar. </li></ul> <p>Todos los años, cerca de un millón de personas en los EE. UU. sufren un ataque cardiaco. Alrededor de 450,000 casos son mortales. Casi de la mitad de esas muertes ocurren en la primera hora en que aparecen los signos de advertencia, antes de que el paciente llegue al hospital.</p> <h2>¿Qué debe hacer usted si cree que una persona está teniendo un ataque cardiaco?</h2> <p>Si cree que usted o alguien que conoce está sufriendo un ataque cardiaco, llame al 9-11 de inmediato.</p> <h2>Actúe a tiempo</h2> <p>La Asociación Americana del Corazón y el Instituto Nacional del Corazón, el Pulmón y la Sangre han lanzado la nueva campaña "Actúe a tiempo" para aumentar la concientización sobre los ataques cardiacos y la importancia de llamar al 9-11 de inmediato cuando aparezcan sus síntomas. Puede encontrar los enlaces en <span class="cdc-decorated"><a class="external" href="http://www.nhlbi.nih.gov/actintime/"><span class="tp-label">http://www.nhlbi.nih.gov/actintime/index.htm</span></a><a class="external" href="http://www.cdc.gov/spanish/CDC/descargos.html" target="_blank"><img class="externalImg" title="Aclaraci?n sobre los enlaces a sitios web externos" src="http://www.cdc.gov/TemplatePackage/images/icon_out.png" alt="Aclaraci?n sobre los enlaces a sitios web externos" /></a></span>.</p> <h2>¿Por qué es necesario actuar rápido?</h2> <p>Un ataque cardiaco puede causar la muerte o discapacidad permanente (lo que impide realizar normalmente las actividades cotidianas). El riesgo de muerte o daño permanente se puede reducir con un tratamiento oportuno. De acuerdo con la Asociación Americana del Corazón, los <strong>medicamentos anticoagulantes</strong> pueden parar algunos ataques cardiacos una vez que inician, limitar los daños al corazón, reducir los casos de discapacidad y salvar vidas. Estos medicamentos funcionan mejor si se toman durante la primera hora en que aparecen los signos de un ataque cardiaco. Por esta razón, es importante reconocer los signos de advertencia de un ataque cardiaco y actuar de inmediato.</p> <p>La Asociación Americana del Corazón aconseja a todas las personas que experimenten cualquier signo de ataque cardiaco, llamar al 9-11, por ser la manera más rápida de recibir tratamiento vital. El personal de servicios médicos de emergencia puede comenzar el tratamiento cuando llegue. No intente ir por su cuenta al hospital. Los pacientes de ataques cardiacos que llegan en ambulancia por lo general reciben un tratamiento más rápido en el hospital.</p> <h2>¿Qué puede hacer para reducir su riesgo?</h2> <p>Usted puede adoptar medidas para reducir su riesgo de un ataque cardiaco, como son: la prevención, tratamiento o control de la hipertensión arterial; la prevención, tratamiento o control del colesterol elevado en la sangre; no fumar ni consumir productos de tabaco; la prevención o el control de la diabetes; y mantener actividad física adecuada, peso y alimentación saludables. Las personas que reciben tratamiento por sus afecciones o factores de riesgo deben seguir las instrucciones de sus proveedores de atención médica.</p> <p>Los CDC buscan formar alianzas y crear una agenda de investigación orientada a proteger la salud del público. La edición de abril de la publicación <em>Preventing Chronic Disease</em> se enfoca a las enfermedades cardiacas y los accidentes cerebrovasculares.</p> <h3 id="moreInfo">Más información</h3> <ul><li><a href="http://www.cdc.gov/dhdsp/">Programa para la prevención de enfermedades cardiacas y accidentes cerebrovasculares de los CDC</a> (en inglés)</li><li><a href="http://www.cdc.gov/mmwr/preview/mmwrhtml/mm6040a1.htm?s_cid=mm6040a1_w">Prevalencia de cardiopatías coronarias – Estados Unidos, 2006-2010</a> (en inglés)</li></ul> <div><p id="twentyfourseven">Los CDC trabajan a toda hora para salvar vidas, proteger al público contra amenazas a la salud y ahorrar costos, a fin de mejorar la seguridad de la nación. Los CDC, una agencia federal de los EE. UU., utilizan la ciencia y la prevención para facilitar la toma de decisiones saludables. Los CDC buscan ayudar a que las personas tengan una vida más larga, productiva y saludable.</p></div><div>El URL de esta página es: <a href="http://www.cdc.gov/spanish/especialesCDC/AtaqueCardiaco/">www.cdc.gov/spanish/especialesCDC/AtaqueCardiaco/</a></div><div>Fuente del contenido: <a href="http://www.cdc.gov/">Centros para el Control y la Prevención de Enfermedades</a></div>
2012-06-11T10:43:00-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/341
Hipertensión arterial: Las combinaciones a dosis fija en hipertensión mejoran la adherencia y ahorran costes a los sistemas sanitarios
2012-06-11T10:27:10-04:00
Revista Finlay
<p>Las combinaciones a dosis fija frente a la hipertensión ofrecen no sólo una mejor adherencia de los pacientes a su tratamiento, lo que se traduce en un mejor control de la presión arterial, sino que también ahorran costes a los sistemas sanitarios, según los datos presentados por Daiichi Sankyo en un encuentro con los medios celebrado en Roma este fin de semana para conmemorar el décimo aniversario de la llegada de olmesartán a Europa.</p> <p>El informe, basado en el modelo económico de Sokol, afirma que si 50.000 pacientes hipertensos de España, Alemania, Italia, Reino Unido y Francia pasaran de un tratamiento con una combinación de dosis libres de dos o más antihipertensivos a una combinación a dosis fija con los mismos componentes, habría un ahorro de 1,8 millones de euros al año, debido a la mejora de la adherencia al tratamiento, lo que se traduciría en un mejor control de la presión arterial y la consecuente reducción del riesgo de hospitalización.<br /> Mejora del cumplimiento terapéutico.</p> <p>El cumplimiento terapéutico es uno de los principales problemas en el abordaje de la hipertensión arterial; de hecho, aproximadamente el 50% de los pacientes interrumpen su tratamiento tras un año. Una de las razones de las bajas tasas de adherencia en hipertensión es el número de pastillas que los pacientes deben tomar. La mayoría de los hipertensos necesita una combinación de al menos dos fármacos para controlar sus niveles de presión arterial, y entre el 15 y el 20% requiere una triple combinación. En estos casos los pacientes pueden tomar su medicación de forma independiente en varias pastillas o como una combinación a dosis fijas en una sola pastilla. “La mejora en la adherencia que supone tomar una pastilla en lugar de dos o tres, más el potencial para ahorrar costes que esto supone, implica que hay una razón de peso para utilizar combinaciones a dosis fija en los pacientes adecuados”, afirma el doctor Lorenzo Terranova, director científico de la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO)</p> <p><strong>Tratamiento adicional</strong></p> <p>Para aquellos pacientes que deben aumentar de dos a tres los medicamentos que toman para controlar su presión arterial, la facilidad y conveniencia del cambio de régimen terapéutico es fundamental para evitar el incumplimiento. En este sentido, la triple combinación a dosis fija de Daiichi Sankyo, Sevikar HCT (olmesartán medoxomilo, amlodipino e hidroclorotiazida), ha recibido recientemente la opinión positiva del Comité para Medicamentos de Uso Humano (CHMP en sus siglas inglesas) de la Agencia Europea del Medicamento (EMA) para una nueva indicación como tratamiento adicional en pacientes adultos cuya presión arterial no está controlada adecuadamente con la combinación de olmesartán medoxomilo y amlodipino tomada como combinación de los dos componentes.</p> <p>Se trata de la primera triple combinación para el tratamiento de la hipertensión con esta aprobación. Tras la opinión positiva europea, la aprobación local de esta nueva indicación está en curso en los diferentes países del continente, entre ellos España.</p>
2012-06-11T10:27:10-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/340
Ciencia y Tecnología: Terapia con nanopartículas consigue inhibir metástasis linfáticas
2012-06-08T05:36:49-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un grupo de investigadores de la Universidad de Navarra liderados por la doctora María Blanco y el doctor Faustino Mollinedo, del Centro de Investigación del Cáncer de Salamanca, han diseñado un tratamiento con nanopartículas que consigue inhibir en ratones con linforma de manto el cien por cien de las metástasis linfáticas.</p> <p>Estas nanopartículas lipídicas, que están cargadas con el fármaco antitumoral edelfosina, que se administra oralmente, se acumulan en los ganglios linfáticos y destruyen selectivamente las células tumorales que allí se encuentran. De esta forma, hacen posible la liberación del fármaco antitumoral de manera sostenida.</p> <p>Este hecho, unido a la administración oral del nanomedicamento, podría evitar la hospitalización que requiere la quimioterapia que se administra a los pacientes por vía intravenosa. En este sentido, Blanco asegura que estas nanopartículas son fármacos selectivos y poco tóxicos, "capaces de atacar a las células enfermas sin dañar a las sanas". Actualmente, se está testando la eficacia de los nanosistemas en leucemia linfoblástica aguda y cáncer de mama.</p> <p>Según señala el investigador del proyecto junto a Blanco, Ander Estella, el resultado "más sorprendente" fue el observado al analizar la capacidad antimetastática de las nanopartículas con edelfosina ya que, mientras que la administración diaria del fármaco sin nanopartículas reducía las metástasis en un 50%, la administración cada cuatro días de las nanopartículas con edelfosina eliminó el cien por cien de las metástasis linfáticas.</p> <p>El linfoma de manto es una enfermedad actualmente incurable y su evolución es variable en cada paciente pero, en general, la media de supervivencia global es de tan sólo 3-4 años.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/terapia/nanoparticulas/consigue/inhibir/100/metastasis/linfaticas/_f-11+iditem-17263+idtabla-1" target="_blank"><strong>junio 7/2012 (JANO)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Ander Estella-Hermoso de Mendoza, Miguel A Campanero, Hugo Lana, Janny A Villa-Pulgarin, Janis de la Iglesia-Vicente, Faustino Mollinedo, María J Blanco-Prieto. <em><strong>Complete inhibition of extranodal dissemination of lymphoma by edelfosine-loaded lipid nanoparticles.</strong><a href="http://www.futuremedicine.com/doi/abs/10.2217/nnm.11.134" target="_blank">Nanomedicine</a></em> (2012) (doi:10.2217/nnm.11.134) ; may 2012, Vol. 7, No. 5, Pages 679-690</p></span>
2012-06-08T05:36:49-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/339
Cardiopatía Isquémica: Presentan las nuevas directrices europeas para el tratamiento de los pacientes con insuficiencia cardiaca
2012-06-06T09:58:38-04:00
Revista Finlay
<p>La Sociedad Europea de Cardiología (o ESC en sus siglas en inglés) ha presentado en su congreso sobre insuficiencia cardiaca, celebrado en Belgrado, la actualización de sus directrices para el tratamiento de la insuficiencia cardiaca.<br /> <br /> <img title="insuficiencia-cardiaca_618" src="/public/site/images/mikhail/insuficiencia-cardiaca_618.jpg" alt="insuficiencia-cardiaca_618" width="209" height="293" />Dentro de los principales cambios realizados con respecto a las guías de 2008, destaca la ampliación de indicación de los antagonistas del receptor mineralocorticoide (también conocidos como antagonistas de la aldosterona) en el manejo de los pacientes con insuficiencia cardiaca.</p> <p>Así, el nuevo texto recomienda "utilizar un antagonista del receptor mineralocorticoide en todos los pacientes con insuficiencia cardiaca NYHA clase II-IV y FEVI =35% en los que persistan los síntomas a pesar del tratamiento con inhibidores de la ECA (IECAs o un antagonista del receptor de angiotensina si los IECA no se toleran) y un beta-bloqueante, para reducir el riesgo de hospitalización por insuficiencia cardiaca y el riesgo de muerte prematura", lo que supone otorgar a los antagonistas del receptor mineralcorticoide el máximo nivel de recomendación y evidencia: recomendación clase I y nivel de evidencia A.</p> <p>La ampliación de la indicación ha sido posible gracias a los resultados del estudio EMPHASIS-HF (considerado el más relevante y de mayor impacto en cardiología en 2011) en el que eplerenona demostró reducir el riesgo de muerte cardiovascular u hospitalización por insuficiencia cardiaca en comparación con la utilización de placebo en pacientes con insuficiencia cardiaca que ya estaban recibiendo la terapia estándar actual (RRR = 37%, p <0,001; RRA = 7,6% , p <0,001). Estos resultados se consiguieron en pacientes tratados previamente con IECAs/ARAII (94%) y betabloqueantes (86%), condiciones de tratamiento que raramente se alcanzan en la práctica clínica diaria, destacando así el efecto aditivo del antagonista de los receptores mineralocorticoides sobre una terapia estándar.<br /> <br /> “La inclusión de eplerenona y los antagonistas del receptor mineralocorticoide en las últimas guías de la Sociedad Europea de Cardiología supone un importante paso para conseguir que estos tratamientos que salvan vidas y son coste efectivos estén a disposición de los pacientes que los necesitan”, aseguró el doctor Martin Cowie, profesor de cardiología del Imperial College y cardiólogo consultor del Hospital Royal Brompton de Londres. “La eplerenona debe ofrecerse a los pacientes que siguen presentando síntomas, no sólo porque ayuda a salvar vidas, sino porque además disminuye los ingresos hospitalarios”, concluyó el especialista.<br /> <br /> En España la insuficiencia cardiaca supone el 15% de todas las muertes cardiovasculares y, al igual que en la mayoría de los países europeos, es la primera causa de hospitalización en la población mayor de 65 años.</p>
2012-06-06T09:58:38-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/338
Hipertensión arterial: Estudio cuestiona papel de azúcar de la fruta en la hipertensión
2012-06-06T09:51:17-04:00
Revista Finlay
Las bebidas dulces se han relacionado con un riesgo ligeramente mayor de padecer hipertensión, pero una investigación estadounidense señala que el azúcar de la fruta podría no ser culpable, como apuntaban estudios anteriores. <p><img title="bebidas_dulces_600" src="/public/site/images/mikhail/bebidas_dulces_600.jpg" alt="bebidas_dulces_600" width="408" height="238" />Los investigadores siguieron a más de 200.000 hombres y mujeres durante más de 38 años y hallaron que el consumo habitual de bebidas azucaradas, ya sea que contuviesen azúcares o las endulzadas artificialmente, estaba asociado con alrededor de un 13 por ciento más de riesgo de desarrollar hipertensión.</p> <p>Las bebidas carbonatadas y los refrescos de cola estaban fuertemente relacionadas con el riesgo de hipertensión, pero el azúcar de la fruta, o fructosa, en las bebidas no se destaca como un factor determinante, informó el grupo en Journal of General Internal Medicine.</p> <p>"No sabemos qué causa el aumento del riesgo en las bebidas azucaradas o endulzadas artificialmente", dijo Lisa Cohen, principal autora del estudio e investigadora en el departamento médico de la Universidad de Maryland.</p> <p>"Es difícil decir que por la fructosa en sí aumenta el riesgo de hipertensión", agregó.</p> <p>El alcalde de Nueva York, Michael Bloomberg, propuso la semana pasada una prohibición de largo alcance sobre los refrescos azucarados, la última de una serie de iniciativas de salud pública que incluye una campaña para reducir la sal en las comidas de los restaurantes y los alimentos preparados.</p> <p>Estudios anteriores habían señalado a la fructosa como un factor relacionado con el riesgo de padecer hipertensión, pero Cohen señaló que solo tomaron una instantánea en el tiempo y no pudieron determinar qué era primero, si la hipertensión o el gusto por las bebidas dulces.</p> <p>Cohen y sus colegas analizaron los datos de tres estudios masivos, incluyendo a cerca de 224.000 trabajadores de la salud, cuya dieta y salud fueron seguidos durante entre 16 y 38 años. Ningún participante había sido diagnosticado con hipertensión antes del inicio del estudio.</p> <p>Con el tiempo, aquellos que tomaban al menos una bebida azucarada al día tenían un 13 por ciento más de posibilidades de desarrollar la enfermedad más que aquellos que las consumían una vez por mes o menos.</p> <p>Del mismo modo, las personas que tomaban al menos una bebida endulzada artificialmente al día tenían un 14 por ciento más de posibilidades de ser hipertensos en comparación con aquellas que ingerían menos, o incluso ninguna.</p> <p>Para ver si la fructosa era la responsable, los investigadores también estudiaron a la gente que tenía altos niveles de fructosa en sus dietas de otras fuentes, como las frutas.</p> <p>Entre quienes obtenían un 15 por ciento de sus calorías de fuentes de fructosa que no eran las bebidas, el riesgo de desarrollar hipertensión fue incluso más bajo que en las personas que ingerían muy poca fructosa.</p> <p>"Uno pensaría que si la fructosa era el factor causante, entonces comer una gran cantidad de manzanas (por ejemplo) podría aumentar también el riesgo de hipertensión", dijo Cohen a Reuters Health.</p> <p>El vínculo "marcadamente" mayor entre las bebidas dulces carbonatas y el riesgo de hipertensión podría ser explicado por el tamaño más amplio de las raciones asociadas con los refrescos, o cualquier otro ingrediente desconocido común a todos ellos, dijeron los investigadores, aunque destacaron que se necesitará más investigación al respecto.</p> <div>Reuters Health</div>
2012-06-06T09:51:17-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/337
Cáncer: Un estudio avala un cambio en el tratamiento del cáncer colorrectal avanzado
2012-06-06T09:28:22-04:00
Revista Finlay
El tratamiento estándar del cáncer colorrectal avanzado, que combina el uso de quimioterapia y una terapia biológica, puede sufrir ciertas modificaciones próximamente después de que un estudio internacional con participación española haya demostrado que cuando el tumor comienza a progresar no es necesario cambiar todos los medicamentos que se estén utilizando.<br /> <br /> Así se desprende de los resultados del estudio 'TML' presentados en el Congreso de la Sociedad Americana de Oncología Médica (ASCO, en sus siglas en inglés) que se celebra en Chicago, que han demostrado que mantener la terapia biológica y cambiar únicamente la quimioterapia permite retrasar casi dos meses la progresión de la enfermedad.<br /> <br /> <img title="0600_cancer_cells_400" src="/public/site/images/mikhail/0600_cancer_cells_400.jpg" alt="0600_cancer_cells_400" width="295" height="236" />El cáncer colorrectal sigue siendo el segundo tumor más letal en Europa y España, donde se diagnostican cada año unos 25.000 nuevos casos. De todos ellos, se estima que entre un 40 y 50% tendrá metástasis en a lo largo de su vida, de ahí que los expertos hayan incidido en la importancia de definir la pauta mas adecuada para estos casos.<br /> <br /> El estudio incluyó a más de 800 pacientes tratados con la terapia estándar para estos tumores, que actualmente comprende el uso de quimioterapia más el antiangiogénico bevacizumab, que Roche comercializa como Avastin, y cuando la enfermedad progresó se pasó a un segundo ciclo de quimioterapia pero se mantuvo el biológico.<br /> <br /> "Lo normal cuando el tumor progresaba era quitar toda la medicación e iniciar una nueva pauta de tratamiento", ha explicado el coordinador del estudio en España, Javier Sastre, del Hospital Clínico San Carlos de Madrid, que ha destacado que los pacientes que se mantuvieron con bevacizumab consiguieron estar hasta 5,7 meses sin que la enfermedad progresara, frente a los que 4,1 de quienes cambiaron todo el tratamiento, lo que supone "una mejora significativa" de lo que se conoce como supervivencia libre de progresión.<br /> <br /> Además, el riesgo de fallecimiento se redujo un 19%, ya que la mediana de supervivencia global desde la progresión fue de 11,2 meses en quienes mantuvieron el tratamiento biológico frente a los 9,8 meses del grupo que no lo hizo.<br /> <br /> "Los datos son científicamente importantes y abren nuevas puertas", ha admitido este experto, que sin embargo duda si las autoridades reguladoras, como la FDA americana o la EMA en Europa, lo considerarán 'coste-efica' para aumentar esta supervivencia y darán luz verde a esta nueva indicación.<br /> <br /> <strong>La clave está en la quimioterapia</strong><br /> <br /> Lo que sí demuestra, ha añadido, es que mantener el antiangiogénico tanto en primera como en segunda línea es "clave para que los pacientes vivan más", al mismo tiempo que también apunta hacia la quimioterapia como responsable más directo de la primera recaída.<br /> <br /> No obstante, el antiangiogénico también acaba provocando resistencia, "aunque no sea a la vez que la quimioterapia", de ahí que tras estos resultados el siguiente paso sea investigar mejor los mecanismos de resistencia a estas terapias biológicas para tratar de revertirlas, bien combinándola entre sí o administrándolas de forma secuencial.
2012-06-06T09:28:22-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/336
Medicamentos: Estimuladores del sistema inmunitario son una promesa contra el cáncer
2012-06-06T09:21:40-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Tratamientos experimentales en la lucha contra el cáncer que estimulan el sistema inmunitario ofrecen resultados prometedores en sus fases iniciales, afirmaron investigadores estadounidenses recientemente.</p> <p>En pruebas clínicas realizadas en 500 personas, uno de cada cuatro pacientes que padecía un cáncer de considerable tamaño, de pulmón, riñón o melanoma, y que no habían respondido al tratamiento estándar vieron una reducción significativa de sus tumores.</p> <p>Los resultados de la fase 1 de los ensayos clínicos fueron publicados en la <a href="http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1200690#t=articleTop" target="_blank"><em><strong>New England Journal of Medicine</strong> </em></a>(10.1056/NEJMoa1200690)y hechos públicos en la reunión de la American Society of Clinical Oncology en Chicago (Illinois, norte).</p> <p>Los fármacos, fabricados por la compañía Bristol-Myers Squibb, funcionan rompiendo la caparazón que protege las células cancerígenas. Más que tratar de acabar con el cáncer directamente, los medicamentos tratan de facilitar que el sistema inmunológico haga su trabajo contra la invasión de las células.</p> <p>Los medicamentos son conocidos como BMS-936558, que bloquea la proteína PD-1 de la superficie de la célula inmunológica, y BMS-936559, que bloquea una proteína presente en células cancerígenas.</p> <p>Ambos pertenecen a la misma clase de tratamientos que otras terapias contra el cáncer que utilizan anticuerpos, como Erbitux, Herceptin y Rituxan.</p> <p>"Hemos simplemente rascado la superficie del laboratorio y de la investigación clínica de estos fármacos", afirmó el principal autor del estudio PD-1, Suzanne Topalian, profesora de cirugía y oncología de la Universidad Johns Hopkins.</p> <p>"Basado en la respuesta positiva a estos medicamentos y a la longevidad de muchas de las respuestas, creemos que deberían realizarse nuevos ensayos clínicos".</p> <p>Entre los 296 pacientes que probaron el medicamento de bloqueo de la PD-1, un 18% de los que tenían cáncer de pulmón de tamaño considerable vio una reducción significativa del tumor, al igual que el 28% de los pacientes de melanoma y el 27% de los que tenían cáncer de riñón.</p> <p>En un pequeño número de pacientes, de 5% a 9%, la enfermedad permaneció estable durante seis meses o más, aunque es necesaria más investigación para determinar el impacto del tratamiento en la supervivencia, afirmó la investigadora.</p> <p>"Este nivel de respuesta en pacientes con un cáncer de pulmón avanzado, que típicamente no responde a terapias de base inmune, fue inesperado y notable", afirmó la principal investigadora del estudio PD-L1, Julie Brahmer, profesora asociada de oncología de la Universidad de Johns Hopkins.</p> <p>Entre los 207 pacientes tratados con la terapia PD-L1, un 10% de los pacientes con cáncer de pulmón de tamaño considerable, 17% de los de melanoma y 12% de los de riñón mostraron respuestas positivas.</p> <p>"La respuesta positiva de ambos fármacos nos da una buena indicación de que la ruta PD-L1/PD-1 es un buen objetivo para la terapia de cáncer", afirmó Topalian.</p> <p>Un análisis anterior mostró que para aquellos que respondieron a la terapia la respuesta fue mantenida durante más de un año en más de la mitad de los pacientes.</p> <p>Sin embargo, el tratamiento también generó serios efectos tóxicos en 14% de los pacientes, incluido tres muertes por inflamación del pulmón o neumonitis.</p> <p>Otros efectos secundarios significativos fueron inflamación de colon y anormalidades de tiroides. Algunos reportaron fatiga, picazón y sarpullido.</p> <p>"Una limitación mayor de los distintos enfoques que tratan de buscar una respuesta inmunitaria al cáncer es que el sistema inmune realiza un esfuerzo mayor para evitar la sobreactivación inmunitaria que podría dañar tejidos sanos", afirmó el doctor Antoni Ribas en un editorial que acompaña el artículo en la New England Journal of Medicine.</p> <p>Sin embargo el experto de la Universidad de California en Los Angeles afirma que la investigación "señala que los anticuerpos desencadenan una respuesta inmunitaria al cáncer", añadiendo que este enfoque "podría tener un gran efecto en el tratamiento" de la enfermedad.</p> <p>Según los autores, la terapia podría ser más útil combinada con otros tratamientos.<br /> junio 5/2012 (AFP)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Suzanne L. Topalian, Stephen Hodi, Julie R. Brahmer, Scott N. Gettinger, David C. Smith, David F. McDermott.<em><strong>Safety, Activity, and Immune Correlates of Anti-PD-1 Antibody in Cancer.</strong></em><strong></strong><em>New England Journal of Medicine</em>. Jun 2, 2012</p> </span>
2012-06-06T09:21:40-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/335
Medicamentos: Antinflamatorios no esteroideos protegen del carcinoma espinocelular y del melanoma maligno
2012-06-04T06:13:35-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los antinflamatorios no esteroideos (AINE) pueden ayudar a proteger el cáncer de piel, como indica un trabajo que se publica en <strong><em>Cancer</em></strong> (DOI: 10.1002/cncr.27406).</p> <p>En estudios previos ya se había sugerido que el consumo de AINE, incluidos el ácido acetil salicílico, el ibuprofeno y el naproxeno, entre otros fármacos, puede reducir el riesgo individual de desarrollar diversos tipos de cáncer.</p> <p>En este último estudio, coordinado por Sigrún Alba Jóhannesdóttir, del Hospital Universitario Aarhus, en Dinamarca, los investigadores se han centrado en los tres tipos principales de cáncer de piel: carcinoma basocelular, carcinoma espinocelular y melanoma maligno.</p> <p>Los investigadores analizaron datos médicos recabados en Dinamarca entre 1991 y 2009, de los que 1974 se correspondieron a diagnóstico de carcinoma espinocelular, 13 316 a carcinoma de célula basal y 3242 a melanoma maligno. Esta información se cotejó, incluidos los datos de prescripción, con la de otros 178 655 individuos que no tuvieron cáncer de piel.</p> <p>Aquellos sujetos a los que se prescribieron al menos dos AINE presentaron un 15 % menos riesgo de carcinoma espinocelular; la disminución de riesgo esta vez en el melanoma maligno quedaba en el 13 % entre los que tomaban dos o menos fármacos, sobre todo si los consumían al menos durante siete años, o bien en grandes dosis.</p> <p>Los individuos que consumían AINE no presentaban en cambio una reducción del riesgo de carcinoma basocelular en general, aunque sí tenían entre un 15 y un 21 % menos riesgo de desarrollar este tipo de cáncer en partes menos expuestas del cuerpo (diferentes de la cabeza y el cuello), si se consumían durante mucho tiempo o con intensidad.<br /> <a href="http://oncologia.diariomedico.com/2012/05/30/area-cientifica/especialidades/oncologia/investigacion/antinflamatorios-esteroideos-parecen-proteger-carcinoma-espinocelular-melanoma-maligno%20%20%28Cancer%20DOI:%2010.1002/%20cncr.27406%29." target="_blank">junio 3/2012 (Diario Médico)</a></p> <p><strong>Nota</strong>: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo del artículo a través de Hinari.</p> <p>Sigrun Alba Johannesdottir, Ellen T. Chang, Frank Mehnert, Morten Schmidt, Anne Braae Olesen, Henrik Toft Sørensen. <a href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/cncr.27406/abstract" target="_blank"><em><strong>Nonsteroidal anti-inflammatory drugs and the risk of skin cancer</strong></em></a>. <em>Cancer</em>, publicado mayo 29/2012.</p> </span>
2012-06-04T06:13:35-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/334
Tabaquismo: El tabaquismo aún sigue siendo un gran problema para la salud de la población y de la sociedad.
2012-05-31T18:55:16-04:00
Revista Finlay
<p>El tabaquismo es uno de los principales factores de riesgo para las enfermedades cardiovasculares y el cáncer, además de causar problemas de otros tipos para la salud de las personas y para la economía individual y familiar. En Cienfuegos, Cuba, en los últimos 30 años se ha ido reduciendo la prevalencia (frecuencia de personas que fuman en relación a los posibles fumadores) años tras años, sin embargo los valores todavía sobrepasan el 20 % de la población, mucho más en los hombres, y la edad de comienzo está alrededor de los 17 años.</p> <p>La necesidad de establecer mecanismos para reducir el consumo de tabaco (cigarros y tabacos) es cada vez mayor, no solo para la salud individual de las personas, sino también para la salud económica y social de todo el país.</p> <p>En ese sentido la educación contra el consumo de tabaco debe comenzar desde edades muy tempranas, jugando la familia y sobre todo las escuelas un papel muy importante en esta lucha. Se ha visto que el tabaquismo es mucho más frecuente en las personas con menor nivel educacional.</p> <p>Otros dos grandes problemas en Cuba están en relación con el personal de la salud, que fuma con tasas iguales e incluso superiores a la población general y con el tabaquismo pasivo, personas que aunque no fuman están en locales cerrados expuestos al humo del tabaco de los fumadores, que aproximadamente es de un 45 % de la población general. Este último tema guarda relación con las violaciones de las resoluciones establecidas, que según datos poblacionales el 86 % considera que se violan.</p> <p>Más información en:</p> <p><a href="/index.php/finlay/article/view/72/928">http://www.revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/article/view/72/928</a></p><p><img title="tabaco_cienfuegos_639" src="/public/site/images/mikhail/tabaco_cienfuegos_639.jpg" alt="tabaco_cienfuegos_639" width="639" height="393" /></p>
2012-05-31T18:55:16-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/333
Tabaquismo: Los españoles, entre los europeos que más fuman junto con griegos, búlgaros y letones
2012-05-31T16:30:32-04:00
Revista Finlay
El 33% de los españoles de 15 años o más es fumador, lo que sitúa a este grupo entre los ciudadanos europeos que más fuman, sólo por detrás de griegos (40%), búlgaros y letones (36%), y muy por encima del 28% de media en la UE, según los resultados de un Eurobarómetro que se acaban de hacer públicos, coincidiendo con el Día Mundial sin Tabaco, que se celebra hoy.<br /> <br /> Entre los europeos que menos fuman, se encuentran los suecos, con un 13%, los portugueses y eslovenos (23% cada uno), y los holandeses e italianos (24% cada uno). Países Bajos se sitúa como el país donde más dejan de fumar los ciudadanos, con una tasa de ex fumadores del 31% frente al 21% de media. Los daneses (31%) y los suecos (30%) también figuran entre los europeos que más dejan de fumar. En el polo opuesto, los rumanos (12%), italianos y chipriotas (ambos con un 13%) son los ciudadanos europeos con una menor tasa de abandono del tabaco.<br /> <br /> El 70% de los fumadores y ex fumadores de la UE comenzó a fumar antes de cumplir los 18, algo que preocupa "mucho" al Ejecutivo comunitario, según ha reconocido el comisario de Salud y Política de Consumo, John Dalli, que ha avanzado que prepara una revisión de la directiva europea para tratar de "reducir el atractivo de los cigarrillos entre los jóvenes".<br /> <br /> El 60% de los europeos se muestra a favor de dar menos presencia al tabaco y lograr que sea menos atractivo, por ejemplo impidiendo que los productos de tabaco estén a la vista en las tiendas y restringiendo el uso de sabores y colores llamativos.
2012-05-31T16:30:32-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/332
Tabaquismo: Los bebés de madres fumadoras pesan 200 gramos menos al nacer
2012-05-31T16:25:35-04:00
Revista Finlay
<p>Un estudio de la Universidad de Zaragoza publicado en <em>Early Human Development </em>revela que los hijos de madre fumadoras pesan hasta 230 gramos menos que los de las madres que no fuman. Por el contrario, los autores de la investigación no encontraron ninguna correlación entre las medidas antropométricas y el número de cigarrillos fumados al día por la madre durante la gestación.<br /> <br /> “Dada la escasa bibliografía encontrada al respecto, era necesario evaluar la repercusión del tabaco en la composición corporal de los recién nacidos de mujeres que habían fumado durante la gestación”, explica Gerardo Rodríguez, autor principal del artículo.<br /> <br /> Para ello, los expertos analizaron a los recién nacidos a término –con edad gestacional de al menos 37 semanas– de 1.216 madres caucásicas (el 22,1% de las cuales fumaba una media de casi ocho cigarrillos por día), en el Hospital Clínico Universitario Lozano Blesa de Zaragoza. Fueron excluidos de la muestra los hijos de madres que declararon haber consumido alcohol o drogas ilegales durante la gestación.<br /> <br /> “El consumo de tabaco durante el embarazo implica una reducción generalizada de la mayoría de los parámetros, como resultado de un deterioro del crecimiento fetal. Los recién nacidos de las mujeres que fumaron durante la gestación son más pequeños y tienen menos compartimento graso subcutáneo”, señala Rodríguez.<br /> <strong><br /> Cronología del tabaquismo pasivo</strong><br /> <br /> Los primeros indicios de las consecuencias del 'tabaquismo pasivo' para la salud aparecieron a principios de los años setenta, cuando se empezaron a publicar trabajos en los que se constataba el riesgo de inhalar 'humo ambiental de tabaco' en no fumadores con enfermedad respiratoria o cardiaca y también en niños cuyos padres eran fumadores.<br /> <br /> En 1981, la revista British Medical Journal publicó un trabajo del epidemiólogo Hirayama que establecía por primera vez el incremento del riesgo de padecer un cáncer de pulmón para el fumador pasivo. Hirayama había estudiado durante 14 años una muestra de mujeres no fumadoras que convivían con fumadores. Durante los siguientes años, se sucedieron las publicaciones para relacionarlo con otras patologías.</p> <br /><br /><a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0378378211002386" target="_blank">Early Human Development, Volume 88, Issue 3, March 2012, Pages 141-145</a>
2012-05-31T16:25:35-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/331
Diabetes Mellitus: Un control estricto de la glucemia muestra resultados mixtos para la salud de los riñones, según un estudio
2012-05-30T12:40:43-04:00
Revista Finlay
El control intensivo de los niveles de glucemia (azúcar en sangre) reduce el riesgo de ciertas señales de daño renal entre los diabéticos, indica una investigación reciente. <p>Sin embargo, la evidencia no mostró que el control intensivo reduzca el riesgo de realmente desarrollar enfermedad grave de los riñones.</p> <p>Las dos señales de daño renal en que se enfocó el estudio son afecciones conocidas como microalbuminuria y macroalbuminuria. Se caracterizan por niveles excesivos de proteína en la orina, que por lo general resultan del daño en las unidades de filtrado de los riñones, según la información de respaldo del estudio, que aparece en la edición del 28 de mayo de la revista <em>Archives of Internal Medicine</em>.</p> <p>Pero la revisión de los datos de siete ensayos clínicos que incluyeron a más de 28,000 pacientes adultos no halló evidencia concluyente de que un control intenso de la glucemia se relacionara con una reducción en el riesgo de problemas graves de los riñones, incluso de insuficiencia renal o de muerte por insuficiencia renal.</p> <p>"Nuestro análisis demuestra que, tras 163,828 pacientes-años de seguimiento en los siete estudios examinados, un control glucémico [del azúcar en sangre] intensivo reduce la albuminuria", pero no hay suficientes datos para decir si ese beneficio se extiende a la enfermedad renal o a la insuficiencia renal, escribieron el Dr. Steven Coca, de la Universidad de Yale, y colegas.</p> <p>Esto podría significar que hay poco motivo para iniciar un control intensivo de la glucemia en la diabetes tipo 2 de etapa media en un intento de prevenir la insuficiencia renal, concluyeron.</p> <p>Sin embargo, un experto que no participó en el estudio señala que las investigaciones incluidas en este metaanálisis eran demasiado cortas para evaluar la forma en que un control intensivo de la glucemia podría afectar el riesgo de insuficiencia renal en pacientes de diabetes tipo 2.</p> <p>"Aunque implementar una terapia intensiva es difícil y conlleva una carga y un gasto, todos los datos primarios siguen respaldando su beneficio a largo plazo", escribió en un editorial acompañante el Dr. David Nathan, del Hospital General de Massachusetts.</p> <p>Otra experta estuvo de acuerdo.</p> <p>"Creo que este [hallazgo] es engañoso, ya que la mayoría de estudios incluidos en el análisis fueron de duraciones relativamente cortas del tratamiento 'intensivo', y también tuvieron seguimientos bastante cortos", señaló la Dra. Tracy Breen, directora de atención de la diabetes del Sistema de Salud North Shore-LIJ en New Hyde Park, Nueva York.</p> <p>Añadió que "las complicaciones microvasculares con frecuencia tardan años en desarrollarse. Cualquier análisis que incluya ensayos con un seguimiento inferior a diez años podría no tener la potencia estadística para mostrar diferencias en los eventos clínicos".</p> <br /><em>Artículo por HealthDay, traducido por Hispanicare</em> <p>FUENTE: Tracy Breen, M.D., director, diabetes care, North Shore-LIJ Health System, New Hyde Park, N.Y.; <em>Archives of Internal Medicine</em>, news release, May 28, 2012</p>
2012-05-30T12:40:43-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/330
Nutrición: Suplemento de soja no muestra beneficio sobre la presión
2012-05-29T15:27:13-04:00
Revista Finlay
La alimentación rica en soja está asociada con una reducción de la enfermedad cardiovascular, pero un estudio sugiere que la soja no mejoraría la presión de las adultas mayores. <p>Los resultados, publicados en American Journal of Clinical Nutrition, se suman a las pruebas contradictorias de los beneficios de las isoflavonas de la soja, sustancias que tendrían un efecto similar, pero más leve, que el estrógeno en algunos tejidos del organismo.</p> <p>Varios estudios habían comprobado que la administración intravenosa de isoflavonas de la soja reforzaría la producción orgánica de óxido nítrico, que dilata los vasos sanguíneos.</p> <p>"Pero no consumimos la soja de esa manera", dijo William Wong, de la Escuela Baylor de Medicina, en Houston, quien dirigió el nuevo estudio.</p> <p>Además, aclaró que esos estudios habían sido sobre los efectos inmediatos de la soja en la función vascular y no sobre los beneficios "sostenidos" para la presión sanguínea.</p> <p> </p> <p>RESULTADOS "DESALENTADORES"</p> <p>El equipo de Wong les indicó a 24 mujeres menopáusicas tomar al azar isoflavonas de soja o placebo durante seis semanas. Los suplementos les aportaban 80 miligramos (mg) diarios de isoflavonas.</p> <p>Todas las participantes tenían presión moderadamente elevada al inicio del estudio.</p> <p>A las seis semanas, los efectos de las isoflavonas no superaron a los del placebo. La presión sistólica promedio fue de 136 mm/Hg en el grupo de control y de 137 mm/Hg en el grupo tratado con soja (140 mm/Hg o más es considerado presión alta).</p> <p>La presión diastólica promedio de ambos grupos fue de 80 mm/Hg, el valor umbral "normal".</p> <p>El equipo también realizó análisis de sangre especiales para determinar si los suplementos de soja interferían en la producción de óxido nítrico, pero no halló efecto alguno.</p> <p>"Fue desalentador", dijo Wong.</p> <p>El estudio duró sólo seis semanas, pero el autor explicó que sería suficiente para detectar algún efecto beneficioso en la presión si lo hubiera.</p> <p>"Si no observamos nada en seis semanas, dudamos que lo pudiéramos hacer (en un período más prolongado)", señaló Wong. "Si alguien está buscando una bala mágica contra la hipertensión, ésta no lo es", añadió.</p> <p>Dicho eso, el autor consideró que agregar alimentos de soja a la dieta, en especial desde temprana edad, podría ser una medida saludable. Supuso que los beneficios asociados con la soja en las poblaciones asiáticas sería resultado del consumo permanente de esos productos.</p> <p>"Quizás la clave está en la exposición prolongada a los alimentos de soja", dijo Wong.</p> <p>Por ahora, el tratamiento principal de la hipertensión consiste en empezar a comer saludablemente, con poco sodio y gran cantidad de frutas y verduras, y hacer ejercicio. Si se tiene sobrepeso, adelgazar reduce la presión. Algunos pacientes necesitan antihipertensivos.</p> <p>Pharma Consulting e Industries BV, de Holanda, proporcionaron los suplementos de soja que utilizó el equipo. Los Institutos Nacionales de Salud de Estados Unidos financiaron el estudio.</p> <p>FUENTE: American Journal of Clinical Nutrition, junio del 2012</p>
2012-05-29T15:27:13-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/329
Nutrición: Descubren altas propiedades antitumorales y antioxidantes en un desecho de la extracción del aceite
2012-05-29T14:24:19-04:00
Revista Finlay
Investigadores de la Universidad de Sevilla y del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC) han patentado el desarrollo de productos bioactivos obtenidos a partir del alperujo, un desecho que se genera en las almazaras durante el proceso de extracción del aceite de oliva, tras haber descubierto que contiene sustancias con altas propiedades antitumorales y antioxidantes.<br /> <br /> Cada año se extraen toneladas de alperujo a la hora de producir aceite de oliva en España, de las que una pequeña parte se utiliza como como abono orgánico, mientras que el resto se acaba desechando, generando un grave problema medioambiental.<br /> <br /> Ahora los investigadores han comprobado que el derivado de una sustancia química presente en el alperujo, el hidroxitirosol, rico en azufre o selenio, puede ser "muy potente como antitumoral y antioxidante, más incluso que la vitamina E", ha asegurado Inés Maya, catedrática de química orgánica de la US.<br /> <br /> Estos derivados han sido probados 'ex vivo' con microsomas de hígado de rata tratados con una dieta carente de vitamina E en el Instituto Rowett de Nutrición y Salud, en Aberdeen (Escocia), y al aplicar las sustancias diseñadas por los investigadores de la US, los resultados como protectores de los tejidos celulares han sido muy superiores a los de otros antioxidantes.<br /> <br /> "En las células de nuestro cuerpo existe un equilibrio muy delicado de procesos de oxidación que generan radicales libres y sistemas que nos defienden de dichos radicales", ha asegurado al Servicio de Información y Noticias Científicas (SINC) José María Fernández-Bolaños, profesor de la US y responsable del grupo de investigación que ha originado la patente.<br /> <br /> Este experto ha explicado que muchas reacciones químicas del organismo funcionan gracias al oxígeno que se respira y llega a las células a través de la sangre, donde tiene lugar la respiración celular, "un proceso en el que se genera energía y una serie de especies reactivas de oxígeno que incluyen peróxidos y radicales libres, responsables de serias enfermedades relacionadas con procesos degenerativos".<br /> <br /> <strong>Estrés oxidativo</strong><br /> <br /> "El cuerpo humano está constantemente produciendo y eliminando radicales libres de manera natural", ha añadido Fernández-Bolaños, que advierte de que "cuando por algún problema se generan más radicales libres de los que se contrarrestan aparece lo que se conoce como estrés oxidativo, que llega a producir problemas para la salud como el envejecimiento prematuro, ateroesclerosis, Alzheimer o incluso cáncer".<br /> <br /> Según los responsables del proyecto, estos compuestos se han aplicado, además, en varias líneas celulares de leucemia humana caracterizadas por su resistencia a multifármacos, en las que se ha descubierto que tienen marcadas propiedades pro-apoptóticas sobre las células cancerígenas.<br /> <br /> En estos casos, inducen la muerte celular sin que se destruya la membrana, evitando así los consiguientes procesos de inflamación asociados a una muerte celular por necrosis.
2012-05-29T14:24:19-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/328
Cáncer: El cribado con mamografía reduce la mortalidad por cáncer de mama hasta en un 30% de los casos
2012-05-29T10:32:51-04:00
Revista Finlay
El diagnóstico precoz en mujeres en las que no existen factores de riesgo de cáncer de mama, unido a la realización de una mamografía, permite reducir la mortalidad por este tipo de tumor entre un 20 y un 30%, según han apuntado este viernes diversos expertos reunidos en el 31 Congreso Nacional de la Sociedad Española de Radiología Médica, que se está celebrando en Granada.<br /> <br /> De hecho, varios expertos radiólogos han destacado que la mamografía ya detecta entre el 70 y el 95% de los cánceres de mama en su estado inicial.<br /> <br /> Según los expertos, anualmente se diagnostican alrededor de un millón de casos en el mundo, de los cuales en torno a 20.000 corresponden a España. La mayoría de ellos, subrayan los radiólogos, se diagnostican a través de mamografía.<br /> <br /> Asimismo, han señalado que la morbilidad por esta causa ha disminuido considerablemente gracias a la aplicación de tratamientos como la cirugía conservadora o la realización de biopsia selectiva de ganglio centinela (BSGC), menos agresivos que la mastectomía.
2012-05-29T10:32:51-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/327
Hipertensión arterial: Hipertensión arterial: ¿toda la "tensión" y (a) tención es poca?
2012-05-22T12:15:13-04:00
Revista Finlay
<p>Una <strong>investigación</strong> fechada dentro del período 2010-2011 revela que, en<strong> Cienfuegos</strong>, cerca del 31 por ciento de la población con edad oscilante entre los 15 y 74 padece <strong>Hipertensión Arterial (HTA)</strong>. O lo que es lo mismo: 31 de cada cien de tales residentes al centro-sur de <strong>Cuba</strong>, país donde el rango se extiende incluso a 33. La <strong>pesquisa</strong> documentada deja ver asimismo cómo las <strong>mediciones</strong> de la <strong>presión sanguínea</strong> alcanzan valores más elevados mientras aumenta el tiempo de vida. Y dado, cual precedente, el envejecimiento...</p> <p>Terceros argumentos se suman. La <strong>Organización Mundial de la Salud</strong> recién divulgó las <strong><em>Estadísticas sanitarias mundiales (2012)</em></strong>. Según el informe, la citada enfermedad -causante de la mitad de los decesos por accidente cerebro-vascular y cardiopatía isquémica- aqueja a uno de cada tres adultos en el orbe. No en vano, a juicio de <strong>Alain Morejón</strong>, <strong>especialista en Medicina Interna</strong>, cuyo desempeño advierten no pocos al interior del <strong>Hospital Provincial "Dr. Gustavo Aldereguía Lima"</strong>, urge encender el bombillo de “alerta”.</p> <p><em>En función del lema asumido el actual año, ¿cuánto debemos incluir en la promoción de la idea: “estilo de vida saludable”?</em></p> <p>"Si usted lleva un estilo de vida saludable, está buscando una presión arterial saludable. La expresión no la podemos dividir. Ocurre así en un ciento por ciento (…) Constituye la base de cómo debe enfrentarse la existencia para alejarnos de la HTA.</p> <p>"Y va desde las condiciones mínimas de higiene corporal y mental hasta los comportamientos en relación con la actividad física, alimentación, estrés o ansiedad... ¡No solo con vistas a evitar enfermedades crónicas no transmisibles!".</p> <p><em>Diversas medidas tienen por centro la necesidad de mantener un correcto control de la presión. Pero, ¿por qué deviene preciso hacerlo? ¿Cuánto define o caracteriza el referido mal?</em></p> <p><img style="float: left; margin: 2px; border: 1px solid #000000;" title="En opinión del doctor Morejón, toca bajar tanto la “máxima” (presión sistólica) como la “mínima” (diastólica), pues los riesgos para la vida sobrevienen con el incremento de ambas / Foto: Cortesía de Perlavisión " src="http://www.5septiembre.cu/images/stories/salud3/alain-morejon_doctor-cfgos.jpg" alt="En opinión del doctor Morejón, toca bajar tanto la “máxima” (presión sistólica) como la “mínima” (diastólica), pues los riesgos para la vida sobrevienen con el incremento de ambas / Foto: Cortesía de Perlavisión " width="300" height="271" />"En primer lugar, <strong>cobra importancia saber si usted es hipertenso</strong>. Ocurre cuando en tres ocasiones o más, después de tomarse la presión en compañía de un personal de la Salud, su tasa supera el 140 (sistólica o máxima) sobre 90 (diastólica o mínima). Las diferencias están asociadas a una clasificación. Hay quienes experimentan presión sisto-diastólica, al incluir ambas; otros, solo sistólica. ¿Ejemplo clásico de lo último? Los ancianos, sobre todo mayores de 60 o 65 años. O podemos encontrar algunos con la segunda por encima de 90 y, no obstante, la primera tenida en cuenta alrededor de los 120, considerado normal. Entonces sigue siendo un hipertenso.</p> <p>"Existe además la <strong>hipertensión emotiva o la 'de bata blanca'</strong>, presente en cuantos por una mera visita a nuestras instituciones, registran el ascenso; y en contextos diferentes no. Justo ahí aparecen los falsos 'positivos'. Aparte, creo pertinente acotar que <strong>la presión varía, por momentos del día, en milímetros de mercurio</strong>. Condiciones siguientes igual lo propician: el inicio de la práctica de ejercicios físicos, cambios de altura…".</p> <p><em>Imposible hablar de un umbral estricto en función del cual delimitar con exactitud "riesgo" y "seguridad". Resta atender a consensos internacionales. Luego, ¿cuánta significación adquiere el diagnóstico preciso de la HTA?</em></p> <p>"A partir de ahí se focalizan las cifras que, manejadas entre muchos, requirieren acciones institucionales inmediatas; y las correspondientes a cada uno. Porque <strong>identificar a un individuo como hipertenso implica garantizar el comienzo de un tratamiento medicamentoso o no</strong>.</p> <p>"No suelen existir dificultades para conocer esa información. Basta asistir a los servicios primarios: el <strong>Consultorio del Médico de la Familia</strong>. ¿Qué pasa? No todos los ciudadanos deben tomarse la presión con la misma frecuencia (…) Al tratarse de un joven, de espaldas al hábito de fumar, no obeso, sin trastorno de los lípidos o enfermedades metabólicas y cardiovasculares, puede concurrir una vez al año (…) De presentar ciertos síntomas… ¡pues repetirlo!</p> <p>"Ahora, por el contrario, están los ubicados en <strong>grupos de riesgo</strong>: aquellos con más de 55 años -resalta el factor 'edad', no modificable-; los hombres en épocas tempranas, y las mujeres en su período de climaterio o menopausia; unido a los que experimentan un padecimiento previo. La situación del diabético, por mencionar, difiere comparado con alguien sano".</p> <p><em>Pese al volumen de información difundida, se distingue aún una baja percepción de riesgo. Tal vez ayudaría profundizar en las complicaciones…</em></p> <p>"Una primera cuestión por resolver remite a que <strong>hoy el 50 por ciento de los hipertensos desconoce que lo es</strong>. Transitan por ahí con altos números de tensión (…) Y poseen un mecanismo de compensación; el organismo se adapta (…) Pues la HTA cursa por lo general de manera asintómática -con razón le denominan: <strong>'plaga silenciosa del siglo XXI'</strong>. ¡Si bien puede presentarse la cefalea, y determinados pacientes hablan de mareo, molestias en la región anterior del tórax, trastornos digestivos!</p> <p>"A la par, sin embargo, se incrementa el <strong>peligro</strong> de sufrir insuficiencia e infarto cardíacos, enfermedades cerebrovasculares -isquémicas y hemorrágicas-, la arterial periférica, renal crónica -en crecimiento- con la consecuente retinopatía hipertensiva… En consecuencia, la repercusión negativa -al punto de gravedad o letalidad- sobre los órganos/diana: cerebro, corazón, riñón, retina.</p> <p>"La gente lo sabe. Más allá, sostienen: 'si mi padre fue hipertenso y no murió de eso…'; 'si mi vecino ingiere bebidas alcohólicas, fuma, y hasta el momento… ¡cuando a mí sí me sucede!'. Brechas… Y el personal médico debe incidir; recolectar en detalle la historia clínica”, pues en un 90 por ciento de los casos, la causa de la HTA se desconoce y consta una fuerte influencia hereditaria.</p> <p><em>Respecto al tratamiento, ¿destacan novedades?</em></p> <p><strong>"En la Isla contamos con medicamentos dispensariados</strong>, es decir, establecidos por Tarjeta de Control. Los hipertensores, en este caso, se han mantenido en las farmacias de manera estable en los últimos tiempos, amén de ciertas irregularidades. ¿Qué sucede? Difiere su duración media en el organismo. En coherencia, deben ingerirse cada 8, 12, 24… horas (…) Alrededor del mundo y, específicamente aquí en virtud de nuestro <strong>Programa Nacional de Hipertensión Arterial</strong>, se hace hincapié en que se utilicen bajas dosis y de forma combinada. Las monoterapias han pasado a segundo plano.</p> <p>"Unido, un elemento ilustrativo: <strong>solo el 40 por ciento de los hipertensos bajo tratamiento conservan su presión controlada</strong>. Demuestra lo imperioso de continuar acudiendo al facultativo. Nadie se puede despreocupar".</p>
2012-05-22T12:15:13-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/322
Cáncer: Describen mutaciones genéticas más recurrentes en el melanoma
2012-05-11T11:11:01-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El melanoma, la forma más mortal y agresiva de cáncer de piel, ha estado durante mucho tiempo vinculada al tiempo que se pasa bajo el sol.</p> <p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2012/05/melanoma.jpg"><img class="alignleft size-thumbnail wp-image-22526" style="border: 0pt none; margin: 5px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2012/05/melanoma-150x150.jpg" alt="" width="150" height="150" /></a>Ahora, un equipo liderado por científicos del Instituto Broad y el Instituto del Cáncer Dana-Farber (Estados Unidos) han secuenciado los genomas completos de 25 tumores de melanoma metastásico, lo que confirma el papel de la exposición crónica al sol y revelan nuevos cambios genéticos, de gran importancia en la formación de tumores.</p> <p>En un artículo publicado en <a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature11071.html" target="_blank"><em><strong>Nature</strong></em></a> (doi:10.1038/nature11071), los autores proporcionan el primer vistazo en alta resolución al paisaje genómico de los melanomas humanos. Análisis genéticos anteriores se han centrado en los exomas de muchos tipos de tumores, concentrándose en la pequeña fracción del genoma que proporciona el código genético para la producción de proteínas. Pero los genomas enteros contienen una gran cantidad de información genética, y la secuenciación y el análisis de 25 tumores de melanoma metastásico, representa una hazaña significativa desde el punto de vista técnico y computacional.</p> <p>"La secuenciación del genoma completo sin duda añade una gran riqueza de descubrimientos que no pueden ser capturadas con un exoma", dijo Levi Garraway, profesora asociada en el Dana-Farber Cancer Institute y la Facultad de Medicina de Harvard y una de los autores principales del artículo.</p> <p>"Al mirar a través de todo el genoma se puede determinar con mayor precisión la tasa de mutación de fondo y las diferentes clases de mutaciones, y describir con mayor confianza el patrón de radiación ultravioleta o la mutagénesis inducida en el melanoma", añadió Michael F. Berger, invetigador en el Sloan-Kettering Cancer Memorial y co-primer autor del trabajo junto a Garraway.</p> <p>Cuando los científicos exploraron los datos de todo el genoma, encontraron que las tasas de mutaciones genéticas aumentaban junto con la exposición crónica al sol en los pacientes, lo que confirma el papel de los daños del sol en el desarrollo de la enfermedad. "Todo el análisis del genoma de los tumores de melanoma humano muestra por primera vez la existencia de muchos reajustes estructurales en este tipo de tumor", dijo Lynda Chin, directora del Departamento de Medicina Genómica del MD Anderson Cancer Center en la Universidad de Texas.</p> <p>Los científicos detectaron mutaciones de los genes BRAF y ANR en 24 de los 25 tumores. Ambos genes están implicados en el envío de señales importantes en el crecimiento celular. Otro gen, el PREX2 (previamente implicado en el cáncer de mama, para el bloqueo de una vía supresora de tumores) se vio alterado en el 44 % de los pacientes, mutado en una convergencia de alteración genética que parece acelerar el desarrollo del tumor.</p> <p>Experimentos con ratones en el laboratorio de Chin demostraron también que las mutaciones del PREX2 estimulan el crecimiento del tumor. "Todavía no podemos decir que sabemos exactamente cómo funciona", dijo Garraway. "PREX2 puede estar en una nueva categoría muy interesante de genes del cáncer mutados que apuntan a por lo menos una vía, y tal vez más, en que valdría la pena la orientación terapéutica en el melanoma."<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=24581&Itemid=413" target="_blank"><strong>mayo 10/2012 (Diario Salud)</strong></a></p> <p>Michael F. Berger, Eran Hodis, Timothy P. Heffernan, Yonathan Lissanu Deribe, Michael S. Lawrence, Levi A. Garraway.<em><strong>Melanoma genome sequencing reveals frequent PREX2 mutations.</strong>Nature</em> 09 may 2012</p> </span>
2012-05-11T11:11:01-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/321
Cáncer: El virus del papiloma humano causa uno de cada cuatro cánceres de garganta
2012-05-10T17:27:58-04:00
Revista Finlay
<div id="cuerpo_noticia" class="cuerpo_noticia"><p>Uno de cada cuatro cánceres de garganta en España está causado por el virus del papiloma humano (VPH) y su pronóstico es mejor que el provocado por el alcohol y el tabaco, porque responde mejor a la quimioterapia y a la radioterapia. Esta es la conclusión de un estudio conjunto de los hospitales madrileños La Princesa, Puerta de Hierro, Ramón y Cajal y Doce de Octubre que se ha presentado en el Congreso Europeo de Radioterapia y Oncología, que ha comenzado hoy en Barcelona con la presencia de más de 5.000 asistentes de todo el mundo.</p> <p>Tras analizar muestras de 102 pacientes de cáncer de orofaringe tratados en los cuatro hospitales madrileños entre 2000 y 2009, los investigadores han concluido que el 26,7% de los casos eran causados por el VPH y el resto, el 73,3%, eran atribuidos al consumo excesivo de tabaco o alcohol.</p> <p>El VPH se relaciona principalmente con los cánceres de cuello uterino y de ano, pero las investigaciones de los últimos cuatro años apuntan que, transmitido por vía sexual oral, tiene también incidencia con los tumores de orofaringe.</p> <p>El estudio presentado cifra por primera vez en España la incidencia del VPH en el cáncer de garganta, que es similar a la de otros países europeos, pero inferior a la de EE UU, con un 50%.</p> <p>Según Laura Cerezo, del Hospital Universitario La Princesa de Madrid, la diferencia con EE UU se explica porque en este país se iniciaron antes las campañas antitabaco, reduciendo así el riesgo de sufrir cáncer. Aun así últimamente han aumentado los tumores de faringe causados por VPH por cambios en conductas sexuales, como el sexo oral o las parejas múltiples.</p> <p>En España, el cambio es más reciente, según la experta, ya que "casi todos los pacientes han sido fumadores y la incidencia del VHP es menor", ha añadido la experta en una conferencia de prensa. A diferencia del cáncer de cuello uterino, que solo afecta a mujeres, el VPH provoca tumores orofaríngeos en ambos sexos, con una mayor incidencia en los varones.</p> <p>Según Cerezo, se desconoce por el momento si la vacuna que se administra para prevenir el carcinoma de cuello uterino en niñas de 9 a 14 años es eficaz para los casos de VPH en garganta. El estudio demuestra que, a los seis años de tratamiento los pacientes infectados con el virus tienen un mayor índice de curación, ya que en el 54,6% de los casos ha desaparecido el tumor, mientras que en el grupo de fumadores y bebedores el porcentaje de curados es solo del 46,6%.</p> <p>La tasa de supervivencia de los infectados por el VPH a los tres años de tratamiento es mayor (67,4%) que el resto de pacientes (49,7%). Según la investigadora, este fenómeno se explica porque los pacientes con el virus son más jóvenes (40-55 años) y menos fumadores.</p></div>
2012-05-10T17:27:58-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/320
Alcoholismo: Daño cerebral asociado al consumo crónico de alcohol
2012-05-10T17:19:28-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un equipo de científicos del CIPF ha descrito por primera vez cómo el consumo crónico de alcohol disgrega la vaina de mielina que recubre los axones de las neuronas, y que la neuroinflamación o inflamación en el cerebro causada por el etanol participa en estas alteraciones de la mielina. Publicado en la revista <a href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/glia.22327/abstract" target="_blank"><em><strong>Glia</strong></em></a> (doi: 10.1002/glia.22327) .</p> <p>El estudio pretende dilucidar si el consumo crónico de alcohol está relacionado con las alteraciones de la mielina, y cuál es el mecanismo causante de estas alteraciones. La mielina forma la llamada "vaina de mielina", que recubre los axones de las neuronas.</p> <p>Como apunta Consuelo Guerri, investigadora que dirige el Laboratorio de Patología Celular del CIPF, "por medio de técnicas de neuroimagen se había demostrado ya que existían alteraciones importantes de la mielina en alcohólicos, relacionadas con su consumo crónico, y que afectaban a la parte conductual; pero faltaba saber qué mecanismo estaba detrás de estas alteraciones y si la neuroinflamación participaba en él".</p> <p>Para llevar a cabo el trabajo, los investigadores utilizaron modelos animales a los que se suministró durante cinco meses un 10% de alcohol en agua, simulando los niveles comparables a un consumo crónico de alcohol. En los resultados de este proceso experimental, el equipo ha comprobado a través de técnicas de neuroimagen in vivo en estos modelos animales que el consumo crónico de alcohol causa una reducción importante de la mielina en cerebro.</p> <p>Además, mediante microscopía electrónica, los científicos han demostrado que el alcohol disgrega la vaina de mielina y puede contribuir a la neurodegeneración. Como explica Guerri, "hemos visto que se produce una reducción muy importante de las proteínas que componen la vaina de mielina, y que disminuye la expresión de genes de la misma, por lo que la vaina se rompe e incluso los axones se ven degenerados".</p> <p>De esta forma, se demuestra que el daño producido en la mielina es uno más de los efectos del alcohol sobre el cerebro. La mielina es una sustancia fundamental para transmitir los impulsos nerviosos, y por tanto para la conducta de un individuo, por lo que muchas de las alteraciones cognitivas pueden tener como origen alteraciones de la mielina.</p> <p>Un paso más en el estudio de los efectos del alcohol<br /> Además, los investigadores necesitaban dar un paso más en el estudio para demostrar si la neuroinflamación o inflamación en el cerebro podría estar detrás como mecanismo causante de estas alteraciones.</p> <p>Para ello, el equipo de científicos eliminó el gen de los receptores llamados "toll-like" o "TLRs", responsable de la defensa inmunitaria en cerebro y de la neuroinflamación causada por el consumo de alcohol. En estudios anteriores, este mismo equipo de científicos había demostrado que el consumo de alcohol activa a uno de estos receptores llamado "TLR-4", dando lugar a la liberación de citoquinas y compuestos inflamatorios que causan inflamación en el cerebro o neuroinflamación y daño neural.</p> <p>De esta forma, en los modelos animales cuyos receptores TLR-4 se habían eliminado, los expertos comprobaron que se habían reducido de forma muy notoria las alteraciones de mielina, aunque no se habían eliminado por completo. Como expone Guerri, "los resultados indican que la neuroinflamación participa en gran medida en las alteraciones de la mielina; aunque observamos que también existirían otros mecanismos que contribuyen en menor medida".</p> <p>La comparación entre las imágenes del cerebro de modelos animales con receptores y sin receptores es muy visual. Así, en los modelos animales normales de consumo crónico de alcohol se puede observar una evidente reducción de la mielina y una ruptura completa de las vainas de mielina, que en estado normal suelen ser bastante compactas. Sin embargo, en los modelos animales con los receptores silenciados no se observa una reducción importante, y las vainas conservan su aspecto habitual.</p> <p>El Laboratorio de Patología Celular del CIPF cuenta con una amplia experiencia en el estudio de los mecanismos implicados en la neurotoxicidad que provoca la ingesta de alcohol tanto de forma crónica como de forma intermitente. Entre sus líneas de investigación se encuentra el estudio de las bases moleculares y celulares del etanol, y los efectos del consumo de alcohol sobre el cerebro adulto y en desarrollo, así como los mecanismos que provocan la muerte neuronal, la neurodegeneración y el Síndrome Alcohólico Fetal.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/descubren/mecanismo/dano/cerebral/asociado/consumo/cronico/alcohol/_f-11+iditem-17014+idtabla-1" target="_blank"><strong>mayo 9/2012 (Jano)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de<strong> Hinari.</strong></p> <p>Silvia Alfonso-Loeches, Maria Pascual, Ulises Gómez-Pinedo, Maya Pascual-Lucas, Jaime Renau-Piqueras, Consuelo Guerri. <em><strong>Toll-like receptor 4 participates in the myelin disruptions associated with chronic alcohol abuse.</strong> Glia</em> ; 19 mar 2012</p> </span>
2012-05-10T17:19:28-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/319
Medicamentos: Describen una nueva diana para terapias antiangiogénicas y antitumorales
2012-05-10T17:11:54-04:00
Revista Finlay
<p>Científicos del Centro Nacional de Investigaciones Oncológicas (CNIO) han demostrado la utilidad de la proteína ephrinB2, implicada en angiogenésis y linfoangiogénesis, como diana para el desarrollo de terapias antiangiogénicas y antitumorales, basadas en el bloqueo de la citada proteína.<br /> <br /> El hallazgo, que aparece en la edición impresa de <em>Blood, </em>ha sido desarrollado por el grupo de investigación, encabezado por Jorge L. Martínez-Torrecuadrada, de la Unidad de Proteómica del CNIO.<br /> <br /> Para su desarrollo, los investigadores generaron anticuerpos específicos de ephrinB2 mediante la tecnología de despliegue en fagos (<em>Phage display) </em>y comprobaron que el tratamiento de células endoteliales con estos anticuerpos provocaba una inhibición en la movilidad y en la capacidad de formación de estructuras tubulares de estas células.<br /> <br /> En estudios con ratones xenoinjertados con células tumorales de carcinomas de páncreas, pulmón y colon, la administración sistémica de los anticuerpos anti-ephrinB2 originó una reducción importante en el número de vasos sanguíneos y linfáticos en los tumores. Como consecuencia de ello, se produjo una reducción en el crecimiento tumoral muy significativa en los tres modelos empleados.<br /> <br /> Este descubrimiento puede representar la base del desarrollo de una nueva terapia antiangiogénica, que suponga una alternativa o pueda ser empleada en combinación con las estrategias antitumorales utilizadas en la actualidad para el tratamiento de pacientes con cáncer.<br /> <br /> Asimismo, podría hacerse extensiva a otras patologías relacionadas con angiogénesis, un proceso por el cual se crean nuevas redes vasculares sanguíneas a partir de las preexistentes y que, en determinadas patologías como el cáncer- en las que el tumor promueve la formación de nuevos vasos sanguíneos- permiten la llegada de nutrientes a la zona tumoral, a la vez que facilita la diseminación de células tumorales.<br /> <br /> La angiogenesis es un proceso que ha sido muy estudiado en los últimos años ya que las investigaciones han tratado de encontrar dianas cuyo bloqueo permita inhibir la formación de los vasos sanguíneos que alimenten al tumor y por tanto frenen el desarrollo tumoral.<br /> <br /> Precisamente, se han desarrollado varios anticuerpos que ya se utilizan en clínica para el tratamiento de varios tipos de tumores, se sabe que pueden volverse resistentes y pueden volver a crecer e incluso hacerse más agresivos.</p> <a href="http://bloodjournal.hematologylibrary.org/content/early/2012/03/23/blood-2011-09-380006.abstract?sid=66fb5895-9e5e-458c-a31b-7c32fba34204" target="_blank">Blood (2012); doi: 10.1182/blood-2011-09-380006</a>
2012-05-10T17:11:54-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/318
Ciencia y Tecnología: Científicos españoles consiguen detectar anginas de pecho que han dado negativo con los métodos tradicionales
2012-05-07T12:09:32-04:00
Revista Finlay
<p>La Línea de Investigación de Cardiovascular de la Fundación para la Investigación del Hospital Clínico de Valencia-Incliva ha descubierto un grupo de biomarcadores que permite detectar los casos en los que existe una isquemia coronaria aguda aun cuando los métodos tradicionales de diagnóstico urgente dan resultados negativos.<br /> <br /> El estudio se ha realizado en los laboratorios de Incliva en colaboración con el Servicio de Cardiología del Hospital Clínico Universitario de Valencia y se ha publicado en la revista <em>Journal of the American College of Cardiology, </em>según ha informado la entidad en un comunicado.<br /> <br /> El objetivo del estudio era analizar cómo se altera el metabolismo cardiaco al producirse la isquemia coronaria aguda, y qué marcadores bioquímicos concretos sufren alteraciones y de qué tipo. La conclusión es que, en caso de isquemia, se producen cambios muy significativos en los niveles de glucosa, lactosa, glutamina, glicerol, triglicéridos y ácidos grasos entre otros metabolitos. <br /> <br /> Según el doctor Vicente Bodí, investigador principal del proyecto, cuando un paciente acude a urgencias con un dolor de pecho, la analítica diseñada puede ser "potencialmente de utilidad para determinar si se trata de una angina de pecho o es un simple dolor inespecífico". El modelo creado tiene un valor predictivo negativo del 95% para descartar la presencia de angina inestable. <br /> <br /> La primera fase de la investigación se realizó a nivel experimental, diferenciando el conjunto de cambios que se detectan en los metabolitos cuando se produce una isquemia y que no se ven influidos por otros factores como pueden ser fármacos o la dieta.<br /> <br /> La determinación del conjunto de cambios en los metabolitos se realizó mediante un modelo porcino de isquemia coronaria con hinchados transitorios de un balón de angioplastia de la arteria coronaria. Los experimentos se realizaron en la UCIM, la Unidad Central de Investigación de Incliva.<br /> <br /> En ellos se obtenía una muestra de sangre previa a la isquemia provocada y otra en los cinco minutos posteriores y los resultados fueron "determinantes" ya que se apreciaron variaciones significativas en 32 metabolitos relacionados con el metabolismo cardiaco. Los cambios se analizaron globalmente mediante técnicas estadísticas complejas cuyo resultado fue una "biofirma" en sangre asociada a la isquemia coronaria.<br /> <br /> <strong>Segunda fase</strong><br /> <br /> La segunda fase de la investigación fue su validación en pacientes con angioplastia coronaria programada y con episodios transitorios de isquemia coronaria. El modelo experimental inicial permitió discriminar con "gran fiabilidad" los pacientes con isquemia aguda en el contexto de la angioplastia de un grupo control no sometido a isquemia coronaria.<br /> <br /> La tercera fase del estudio se desarrolló en un grupo de pacientes que acudieron a Urgencias del Hospital Clínico Universitario por dolor torácico espontáneo. A estos, se les realizó, además de las pruebas habituales, electrocardiograma y análisis de troponina, un análisis de sus metabolitos cardiacos. La investigación concluye que los biomarcadores objeto de la investigación resultan alterados aún en pacientes que presentaban un ECG y niveles de troponina normales y permitió establecer el diagnóstico correcto a la llegada al hospital en la mayoría de pacientes.<br /> <br /> Los resultados obtenidos en esta investigación están actualmente en fase de validación en muestras derivadas de un estudio multicéntrico a nivel nacional, en colaboración con once hospitales en toda España.</p> <br /><br /><a href="http://content.onlinejacc.org/cgi/content/abstract/59/18/1629?maxtoshow=&hits=10&RESULTFORMAT=&fulltext=bod%ED&searchid=1&FIRSTINDEX=0&resourcetype=HWCIT" target="_blank">Journal of the American College of Cardiology (2012); doi:10.1016/j.jacc.2011.09.083</a>
2012-05-07T12:09:32-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/317
Medicamentos: La aspirina podría reducir el riesgo de cáncer de colon
2012-05-05T09:30:49-04:00
Revista Finlay
<p>Los pacientes con cáncer intestinal que toman una baja dosis diaria de aspirina reducen sus posiblidades de morir por esa enfermedad en un tercio, según concluyó un estudio científico holandés publicado en la revista<a href="http://www.nature.com/bjc/journal/v106/n9/full/bjc2012101a.html" target="_blank"><em><strong> British Journal of Cancer</strong></em></a> (doi:10.1038/bjc.2012.101).</p> <p><a href="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2012/05/aspirina.jpg"><img class="size-full wp-image-22385 alignleft" style="border: 0pt none; margin: 7px;" src="http://boletinaldia.sld.cu/aldia/files/2012/05/aspirina.jpg" alt="" width="127" height="92" /></a>De acuerdo a la investigación del Centro Médico de la Universidad de Leiden, por la cual se analizaron 4500 casos de enfermos con cáncer intestinal en Holanda, todos aquellos que tomaron bajas dosis diarias de aspirina, unos 80 miligramos o menos al día, redujeron sus posibilidades de morir.</p> <p>El consumo de dosis bajas de aspirina ya había sido recomendado para pacientes con enfermedades cardíacas.</p> <p>Además, estudios recientes indicaron que el consumo de aspirina en dosis bajas podría prevenir el desarrollo de ciertos cánceres y funcionar como una terapia para prevenir metástasis.</p> <p>Los investigadores de Leiden indicaron sin embargo que en algunos casos la droga podría tener efectos secundarios peligrosos, como irritación de las paredes del estómago o hemorragias internas.</p> <p>En su estudio, que se realizó durante una década, un 25% de los pacientes no consumieron aspirina, otro 25% sólo tomó aspirina tras haber sido diagnosticado con cáncer intestinal, y el restante 50% consumió aspirina antes y después de su diagnóstico.</p> <p>Los científicos concluyeron que consumir aspirina en bajas dosis durante cualquier periódico de tiempo después del diagnóstico reduce las posibilidades de morir por cáncer intestinal en un 23%.</p> <p>Pero aquellos que tomaron la droga diariamente por al menos nueve meses después de ser diagnosticados redujeron sus posibilidades de morir en un 30%.</p> <p>Tomar aspirina después de que el cáncer fue diagnosticado tuvo un efecto mayor a la hora de reducir la mortalidad, comparado con aquellos que tomaron aspirina antes y después del diagnóstico, que lograron reducir el riesgo mortal en un 12%.</p> <p>Los expertos creen que esto podría deberse a que los pacientes que tomaron aspirina y seguían teniendo cáncer intestinal padecían de una forma agresiva de tumor que no respondía bien a la droga.</p> <p>El doctor Gerrit-Jan Liefers, al frente de la investigación, indicó que su estudio "suma nueva evidencia acerca de que la aspirina no sólo puede prevenir el cáncer, sino también evitar que se propague a otras partes del cuerpo".</p> <p>Liefers sostuvo que la aspirina no debería ser utilizada como alternativa a otros tratamientos, como la quimioterapia, aunque sí podría ser útil como tratamiento adicional.</p> <p>"Es posible que algunas personas de la tercera edad tengan otros problemas de salud que les impidan someterse a la quimioterapia. El cáncer intestinal es más común en personas mayores, así que estos resultados podrían ser un gran avance en el tratamiento de la enfermedad, en particular para este grupo de personas. Pero necesitamos más investigaciones para confirmar esto", destacó.</p> <p>Liefers confirmó que planea llevar a cabo una serie de pruebas controladas para para determinar cuán benéfica es la aspirina en pacientes de más de 70 años que padecen cáncer de intestino grueso.</p> <p>Tras el anuncio, Sarah Lyness, vocera del grupo Cancer Research UK, afirmó que el estudio holandés "suma más evidencia creciente acerca de los beneficios de la aspirina".</p> <p>"Pero aún no estamos en la posición para recomendar a la gente comenzar a tomar aspirina con el fin de reducir las posibilidades de desarrollar cáncer. Aún quedan preguntas que tenemos que responder sobre los efectos colaterales, como las hemorragias internas, quién se beneficiaría más de tomar aspirina y quién no, qué dosis y por cuánto tiempo habría que tomar la droga", agregó.</p> <p>Según Lyness, "por el momento, hay muchas formas de reducir el riesgo del cáncer, como dejar de fumar, reducir el consumo de bebidas alcohólicas y mantener un peso sano".<br /> abril 25/2012 (ANSA)-</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011<strong> "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>E Bastiaannet, K Sampieri, O M Dekkers, A J M de Craen, M P P van Herk-Suke, V Lemmens.<em><strong>Use of Aspirin postdiagnosis improves survival for colon cancer patients.</strong> British Journal of Cancer</em> (2012) 106, 1564-1570.</p>
2012-05-05T09:30:49-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/316
Cáncer: Describen un mecanismo para frenar la migración de las células del cáncer cerebral
2012-05-03T06:34:39-04:00
Revista Finlay
<p>Un equipo de investigadores ha descubierto que una proteína que transporta sodio, potasio y cloro, puede dar pistas sobre cómo el glioblastoma -el tipo más común y letal de cáncer cerebral- se desarrolla e invade el tejido cerebral cercano. Los resultados del estudio, publicados en <em>PLoS Biology, </em>también sugieren que un fármaco de bajo coste ya existente en el mercado podría frenar el crecimiento de las células del glioblastoma.<br /> <br /> "El mayor reto en el cáncer de cerebro es controlar la migración de las células cancerosas", afirma el coordinador del estudio, Alfredo Quiñones-Hinojosa, profesor asociado de Neurocirugía y Oncología en la Universidad Johns Hopkins, en Estados Unidos, quien apunta que "si logramos controlar estas células antes de que lleguen a otras partes del cerebro, podríamos hacer que los tumores malignos fueran más manejables y mejorar, así, la esperanza y la calidad de vida de los enfermos. Este nuevo descubrimiento nos acerca a una cura".<br /> <br /> El glioblastoma, que se diagnostica en, aproximadamente, 10.000 estadounidenses cada año, es tan agresivo que el promedio de vida después del diagnóstico es de tan sólo 15 meses. El cáncer se extiende por el tejido cerebral sano de manera rápida, haciendo que las curas quirúrgicas sean prácticamente imposibles.<br /> <br /> En la búsqueda de maneras de prevenir o limitar la propagación, los investigadores se centraron en una proteína llamada NKCC1, que se encuentra en las células tumorales humanas, y también en las células tumorales inyectadas en ratones. La proteína NKCC1 transporta sodio, potasio y cloro, y regula el volumen celular.</p> <p><strong>La proteína de la movilidad</strong><br /> <br /> El equipo de Quiñones-Hinojosa observó que las células con más NKCC1 parecen moverse más, ya que la proteína facilita que las células tumorales se propulsen a través del tejido. Cuanta más cantidad de esta proteína se encuentra en la célula tumoral, más rápido se mueven las células del glioblastoma. Por el contrario, cuando NKCC1 se encontraba ausente, las células se adherían a las células circundantes. Esta mayor adherencia mantiene a las células ancladas en un mismo lugar, limitando la migración.<br /> <br /> En los experimentos, los investigadores bloquearon la proteína, frenando así la migración de las células tumorales. Menos movilidad, según afirma Quiñones-Hinojosa, significa menos invasión del tejido circundante.<br /> <br /> Para bloquear el canal de la proteína, el equipo utilizó la bumetanida diurética, una píldora utilizada rutinariamente para reducir la retención de líquidos. El fármaco bloqueó el transportador de NKCC1, y desaceleró el movimiento de las células.<br /> <br /> Los investigadores también observaron que cuanto menor es la cantidad de proteína presente en las células, menos agresivo es el tumor, lo que sugiere que NKCC1 no sólo contribuye a la proliferación de los tumores, sino que también sirve como un marcador potencial para el diagnóstico.</p> <br /><a href="http://www.plosbiology.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pbio.1001320" target="_blank">PLoS Biology (2012); doi:10.1371/journal.pbio.1001320</a>
2012-05-03T06:34:39-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/315
Hipertensión arterial: Tomar la tensión en ambos brazos puede prevenir una enfermedad vascular
2012-05-01T09:07:24-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Diferencias en la presión sanguínea entre el brazo izquierdo y el derecho de una persona podrían indicar que el paciente padece una enfermedad vascular y que tiene un mayor riesgo de muerte, según el meta-análisis realizado por investigadores de la University of Exeter, en Devon (Reino Unido).</p> <p>Los autores de dicha investigación, que ha sido publicada en la versión on line de<a href="http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2811%2961710-8/abstract" target="_blank"><em><strong> The Lancet</strong></em></a>(doi:10.1016/S0140-6736(11)61710-8), sugieren que se debería medir la presión sanguínea en ambos brazos de forma rutinaria.</p> <p>En concreto, en el análisis incluyeron un total de 28 investigaciones sobre diferencias en presión sanguínea sistólica entre brazos, y encontraron significativas evidencias que sugieren que una diferencia de 15 miligramos Hg o más está asociada con un mayor riesgo de: enfermedad vascular periférica (un riesgo 2,5 veces mayor); enfermedades cerebrovasculares preexistentes (1,6 veces más); mortalidad cardiovascular (un 70% de riesgo mayor) y toda causa de mortalidad (un 60% más).</p> <p>Los autores del trabajo, liderados por el doctor Christopher E. Clark, del Peninsula College of Medicine and Dentistry, en la University of Exeter, señalan que estos resultados sugieren que, "una diferencia en la presión sanguínea sistólica de 10 mm Hg o más o de 15 mm Hg o más entre brazos podría identificar a los pacientes con alto riesgo de enfermedad vascular periférica asintomática y mortalidad, quien podría beneficiarse de más valoraciones".</p> <p>Así, según estos expertos, "los descubrimientos de este estudio deberían incorporarse a las futuras guías para la hipertensión y la medición de la presión sanguínea para justificar su medida en los dos brazos en los individuos a valorar y para promover controles dirigidos a la enfermedad vascular periférica y el manejo de factores de riesgo agresivos en sujetos con una diferencia sistólica entre brazos demostrable".<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=24269&Itemid=413" target="_blank"><strong>abril 30/2012 (Diario Salud)</strong></a></p> <p><strong>Nota</strong>: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Christopher E Clark, Rod S Taylor, Angela C Shore, Obioha C Ukoumunne, John L Campbell.<em><strong>Association of a difference in systolic blood pressure between arms with vascular disease and mortality: a systematic review and meta-analysis:</strong></em>Publicado en <em>The Lancet</em>.Enero 30, 2012.</p> </span>
2012-05-01T09:07:24-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/314
Hipertensión arterial: Los hipertensos que consumen alcohol controlan peor su enfermedad
2012-04-28T12:40:43-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Una investigación del Hospital Universitario Ntra. Sra. de Candelaria de Canarias, ha mostrado que, junto a la obesidad y el exceso de colesterol, dos nuevos factores de riesgo dificultan un buen control de la hipertensión arterial: el consumo de alcohol –aunque sea mínimo- y una frecuencia cardíaca por encima de los 80 latidos por minuto.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En el trabajo, recientemente publicado en <em>la Revista Española de Cardiología,</em> han participado más de 6.500 canarios de edades comprendidas entre los 18 y los 75 años, que fueron reclutados aleatoriamente en todas las islas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Los pacientes hipertensos diagnosticados se encuentran mejor tratados y más informados que hace 20 años, gracias a la labor efectuada desde la red de los centros de salud y los hospitales”, explica Antonio Cabrera, director del grupo. “En la actualidad, el 65% de personas con esta enfermedad conoce que la tiene y casi el 40% de las mujeres logra controlarla, cuando los últimos datos conocidos de finales de siglo pasado hablaban de sólo un 10% de control”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Así y todo, el Dr. Cabrera subraya la existencia de un grupo poblacional integrado mayoritariamente por hombres jóvenes aparentemente sanos, que no saben que padecen hipertensión, por lo que “se hace necesario incrementar el cribado oportunista en estas personas para localizarlas a tiempo y que puedan seguir tratamiento antes de presentar consecuencias graves”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Entre sus conclusiones, el estudio pone de manifiesto que la ingesta habitual de alcohol obstaculiza el control de la hipertensión. Según recalca el investigador, “todo paciente con este hábito debería plantearse dejarlo si no logra mantener su presión arterial en valores normales”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Otro factor sobre el que advierte el trabajo es la frecuencia cardiaca. En este sentido, el Dr. Cabrera confirma que “el ritmo acelerado de los latidos del corazón es un signo preocupante asociado a la hipertensión; la evidencia es clara en individuos cuyo ritmo cardiaco supera la barrera de los 80 latidos por minuto, si bien para estos casos la farmacología cuenta con aliados, como son los betabloqueantes”.</div> <a href="http://www.revespcardiol.org/es/revistas/revista-espa%C3%B1ola-cardiologia-25/factores-riesgo-cardiovascular-espa%C3%B1a-primera-decada-siglo-90002079-epidemiologia-factores-riesgo-prevencion-2011" target="_blank">Rev Esp Cardiol. 2011;64:295-304. - Vol.64 Núm 04 DOI: 10.1016/j.recesp.2010.11.005</a>
2012-04-28T12:40:43-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/313
Hipertensión arterial: Una nueva técnica consigue controlar el 85% de los casos de hipertensión resistente a los fármacos
2012-04-28T12:09:17-04:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Se trata de la denervación renal percutánea, que consiste en introducir un catéter en las arterias renales para desconectar las terminaciones nerviosas del sistema simpático, implicado en el control de la presión arterial.</p> <div class="content"><p>La Sociedad Española de Cardiología (SEC) ha advertido de que la hipertensión arterial constituye un grave problema de salud y ha comunicado que uno de los principales avances que se han producido al respecto es la aplicación de una nueva técnica, la denervación renal percutánea, que trata la hipertensión resistente o refractaria. <br /> <br /> Según ha destacado la SEC, se calcula que, en España, hay 10 millones de personas con hipertensión, de las cuales un millón (el 10% de los hipertensos) tienen hipertensión resistente, es decir, un tipo de hipertensión arterial que no se consigue controlar con los fármacos antihipertensivos. <br /> <br /> “La hipertensión es un problema de salud muy importante, porque produce un deterioro progresivo de los órganos, por lo que es imperativo tratarla a corto, medio y largo plazo. Para ello, se dispone de un amplio arsenal de fármacos antihipertensivos y de la modificación de los hábitos de vida. La mezcla de ambas medidas consigue un control adecuado de la presión arterial. Pero no es así en la hipertensión arterial resistente o refractaria, aquella en la que, a pesar de tomar el paciente varios fármacos (tres o cuatro), sigue con las cifras de presión arterial elevadas, una situación que nos preocupa”, expone el Dr. Fernando Arribas, miembro de la SEC, jefe de sección de Cardiología y de la Unidad de Arritmias del Hospital 12 de Octubre, de Madrid. <br /> <br /> Desde hace pocos meses, se practica en España una nueva técnica eficaz en los hipertensos que no responden a los fármacos. Se trata de la denervación renal percutánea, consistente en introducir unos catéteres que liberan energía eléctrica (radiofrecuencia) y cauterizan de forma controlada las terminaciones nerviosas de las arterias del riñón, implicadas en el aumento de la presión arterial. <br /> <br /> La desconexión de las fibras nerviosas mejora el control de la hipertensión en el 85% de los pacientes con hipertensión resistente y esta mejoría se mantiene. Al menos así se ha visto durante dos años, el mayor seguimiento de que se dispone hasta la fecha de los procedimientos de este tipo efectuados en todo el mundo. En España, hasta ahora, se han llevado a cabo 34 de estos procedimientos en 15 hospitales españoles públicos y privados con resultados exitosos, desde que comenzó a aplicarse.<br /> <br /> Anteriormente, “se habían aplicado otras intervenciones para tratar la hipertensión secundaria, es decir, debida a otras alteraciones, pero se han realizado muy pocas, porque la mayor parte de la hipertensión es de tipo primario, es decir, no conocemos su origen”, explica el Dr. Arribas. <br /> <br /> Por esta razón, “se debe tratar el sistema nervioso que regula el funcionamiento interno de todo el organismo, que se regula de forma autónoma. El sistema nervioso autónomo consta de un componente simpático (estimulante) y uno parasimpático (relajante). Se sabe que el sistema nervioso simpático tiene un papel importante en la producción y mantenimiento de la hipertensión arterial, en la que participa el riñón del paciente y la hipertensión arterial aumentada está conectada a la parte simpática del sistema autónomo. Desde hace años, la cirugía trataba de interrumpir la inervación del riñón para controlar la hipertensión, pero era cruenta y tenía consecuencias negativas, por lo que apenas se realizó”, informa el Dr. Arribas.<br /> <br /> Hacia nuevas indicaciones<br /> <br /> “Más recientemente, se ha empezado a realizar la denervación renal percutánea, por medio de catéteres especiales que liberan energía eléctrica (radiofrecuencia) y producen una especie de cauterización o quemadura controlada, como en una ablación de arritmias. Es parecido a un catéter modificado y sigue el mismo esquema terapéutico: Este catéter se introduce dentro de la arteria renal, con el objetivo de alterar la inervación simpática y modificar la hipertensión, para controlarla. Esta técnica, controlando la hipertensión ya ha demostrado sus efectos beneficiosos revirtiendo algunos de los efectos negativos sobre el corazón. Es ambulatoria, eficaz y segura y es posible que se aplique en otras indicaciones”, comenta el Dr. Arribas. <br /> <br /> “Podría funcionar bien en otras enfermedades en las que esté implicado el riñón, como la insuficiencia cardiaca avanzada, la enfermedad hepática en fase muy avanzada, en la que el riñón interviene en la retención de líquidos y el mantenimiento de la enfermedad, y otra área en la que podría tener un papel es en el retorno de la actividad del nervio simpático del organismo para mejorar el manejo de los pacientes con problemas de diabetes, aunque esta es un área abierta, de futuro y no de presente”, destaca el Dr. Arribas. <br /> <br /> Los beneficios de esta técnica en la hipertensión resistente ya quedaron bien probados mediante los estudios Simplicity 1 y Simplicity 2. Ahora, un nuevo estudio, el Simplicity HF (de Heart Failure) evalúa, en pacientes humanos, su utilidad para mejorar la insuficiencia cardiaca avanzada. En cambio, su aplicación para modular la respuesta a la insulina se encuentra en una fase de estudio mucho más embrionaria y a largo plazo. <br /> <br /> “Los resultados que tenemos por ahora son estimulantes. Otros cambios sobre esta técnica en los próximos tiempos provendrán de la modificación de los dispositivos que liberan la energía o tipo de catéteres, de la misma forma que nos ocurrió con los dispositivos para realizar la ablación en las arritmias”, anticipa el Dr. Arribas.</p></div>
2012-04-28T12:09:17-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/312
Cáncer: Investigadores vascos desarrollan una terapia de sondas magnéticas contra el cáncer de colon
2012-04-24T07:13:44-04:00
Revista Finlay
Una investigación conjunta del Hospital de Galdakao y de la Universidad del Pais Vasco UPV/EHU desarrolla una técnica para el diagnóstico y tratamiento de la metástasis del cáncer de colon, a través de nanopartículas depositadas en los tejidos tumorales.<br /> <br /> “Estamos desarrollando unas sustancias con una doble utilidad: el diagnóstico por Resonancia Magnética o Tomografía Computada de las metástasis hepáticas del cáncer de colon y la destrucción selectiva del tejido cancerígeno”, señala el Dr. José Javier Echevarria, coordinador de la investigación.<br /> <br /> El fluido magnético obtenido se deposita por vía intraarterial en el tejido tumoral y se activan las nanopartículas mediante radiofrecuencia; éstas se calientan y provocan hipertermia y necrosis coagulativa en los tejidos.<br /> <br /> La técnica ha sido probada con resultados prometedores en ratas y ha obtenido varios premios nacionales e internacionales, como el ‘Scientific Exhibition Award’ en el European Congress of Radiology o el premio a la mejor comunicación del último Congreso de la Sociedad Española de Investigaciones Quirúrgicas.<br /> <br /> Una técnica para diagnosticar y tratar las metástasis del cáncer de colon a través de nanopartículas. Es lo que llevan desarrollando desde hace seis años un grupo de investigadores formado por facultativos de los Servicios de Radiología y de Anatomía Patológica del Hospital de Galdakao, médicos de Osatek, profesores de las facultades de Medicina y de Ciencias de la Universidad del País Vasco UPV/EHU e investigadores del centro tecnológico Joxe Mari Korta <br /> <br /> Todos ellos trabajan en el desarrollo de agentes teranósticos (uso terapéutico y diagnóstico) de aplicación en la patología metastásica hepática del cáncer de colon. “El objetivo es obtener unas sustancias con una doble utilidad: diagnóstico por Resonancia Magnética o Tomografía Computada de metástasis hepáticas de cáncer de colon, y destrucción selectiva del tejido tumoral mediante termocoagulación”, explica el Dr. José Javier Echevarria, responsable de la unidad de Radiología Experimental del Servicio de Radiodiagnóstico del Hospital de Galdakao, y coordinador del proyecto.<br /> <br /> Lo que este equipo viene realizando es la producción y estudio de diferentes tipos de nanopartículas magnéticas de magnetita, funcionalizadas con diferentes tipos de sustancias (denominadas nanocomplejos), que se depositan en el tejido tumoral. “Estos nanocomplejos, al ser sometidos a un sistema externo inductor de radiofrecuencia, se activan y generan calor; al alcanzar una determinada temperatura, provocan hipertermia y necrosis coagulativa de los tejidos tumorales donde están depositados”, apunta Echevarria.<br /> <br /> La línea de investigación desarrollada en Galdakao y la UPV/EHU durante este periodo ha sido ya reconocida nacional e internacionalmente, y ha tenido eco en la revista<em> International Journal of Nanomedicine</em> y <em>Radiología. </em>Además, ha logrado numerosos premios, entre los que destaca el premio a la Mejor Comunicación Póster en el XVII Congreso SEIQ (Sociedad Española de Investigaciones Quirúrgicas), que es el más reciente.
2012-04-24T07:13:44-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/311
Cáncer: Cáncer de mama engloba diez tumores distintos
2012-04-24T07:04:51-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El cáncer de mama engloba en realidad diez subtipos de tumores diferentes entre sí, hallazgo que supone un gran avance para los tratamientos personalizados contra esta enfermedad, explicó Carlos Caldas, quien encabeza el grupo de científicos que ha realizado el trabajo.</p> <p>Una veintena de científicos de las Universidades de Cambridge en Reino Unido y British Columbia, Canadá, lograron identificar diez subtipos de cáncer de mama, así como algunas de las diferencias genéticas y moleculares entre unos y otros.</p> <p>El estudio, cuyas conclusiones publica <em><strong>Nature</strong></em> (doi:10.1038/nature10983), consistió en analizar el ADN de 2 mil tumores mediante la tecnología más moderna de rayos X, durante cinco años.</p> <p>"El cáncer de mama no es solo una enfermedad, sino diez enfermedades distintas, realmente diferentes entre sí desde un punto de vista clínico y biológico, ya que en ellas intervienen distintos genes. Esto supone una perspectiva completamente nueva de mirar al cáncer", explicó el investigador principal del estudio, el doctor portugués Carlos Caldas, de la Universidad de Cambridge.</p> <p>Además, los investigadores hallaron varias docenas de genes involucrados en el cáncer de mama desconocidos hasta ahora, que podrían servir como diana para nuevas terapias en el futuro.</p> <p>"Pudimos identificar genes que eran muy abundantes en un tipo de tumor, pero que estaban prácticamente ausentes en otros tipos", añadió Caldas.</p> <p>En su opinión, el hallazgo sobre estos genes y de las clases de tumores en las que están involucrados servirá para elaborar tratamientos personalizados -consistentes en evaluar factores como la información genética, los antecedentes familiares y la historia clínica del paciente- para cada tipo de cáncer de mama.</p> <p>Solo en uno de los diez subtipos identificados, los científicos hallaron una presencia significativa de un gen hereditario, denominado BRIC1, que predispone al cáncer de mama.</p> <p>Además, entre los diez subtipos descubiertos, uno desconocido hasta ahora llama la atención de los investigadores, ya que todos los indicios apuntan a que el sistema inmune es capaz de reconocer la presencia de la enfermedad y trata de combatirla.</p> <p>"Sorprendentemente, en este caso observamos una actividad interesante de los linfocitos, lo que sugiere que el sistema inmune probablemente reconoce estos tumores y reacciona contra ellos", detalló el investigador.</p> <p>"Si pudiéramos averiguar por qué en estos tumores el sistema inmune se activa, podríamos intentar hallar formas por las que estimular al sistema inmune para combatir otros tipos de cáncer de mama", afirmó Caldas.</p> <p>Hasta ahora, las investigaciones del cáncer de mama y sus causas se encontraban en un estado muy inicial, ya que para que los resultados sean significativos es preciso utilizar una muestra de pacientes muy amplia.</p> <p>Las conclusiones del estudio de Caldas equivalen a encontrar "un nuevo mapa contra el cáncer de mama, con el que navegar mejor, tanto en el ámbito clínico como en el laboratorio".</p> <p>Así, los ensayos clínicos del futuro deberán tener en cuenta esta información y centrarse en cada uno de los tipos descubiertos.</p> <p>A nivel biológico, las investigaciones serán mucho más precisas, porque resulta "imposible" para un solo equipo abarcar toda la tipología, opinó el doctor, cuyo laboratorio se va a centrar en una o dos clases de tumores.</p> <p>Aunque no descarta que exista algún tipo adicional a los diez identificados, Caldas cree que estos son los principales y que, a partir de ahora, los investigadores encontrarán las ramificaciones de cada uno de ellos.</p> <p>"Utilizando la analogía del mapa, hemos identificado los tipos principales, como si fueran los continentes, y en adelante es posible que encontremos países, ciudades y calles", añadió el doctor.<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=24538&Itemid=413" target="_blank">abril 22/2012 (diariosalud.net)</a></p> <p>Christina Curtis, Sohrab P. Shah, Suet-Feung Chin, Gulisa Turashvili, Oscar M. Rueda, Mark J. Dunning, et. al. <a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature10983.html" target="_blank"><em><strong>The genomic and transcriptomic architecture of 2,000 breast tumours reveals novel subgroups</strong></em></a>. <em>Nature</em>, publicado abril 18/2012.</p> </span>
2012-04-24T07:04:51-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/310
Medicamentos: La insulina ultralenta reduce hasta un 25% la tasa de hipoglucemia nocturna en pacientes diabéticos
2012-04-22T21:15:41-04:00
Revista Finlay
<p>La insulina de acción ultralenta degludec, un análogo de nueva generación para el tratamiento de las personas con diabetes tipo 1 y 2 desarrollado por Novo Nordisk, ha demostrado una reducción de hasta un 25% en la tasa de hipoglucemias nocturnas frente a glargina, según recogen dos artículos publicados por la revista <em>The Lancet.</em><br /> <br /> Los estudios en fase III, en los que han participado un total de 1.635 personas, han evaluado los efectos de la insulina degludec frente a la glargina en los pacientes con diabetes tipo 1 y 2. La metodología de ambos trabajos se basó en la regulación de la dosis de insulina de forma sistemática para alcanzar el nivel de glucosa necesario de forma rápida. Los resultados han demostrado que los pacientes lograron mejorar el control de la glucosa, permitiendo a los investigadores determinar de forma fehaciente las diferencias en las tasas de hipoglucemia.<br /> <br /> “La hipoglucemia representa una preocupación importante para los pacientes diabéticos y, por tanto, para los investigadores, lo que se conduce al desarrollo de tratamientos óptimos”, afirma Alan Garber, profesor del Departamento de Medicina del Baylor College of Medicine de Houston, Texas, y autor de uno de los artículos publicados en <em>The Lancet. “</em>Controlar los eventos hipoglucémicos cobra especial relevancia durante las horas de sueño, cuando es más difícil para los pacientes detectar sus síntomas y combatirlos. Las nuevas insulinas como degludec podría mitigar esta preocupación”.<br /> <br /> En el caso de los pacientes con diabetes tipo 2, los estudios han puesto de manifiesto una significativa disminución de la tasa de eventos hipoglucémicos con la insulina degludec, en comparación con aquellos pacientes que eran tratados con glargina (11,1 vs. 13,6 episodios/paciente/año); en los pacientes con diabetes tipo 1, esta cifra fue equiparable en ambos brazos del estudio. La tasa de hipoglucemia nocturna fue un 25% menor en los casos de pacientes con diabetes tipo 1 y 2 tratados con insulina degludec (4,4 vs. 5,9 episodios/año y 1,4 vs. 1,8 episodios/año respectivamente).</p> <br /><a href="http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2812%2960205-0/abstract" target="_blank">The Lancet (2012); doi:10.1016/S0140-6736(12)60205-0</a>
2012-04-22T21:15:41-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/309
Tabaquismo: El humo del tabaco agrava los síntomas alérgicos
2012-04-17T09:06:41-04:00
Revista Finlay
<img title="cigarrette2_540_540" src="/public/site/images/mikhail/cigarrette2_540_540.jpg" alt="cigarrette2_540_540" width="270" height="202" />El humo del tabaco agrava los síntomas alérgicos, ya que los cigarrillos contienen sustancias químicas que "irritan las mucosas respiratorias y provocan una mayor exposición de éstas a los alérgenos", según asegura el director de la Clínica Ojeda de Asma y Alergia, el Dr. Pedro Ojeda. "El tabaco es perjudicial para la salud, pero lo es aún más para las personas que tienen algún tipo de alergia. Estos pacientes ven agravada su sintomatología por el humo y tienen mayor resistencia a los tratamientos antihistamínicos", añade el Dr. Ojeda. <br /> <br /> Por ello, este especialista recomienda que los fumadores alérgicos soliciten ayuda profesional en las unidades de cesación tabáquica. Este año se prevén concentraciones del polen de gramíneas de en torno a los 2.600 granos, "cuando la mayoría de los pacientes ya presentan síntomas a partir de los 50", subraya el Dr. Ojeda.<br /> <br /> Los individuos alérgicos tienen síntomas que van desde la congestión nasal a la conjuntivitis, pasando por los estornudos. Si, además, el paciente es fumador, aumenta la facilidad del alérgeno de penetrar en el organismo, impactando de una doble manera sobre las vías respiratorias.<br /> <br /> Asimismo, se produce una prolongación de la permanencia del alérgeno en la mucosa y, por lo tanto, un recrudecimiento de los síntomas en los fumadores. Esta coyuntura no es exclusiva de los fumadores, ya que los pasivos "también se ven afectados por el humo del tabaco aunque no de forma tan acentuada", concluye este experto.
2012-04-17T09:06:41-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/308
Enfermedad de Alzheimer: Un gen determina la pérdida de conexiones neuronales, antesala del Alzheimer
2012-04-16T09:24:03-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Instituto de Neurociencias de la Universidad Autónoma de Barcelona (INc-UAB) han logrado describir el papel que juega el gen Nurr1 en la supervivencia neuronal asociada a la actividad sináptica. Este descubrimiento, publicado en <em>Journal of Biological Chemistry,</em> ayudará a comprender algo mejor la relación entre las alteraciones en la conexión de neuronas, responsables del déficit cognitivo temprano, y la degeneración neuronal, característica de la enfermedad de Alzheimer.<br /> <br /> Durante el desarrollo del cerebro, cientos de miles de neuronas mueren si no establecen las conexiones adecuadas con sus dianas celulares. La regulación de la supervivencia y muerte neuronal mediante este mecanismo es un proceso fundamental en la organización de las conexiones cerebrales que formarán un cerebro adulto.<br /> <br /> Pero el papel de la actividad sináptica sobre la supervivencia de las neuronas no se limita al cerebro en desarrollo, sino que también es fundamental en el cerebro adulto, y la pérdida de dicha actividad, que se traduce en los trastornos cognitivos característicos de enfermedades neurodegenerativas como el Alzheimer, precede y contribuye a la muerte neuronal observada en dichas patologías. A pesar de la importancia de este proceso, no se conocen con exactitud los mecanismos moleculares que están implicados en la supervivencia neuronal generada por esta actividad.<br /> <br /> En el estudio, dirigido por José Rodríguez Álvarez, investigador del Instituto de Neurociencias de la UAB, se ha determinado la relación de un gen con la supervivencia neuronal mediada por la actividad sináptica. El trabajo identifica, mediante el análisis masivo de la actividad génica, varias decenas de genes cuya función es regulada por esta actividad. Entre estos genes, el estudio demuestra el papel clave de uno de ellos, Nurr1, en la supervivencia de las neuronas.</p> <p>Entre otras evidencias, los investigadores han observado que las neuronas que tienen silenciada la actividad de este gen acaban muriendo. Esta identificación, concluye la investigación, aporta una mejor comprensión de la relación que existe entre los déficits sinápticos tempranos y la neurodegeneración posterior observada en la enfermedad de Alzheimer.</p> <br /><br /><a href="http://www.jbc.org/content/287/14/11351.abstract?sid=d39e2238-cc97-48b8-bf78-8a7ef694dd0f" target="_blank">The Journal of Biological Chemistry (2012); doi: 10.1074/jbc.M111.272427 </a>
2012-04-16T09:24:03-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/307
Medicamentos: Suplementos de omega-3 no evitan el evento cardiovascular
2012-04-16T09:21:03-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img title="omega-3_305" src="/public/site/images/mikhail/omega-3_305.jpg" alt="omega-3_305" width="305" height="293" />Un metanálisis sugiere que no hay pruebas suficientes de que los suplementos con ácidos grasos omega-3 tengan un efecto preventivo en los pacientes que han sufrido una enfermedad cardiovascular.</p> <p>Sang Mi Kwak, del Centro de Prevención y Detección del Cáncer, en Seúl, Corea del Sur, ha dirigido el análisis para estudiar la asociación entre prevención secundaria y los suplementos de ácidos grasos omega-3 (ácido eicosapentaenoico o EPA y ácido docosahexaenoico o DHA).</p> <p>Los estudios incluyeron a 20 485 pacientes con enfermedad cardiovascular. La edad media de los sujetos fue de 63,4 años; el 78,5 % eran hombres. En los trabajos, entre junio de 1995 y noviembre de 2010, la dosis diaria de EPA o de DHA oscilaba entre los 0,4 y los 4,8 gramos diarios y el seguimiento de los sujetos discurrió entre los doce meses y los 4,7 años. Los resultados se publican en el último número de <strong><em>Archives of Internal Medicine</em></strong> (DOI: 10.1001/archinternmed. 2012.262).</p> <p>"La evidencia del efecto preventivo secundario de estos ácidos esenciales poliinsaturados es insuficiente", dicen los autores. "Tampoco hallamos un efecto beneficioso de los suplementos con ácidos grasos omega-3 en otros eventos cardiovasculares, como infarto de miocardio, muerte súbita cardiaca e ictus, ni en otras causas de mortalidad".</p> <p>En un comentario al respecto en la misma publicación, Frank B. Hu, de la Facultad de Salud Pública de Harvard, y Joann E. Manson, del Hospital Brigham and Women, ambos en Boston, sintetizan el mensaje a los médicos: "No hay pruebas concluyentes para la suplementación con fines preventivos primarios o secundarios de la enfermedad cardiovascular, pero sí para recomendar una dieta rica en pescado graso, pues no solo aporta omega-3, sino que sustituye a otras fuentes proteicas menos sanas, como la carne roja".<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2012/04/11/area-cientifica/especialidades/cardiologia/investigacion/sin-pruebas-concluyentes-suplementos-omega-3-eviten-evento-cardiovascular-pacientes" target="_blank">abril 15/2012 (Diario Médico) </a></p> <p>Sang Mi Kwak, Seung-Kwon Myung, Young Jae Lee, Hong Gwan Seo. <a href="http://archinte.ama-assn.org/cgi/content/abstract/archinternmed.2012.262v1" target="_blank"><em><strong>Efficacy of Omega-3 Fatty Acid Supplements (Eicosapentaenoic Acid and Docosahexaenoic Acid) in the Secondary Prevention of Cardiovascular Disease</strong></em></a>. <em>Arhc Intern Med</em>. publicado abril 9/2012.</p> </span>
2012-04-16T09:21:03-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/306
Nutrición: Identifican un suplemento nutritivo que inhibe el crecimiento celular del cáncer pancreático
2012-04-13T11:33:32-04:00
Revista Finlay
<p>El suplemento alimenticio ácido gamma linolénico puede inhibir el crecimiento de un subconjunto de células de cáncer pancreático y promover selectivamente la muerte celular en los ratones, según un estudio de la Clínica Mayo. En concreto, el suplemento, que es un ácido graso también conocido como GLA, funciona particularmente bien en combinación con la gemcitabina, que es un fármaco quimioterapéutico.</p> <p>"Uno de los puntos más demoledores del cáncer pancreático es la escasez de medicamentos capaces de detener al tumor", ha lamentado la doctora Ruth Lupu, quien ha presentado los resultados del estudio durante la reunión anual de la Asociación Americana para Investigación sobre el Cáncer.</p> <p>Así, el equipo de investigación comprobó, en primer lugar, el GLA contra una variedad de líneas celulares de cáncer pancreático, y descubrió que era eficaz solamente contra un subtipo mediante la expresión de un gen para la sintasa de ácidos grasos.<br /> "Este descubrimiento fue fascinante porque nos dimos cuenta que el GLA funcionaba selectivamente y tenía un objetivo específico dentro de las células", ha precisado la experta.</p> <p>Durante la comprobación del GLA en las células con altos niveles de sintasa de ácidos grasos, los científicos descubrieron que el GLA inhibía alrededor de 85 por ciento del crecimiento celular, mientras que el efecto ejercido solo por la gemcitabina --que es la quimioterapia estándar para el cáncer de páncreas-- era modesto sobre la inhibición celular. Al combinar el GLA con la gemcitabina, el crecimiento celular se inhibió completamente.</p> <p>De esta manera, el equipo investigó la combinación en ratones modelo con cáncer pancreático y descubrió que el GLA combinado con la gemcitabina inhibía significativamente el crecimiento tumoral. "El funcionamiento de ambos tratamientos fue sincrónico, y se logró inhibir el crecimiento celular de forma significativamente mayor, además de que aumentó la incidencia de muerte de las células del carcinoma pancreático", ha señalado Lupu.</p> <p>"No sabemos por qué la combinación de ambos funciona mejor, aunque se sabe que muchos otros fármacos operan mejor en conjunto", ha afirmado esta experta, quien ha advertido de que ni las personas enfermas, ni las sanas deben apresurarse a consumir el GLA. Tampoco alterar su régimen de quimioterapia sin antes consultar con el oncólogo.</p> <p>La siguiente etapa de la investigación del grupo será el desarrollo de un ensayo clínico de fase I para probar la combinación del GLA y la gemcitabina en seres humanos. También comprobará el GLA en combinación con otros fármacos quimioterapéuticos actualmente en uso para el tratamiento del cáncer de páncreas.</p> <p>"Dado que la resistencia a la gemcitabina y a otros fármacos quimioterapéuticos puede ser un problema en el tratamiento, se espera que el GLA funcione en combinación con otras quimioterapias para ofrecer a los pacientes una amplia gama de oportunidades de tratamiento", ha señalado.</p>
2012-04-13T11:33:32-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/305
Cáncer: Describen el papel que desempeña un gen supresor de tumores en la regulación del sistema inmune innato
2012-04-12T06:36:29-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Instituto de Salud Carlos III han descrito un nuevo papel del gen supresor de tumores ARF en la respuesta inflamatoria. Este gen es una de las principales defensas contra el cáncer en mamíferos y las mutaciones en el mismo están presentes en el 50% de los tumores humanos.</p> <div style="margin-bottom: 0cm;"><p>El estudio, publicado a finales del pasado año en la revista<em> Journal of Immunology,</em> aporta información sobre el funcionamiento del sistema inmune en ausencia de este gen, y revela la importancia del mismo en la puesta en marcha de una respuesta inflamatoria adecuada.</p></div> <div style="margin-bottom: 0cm;"><p>Sonsoles Hortelano, jefa de la Unidad de Inflamación y Cáncer y coordinadora del trabajo, desarrollado por el equipo multicéntrico coordinado y dirigido por investigadores de la Unidad de Inflamación y Cáncer, señala que "el papel de los genes supresores de tumores en la inmunidad innata es todavía un gran desconocido". "Los resultados de nuestro trabajo abren las puertas a un mejor entendimiento de sus funciones en la defensa frente a los patógenos y contribuyen aun mejor entendimiento de la relación entre cáncer e inflamación", añade.</p></div> <div style="margin-bottom: 0cm;"><p>El sistema inmune constituye uno de los principales mecanismos de defensa utilizado por nuestro organismo para protegernos de la invasión o infección por patógenos, así como para prevenir la progresión tumoral. El trabajo revela que ARF desempeña un papel importante en la regulación del sistema inmune innato, un hecho sobre el que, hasta el momento, no se tenían datos.</p></div> <div style="margin-bottom: 0cm;"><p>Una de las células que desempeña un papel primordial en la respuesta inmunitaria es el macrófago que, en respuesta a citoquinas y productos microbianos, exhibe dos tipos de activación. La clásica, denominada M1, que libera gran cantidad de mediadores inflamatorios y citoquinas y que genera un fenotipo donde los macrófagos muestran actividad citotóxica contra los microorganismos y las células tumorales y otra denominada alernativa o M2, mucho menos conocida, en la que los macrófagos ejercen funciones protumorales, promueven la remodelación de la matriz y la reparación del daño, así como suprimen la respuesta inmune disminuyendo las funciones medidas por los macrófagos M1.</p></div> <div style="margin-bottom: 0cm;"><p>"Si bien estas actividades son de extrema importancia durante la reparación de tejidos y la resolución de los procesos inflamatorios, en el contexto del crecimiento tumoral son enormemente perjudiciales", explica Hortelano. Hasta hace poco, a los genes supresores de tumores se les confería un papel exclusivo en el contexto tumoral; sin embargo, este concepto está cambiando y cada vez hay más evidencias de que presentan funciones más amplias como sensores frente a diferentes tipos de estrés.</p></div> <br /><br /><a href="http://www.jimmunol.org/content/187/12/6527.abstract?sid=7c33cfe4-9b39-4fc4-b6c8-844bacb15422" target="_blank">Journal of Immunology (2012); doi: 10.4049/jimmunol.1004070 </a>
2012-04-12T06:36:29-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/304
Cáncer: Casi la mitad de los pacientes que superan un cáncer muere a causa de otra enfermedad
2012-04-09T16:46:10-04:00
Revista Finlay
<p>A pesar de que la recurrencia del cáncer puede ser el miedo primordial de muchos sobrevivientes, casi la mitad de los supervivientes, según un estudio presentado recientemente, muere debido a otras enfermedades. Los resultados de dicho trabajo indican que los sobrevivientes del cáncer podrían beneficiarse de un enfoque más integral de su salud, menos centrado en el cáncer, según el investigador Yi Ning, profesor asistente en el departamento de Epidemiología y Salud Comunitaria, de la Virginia Commonwealth University (VCU), y miembro asociado de investigación en el Centro del Cáncer Massey, de la VCU. Ning ha presentado los resultados de la investigación en la Reunión Anual de la Asociación Americana de Investigación del Cáncer (AACR, por sus siglas en inglés).</p> <p>"Durante el estudio, nos dimos cuenta de que las tasas de mortalidad por algunos tipos de cáncer, como el cáncer de mama, habían disminuido", explica Ning, "los sobrevivientes de cáncer viven más tiempo ahora, que hace varias décadas. Por tanto, debemos prestar más atención al estado general de salud de este gran grupo de sobrevivientes del cáncer".</p> <div style="margin-bottom: 0cm;"><p>Ning, y sus colaboradores, evaluaron a 1.807 sobrevivientes de cáncer que habían participado en la Encuesta Nacional de Análisis de Salud y Nutrición (NHANES, por sus siglas en inglés), las formas más comunes de cáncer, en el grupo de estudio, fueron las de mama, próstata, cuello uterino, pulmón y colon.</p> <p>Cuando fue encuestado, a través de NHANES, un gran porcentaje del grupo de estudio sufría de otras enfermedades distintas al cáncer, incluyendo las enfermedades cardiovasculares, la hipertensión y la diabetes. Los investigadores siguieron a los pacientes durante más de 18 años; durante el curso del estudio, fallecieron 776 sobrevivientes de cáncer: un 51% murió de cáncer, y un 49% por otras causas, siendo la enfermedad cardiovascular la principal causa de muerte no cancerígena.</p> <p>Los investigadores observaron que, cuanto más tiempo sobrevivían los pacientes después de su diagnóstico inicial de cáncer, era más probable que muriesen a causa de otra enfermedad: el 32,8% murió a causa de otra enfermedad en los cinco años posteriores al diagnóstico, en comparación con el 62,7%, que murieron en el transcurso de los 20 años siguientes.</p> <p>Ning concluye que, "después de la detección del cáncer, los médicos y los sobrevivientes de la enfermedad prestan menos atención a la prevención y el tratamiento de otras enfermedades, por tanto, no debemos descuidar otros aspectos de la salud, ya que podemos pasar por alto otras enfermedades crónicas".</p></div>
2012-04-09T16:46:10-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/303
Nutrición: Una dieta saludable ayuda a protegerse frente al cáncer
2012-04-04T10:13:58-04:00
Revista Finlay
<div style="margin-bottom: 0cm;"><p>Cada año se diagnostican en España 162.000 nuevos pacientes con cáncer. Estudios epidemiológicos de población y genéticos específicos han demostrado una relación causa efecto entre una alimentación inadecuada y el desarrollo de enfermedades como el cáncer. Aunque no se ha podido demostrar completamente qué parámetro influye directamente en la enfermedad, por su efecto multicausal, lo cierto es que los datos apuntan a los malos hábitos alimenticios, combinados con el consumo energético elevado, además de alcohol y el tabaco, que pueden aumentar el riesgo de aparición de un tumor. Si añadimos otros factores como la falta de ejercicio y la obesidad, la incidencia aumenta.</p> <p>Por esta razón, y con motivo del Día Mundial de la Salud, que se celebra este sábado 7 de abril, el MD Anderson Cancer Center Madrid quiere promover una dieta oncosaludable. Como base para una alimentación oncoprotectora, los especialistas aconsejan una dieta variada y equilibrada que cumpla con los estándares de adecuación y personalización, según la edad y el estilo de vida. En la actualidad, las guías alimentarias orientan sobre el consumo saludable que permita disminuir el riesgo de padecer enfermedades crónicas como el cáncer.</p></div> <div style="margin-bottom: 0cm;"><p>Así, recomiendan las frutas y verduras (4 o 5 raciones/día), que aportan fibra, minerales, vitaminas y antioxidantes. Proteínas (2 o 3 raciones/día), con vitamina B12, hierro y zinc. Restringir el consumo de carnes procesadas y con grasa, y eliminar la piel de las aves antes del cocinado. De esta forma, también el consumo de grasa debe ser moderado y se aconseja que sea procedente de alimentos vegetales, como aceite de oliva, frutos secos o aguacate, además de algunos alimentos proteicos como el pescado azul, ricos en ácidos grasos W3.</p> <p>La fibra, proveniente de legumbres, cereales, frutas y verduras, debe suponer una ingesta diaria de 30 grs. En cuanto a la bebida, se recomienda consumir al menos 8 vasos de agua al día, mientras la toma responsable y moderada (2 unidades/día) en adultos de bebidas alcohólicas fermentadas de baja graduación, como vino y cerveza, puede disminuir el riesgo cardiovascular por su contenido en antioxidantes naturales.</p> <p>Por último, el ejercicio diario durante 30 minutos es necesario para evitar el aumento de peso, mantener el equilibrio de la masa muscular, fortalecer el corazón y mejorar el riego sanguíneo.</p></div>
2012-04-04T10:13:58-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/302
Cardiopatía Isquémica: El sedentarismo duplica el riesgo de infarto de miocardio
2012-04-03T06:16:31-04:00
Revista Finlay
<div style="margin-bottom: 0cm;"><p>La Sociedad Española de Hipertensión ha advertido, con motivo del Día Mundial de la Actividad Física, que se celebra este viernes 6 de abril, de que el sedentarismo duplica el riesgo de sufrir un infarto de miocardio. La presidenta de esta sociedad, la doctora Nieves Martell, ha recomendado la práctica regular de ejercicio físico, ya que "aumenta la esperanza de vida y disminuye la incidencia de complicaciones cardiovasculares".</p> <p>El sedentarismo genera obesidad y ésta actúa "como desencadenante de otros factores, como la hipertensión arterial, la diabetes, el síndrome metabólico y la dislipemia que, a su vez, elevan el riesgo cardiovascular", ha añadido, por su parte, el catedrático de Riesgo Cardiovascular de la Universidad Católica de Murcia, el doctor José Abellán.</p> <p>Así, este experto ha reconocido "que la pérdida gradual de peso no solo ayuda a controlar la presión arterial sin necesidad de tratamiento farmacológico, sino que además mejora el perfil metabólico".</p></div> <div style="margin-bottom: 0cm;"><p>La relación entre obesidad y aumento de la presión arterial no es casual. "Se ha demostrado la existencia de mecanismos fisiopatológicos que ligan ambos procesos", argumenta Abellán. "El exceso de peso", añade, "desencadena una hiperactividad simpática, una hiperactivación del sistema renina-angiotensina y alteraciones en la hemodinámica renal que, unidos, favorecen la aparición de la hipertensión arterial entre los obesos".</p> <p><strong>Tres veces por semana</strong></p> <p>Con todo, los expertos recomiendan que, antes de comenzar a realizar ejercicio, el paciente debe consultar con el especialista, puesto que el tipo, la duración y el nivel de intensidad de la actividad física dependerá de la situación cardiovascular de cada individuo.</p></div> <div style="margin-bottom: 0cm;">Después, como punto de partida, aconsejan que se comience con actividades aeróbicas que impliquen a grandes grupos musculares y preferiblemente en sesiones de entrenamiento de aproximadamente 30 minutos.</div> <div style="margin-bottom: 0cm;">En cuanto a la frecuencia de la práctica deportiva, Abellán recomienda la práctica diaria o al menos tres días por semana, ya que "los beneficios cardiovasculares duran unas veintidós horas, por eso si el ejercicio físico se realiza en días alternos, los beneficios de una sesión se enlazan con los de la anterior".</div>
2012-04-03T06:16:31-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/301
Insuficiencia Renal: Más de la mitad de los pacientes con función renal disminuida tienen calcificaciones cardiovasculares
2012-04-02T04:52:34-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Más de 600.000 andaluces padecen en la actualidad enfermedad renal crónica (ERC), una patología que afecta a alrededor del 10% de la población española y que, en más de la mitad de los casos, está acompañada de calcificaciones cardiovasculares, según ha apuntado este jueves la presidenta de la Sociedad Andaluza de Nefrología, Mercedes Salgueira.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Sin embargo, esta especialista ha explicado que gran parte de los afectados desconoce una de las consecuencias más frecuentes de esta enfermedad, como es la calcificación cardiovascular.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Precisamente, éste y otros aspectos se pondrán de manifiesto durante las '10 Jornadas Andaluzas sobre el Metabolismo Óseo y Mineral en la ERC', que se celebrarán en Granada los próximos días 30 y 31 de marzo, y que están organizadas por la Unidad de Nefrología del Hospital Virgen Macarena de Sevilla y la Unidad Intercentros de Nefrología de Granada.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La calcificación vascular es el depósito anormal de calcio en las arterias. Éste es un proceso que ocurre por múltiples factores como el envejecimiento, la diabetes, el tabaco y la obesidad, entre otros.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>"En los pacientes con grave daño en sus riñones, además, el aumento del fósforo --al que se le ha llamado el asesino silencioso-- y de hormonas como la llamada parathormona, así como tratamientos que promueven el exceso de calcio en la sangre favorecen la aparición de estas calcificaciones en los vasos sanguíneos", ha avanzado el doctor José Gregorio Hervás, de la Unidad de Intercentros de Nefrología de Granada y uno de los organizadores de estas Jornadas.</p> <p><strong>Controlar el fósforo</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según este experto, estas complicaciones aparecen muy precozmente. "Ya antes de la diálisis, un 60 a 70% de los pacientes renales tiene calcificaciones cardiovasculares y entre aquellos que ya están en diálisis, la frecuencia se da en más del 90% de los casos", ha declarado.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">De hecho, añade, "la mayor parte de los pacientes con ERC fallece por complicaciones cardiovasculares y no cabe duda de que las calcificaciones de los vasos juegan un papel decisivo en esta alta tasa de mortalidad de causa vascular", ha proseguido.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Para prevenir este problema o detener su desarrollo, Hervás insiste en la necesidad de controlar el aumento del fósforo a través de una dieta adecuada, el uso de captores del fósforo intestinal que no contengan calcio en su composición y una diálisis adecuada.</div>
2012-04-02T04:52:34-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/300
Cáncer: La obesidad provoca un aumento de casos de cáncer de riñón en Reino Unido
2012-04-02T04:47:58-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La obesidad está generando un importante incremento en el número de casos diagnosticados de cáncer de riñón en Reino Unido, según ha alertado el Cancer Research UK, cuyos últimos datos de incidencia relativos a 2009 registraron más de 9.000 nuevos casos, cuatro veces más de los 2.300 diagnosticados en 1975.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Estos tumores se han convertido en el octavo cáncer más frecuente en Reino Unido, y el factor que más aumenta el riesgo de padecerlo es la obesidad (un 70% más), seguido del tabaquismo (50%).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Sin embargo, los investigadores de esta institución han constatado que las tasas de tabaquismo en Reino Unido han caído en los últimos 35 años, mientras que los niveles de sobrepeso y obesidad están aumentando. Actualmente, casi el 70% de los hombres y el 60% de las mujeres de Reino Unido tienen exceso de peso, ya que su índice de masa corporal (IMC) es mayor de 25.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El problema, según ha lamentado la directora del Cancer Research UK, Sara Hiom, en declaraciones a la BBC, recogidas por Europa Press, "muy pocas personas saben acerca de los riesgos significativos asociados con el cáncer que tiene el exceso de peso".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">De hecho, el sobrepeso y la obesidad también aumentan el riesgo de padecer otros tumores, como el de mama, colon y útero, ya que provoca un iincremento de los niveles de determinadas hormonas. Por ello, esta experta propone que, "además de dejar de fumar, la mejor forma de reducir las probabilidades de desarrollar cáncer de riñón es mantener un peso saludable".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En cuanto a su diagnóstico, el Cancer Research UK apunta que la sangre en la orina puede ser una síntoma inicial de que algo anda mal. Además, si se diagnostica a tiempo, a menudo se puede curar con cirugía. Actualmente, la tasa de supervivencia a cinco años para el cáncer de riñón ha aumentado un 85% entre 1970 y 2009.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según explica el investigador de la Universidad de Cambridge Tim Eisen, durante los últimos 10 años el Cancer Research UK ha ayudado a desarrollar nuevos fármacos que cortan el suministro de sangre a los tumores. No obstante, advierte, "estos medicamentos controlan la enfermedad en la mayoría de los pacientes, pero no la curan".</div>
2012-04-02T04:47:58-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/299
Medicamentos: Dosis bajas de aspirina podría prevenir el cáncer
2012-03-31T07:21:55-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El consumo diario de dosis bajas de aspirina puede prevenir y hasta posiblemente combatir el cáncer, según un estudio científico publicado en Gran Bretaña.</p> <p>La investigación, realizada por expertos de la Universidad de Oxford (Inglaterra) y dada a conocer en la revista especializada británica <em><strong>The Lancet</strong></em>, da cuenta de la creciente evidencia acerca de los efectos anticancerígenos de la aspirina.</p> <p>El profesor Peter Rothwell, que encabezó el estudio, vinculó el consumo diario de aspirinas en dosis bajas con riesgo más bajo de contraer ciertos cánceres, en especial el cáncer de intestino grueso.</p> <p>La aspirina o ácido acetilsalicílico es un fármaco de la familia de los salicilatos, usado frecuentemente como antiinflamatorio, analgésico, para el alivio del dolor leve y moderado, antipirético (para reducir la fiebre) y antiagregante plaquetario indicado para personas con riesgo de formación de trombos sanguíneos, principalmente individuos que ya han tenido un infarto agudo de miocardio.</p> <p>El equipo de Rothwell había concluido en el pasado que se necesitaban al menos diez años de consumo de aspirina para obtenerse efectos anticancerígenos, pero ahora concluyó que los beneficios pueden lograrse mucho antes, dentro de los tres a cinco años del consumo de ese fármaco.</p> <p>Los investigadores de Oxford basaron su investigación en 51 controles a más de 77 000 pacientes.</p> <p>Los expertos creen que la aspirina no sólo reduce el riesgo de desarrollar muchos tipos de cáncer, sino también impedir que el cáncer se propague a otras partes del cuerpo, provocando la muerte del paciente.</p> <p>Los experimentos fueron diseñados para comparar la aspirina con ningún tratamiento para la prevención de enfermedades coronarias.</p> <p>El equipo encabezado por el profesor Rothwell examinó cuántos pacientes desarrollaban y morían de cáncer, y concluyó que el consumo diario de aspirinas reducía la prognosis.</p> <p>Consumir una dosis baja de aspirina, de entre 75 y 300 miligramos diarios, reduciría el número total de casos de cáncer en un cuarto luego de tres años de consumo, o nueve casos de cáncer por cada 1000 cada año en el grupo que consumía el fármaco, comparado con 12 en 1000 para aquellos que no.</p> <p>También redujo el riesgo de morir de cáncer en un 15% dentro de los cinco años, y antes si la dosis era superior a los 300 miligramos.</p> <p>Y si los pacientes consumían aspirina por más tiempo, su riesgo de morir de cáncer caía incluso más, al 37% en cinco años.</p> <p>Bajas dosis de aspirina también reduciría la probabilidad de que el cáncer, especialmente de intestino, se propague o haga metástasis en otras partes del cuerpo, hasta en la mitad en ciertos casos.</p> <p>Esto podría significar que por cada cinco pacientes tratados con aspirina un caso de metástasis sería prevenible, según estimaron los investigadores.</p> <p>Al mismo tiempo, la aspirina reduciría el riesgo de ataques cardíacos y cerebrales, aunque también incrementa el riesgo de derrames sanguíneos internos.</p> <p>Sin embargo, ese riesgo elevado de sangrados sólo fue visto en los primeros años de consumo de aspirina, para luego decrecer.</p> <p>A pesar de los beneficios de la aspirina, Rothwell afirmó que para la mayoría de las personas sanas y en forma, lo más importante para reducir el riesgo de cáncer es dejar de fumar, ejercitar a diario y consumir alimentos sanos.</p> <p>En esos casos en los que no hay factores de riesgo, los beneficios de la aspirina son menores, pero en aquellos con historias familiares de cáncer de colon, el consumo del fármaco es muy beneficioso.</p> <p>Para el profesor Peter Johnson, de Cancer Research UK, la investigación es "muy fascinante" y dijo que la aspirina podría ser muy beneficiosa en la lucha contra el cáncer.</p> <p>"Necesitamos ahora consejos definitivos del gobierno acerca de si deberíamos recomendar de forma generalizada el consumo de aspirina diaria", concluyó.<br /> marzo 21/2012 (ANSA)-</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011<strong> "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2012-03-31T07:21:55-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/298
Cardiopatía Isquémica: Siete de cada diez pacientes con cardiopatía isquémica prematura presentan alteraciones en los lípidos plasmáticos
2012-03-29T21:22:41-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Las hiperlipemias familiares se caracterizan por niveles elevados de colesterol y/o triglicéridos, agregación familiar en la mitad de los casos y desarrollo de enfermedad cardiovascular prematura. No en vano, 7 de cada 10 pacientes con cardiopatía isquémica prematura tienen alteraciones en los lípidos plasmáticos, y más de la mitad de estos casos padecen algún tipo de hiperlipemia familiar.</p> <p>A la relación de estos trastornos genéticos con el desarrollo de enfermedad cardiovascular se suma el hecho de que aproximadamente un 5% de la población, es decir, más de un millón y medio de españoles, sufre algún tipo de hipercolesterolemia familiar. Por ello, la Fundación Hipercolesterolemia Familiar (FHF) ha puesto en marcha junto con AstraZeneca el primer curso de formación on-line que aborda de forma integral esta realidad.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Tal y como explica uno de los directores del curso y presidente de la Fundación Hipercolesterolemia Familiar, el Dr. Pedro Mata, “el curso pretende cubrir una necesidad formativa importante, ya que, aunque España es uno de los países pioneros a nivel mundial en el diagnóstico genético de la hipercolesterolemia familiar, ésta todavía es muy desconocida. El curso está dirigido a profesionales médicos de todas las especialidades pero con un especial foco en los médicos de atención primaria que son, al fin y al cabo, quienes ven en primera instancia a estos pacientes y quienes hacen un seguimiento más cercano".</p> <p>Los objetivos del curso son aprender las bases moleculares de las distintas hiperlipemias de base genética; conocer sus manifestaciones clínicas y evolución y poder realizar el diagnóstico diferencial entre ellas; evaluar el riesgo cardiovascular y la enfermedad ateroesclerótica subclínica; profundizar en las bases del tratamiento dietético y de modificación de hábitos de vida, así como en las bases del tratamiento farmacológico.</p> <p>El curso es de carácter gratuito, se realiza a través de una plataforma online (www.aulahf.com), cuenta con el apoyo de 4 tutores, y prevé una evaluación inicial y otra final para conocer los avances. Además, está acreditado con 7,1 créditos por la Agencia Laín Entralgo.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><strong>Tipos de hiperlipemias e impacto en la salud cardiovascular</strong></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">“Las hiperlipemias familiares son una causa frecuente de alteración del metabolismo lipídico y están directamente relacionadas con la aparición temprana de patologías cardiacas, por lo que requieren un tratamiento intensivo para prevenir la morbimortalidad cardiovascular”, explica el Dr. Mata. Pero existen diferentes tipos y, en consecuencia, diferentes manifestaciones clínicas y abordajes.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En primer lugar, la hipercolesterolemia familiar, en la que los niveles de colesterol están elevados, se expresa desde el nacimiento y se transmite a la mitad de la descendencia. Es el trastorno genético más frecuente en la población y la padecen aproximadamente 100.000 personas en nuestro país. Después, la hiperlipemia familiar combinada, en la que se dan niveles elevados de colesterol y triglicéridos, también afecta a la mitad de la familia, pero se expresa de forma más tardía. Aún así, se manejan cifras de incidencia de unas 700.000 personas en España (un 2% de la población). Y, por último, la hipercolesterolemia poligénica, en la que quienes la sufren presentan un aumento del colesterol, pero la agregación familiar es menor, puesto que están implicados numerosos genes. Este tipo de hipercolesterolemia afecta al menos a un 3% de la población.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>En lo que a las manifestaciones clínicas se refiere, el Dr. Mata explica que, “aparte de los conocidos depósitos de colesterol en las arterias que producen los episodios cardiovasculares, en el caso de la hipercolesterolemia familiar se pueden producir depósitos extravasculares de colesterol en los tendones Aquíleos o en los del dorso de las manos conocidos como xantomas y en los párpados denominados xantelasmas; también se puede presentar un depósito de colesterol en la cornea conocido como arco corneal”. Todas estas manifestaciones, además de las alteraciones analíticas y la historia familiar, dan la señal de alarma al médico para poder pensar en la presencia de esta patología. Sin embargo, en los otros dos tipos de hiperlipemias rara vez se dan este tipo de manifestaciones, por lo que el diagnóstico se realiza, en la mayoría de los casos, mediante las concentraciones de lípidos y excluyendo la hipercolesterolemia familiar.</p> <p><strong>Medidas higiénico-dietéticas</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El tratamiento de las hiperlipemias familiares también presenta algunas diferencias en función de ante qué tipo nos encontremos. Pero, como destaca el Dr. Mata, “lo que es común a todas ellas son las medidas higiénico-dietéticas habituales, a saber: una dieta baja en grasas saturadas y colesterol, el evitar el consumo de tabaco y la práctica de ejercicio físico para evitar el sobrepeso”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Sin embargo, en la mayoría de los casos –sobre todo en la hipercolesterolemia familiar- será necesario instaurar un tratamiento farmacológico para reducir el colesterol, puesto que con las medidas higiénico dietéticas no será suficiente. El tratamiento de elección en estos casos son las estatinas, que ayudarán a los médicos a tratar a estos pacientes que han expuesto a sus arterias a cifras de colesterol muy elevadas durante muchos años, en algunos casos desde el nacimiento y, en otros, desde la adolescencia, lo que aumenta de forma importante las posibilidades de desarrollar enfermedades cardiovasculares de forma prematura.</div>
2012-03-29T21:22:41-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/297
Envejecimiento: VIII Congreso Nacional de Gerontología y Geriatría y el XX Seminario Internacional de Atención al Adulto Mayor
2012-03-27T13:37:40-04:00
Revista Finlay
<p>Con la conferencia magistral "La Salud de las Personas Mayores en el Siglo XXI: nuevos retos, viejos desafíos", a cargo de un experto de la Organización Panamericana de la Salud (OPS), quedará inaugurado esta tarde en la capital un foro acerca del tema.<br /> <br /> El doctor Enrique Vega, Asesor Regional de Envejecimiento y Salud de las Organizaciones Panamericana y Mundial de la Salud disertará sobre los problemas de la longevidad y retos del envejecimiento, fenómeno mundial a cuya realidad Cuba no escapa.<br /> <br /> Según la Oficina Nacional de Estadísticas e Información, actualmente el 17,9 por ciento de la población es mayor de 60 años y en 2030 ascenderá al 30,5 por ciento de sus habitantes en ese grupo etario.<br /> <br /> Hasta el 30 de marzo se extenderán el VIII Congreso Nacional de Gerontología y Geriatría y el XX Seminario Internacional de Atención al Adulto Mayor, que reunirán a más de 300 expertos de unas 10 naciones, entre ellas de México, Brasil, Estados Unidos, Ecuador y Francia, anunció Humberto Arencibia, presidente del comité organizador.<br /> <br /> Con sede en el Palacio de Convenciones de la Habana, GERONTOGER 2012 aboga por un envejecimiento saludable y tratará los cuidados paliativos, el deterioro cognitivo y las demencias, la formación y capacitación de recursos humanos, comentó el director del Centro de Investigaciones de Longevidad y Envejecimiento (CITED).<br /> <br /> La doctora Lilian Rodríguez, vicedirectora de docencia e investigación del CITED, anunció a la AIN que en la cita presentarán los resultados del estudio de longevidad de población centenaria cubana que comprende al ciento por ciento de quienes rebasan la centuria. <br /> <br /> Reconocida internacionalmente por sus fortalezas en la validación de la edad de unos mil 488 centenarios, la indagación se desarrolló en el período comprendido desde 2004 hasta 2008, y es la más completa realizada después de la investigación sobre salud y bienestar en el adulto mayor en América Latina y el Caribe, cuyos resultados fueron dados a conocer en 2001. <strong></strong></p>
2012-03-27T13:37:40-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/296
Medicamentos: Fármaco experimental reduce en un 66 % el colesterol LDL
2012-03-27T11:10:08-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Una inyección mensual de un fármaco experimental de un empresa estadounidense de biotecnología logró reducir el colesterol de los pacientes hasta en 66 %, según un estudio presentado el fin de semana en una conferencia de cardiología en Estados Unidos.</p> <p>La fase 1 del ensayo clínico del fármaco AMG 145 de la firma Amgen siguió la evolución de 51 pacientes que recibieron una inyección de esa droga en dos modalidades: una vez cada dos semanas y una vez cada cuatro semanas.</p> <p>Entre los pacientes estudiados que ya tomaban dosis altas de medicamentos reductores del colesterol, conocidos como estatinas, y que recibieron la nueva droga cada dos semanas, el tipo peligroso de colesterol (LDL) en su cuerpo se redujo a un promedio de 63 % en la octava semana.</p> <p>Y los que tomaban bajas dosis de estatinas y recibieron el medicamento cada cuatro semanas, vieron una caída ligeramente mayor al promedio del colesterol LDL (66 % al final del mismo periodo de tiempo).</p> <p>Ni muertes ni eventos adversos fueron registrados durante el estudio preliminar, presentado por primera vez el domingo en la conferencia anual del Colegio Estadounidense de Cardiología (ACC).</p> <p>El fármaco es un anticuerpo monoclonal totalmente humano que inhibe la PCSK9, una proteína que reduce la capacidad del hígado para eliminar el colesterol LDL de la sangre.</p> <p>"Los primeros estudios han demostrado que el AMG 145 reduce los niveles de PCSK9 en el cuerpo y baja los niveles de colesterol LDL", dijo Sean Harper, vicepresidente ejecutivo de Investigación y Desarrollo de Amgen, en un comunicado.</p> <p>Más datos del estudio de fase 2 se esperan para finales de este año.</p> <p>Encontrar formas alternativas para tratar la hipercolesterolemia es importante para muchos pacientes que no toleran la terapia con estatinas, o tienen dificultades para reducir lo suficiente el colesterol con cambios en la dieta y con las estatinas contemporáneas.</p> <p>El alto nivel de colesterol LDL es un factor importante en el desarrollo de enfermedades cardiacas y es considerado un importante problema de salud pública en todo el mundo.<br /> marzo 26/2012 (AFP)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2012-03-27T11:10:08-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/295
Medicamentos: Inyección de adrenalina no siempre ayuda a pacientes cardiacos
2012-03-27T10:18:10-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las personas con un paro cardíaco tendrían peores resultados a largo plazo si reciben una inyección de adrenalina, también conocida como epinefrina, en su camino al hospital, revela un estudio japonés.</p> <p>Los investigadores, que publicaron su estudio en <em><strong>Journal of the American Medical Association</strong></em>, hallaron que las personas cuyos corazones dejan de latir de repente tenían un retorno de la circulación más frecuente en la ambulancia si recibían adrenalina, pero que al mismo tiempo eran menos propensos a sobrevivir y a hacerlo sin daño cerebral meses más tarde.</p> <p>"Este hallazgo implica que la administración de epinefrina salvaría al corazón pero no al cerebro", escribió el equipo de Akihito Hagihara, de la Escuela de Graduados de Medicina de la Universidad de Kyushu.</p> <p>Para su estudio, el equipo observó alrededor de 417 000 casos de paro cardíaco en los cuales los pacientes fueron tratados por servicios de emergencia médica (SEM) y llevados al hospital entre 2005 y 2008.</p> <p>En Estados Unidos, ocurren más de 380 000 ataques cardiacos fuera de los hospitales por año, según la Asociación Médica Estadounidense.</p> <p>Además de la resucitación cardiopulmonar (RCP) y a veces el electrochoque, la mayoría de esos pacientes son tratados con adrenalina, que hace que los vasos que no van al corazón se contraigan, cambiando el curso de la mayor cantidad de sangre posible.</p> <p>A mediados del 2006, las leyes japonesas cambiaron para permitir a los médicos aplicar a los pacientes inyecciones de adrenalina si otros métodos -incluida la RCP- fracasaban en la reanimación del corazón.</p> <p>Algo más de 15 000 pacientes con paro cardiaco recibieron una dosis de adrenalina durante el periodo de estudio.</p> <p>Según los registros de los SEM, cerca del 19 % de esos pacientes experimentaron un retorno de la circulación en la ambulancia, comparado con apenas el 6 % de aquellos que no recibieron adrenalina.</p> <p>Sin embargo, los pronósticos a más largo plazo no fueron tan buenos.</p> <p>Cerca del 5 % de los pacientes habían sobrevivido un mes después del ataque cardiaco, ya sea que hubieran recibido o no adrenalina.</p> <p>Pero cuando los expertos consideraron cuánto le había llevado a los SEM llevar a los pacientes al hospital, si habían recibido RCP estándar y otras diferencias específicas, hallaron que las personas a las que se había administrado adrenalina eran menos de la mitad de propensas a sobrevivir al paro cardíaco.</p> <p>Es más, solo alrededor de un cuarto de los pacientes que recibieron adrenalina y sobrevivieron aún eran capaces de valerse bien por sí mismos sin demasiados problemas neurológicos un mes después, comparado con cerca de la mitad de quienes no habían sido tratados con epinefrina en la ambulancia.</p> <p>"Uno tiene más éxito en reanimar el corazón si administra epinefrina, pero siempre está la preocupación (...) de que pueda haber consecuencias adversas en otros órganos", dijo Clifton Callaway, de la University of Pittsburgh, quien escribió un comentario sobre el estudio.</p> <p>Comilla Sasson, doctora en emergencia que estudia los infartos en la Escuela de Medicina de la University of Colorado, dijo que los resultados japoneses no pueden extrapolarse a pacientes de otros países.</p> <p>Los pacientes de Japón suelen recibir una sola dosis de adrenalina, mientras que en Estados Unidos es estándar para los SEM aplicar inyecciones cada tres a cinco minutos cuando se intenta regresar el pulso.</p> <p>Tanto Callaway como Sasson coincidieron en que los resultados instan a que se necesita realizar más estudios rigurosos, en los que pacientes con infartos sean asignados al azar a recibir o no adrenalina, y luego evaluar los resultados a largo plazo.<br /> marzo 26/2012 (Reuters)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2012-03-27T10:18:10-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/294
Nutrición: Ácido graso omega 3 reduce fatiga en pacientes con cáncer
2012-03-23T13:49:17-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El consumo de ácido graso omega 3 reduciría la fatiga entre mujeres sobrevivientes al cáncer, sugirió un estudio.</p> <p>Investigadores del Instituto Nacional del Cancer de Estados Unidos, creen que ese efecto puede deberse a que la ingesta de este tipo de ácido graso reduce la inflamación por la posibilidad de que reemplacen algunos ácidos grasos omega 6.</p> <p>Tales resultados fueron difundidos en la revista <a href="http://jco.ascopubs.org/content/early/2012/03/06/JCO.2011.36.4109.abstract?sid=cd7f5d02-868b-4f20-9c32-efe36c509227" target="_blank"><em><strong>Journal of Clinical Oncology </strong></em></a>(DOI:10.1200/JCO.2011.36.4109 ).</p> <p>Los ácidos grasos omega 3 se encuentran presenten en pescados como el salmón y el atún, mientras que el ácido graso omega 6 en la margarina y algunos aceites vegetales.</p> <p>De acuerdo con los científicos, gran parte de las mujeres que participaron en el estudio estaban fatigadas tres años después del diagnóstico, lo cual fue relacionado con niveles más altos de una proteína vinculada con la inflamación llamada CRP.</p> <p>"Los resultados relacionan una mayor ingesta de ácidos grasos polinsaturados omega-3 con una reducción de la inflamación y menores aspectos físicos de fatiga", indicó Rachel Ballard-Barbash, autora principal del estudio.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=489873&Itemid=1" target="_blank"><strong>marzo 21/2012 (PL)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de<strong> Hinari</strong>.</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Catherine M. Alfano,Ikuyo Imayama,Marian L. Neuhouser,Janice K. Kiecolt-Glaser,Ashley Wilder Smith,Rachel Ballard-Barbash.<em><strong>Fatigue, Inflammation, and ?-3 and ?-6 Fatty Acid Intake Among Breast Cancer Survivors</strong></em>.<em>JCO Mar</em> 12, 2012</p> </span>
2012-03-23T13:49:17-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/293
Ciencia y Tecnología: Desarrollan una nueva prueba para predecir ataques cardíacos
2012-03-22T17:58:44-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Un estudio de investigación sin precedentes, dirigido por el Instituto de Ciencia Traslacional Scripps (STSI, por sus siglas en inglés), muestran que una prueba de sangre puede predecir el riesgo de sufrir un ataque al corazón en un plazo de unas dos semanas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los resultados del estudio, titulado 'Caracterización de las células endoteliales circulantes en el infarto agudo de miocardio', han sido publicados en <em>Science Translational Medicine.</em> La investigación concluye que las células endoteliales circulantes (CEC) de pacientes que han sufrido un ataque cardíaco, son anormalmente grandes y deformes y, a menudo, contienen múltiples núcleos, lo que las convierte en prometedores biomarcadores para la predicción de la ruptura inminente de la placa arterial.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"La capacidad de diagnosticar un ataque al corazón inminente ha sido considerada el santo grial de la medicina cardiovascular", afirma el doctor Eric Topol, principal investigador del estudio y director del STSI. En el estudio participaron 50 pacientes infartados que acudieron a los servicios de urgencias de cuatro hospitales de cuidados intensivos en San Diego. A partir de diferentes plataformas de aislamiento de células, incluyendo el CellSearch System, de Veridex, los investigadores observaron que los recuentos de las CEC, y las características estructurales de las células, se habían alterado drásticamente debido al ataque, en comparación con el grupo de control.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según Mark Connelly, investigador en Veridex, "CellSearch ha demostrado ser una poderosa herramienta para la investigación oncológica y el cuidado de los pacientes con cáncer metastásico. Además, este estudio pone de relieve su valor en la captura precisa de células raras y su análisis, en áreas al margen de la oncología".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Esperamos que esta prueba pueda ser desarrollada para su uso comercial en los próximos dos años", afirma Raghava Gollapudi, investigador en Sharp HealthCare, quien concluye que "esta prueba es ideal para realizarse en una sala de urgencias, con el fin de determinar si un paciente está en la cúspide de un ataque al corazón, o a punto de experimentar uno en un plazo de un par de semanas".</div> <a href="http://stm.sciencemag.org/content/4/126/126ra33" target="_blank">Science Translational Medicine (2012); doi:10.1126/scitranslmed.3003451 </a>
2012-03-22T17:58:44-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/292
Cáncer: Logran romper las defensas biológicas del tumor pancreático
2012-03-21T15:28:15-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El cáncer de páncreas es la cuarta causa de muerte en tumores, con una media de supervivencia de cuatro a seis meses. Su resistencia a la quimioterapia se debe, en parte, a una barrera biológica única, que el tumor crea alrededor de sí mismo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Ahora, científicos del Centro de Investigación del Cáncer Fred Hutchinson, en Estados Unidos, han encontrado una manera de romper esa defensa; su investigación, publicada en <em>Cancer Cell, </em>constituye un gran avance potencial en el tratamiento de esta enfermedad.</p> <p>Los investigadores combinaron en ratones (manipulados para que sus tumores de páncreas fueran similares a los del cáncer de páncreas humano) la gemcitabina -la quimioterapia estándar que se utiliza para el tratamiento del adenocarcinoma ductal pancreático- con una enzima llamada PEGPH20.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Esta combinación rompió la barrera de los tumores, lo que propició que la quimioterapia se extendiera libremente por el tejido canceroso. El resultado fue un aumento del 70% en la supervivencia de los ratones, después del inicio del tratamiento. "Se trata del mayor aumento de la supervivencia que hayamos visto en estudios realizados en un modelo preclínico, y rivaliza con los mejores resultados reportados en seres humanos", afirma Sunil Hingorini, miembro del Centro Hutchinson y autor principal de la investigación.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">A diferencia de la mayoría de tumores sólidos, los tumores de páncreas se sirven de una defensa de dos vías para evitar la entrada de moléculas como las contenidas en la quimioterapia: un suministro de sangre muy reducido, y una fuerte respuesta fibroinflamatoria -esta última incluye la producción de fibroblastos, células inmunes y células endoteliales, que se incorporan a la densa y compleja matriz extracelular del tumor. Un componente importante de esta matriz es una sustancia llamada ácido hialurónico (AH), un glicosaminoglicano (un azúcar complejo que se produce naturalmente en el cuerpo, y es secretado en niveles extremadamente altos por las células del cáncer de páncreas).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Hingorani y sus colaboradores descubrieron que la respuesta fibroinflamatoria crea presiones de fluidos intersticiales, inusualmente altas, que colapsan los vasos sanguíneos del tumor, lo que a su vez impide que los agentes quimioterapéuticos entren en los tumores. Los investigadores descubrieron que el AH es la principal causa biológica de las presiones elevadas que conducen al colapso de los vasos sanguíneos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La administración de la combinación de la enzima y la gemcitabina degrada el AH en la barrera del tumor, redujo la presión del fluido intersticial, lo que a su vez abrió los vasos sanguíneos y permitió que altas concentraciones de quimioterapia llegaran al tumor.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"El hecho de que los medicamentos llegaran al tumor resultó en una mejoría de la supervivencia, constatando que el cáncer de páncreas pueden ser más sensible a la quimioterapia convencional de lo que pensábamos", añade Hingorani.</div> <a href="http://clinicaltrials.gov/show/NCT01453153" target="_blank">Consultar detalles sobre el ensayo clínico</a>
2012-03-21T15:28:15-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/291
Factores de riesgo cardiovascular: El consumo ligero o moderado de alcohol se relaciona con un menor riesgo de ACV en las mujeres
2012-03-16T08:44:25-04:00
Revista Finlay
El consumo de alcohol de leve a moderado podría reducir el riesgo de accidente cerebrovascular (ACV) en las mujeres, sugiere una investigación reciente. <p>Para el estudio, investigadores de EE. UU. examinaron datos de casi 84,000 mujeres que participaron en el Estudio de salud de las enfermeras. En el momento en que se inscribieron, las mujeres no presentaban evidencia de enfermedad cardiovascular ni cáncer. Se les dio un seguimiento de hasta 26 años.</p> <p>Las mujeres proveyeron información sobre la dieta, el consumo de alcohol, los hábitos de estilo de vida y las instancias de ACV. En el seguimiento, hubo 2,171 casos de ACV entre las mujeres, hallaron Monik Jimenez y colegas del Hospital Brigham and Women's de Boston.</p> <p>Alrededor del 30 por ciento de las mujeres dijeron que nunca bebían alcohol, 35 por ciento dijeron que consumían una cantidad leve, 37 por ciento consumían una cantidad moderada, y 11 por ciento dijeron que consumían más que el equivalente a una bebida mezclada por día.</p> <p>Beber una cantidad leve significaba consumir menos alcohol de lo que se encontraría en media copa de vino al día, mientras que el consumo moderado significaba un promedio de entre media y una copa de vino, una cerveza o una bebida mezclada al día, anotaron los autores del estudio.</p> <p>Las mujeres que bebían de forma leve o moderada tenían un riesgo más bajo de ACV que las que nunca bebían, pero no sucedió lo mismos con niveles más elevados de consumo de alcohol, según el estudio que aparece en la edición en línea del 8 de marzo de la revista <em>Stroke</em>.</p> <p>Un consumo de bajo a moderado de alcohol podría reducir el riesgo de ACV de varias formas, apuntaron los investigadores en un comunicado de prensa del hospital. Ciertos componentes del alcohol podrían evitar los coágulos sanguíneos y la acumulación de colesterol en las arterias. Ambas cosas pueden provocar ACV.</p> <p>Pero unos niveles más altos de consumo de alcohol podrían aumentar el riesgo de hipertensión y un trastorno del ritmo cardiaco conocido como fibrilación auricular, ambos factores del riesgo del ACV.</p> <p>Aunque el estudio descubrió una asociación entre el consumo de alcohol y el riesgo de ACV en las mujeres, no probó una relación causal.</p> <br /><em>Artículo por HealthDay, traducido por Hispanicare</em> <p>FUENTE: Brigham and Women's Hospital, news release, March 8, 2012</p> <div>HealthDay</div>
2012-03-16T08:44:25-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/290
Nutrición: El consumo de carne roja eleva el riesgo de muerte por accidente cardiovascular
2012-03-14T09:24:14-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Investigadores del Harvard School of Public Health de Boston, en Estados Unidos, aseguran que el consumo de carne roja puede estar asociado con un mayor riesgo de mortalidad por enfermedad cardiovascular y cáncer, en comparación con quienes en lugar de estos alimentos optan por el pescado o la carne de ave.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Así se desprende de los resultados de una investigación publicada en <em>Archives of Internal Medicine,</em> después de analizar los datos de dos estudios prospectivos, que incluyeron a más de 37.000 hombres y 83.000 mujeres. Durante los 28 años de seguimiento que incluían los estudios, se documentaron 23.926 muertes, entre ellos 5.910 por enfermedades cardiovasculares y 9.464 por cáncer.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La carne es una fuente importante de proteínas y grasas, pero algunos estudios previos ya habían sugerido que su consumo podría estar asociado con un mayor riesgo de sufrir diabetes, enfermedades cardiovasculares (ECV) y ciertos tipos de cáncer.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Sin embargo, según explican los autores del estudio, "ahora se ha observado que el consumo de carne roja procesada y sin procesar podría estar también detrás de un incremento del riesgo de mortalidad por estas enfermedades".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En concreto, observaron que el riesgo de mortalidad total en personas que consumían una pieza de carne al día se incrementaba un 13% para la carne roja sin procesar y un 20% para la carne procesada.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Además, al introducir un cambio en la dieta y sustituir la carne roja por pescado, aves, frutos secos, legumbres o productos lácteos bajos en grasa, se redujo el riesgo de mortalidad en todos los casos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En concreto, el riesgo de muerte se rebajó un 7% con el pescado, un 14%con la carne de ave, un 19% con los frutos secos, un 10% con las leguminosas y otro 10% para los productos lácteos bajos en grasa.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">De hecho, los autores estiman que "el 9,3% de los fallecimientos en hombres y el 7,6% en las mujeres se podrían haber evitado si todos los participantes hubieran consumido la mitad de carne roja al día".</div>
2012-03-14T09:24:14-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/289
Factores de riesgo cardiovascular: Crean un programa informático para calcular el riesgo de sufrir una enfermedad cardiovascular
2012-03-14T09:22:02-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Científicos de la Universidad de Granada (UGR) han desarrollado un programa informático que permite calcular con precisión el riesgo que tiene una persona de sufrir una enfermedad cardiovascular, así como considerar este mismo riesgo en un colectivo de sujetos. De hecho, la muestra que los investigadores han empleado para el trabajo estaba formada por más de 3.000 pacientes, según informa la UGR.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Durante la última década, hemos asistido a un importante cambio en la orientación de las actividades de prevención cardiovascular, pasando de intervenciones aisladas sobre los factores de riesgo modificables a un modelo integrado de estrategias de intervención basado en la cuantificación previa y estratificación del riesgo de enfermedad cardiovascular", apuntan desde la UGR.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Una de las circunstancias que han permitido este giro es la disponibilidad de herramientas capaces de cuantificar o al menos estratificar el riesgo cardiovascular a partir de algunas características individuales de fácil determinación, los denominados factores de riesgo. Y es precisamente aquí donde se enmarca el trabajo de los investigadores de la UGR, publicado en el último número de la revista <em>Journal of Evaluation in Clinical Practice.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En el ámbito de los estudios epidemiológicos sobre predicción de riesgo cardiovascular, investigaciones previas llevadas a cabo en Estados Unidos habían desarrollado modelos matemáticos que pretendían estimar la probabilidad de presentar un episodio, en un futuro próximo, que suele fijarse en 5 o 10 años, dependiendo de la exposición, o no, a determinados factores de riesgo. Los científicos granadinos han aplicado este modelo a la población española objeto de su estudio.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Así, los investigadores analizaron comparativamente el comportamiento de las diferentes ecuaciones disponibles, en un grupo de pacientes considerados de riesgo, constituido por enfermos derivados desde Atención Primaria a una consulta especializada de Endocrinología de la zona norte de Granada capital. Se trataba de una población de riesgo por presentar obesidad, hipertensión, diabetes, y alteraciones en el perfil lipídico.</div>
2012-03-14T09:22:02-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/288
Nutrición: España se aleja cada vez más de la dieta mediterránea
2012-03-10T07:33:26-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Presentado un estudio clínico que rebate la idea de que es en las regiones costeras mediterráneas donde se come de forma más saludable.</p> <div class="content"><p>España se aleja consume cada vez más grasas saturadas y azúcares refinados, según los primeros datos del estudio clínico 'Seguimiento de la Dieta Mediterránea y su relación con el Riesgo Cardiovascular en España' (DIMERICA), promovido por la Sociedad Española de Hipertensión-Liga Española para la Lucha contra la Hipertensión Arterial (SEH-LELHA) y la Asociación Española de Enfermería de Hipertensión y Riesgo Cardiovascular (EHRICA).</p><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;"> </span></div></div></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El trabajo, presentado en la 17ª Reunión Nacional de la SEH-LELHA, ha contado con 1.770 participantes, a través de los cuales se ha hecho un análisis de los hábitos alimentarios que actualmente tiene la población adulta española.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según uno de los autores, el doctor José Abellán, director de la Cátedra de Riesgo Cardiovascular de la Universidad Católica San Antonio de Murcia, "no se han detectado diferencias significativas en cuanto a mejores hábitos entre las distintas zonas de España, lo que viene a acabar con el mito de que las regiones costeras mediterráneas comen mejor".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">A su juicio, "si partimos de la base de que la dieta mediterránea es buena para reducir el riesgo cardiovascular y que países ajenos a la cuenca del Mediterráneo la están importando, es paradójico comprobar que en nuestro medio se esté abandonando".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Para el doctor Abellán, "España es un país de bajo impacto en lo que se refiere a complicaciones coronarias, si lo comparamos con los países del norte de Europa". "Tradicionalmente, esta cardioprotección se ha relacionado con el seguimiento de una dieta mediterránea, además de factores genéticos protectores", explica.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Sin embargo, el futuro se nos presenta incierto, tanto por el incremento del sedentarismo, como por el abandono de la protección que nos ofertaba la tradicional dieta mediterránea de nuestros padres, o la incorporación de la mujer al hábito tabáquico", advierte.</div></div>
2012-03-10T07:33:26-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/287
Prevención de las enfermedades crónicas: Descubren que un gen anticáncer combate la obesidad y aumenta la longevidad
2012-03-08T16:28:49-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un grupo de investigadores españoles ha descubierto que uno de los principales genes que protegen contra el cáncer tiene además otros dos efectos positivos en el organismo: aumenta significativamente la longevidad y combate la obesidad.</p> <p>Se trata de un resultado "del todo inesperado", según este grupo de científicos liderados por Manuel Serrano, del Centro Nacional de Investigaciones Oncológicas (CNIO), que además han demostrado que un compuesto sintetizado por este equipo de investigación ejerce el mismo efecto beneficioso sobre ratones que el gen analizado.</p> <p>Los descubrimientos, que, según los científicos, abren nuevas vías a la investigación de terapias no solo contra el cáncer, sino también contra la obesidad y el envejecimiento, se han hecho en ratones y han sido publicados en la revista <em><strong>Cell Metabolism</strong></em>.</p> <p>En concreto, los investigadores han constatado que los ratones con copias extra del gen Pten comen más, aunque son más delgados, un fenómeno "insospechado y novedoso".</p> <p>El hallazgo apoya una hipótesis que cobra cada vez más fuerza: que el cáncer y el envejecimiento, y ahora también la obesidad, son manifestaciones distintas de un mismo fenómeno, más global, que se produce a medida que el organismo acumula en sus tejidos daños que los mecanismos naturales de reparación no logran arreglar, según una nota del CNIO.</p> <p>Entre estos mecanismos naturales de reparación destacan muy especialmente un grupo de genes identificados en un principio por su potente efecto protector contra el cáncer.</p> <p>Según explicó Manuel Serrano, se conocen unos 30 genes anticáncer de los que cinco son generales para muchos tipos de tumores (p53, p16, Arf, Rb y Pten).</p> <p>Su grupo se preguntó si el gen Pten podría relacionarse con efectos beneficiosos adicionales, en concreto la longevidad.</p> <p>Para ello, el grupo del CNIO creó ratones transgénicos con niveles de la proteína Pten que fueran el doble de lo habitual.</p> <p>Estos animales se mostraron mucho más resistentes al cáncer que los no transgénicos y además vivieron un 12 % más de media, un efecto que es independiente de la resistencia al cáncer.</p> <p>"Pten tiene un impacto directo sobre la duración de la vida", según los científicos.</p> <p>La sorpresa, no obstante, apareció cuando se observó que los ratones con doble dosis de Pten son significativamente más delgados -un 28 % de media- y eso a pesar de que comen más.</p> <p>También, según la investigación, tienen más sensibilidad a la hormona de la insulina -menos riesgo de desarrollar diabetes mellitus- y su hígado tolera mucho mejor de lo habitual una dieta rica en grasas.</p> <p>Los científicos buscaron la explicación en un incremento del gasto energético y hallaron la respuesta en la llamada grasa parda, un tipo de tejido graso que, paradójicamente, favorece que el organismo "queme la energía almacenada en los michelines".</p> <p>La grasa parda elimina grasa, mientras que la blanca almacena grasa, ha detallado Serrano.</p> <p>Los investigadores han constatado que Pten activa la grasa parda, lo que explica la delgadez de los ratones con copias extra del gen.</p> <p>Este fenómeno también lo han logrado reproducir con células de grasa parda cultivadas in vitro.</p> <p>La principal forma de actuar de Pten es inhibiendo la actividad de la proteína PI3K.</p> <p>Para comprobar si esa vía es la que usa Pten para actuar sobre la grasa parda, se empleó una molécula sintética producida en el CNIO, que inhibe a la proteína PI3K igual que lo hace Pten.</p> <p>Los científicos hallaron que también activa la grasa parda, por lo que creen que se abre la posibilidad de que en un futuro un fármaco consiga el mismo efecto que la dosis extra de Pten en ratones.</p> <p>Es perfectamente realista imaginar a largo plazo una pastilla que refuerce nuestros supresores tumorales o una pastilla que nos haga quemar nutrientes en exceso, según Serrano.</p> <p>Para Serrano, la de la obesidad es una vía más a explorar y "aunque pasar de estudios en ratón a humanos es un camino lleno de incertidumbres", eso "no debe ser obstáculo para intentarlo".</p> <p>De momento, el CNIO, según Serrano, está interesado en encontrar empresas farmacéuticas interesadas en el inhibidor PI3K.<br /> marzo 7/2012 (EFE)</p> <p><strong>Tomado del Boletín de Prensa Latina: Copyright 2012 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Isabel Garcia-Cao, Min Sup Song, Robin M. Hobbs, Gaelle Laurent, Carlotta Giorgi, Vincent C.J. de Boer, et. al. <a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0092867412002309" target="_blank"><em><strong>Systemic Elevation of PTEN Induces a Tumor-Suppressive Metabolic State</strong></em></a>. <em>Cell Metabolism</em>, publicado marzo 2012.</p> </span>
2012-03-08T16:28:49-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/286
Obesidad: Los niños gordos podrían no responder igual de bien a los fármacos para el asma
2012-03-08T16:14:02-05:00
Revista Finlay
Los niños con sobrepeso podrían no responder igual de bien a fármacos para el asma conocidos como corticosteroides inhalados, halla una investigación reciente. <p>Como resultado, podrían necesitar más del medicamento para el control a largo plazo, apuntó la investigadora, la Dra. Pia Hauk, profesora asistente de pediatría del Centro Nacional Judío, en Denver.</p> <p>"En nuestra población de pacientes, donde atendemos a muchos asmáticos, los niños con sobrepeso y obesos necesitan alrededor del doble de corticosteroides inhalados que los que tienen un peso saludable", apuntó Hauk.</p> <p>El estudio fue pequeño, e incluyó a apenas 61 niños con asma entre los dos y los 18 años de edad, así que los resultados no deben considerarse concluyentes.</p> <p>De los niños, 34 tenían un peso saludable, 13 tenían sobrepeso y 14 eran obesos. La mayoría de los niños, 56, usaban corticosteroides inhalados.</p> <p>Los investigadores anotaron el peso y el índice de masa corporal (IMC, una medida que toma en cuenta la estatura y el peso) de cada niño, y su dosis diaria de medicamentos para el asma.</p> <p>También cultivaron células sanguíneas y de las vías respiratorias, y evaluaron la respuesta de las células a los medicamentos para el asma, observando un gen específico que afecta la respuesta al fármaco.</p> <p>Hauk halló que a medida que el peso aumentaba, la respuesta farmacológica se reducía. El gen no se expresaba al mismo nivel en los niños con sobrepeso, apuntó.</p> <p>Los hallazgos se presentaron el domingo en la reunión anual de la Academia Americana de Alergias, Asma e Inmunología (American Academy of Allergy, Asthma & Immunology) en Orlando, Florida.</p> <p>Unos nueve millones de niños estadounidenses menores de 18 años han sido diagnosticados con asma en algún momento de sus vidas, según la academia. Los corticosteroides inhalados, que ayudan a reducir la inflamación de las vías respiratorias y la producción de moco, se han usado por más de 50 años. Incluyen beclometasona (Qvar), triamcinolona (Azmacort) y mometasona (Asmanex).</p> <p>Alrededor del 17 por ciento de los niños y adolescentes de EE. UU. son obesos, con un IMC superior a 30, según los Centros para el Control y la Prevención de las Enfermedades (CDC) de EE. UU. Esa tasa es el triple respecto a hace una generación. Los niños obesos tienen más probabilidades de sufrir de asma que los de peso normal.</p> <p>Hauk especula que la inflamación crónica que se observa en la obesidad podría interferir con la respuesta del organismo al medicamento.</p> <p>La Dra. Sherry Farzan, alergóloga e inmunóloga del Sistema de Salud North Shore-LIJ en Great Neck, Nueva York, señaló que otras investigaciones han mostrado que los adultos con sobrepeso tenían una respuesta más baja a sus medicamentos.</p> <p>"Este estudio ve a un nivel más celular" que otros estudios, dijo, anotando que esto añade firmeza a hallazgos anteriores.</p> <p>Hauk afirmó que se necesitan más estudios antes de recomendar cambios en los medicamentos para el asma en los niños con sobrepeso. Hasta que se realicen más investigaciones, los padres deben animar a sus hijos a perder el peso excesivo, aconsejó.</p> <p>"Sabemos que la obesidad y el sobrepeso no son buenos para los niños en general", enfatizó Hauk. "Al reducir el peso, se puede aminorar la inflamación, y tener de nuevo una mejor respuesta a la terapia con corticosteroides".</p> <p>Los datos y conclusiones de estudios presentados en reuniones médicas deben ser considerados como preliminares hasta que se publiquen en una revista médica revisada por profesionales.</p> <br /><em>Artículo por HealthDay, traducido por Hispanicare</em> <p>FUENTE: Pia Hauk, M.D., assistant professor, pediatrics, and pediatric allergist and immunologist, National Jewish Health, Denver; Sherry Farzan, allergist and immunologist, North Shore-LIJ Health System, Great Neck, N.Y.; March 4, 2012, presentation, annual meeting, American Academy of Allergy, Asthma & Immunology, Orlando, Fla.</p> <div>HealthDay</div>
2012-03-08T16:14:02-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/285
Enfermedad de Alzheimer: Identifican el mecanismo molecular que produce la pérdida de memoria en adolescentes afectados de estrés crónico
2012-03-08T08:18:31-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Investigadores de la Universidad de Buffalo (UB), en Estados Unidos, han probado, a nivel molecular, que el estrés crónico tiene un efecto más potente en el cerebro durante la adolescencia que en la edad adulta. El hallazgo ha sido publicado en la revista <em>Neuron.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Hemos identificado una relación causal entre las moléculas y los comportamientos que intervienen en la respuesta al estrés", afirma la doctora Zhen Yan, profesora en el Departamento de Fisiología y Biofísica de la Escuela de Medicina y Ciencias Biomédicas de la UB. La experta añade que "es la primera vez que la pérdida de receptores de glutamato se ha relacionado causalmente con los efectos negativos del estrés crónico".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La investigación de la UB refuerza la hipótesis de que el glutamato ejerce un papel clave en la enfermedad mental y, por tanto, es fundamental para tratar trastornos como la depresión, la ansiedad y la esquizofrenia.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El trabajo se llevó a cabo en ratas macho a una edad que corresponde a la adolescencia en los seres humanos, un período en el que el cerebro es muy sensible al estrés -la corteza prefrontal (que controla la memoria de trabajo, la toma de decisiones y la atención) no madura totalmente hasta los 25 años de edad.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>En respuesta al 'estrés repetido', se produjo una pérdida de expresión del receptor de glutamato y de la función en la corteza prefrontal. Esta pérdida produjo un deterioro significativo en la capacidad de reconocer los objetos que habían visto con anterioridad. "Debido a que la disfunción en la corteza prefrontal está implicada en el estrés relacionado con la enfermedad mental, esta investigación ayudará a desentrañar cómo y por qué se producen las enfermedades mentales, y cómo tratarlas", afirma Yan.</p> <p><strong>Bloqueo de enzimas</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En el mismo documento, los investigadores explican que, mediante el bloqueo de las enzimas que activan la pérdida de la expresión del receptor de glutamato, lograron prevenir el deterioro cognitivo inducido por la exposición al estrés repetido. Como resultado, los investigadores de la UB han descubierto que puede haber una forma de evitar los efectos perjudiciales del estrés crónico.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Muchos fármacos antipsicóticos, actualmente en el mercado, afectan, de alguna manera, al sistema del glutamato. El equipo de Yan ha publicado, recientemente en <em>Molecular Pharmacology</em> una investigación que muestra cómo uno de los nuevos antipsicóticos, el lurasidone, hace exactamente eso. Sin embargo, señalan que muchos de estos fármacos también afectan a otros sistemas de neurotransmisores importantes.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Si, sobre la base de esta nueva investigación, podemos empezar a centrarnos en el sistema del glutamato de una manera más específica y eficaz, podríamos ser capaces de desarrollar mejores medicamentos para tratar la enfermedad mental grave", afirma Yan.</div> <a href="http://www.cell.com/neuron/fulltext/S0896-6273%2812%2900083-9" target="_blank">Neuron (2012); doi: 10.1016/j.neuron.2011.12.033</a>
2012-03-08T08:18:31-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/284
Enfermedad de Alzheimer: El estrés crónico suave es un factor de riesgo para el desarrollo de la enfermedad de Alzheimer
2012-03-08T08:14:33-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Científicos del Centro de Investigación Médica Aplicada (CIMA) de la Universidad de Navarra han determinado que el estrés crónico suave puede estar implicado en el desarrollo de la enfermedad de Alzheimer (EA). Los resultados se han publicado en la revista científica <em>Journal of Alzheimer's Disease.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Mar Cuadrado, investigadora del Área de Neurociencias del CIMA y autora principal del trabajo, explica a través de un comunicado que el estudio trata de determinar si un proceso de estrés crónico suave, similar al estrés clásico cotidiano, podría influir en la aparición de esta patología neurodegenerativa.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según señala Cuadrado, "utilizamos ratones jóvenes con Alzheimer inducido, que todavía no presentaban los rasgos característicos de la enfermedad". "Tras someterles a un protocolo de estrés crónico de 6 semanas de duración, observamos que estos animales sufrían una pérdida de memoria severa y un aumento significativo de los dos principales marcadores de la EA: el péptido beta-amiloide y la proteína Tau fosforialda, dos proteínas que se acumulan en el cerebro de los pacientes de EA", apunta.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Por lo tanto, concluye esta investigadora, "un estrés suave, experimentado de manera crónica, contribuye a agravar y acelerar los principales rasgos de la enfermedad en estos animales, que presentaban una predisposición genética para desarrollar Alzheimer".</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según explica el CIMA, "hay muchos estudios que avalan que el estrés produce deterioro cognitivo". Además, los pacientes con depresión tienen episodios de pérdida de memoria y el estrés es uno de los factores que se asocian a la depresión. "En nuestro trabajo hemos confirmado que el estrés podía afectar directamente a los marcadores propios de la enfermedad de Alzheimer", comenta Cuadrado.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En la actualidad, los investigadores del CIMA tratan de utilizar estos resultados para obtener modelos animales que desarrollen todas las características de los pacientes de EA. "De esta manera podremos ensayar con más fiabilidad nuevas moléculas diseñadas para el tratamiento de la enfermedad de Alzheimer", apunta.</div>
2012-03-08T08:14:33-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/283
Nutrición: Consumo de flavonoides y menor mortalidad cardíaca
2012-03-03T14:32:53-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Según artículo publicado en <a href="http://www.ajcn.org/content/95/2/454.abstract" target="_blank"><em><strong>American Journal of Clinical Nutrition </strong></em></a>(doi: 10.3945/ajcn.111.016634 ), los adultos que consumen una cantidad moderada de ciertas sustancias vegetales, en concreto flavonoides, son menos propensos a padecer cardiopatías o infarto cerebral.</p> <p>Un estudio sobre 38 180 varones y 60 289 mujeres, con una edad media de 70 y 69 años, respectivamente, evidenció que quienes más flavonoides ingerían a través de la dieta (sustancias presentes en muchas verduras y frutas, como bayas, cítricos, manzanas, espinacas o brócoli, además de nueces, soja, chocolate amargo, té y vino) tenían menos propensión a fallecer por una enfermedad coronaria o un accidente cerebrovascular (ACV) en los siguientes siete años.</p> <p>El equipo investigador dividió a los participantes en cinco grupos, según la cantidad de flavonoides que consumían. El quintil que más flavonoides ingería era un 18% menos propenso a morir por cardiopatías o ACV en relación con el quintil de menor consumo de dichas sustancias.<br /> <a href="http://www.neurologia.com/sec/RSS/noticias.php?idNoticia=3376" target="_blank"><strong>Febrero 29/2012 (Neurologia.com)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Marjorie L McCullough,Julia J Peterson,Roshni Patel,Paul F Jacques,Roma Shah, Johanna T Dwyer.<em><strong>Flavonoid intake and cardiovascular disease mortality in a prospective cohort of US adults.</strong>Am J Clin Nutr</em> Feb 2012 vol. 95 no. 2 454-464</p> </span>
2012-03-03T14:32:53-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/282
Medicamentos: El tadalafilo mejora los síntomas en pacientes con hiperplasia benigna de próstata
2012-02-28T10:14:00-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Según concluye un estudio, el uso de este fármaco hace que el flujo urinario máximo aumente significativamente en comparación con placebo.</p> <div class="content"><p>La revista <em>European Urology</em> publica en su edición online un estudio fase III que demuestra que tadalafilo (‘Cialis’) y tamsulosina presentan puntuaciones significativamente mejores en el índice International Prostate Symptom Score (IPSS) en comparación con placebo, en hombres con signos y síntomas de hiperplasia benigna de prostática (HBP).</p> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Tadalafilo mejoró los síntomas de disfunción eréctil (DE) en hombres que además de los signos y síntomas de HBP también presentaban disfunción eréctil. El estudio también mostró que el flujo urinario máximo aumentó significativamente en comparación con placebo, tanto con tadalafilo como con tamsulosina. Éste es el primer estudio internacional en el que se evalúa el uso de tadalafilo en paralelo con tamsulosina (como control activo), controlado con placebo, para el tratamiento de signos y síntomas de HBP en la misma población.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>El uso diario de tadalafilo está aprobado en Estados Unidos para el tratamiento de la disfunción eréctil, de la HBP, y de la disfunción eréctil y HBP en hombres con ambos trastornos (DE + HBP).</p> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio aleatorizado, doble ciego, controlado con placebo, de grupos paralelos, de 12 semanas de duración, realizado en 44 centros de urología en 10 países, evaluó la eficacia y seguridad de tadalafilo 5 mg diario en paralelo con tamsulosina 0,4 mg en hombres mayores de 45 años con signos y síntomas de HBP.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La medida principal fue la puntuación del índice International Prostate Symptom Score (IPSS), un cuestionario que evalúa los síntomas del tracto urinario inferior –STUI- que ocurren durante el mes anterior, donde las puntuaciones más bajas indican STUI menos graves. La medida secundaria clave fue el índice de impacto de BPH (BII), un cuestionario que evalúa el impacto de los problemas urinarios en la salud y el funcionamiento, en el que puntuaciones más bajas indican un menor impacto. Por otra parte, en aquellos hombres con DE y signos y síntomas de HBP (aproximadamente el 60% de los sujetos), se midió el Índice Internacional de Función Eréctil-dominio de función eréctil l (IIFE-FE), un cuestionario que evalúa la función sexual, donde las puntuaciones más altas indican una mejor función eréctil.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Tadalafilo alcanzó el objetivo principal de valoración, mejorando significativamente la puntuación total del IPSS a las 12 semanas frente a placebo (-2,1, p = 0,001). Tamsulosina también mejoró significativamente las puntuaciones totales del IPSS a lo largo de 12 semanas frente a placebo (-1,5, p = 0,023). Después de cuatro semanas, el BII mejoró significativamente con tadalafilo frente a placebo (-0,8, p <0,001) y tamsulosina frente a placebo (-0,9, p <0,001), y mejoró después de 12 semanas (tadalafilo -0,8, p = 0,003; tamsulosina -0,6 , p = 0,026). El dominio IIFE-FE mejoró con tadalafilo en comparación con placebo (4,0, p <0,001), pero no al comparar tamsulosina con placebo (-0,4, p = 0,699).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Este es el primer estudio en el que tadalafilo muestra una mejoría significativa de los signos y síntomas de HBP al cabo de una semana y un aumento significativo en la tasa de flujo urinario máximo (Qmax) a las 12 semanas. Ambos tratamientos mejoraron significativamente la puntuación total del IPSS tan pronto como a la semana de tratamiento (tadalafilo y tamsulosina -1,5, p <0,01); Qmax aumentó de manera significativa frente a placebo tanto con tadalafilo (2,4 ml / s, p=0,009) como con tamsulosina (2,2 ml / s; p=0,014).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Este estudio no comparó directamente tadalafilo con tamsulosina.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La proporción de sujetos que informaron al menos un acontecimiento adverso fue: tadalafilo, 23,4%; tamsulosina, 23,8%, y placebo, 20,3%. Los acontecimientos adversos más frecuentes fueron cefalea (tadalafilo: 2,9%; tamsulosina: 4,2%; placebo: 1,2%), congestión nasal (tadalafilo: 2,9%; tamsulosina: 1,8%; placebo: 4,7%), dolor de espalda (tadalafilo: 2,3%; tamsulosina: 1,2%; placebo: 0,6%) y malestar estomacal (tadalafilo: 2,3%; tamsulosina: 1,8%, placebo: 0). Dos sujetos que tomaban tadalafilo, uno en tratamiento con tamsulosina y otros dos del grupo de placebo interrumpieron su participación en el estudio por un acontecimiento adverso.</div></div> <a href="http://www.europeanurology.com/article/S0302-2838%2812%2900015-2/fulltext" target="_blank">European Urology (2012); doi: 10.1016/j.eururo.2012.01.013</a></div> <div class="inner_content"><!-- .listaRss { position: relative; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 0px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 0px; height: 400px; width: 420px ! important; }.listaRss2 { background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 0px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 10px 0pt; width: 440px; }.fondo_blanco { z-index: 3; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); visibility: hidden; opacity: 0.7; height: 395px ! important; width: 438px; }.fondo_gris { z-index: 4; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(102, 102, 102); visibility: hidden; opacity: 0.6; height: 235px; width: 328px ! important; }.capa_rss { z-index: 5; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); border: 2px solid rgb(205, 205, 205); height: 265px ! important; width: 310px ! important; visibility: hidden; }.contenido_rss { z-index: 6; position: absolute; height: 190px; width: 312px ! important; visibility: hidden; }.contenido_rss h3 { float: left; margin: 0px; font: bold 11px Arial,Helvetica,sans-serif; color: rgb(102, 102, 102); }.contenido_rss .cabecera { width: 299px ! important; padding: 6px; border-bottom: 1px solid rgb(236, 236, 236); }.contenido_rss img { float: right; margin: 0px; padding: 0px; }.contenido_rss a img { border: 0px none; }.contenido_rss ul { margin: 0px 2px 0px 0px; padding: 0px; }.contenido_rss li { background: url("/static/portadas/rss/img/fnd_lista_rss.gif") repeat-x scroll left bottom transparent; list-style-type: none; margin: 0px ! important; padding: 2px 2px 2px 5px; font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss li img { float: left; }.contenido_rss li a { display: block; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); padding: 2px 0px; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss li a:hover { display: block; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(234, 238, 243); padding: 2px 0px; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss .sin_borde { background: none repeat scroll 0% 0% transparent; font-size: 10px; color: rgb(102, 102, 102); }.contenido_rss .sangria { padding: 0px 0px 0px 21px; font-size: 9px; }.limpiar { clear: both; line-height: 1px; font-size: 1px; height: 1px; }.listaRssizq { padding: 2px 0px; width: 183px ! important; float: left; border-right: 1px solid rgb(204, 204, 204); }.listaRssizq a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRssizq img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; }.listaRssder { padding: 2px 0px 2px 7px; width: 208px ! important; float: left; }.listaRssder a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRssder img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; }.entrar a { color: rgb(0, 51, 102); text-decoration: none; }.entrar a:hover { color: rgb(0, 51, 102); text-decoration: underline; }.listaRss2 { background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 5px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 10px 0pt; width: 420px ! important; }.listaRss2 a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRss2 img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; } --> <form> <input name="ocultar" type="hidden" value="1" /> </form></div>
2012-02-28T10:14:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/281
Medicamentos: Demuestran que los fármacos son tan eficaces como los 'stents' en pacientes con enfermedad arterial coronaria estable
2012-02-28T10:09:03-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Un metanálisis de ocho estudios recientes muestra que estos dispositivos no dan mejor resultado que los fármacos.</p> <div class="content"><p> </p><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;"> </span></div></div></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El uso de fármacos para tratar a pacientes con enfermedad arterial coronaria estable es tan eficaz como utilizar un 'stent'. Así lo ha demostrado un equipo de investigadores del Stony Brook University Medical Center, en Nueva York (Estados Unidos). Su trabajo, publicado en <em>Archives of Internal Medicine,</em> añade evidencias que apoyan que los fármacos, menos invasivos y costosos, funcionan tan bien como los 'stents'.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En la actualidad, el procedimiento más habitual para abrir una arteria del corazón en pacientes que llegan al hospital con un ataque al corazón son los 'stents'. Sin embargo, varios estudios han demostrado que los dispositivos cardíacos no son mejores que los fármacos en pacientes con enfermedad arterial coronaria.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio del Stony Brook University Medical Center, dirigido por los investigadores Kathleen Stergiopoulous y David Brown, ha intentado derribar los persistentes argumentos basados en los primeros resultados. Según sostienen los autores, estos análisis incluían datos de ensayos que comparaban el tratamiento con fármacos con el balón angioplástico, en el que un catéter provisto de un balón se inserta para después abrir la arteria inflando el balón.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El reciente trabajo, consistente en un metanálisis de ocho estudios realizados en el periodo 1997-2005 en que se comparaba el farmacológico con los 'stents', incluyó resultados de más de 7.200 pacientes. Según Brown, "la cuestión era saber si había algún beneficio en utilizar 'stents' en estos pacientes como procedimiento terapéutico inicial frente a la terapia farmacológica y un 'stent' adicional, si fuera necesario". "El resultado ha demostrado con bastante claridad que el uso de 'stents' no reduce las muertes, ni los infartos de miocardio ni los síntomas de la angina de pecho", añade.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Este análisis es el primero que incluye únicamente estudios en los que se usaron 'stents' y cuyos resultados comparan los beneficios de este procedimiento con la terapia médica moderna, que incluye el uso de 'Aspirina', betabloqueantes, inhibidores ACE o bloqueantes del receptor de la angiotensina, además de estatinas para reducir el colesterol.</div> <a href="http://archinte.ama-assn.org/cgi/content/abstract/172/4/312?maxtoshow=&hits=10&RESULTFORMAT=&fulltext=Kathleen+Stergiopoulous+y+David+Brown&searchid=1&FIRSTINDEX=0&resourcetype=HWCIT" target="_blank">Archives of Internal Medicine (2012); doi:10.1001/archinternmed.2011.1484 </a></div>
2012-02-28T10:09:03-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/280
Factores de riesgo cardiovascular: Nuevos estudios que vinculan el consumo de gaseosas dietéticas con riesgo de infarto y ACV
2012-02-22T08:40:52-05:00
Revista Finlay
Un estudio sugiere que las personas que beben gaseosas dietéticas todos los días tendrían riesgo de sufrir un infarto cardíaco o cerebral. <p>El estudio, sobre casi 2600 adultos mayores durante una década, demostró que los que consumían gaseosas dietéticas todos los días eran un 44 por ciento más propensos que el resto a tener un infarto o un accidente cerebrovascular (ACV).</p> <p>Los resultados, publicados en Journal of General Internal Medicine, no prueban que la causa sean las bebidas sin azúcar porque podrían existir otros factores en los amantes de las gaseosas dietéticas que explicarían la relación observada.</p> <p>"Vimos una asociación -dijo la autora principal, Hannah Gardener, de la Escuela Miller de Medicina de University of Miami-. Esa población tendría hábitos no tan saludables." Y el equipo intentó tenerlo en cuenta.</p> <p>Los amantes de las gaseosas dietéticas tendían a pesar más y a tener más factores de riesgo, como hipertensión, diabetes y niveles inadecuados de colesterol, que el resto.</p> <p>Pero aún tras considerar estas diferencias, junto con los hábitos alimentarios y físicos, el equipo comprobó que el consumo de gaseosa dietética estaba asociado con un 44 por ciento más probabilidad de sufrir un infarto o un ACV.</p> <p>Los resultados se suman a estudios recientes que también comprobaron que los bebedores de gaseosas dietéticas son más propensos a tener ciertos factores de riesgo, como la hipertensión y el azúcar en sangre elevado.</p> <p>Este, según dijo Gardener, es el primer estudio sobre "problemas vasculares", es decir, infartos, ACV y muerte por causas cardiovasculares.</p> <p>Los resultados surgen de 2564 adultos de la Ciudad de Nueva York de unos 69 años al inicio del estudio. En una década, 591 hombres y mujeres tuvieron un infarto, un ACV o murieron por causas cardiovasculares.</p> <p>Eso incluyó al 31 por ciento de los 163 participantes que bebían gaseosas dietéticas todos los días al inicio del estudio sufrió un infarto o un ACV, comparado con el 22 por ciento de los que nunca o rara vez consumían bebidas dietéticas.</p> <p>No se registró un aumento del riesgo asociado con el consumo esporádico ni con el consumo de gaseosas comunes.</p> <p>"Las personas no deberían modificar el consumo según estos resultados -dijo Gardener-. Tampoco promovería el consumo de gaseosas comunes en lugar de la versión dietética".</p> <p>Las gaseosas comunes son ricas en calorías y médicos sugieren que las personas que necesitan adelgazar las reemplacen por la versión dietética.</p> <p>Gardener opinó que se necesitan más estudios como el de ella para confirmar la existencia de una relación entre el consumo de gaseosas dietéticas y los trastornos cardiovasculares.</p> <p>FUENTE: Journal of General Internal Medicine, online 27 de enero del 2012.</p>
2012-02-22T08:40:52-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/279
Nutrición: La ingesta excesiva de ácidos grasos omega 3 puede llegar a ser perjudicial
2012-02-21T06:48:51-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La ingesta excesiva de ácidos grasos Omega 3 durante el embarazo puede llegar a ser perjudicial, según el director del Grupo de Investigación Bioquímica y Metabolismo Perinatal de la Universidad CEU San Pablo de Madrid, el doctor Luis Herrera. Si bien en cantidades normales son beneficiosos, ingeridos en exceso pueden producir "estrés oxidativo e inhibir la formación de otros ácidos grasos que también son necesarios para un adecuado desarrollo fetal", señala este experto.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En el curso de una investigación en ratones, el Dr. Herrera y su equipo observaron que los ácidos grados Omega 3 se acumulan en el tejido adiposo de la madre durante la primera mitad del embarazo. Más tarde, durante la última fase de la gestación y la lactancia, los ácidos afluyen a la sangre, y de ahí pasan al bebé.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Una de las deficiencias que se producen con el exceso de Omega 3 afecta al ácido araquidónico, fundamental para el crecimiento fetal y postnatal. Asimismo, los investigadores apuntan que es probable que se acabe desarrollando resistencia a la insulina, si los niveles de ácidos no son estables.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><img title="omega-3_75" src="/public/site/images/mikhail/omega-3_75.jpg" alt="omega-3_75" width="115" height="110" />Por estos motivos, el grupo de trabajo de la Universidad CEU San Pablo pretende llamar la atención sobre la dieta y, sobre todo, sobre la importancia de sus componentes grasos. "Resulta fundamental mantener una alimentación apropiada tanto en cantidad como en su composición durante la gestación", concluyen.</div>
2012-02-21T06:48:51-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/278
Factores de riesgo cardiovascular: Las mujeres con apnea del sueño no tratada triplican el riesgo de muerte cardiovascular
2012-02-21T06:41:32-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Las mujeres con apnea del sueño grave no tratada presentan un riesgo 3,5 veces mayor de muerte cardiovascular, según un estudio con alrededor de un millar de mujeres realizado por el Grupo Español del Sueño de la Sociedad Española de Neumología y Cirugía Torácica (SEPAR). Esta enfermedad afecta a un 2-3% de la población femenina de mediana edad. El trabajo ha sido publicado en <em>Annals of Internal Medicine.</em></p> <p>Para el miembro de la SEPAR y primer firmante del artículo, el doctor Francisco Campos Rodríguez, la relevancia de este estudio estriba en que "se trata del primero realizado en una serie muy amplia de mujeres y con un seguimiento de 72 horas".</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Esta patología tiene una alta prevalencia en ambos sexos, y consiste en episodios repetidos de obstrucción de la vía aérea superior durante las horas de sueño. La incidencia en hombres "alcanza el 5%, y aumenta progresivamente con la edad", señala el Dr. Campos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El tratamiento utilizado para su cuidado es la presión positiva continua en la vía aérea superior (CPAP), consistente en un dispositivo que libera aire presurizado en la vía aérea para evitar su colapso. Sin embargo, "sólo son tratados entre el 5 y el 9%" de los enfermos, ya que los restantes no han sido diagnosticados", apostilla el autor de la investigación.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los cálculos estiman que en España hay entre 1,2 y 2,1 millones de personas afectadas. Según SEPAR, los síntomas que llevan a un buen diagnóstico en los hombres son los ronquidos, las pausas respiratorias y una excesiva somnolencia diurna. Las mujeres pueden presentar "insomnio, ansiedad o depresión".</div> <br /><br /><a href="http://www.annals.org/content/156/2/115.abstract?sid=65247c02-7dfe-4885-977f-0d363452dda8" target="_blank">Annals of Internal Medicine; January 17, 2012 vol. 156 no. 2 I-38 </a>
2012-02-21T06:41:32-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/277
Nutrición: El control metabólico materno ayuda a prevenir la obesidad infantil
2012-02-20T10:24:53-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El grupo de investigación sobre regulación del Metabolismo de la Universidad CEU San Pablo, dirigido por la catedrática de Bioquímica y Biología Molecular María Pilar Ramos, estudia los mecanismos implicados en la resistencia insulínica.</p> <p>Este equipo participa en la única red de la Comunidad de Madrid sobre diabetes mellitus, denominada "Estudio de los mecanismos de la resistencia a la insulina: implicaciones en obesidad, diabetes y síndrome metabólico", en la que colaboran diferentes universidades, hospitales y centros de investigación.</p> <p>En concreto estudian los posibles mecanismos que tienen lugar en las células, sobre todo en el tejido adiposo y el hígado, para que se produzca la resistencia insulínica, centrando su interés en la inflamación y el estrés oxidativo.</p> <p>Actualmente, sus estudios se focalizan en dos situaciones: diabetes gestacional y obesidad infantil. Se sabe que durante el embarazo se desarrolla un proceso fisiológico de inflamación y estrés oxidativo y lo normal es que al finalizar la gestación la situación se revierta. Estos investigadores han identificado proteínas que están hiperestimuladas en ese proceso inflamatorio, provocando una serie de reacciones que favorecen la resistencia a la insulina. Esto les ha llevado a desarrollar la hipótesis de que cuando esta respuesta inflamatoria se descompensa, por un aumento del estrés oxidativo entre otros factores, se favorecería el desarrollo de la diabetes gestacional.</p> <p>La segunda línea de interés aborda los factores que determinan que algunos niños tengan más facilidad para desarrollar obesidad, aparte de la baja actividad física y las malas pautas nutricionales. Se sabe que durante el primer periodo de la gestación la madre acumula grasa y el feto crece muy poco. Si durante esta fase la madre ingiere menos comida de la que debería, tendrá menos reservas para la segunda etapa en la cual el feto crece exponencialmente, por lo que este recibirá menos nutrientes y nacerá más pequeño.</p> <p>Hígado graso<br /> Estos recién nacidos de menor tamaño por la subnutrición de la madre en la edad adulta son más obesos, presentan intolerancia a la glucosa y pueden desarrollar el denominado hígado graso. Por lo tanto, pueden desarrollar un cuadro que en algunos aspectos es similar al del síndrome metabólico.</p> <p>En este segundo proyecto, el grupo está interesado en conocer cómo las alteraciones tanto metabólicas como las que pueda haber en la dieta de la madre en la gestación favorecen que esos niños presenten obesidad o diabetes mellitus en el futuro. Se han realizado estudios en rata y ratón y ya se están empezando a desarrollar trabajos con mujeres gestantes que padecen diabetes mellitus, niños que nacieron con bajo peso y niños con obesidad.<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2012/02/17/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/control-metabolico-materno-ayuda-prevenir-obesidad-infantil" target="_blank">febrero 19/2012 (Diario Médico)</a></p> </span>
2012-02-20T10:24:53-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/276
Enfermedades cardiovasculares: Una variación en el cromosoma Y hace que las enfermedades coronarias sean hereditarias
2012-02-13T06:26:00-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Una investigación coordinada por científicos de la Universidad de Leicester, en Reino Unido, ha descubierto una relación entre el cromosoma Y, presente sólo en hombres, y la enfermedad arterial coronaria, lo que podría explicar cómo esta patología se transmite de padres a hijos.</p> <p>El estudio, cuyos resultados han sido publicados en la revista <em>The Lancet,</em> ha sido financiado por la Fundación Británica del Corazón y se ha basado en el análisis de ADN de más de 3.000 individuos pertenecientes a dos cohortes de datos.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Al agrupar y analizar todos los resultados, los autores observaron que el 90% de los cromosomas Y de estos individuos pertenecían al llamado haplogrupo I o al R1b1b2.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Además, el riesgo de enfermedad coronaria entre los hombres que tenían un cromosoma Y del haplogrupo I era un 50% más alto que el resto, con independencia de otros factores de riesgo más comunes, como el colesterol o una presión arterial elevada, y el tabaquismo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Los investigadores creen que este aumento del riesgo se debe a la influencia del haplogrupo I sobre el sistema inmune y la inflamación, determinante en la respuesta del organismo ante infecciones.</p> <p><strong>Analizar 'más a fondo'</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El profesor del Departamento de Ciencia Cardiovascular y autor de esta investigación, Maciej Tomaszewski, ha manifestado que están "muy entusiasmados" con estos resultados, si bien admite que quieren analizar "más a fondo" el papel del cromosoma Y para poder encontrar "los genes específicos y variantes que llevan a esta asociación". "La principal novedad de estos hallazgos es que el cromosoma Y humano parece desempeñar un papel en el sistema cardiovascular", asegura.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Las enfermedades coronarias se producen por el estrechamiento de los vasos sanguíneos que suministran sangre al corazón, lo que hace que no llegue suficiente oxígeno a este órgano y, en muchos casos, se produzca un infarto.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según datos de la Fundación Británica del Corazón, en Reino Unido se producen cada año 88.236 muertes por esta causa, de las que más de la mitad, unas 49.665, se dan en hombres.</div> <br /><a href="http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2811%2961453-0/abstract" target="_blank">The Lancet (2012); doi:10.1016/S0140-6736(11)61453-0</a>
2012-02-13T06:26:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/275
Obesidad: Hallan nuevas evidencias que relacionan la obesidad con la alteración de determinadas funciones cerebrales
2012-02-13T06:04:22-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El cerebro de los individuos obesos, a diferencia del de los delgados, podría estar generando de modo constante señales que empujen a comer, incluso cuando el organismo no necesita una cantidad adicional de energía, según un estudio de la Universidad de Turku y la Aalto University, en Finlandia, publicado en <em>PLoS ONE.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Aunque la obesidad suele ser el resultado de una excesiva ingesta de energía, aún está por aclarar por qué algunas personas son propensas a ganar más peso que otras.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Dado que el sistema nervioso central está íntimamente relacionado con las señales de ‘hambre’ y el control de la ingesta de comida, es posible que el motivo de que una persona gane peso y sufra obesidad esté en el cerebro.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Para comprobarlo, investigadores de la Universidad de Turku y la Aalto University midieron el funcionamiento de los circuitos del cerebro implicados en este proceso utilizando diversos métodos de imagen cerebral en individuos con obesidad mórbida y en sujetos delgados, miembros del grupo de control.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El resultado reveló que en personas obesas, el metabolismo cerebral de la glucosa era significativamente mayor en las regiones estriatales del cerebro, implicadas en el proceso de las recompensas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Además, el sistema de recompensa de los individuos obesos respondía más enérgicamente ante imágenes de comida, mientras que las respuestas en las regiones corticales frontales implicadas en el control cognitivo estaban apagadas.</div> <a href="http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0031089" target="_blank">PLoS ONE (2012); doi:10.1371/journal.pone.0031089</a>
2012-02-13T06:04:22-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/274
Enfermedad de Alzheimer: Un fármaco contra el cáncer es capaz de revertir los síntomas del Alzheimer
2012-02-12T06:20:53-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Investigadores de la Facultad de Medicina de la Case Western Reserve University, en Estados Unidos, han descubierto que un fármaco autorizado para el tratamiento del cáncer desde hace 10 años, el bexaroteno, revierte en ratones los déficit patológicos, cognitivos y de memoria que causa la enfermedad de Alzheimer.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Este hallazgo, que publica en su último número la revista<em> Science,</em> representa un "avance espectacular" en el camino por encontrar una cura para este trastorno neurodegenerativo, que sólo en Estados Unidos afecta a más de 5,4 millones de personas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El Alzheimer se origina en muchos casos cuando el organismo se muestra incapaz de eliminar del cerebro una proteína beta amiloide, producida de forma natural.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En 2008, el neurocientífico de la Case Western Reserve Gary Landreth descubrió que el principal portador de colesterol en el cerebro, la apolipoproteína E (ApoE), facilita la liquidación de las proteínas beta-amiloide.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por ello, y dado que el bexaroteno actúa estimulando los receptores retinoides X (RXR, en sus siglas en inglés) --encargados de controlar la producción de la ApoE--, Landreth y su equipo decidieron probar este fármaco para aumentar los niveles de dicha proteína en el cerebro y reducir las placas beta amiloides.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio se realizó en ratones y lo sorprendente, según los autores, fue la rapidez con la que el bexaroteno mejoró el déficit de memoria y de comportamiento, consiguiendo revertir la propia enfermedad.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>De hecho, seis horas después de la administración de este fármaco, los niveles de beta amiloide se redujeron en un 25%, y el efecto duró hasta tres días.</p> <p><strong>Instinto de anidamiento</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Una de las expresiones de esta mejora conductual estaba relacionada con el anidamiento. Cuando los ratones enfermos de Alzheimer encontraban el material adecuado para la anidación -en este caso, un pañuelo de papel- no hacían nada para crear un espacio para anidar, lo que significaba que habían perdido este instinto.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Sin embargo, tan sólo 72 horas después de iniciar el tratamiento con bexaroteno, los ratones comenzaron a utilizar el papel para hacer los nidos. Asimismo, el uso de este fármaco también mejoró la capacidad de los ratones para detectar y responder a los olores.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El tratamiento de bexaroteno también mostró una rápida respuesta para estimular la eliminación de las placas amiloides del cerebro. En concreto, los investigadores encontraron que más de la mitad de las placas se habían limpiado en 72 horas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Es como si el bexaroteno reprogramara las células inmunes del cerebro para "comerse" los depósitos de amiloide, reconoce el doctor Landreth, lo que permite revertir las características patológicas de la enfermedad en ratones.</div> <br /><a href="http://www.sciencemag.org/content/early/2012/02/08/science.1217697.abstract?sid=64807448-b4e7-4365-a2a9-77fe595856d6" target="_blank">Science (2012); doi: 10.1126/science.1217697 </a>
2012-02-12T06:20:53-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/273
Cáncer: La enfermedad cardíaca podría ser un factor de riesgo del cáncer de próstata
2012-02-11T09:29:51-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Investigadores del Duke Cancer Institute, en Estados Unidos, han encontrado una correlación entre la enfermedad arterial coronaria y el cáncer de próstata, que sugiere que las dos patologías podrían tener causas comunes. El estudio se publica en la versión 'on line' de la revista especializada <em>Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El hallazgo, realizado a través de los datos de los participantes en el ensayo de un fármaco para la próstata, sugiere que este tumor podría prevenirse, en parte, adoptando una serie de cambios en el estilo de vida, como perder peso, hacer ejercicio y llevar una dieta saludable, que también previenen problemas de corazón.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según el director de este trabajo, Jean-Alfred Thomas II, de la División de Urología del Duke Cancer Institute, "lo que es bueno para el corazón podría ser bueno para la próstata".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>La enfermedad arterial coronaria es la principal causa de mortalidad en adultos en Estados Unidos, causando uno de cada cuatro fallecimientos. Entre sus factores de riesgo se cuentan el sedentarismo, la obesidad, la hipertensión y el colesterol, el tabaquismo y la diabetes.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>También el cáncer de próstata es una importante causa de mortalidad. En concreto, es el segundo cáncer más letal para los hombres estadounidenses, por detrás del cáncer de pulmón, con cerca de 240.000 nuevos diagnósticos anuales y 34.000 fallecimientos.</p> <p><strong>Estudio 'REDUCE'</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Para el estudio, los autores utilizaron datos procedentes de un total de 6.390 hombres, que participaron en un gran estudio llamado 'REDUCE', un ensayo de cuatro años randomizado cuyo objetivo era probar si el fármaco dutasterida reducía el riesgo de desarrollar un cáncer de próstata.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">A todos los practicantes se les había practicado una biopsia a los dos y a los cuatro años, en función de sus niveles de PSA. También contaban con un detallado historial médico, en el que se incluían datos como el peso, la incidencia de enfermedades cardíacas, la ingesta de alcohol, los medicamentos que tomaban y otros factores.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>De ellos, 547 tenían un historial de enfermedad arterial coronaria antes de apuntarse en el estudio. Este grupo era un 24% más propenso a ser diagnosticado de un cáncer de próstata en los primeros dos años del estudio que aquellos hombres que dijeron no tener enfermedades del corazón. A los cuatro años del inicio del estudio, el riesgo de estos individuos de desarrollar cáncer de próstata era un 74% mayor.</p></div> <a href="http://cebp.aacrjournals.org/content/early/2012/02/04/1055-9965.EPI-11-1017.abstract?sid=df197445-21f1-44df-8f6e-d9d90c7aef16" target="_blank">Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention (2012); doi: 10.1158/1055-9965.EPI-11-1017 </a>
2012-02-11T09:29:51-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/272
Obesidad: Un estudio relaciona por primera vez la depresión y la obesidad desde un punto de vista genético
2012-02-09T10:32:42-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Un estudio dirigido por Margarita Rivera Sánchez, del Grupo de Investigación Cibersam Universidad de Granada, ha demostrado que existe una relación genética entre la depresión y la obesidad, dos de las enfermedades con mayor prevalencia en la sociedad actual. El trabajo, realizado a partir de sendas muestras de 2.440 individuos diagnosticados con depresión recurrente y 809 sujetos sanos (control), establece que la depresión modifica el efecto del llamado 'gen de la obesidad (FTO)' sobre el índice de masa corporal de un individuo.</p> <p>Este hallazgo sugiere que existe un componente genético involucrado en el mecanismo subyacente a la asociación entre los trastornos del estado de ánimo y la obesidad. Además, dado que las formas más leves de depresión y los síntomas depresivos son muy frecuentes en la población general, experimentar esos síntomas puede moderar el efecto del gen FTO en la población en su conjunto y, en parte, determinar cuáles de estos individuos portadores de las variantes "de riesgo" pueden llegar a tener sobrepeso u obesidad, ha informado este miércoles la UGR.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Aunque la influencia de las variantes del 'gen de la obesidad' en el índice de masa corporal, y la asociación entre la obesidad y los trastornos psiquiátricos, han sido investigados por separado, éste es el primer estudio que investiga la relación entre estos tres elementos de forma conjunta. Además, los resultados iniciales de este trabajo han sido confirmados en dos muestras independientes, una de ellas de unos 18.000 individuos procedentes de 21 países de todo el mundo y de diferentes grupos étnicos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Margarita Rivera destaca que "existen evidencias de que los trastornos relacionados con la obesidad son más frecuentes en individuos que padecen depresión, aunque la naturaleza y dirección de dicha asociación no está aún clara". Estudios recientes apoyan la hipótesis de que existen factores etiológicos, incluyendo factores genéticos, compartidos entre la depresión, la obesidad y los trastornos físicos.</p></div> <a href="http://www.nature.com/mp/journal/vaop/ncurrent/abs/mp201145a.html" target="_blank">doi: 10.1038/mp.2011.45</a>
2012-02-09T10:32:42-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/271
Hipertensión arterial: La ropa ajustada empeora la circulación sanguínea y aumenta la presión arterial
2012-02-08T05:50:36-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El uso continuado de ropa demasiado ajustada empeora la circulación sanguínea, lo que puede provocar dificultad en el retorno de la sangre venosa y un aumento de los edemas, facilitando además la aparición de trombos venosos, principalmente en las piernas, que pueden soltarse y producir infartos pulmonares, según alerta la cardióloga del Hospital La Paz de Madrid y miembro de la Sociedad Española de Cardiología, la doctora Mar Moreno.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Esta trombosis venosa, si se sucede de forma repetida, puede provocar hipertensión arterial pulmonar, con aparición de dificultad respiratoria, y si el desprendimiento de los trombos es masivo puede llegar a producir la muerte", añade.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Además, y dado que el corazón realiza un sobreesfuerzo, incrementa el riesgo de problemas cardíacos; provoca retención de líquidos y toxinas, contribuyendo a la aparición de celulitis y de grasa en determinadas zonas; y puede obstruir el paso de aire y oxígeno por el cuerpo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Sentir hormigueo y adormecimiento en algunas zonas, especialmente en manos y pies, según esta experta, "es una señal inequívoca de que hay que vestir prendas más holgadas". Así, recomienda prendas que permiten hacer movimientos de forma natural.</div>
2012-02-08T05:50:36-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/270
Cáncer: La desactivación de una proteína recién descubierta suprime por completo el crecimiento del cáncer de próstata
2012-02-07T07:34:05-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Investigadores estadounidenses han identificado una proteína esencial para el crecimiento del cáncer de próstata. Se trata de la proteína ARD1, relacionada con los andrógenos, la hormona masculina que regula esta clase de tumor. El hallazgo ha sido publicado en <em>Proceedings of the National Academy of Sciences.</em></p> <p>El receptor de andrógenos desempeña un papel fundamental en la progresión del cáncer de próstata, por lo que, hasta ahora, el tratamiento estándar ha sido la deprivación androgénica.</p> <p>Para encontrar una estrategia alternativa, el equipo del doctor Wanguo Liu, profesor de Genética en el Centro de Ciencias de la Salud en Nueva Orleans y responsable de la investigación, analizó el receptor de andrógenos y observó un exceso de producción en la ARD1 en la mayoría de las muestras de cáncer de próstata, lo que activa el receptor de andrógenos.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Hemos demostrado que la desactivación de la ARD1 inhibe la función de los receptores de andrógenos resultantes de la supresión completa del crecimiento del cáncer de próstata en cultivo de tejidos y en ratones", señala Liu, quien aduce que "la función de ARD1 en el desarrollo del cáncer de próstata es modificar el receptor de andrógenos para mejorar su actividad".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según el Instituto Nacional del Cáncer, alrededor de 242.000 hombres estadounidenses serán diagnosticados de cáncer de próstata este año. Se trata del segundo cáncer más diagnosticado entre los hombres, sólo por detrás del cáncer de piel, y se estima que 28.170 hombres morirán en 2012 debido a esta enfermedad.</div> <br /><a href="http://www.pnas.org/content/early/2012/02/01/1113356109.abstract?sid=24cb77bb-32f3-4422-9c25-4ce088abc40b" target="_blank">Proceedings of the National Academy of Sciences (2012); doi: 10.1073/pnas.1113356109</a>
2012-02-07T07:34:05-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/269
Nutrición: Un nutriente del tomate preparado podría ralentizar el cáncer de próstata
2012-02-01T06:32:01-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Un estudio muestra que el licopeno, la sustancia que proporciona al tomate su característico color rojo, intercepta la capacidad del tumor para expandirse.</p> <div class="content"><p> </p><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;"> </span></div></div></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Un nutriente de los tomates cocinados es capaz de ralentizar el crecimiento de las células del cáncer de próstata. Así lo ha demostrado un equipo de científicos de la Universidad de Portsmouth, en Reino Unido, cuyo trabajo se publica en <em>British Journal of Nutrition.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En concreto, el grupo liderado por Mridula Chopra ha probado el efecto de un nutriente conocido como licopeno sobre el mecanismo simple a través del cual las células del cáncer 'secuestran' el suministro de sangre saludable de un organismo con el objetivo de crecer y extenderse.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los autores descubrieron que el licopeno, la sustancia que proporciona al tomate su característico color rojo, intercepta la capacidad del cáncer para realizar las conexiones que requiere para atacar al suministro de sangre saludable. Ahora, investigadores de la Facultad de Farmacia y Ciencias Biomédicas de esta universidad pretenden analizar si esta misma reacción se da en el cuerpo humano.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según ha precisado Chopra, director del estudio, "se ha demostrado que esta reacción química simple se produce con concentraciones de licopeno que pueden conseguirse fácilmente comiendo tomate preparado".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El licopeno está presente en todas las frutas rojas y verduras, pero sus mayores concentraciones se dan en los tomates y se muestra más fácilmente disponible y biológicamente activo cuando procede de tomate preparado, añadiéndole una pequeña cantidad de aceite para cocinar.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Quiero recalcar que nuestros tests se realizaron en tubos de ensayo de un laboratorio y que serán necesarias más pruebas para confirmar estos descubrimientos", apunta.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Esta investigación ha recibido fondos de la empresa Heinz, que pidió que los científicos siguieran adelante con anteriores estudios que mostraban un significativo incremento de los niveles de licopeno en muestras de sangre y semen en sujetos que consumieron 400 gramos de tomate preparado durante dos semanas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Las células cancerígenas pueden permanecer inactivas durante años hasta que su crecimiento se activa a través de la secreción de químicos que inician el proceso de vinculación de las células cancerígenas con las endoteliales (células sanas guardianas que cubren los vasos sanguíneos), permitiendo a las células del cáncer alcanzar y atacar al suministro sanguíneo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Todas las células cancerígenas utilizan un mecanismo similar (la angiogénesis) para 'alimentarse' de un suministro sanguíneo sano, pero los investigadores han subrayado la importancia de este mecanismo para el cáncer de próstata, porque el licopeno tiende a acumularse en los tejidos de próstata.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Lo importante es que suficiente licopeno llegue donde debe. Sabemos que, en el caso de los tejidos de próstata, lo consigue", apunta, añadiendo que su equipo "ha probado esto en el laboratorio, pero que no sabe todavía si se producirá la misma acción en el organismo".</div></div>
2012-02-01T06:32:01-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/268
Ciencia y Tecnología: Logran inducir la depresión en ratones a partir de la expresión de una proteína humana
2012-02-01T06:27:56-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Investigadores españoles lograron expresar en el cerebro de ratones sanos una versión mutada de la proteína Tau, presente en ciertas enfermedades neurodegenerativas conocidas como 'tauopatías'. Fruto de esta experimentación, los animales empezaron a comportarse de forma marcadamente depresiva.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">“La muerte de un tipo especial de células madre presentes en el cerebro, producida por la sobreexpresión de la proteína Tau, parece ocasionar en los ratones una pérdida de su capacidad de lucha por la supervivencia, lo cual se tiene por un comportamiento semejante a la depresión humana”, argumentan María Victoria Llorens-Martín, Félix Hernández y Jesús Ávila, investigadores del Centro de Biología Molecular Severo Ochoa (UAM/CSIC) y autores del trabajo, publicado en la revista <em>Neuroscience.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Tanto la degeneración y la muerte neuronal que tienen lugar en zonas del cerebro especialmente sensibles, como la aparición de comportamientos depresivos, se derivan de la sobreexpresión de la proteína Tau mutada. Para los autores, el hecho de que algunas regiones del cerebro sean especialmente sensibles a la expresión de esta proteína debe ser tenido en cuenta para la prevención y tratamiento de las enfermedades neurodegenerativas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Este descubrimiento posee especial relevancia en el ámbito de dichas enfermedades, ya que la sobreexpresión mutada de Tau ha conseguido reproducir en los ratones no sólo la degeneración cerebral que se observa en pacientes, sino también el comportamiento depresivo que acompaña a la pérdida de memoria en alguno de estos procesos degenerativos", añaden.</div> <br /><br /><a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21907761" target="_blank">Neuroscience (2012); Nov 24;196:215-27. </a> <div class="inner_content"><br /><!-- .listaRss { position: relative; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 0px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 0px; height: 400px; width: 420px ! important; }.listaRss2 { background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 0px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 10px 0pt; width: 440px; }.fondo_blanco { z-index: 3; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); visibility: hidden; opacity: 0.7; height: 395px ! important; width: 438px; }.fondo_gris { z-index: 4; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(102, 102, 102); visibility: hidden; opacity: 0.6; height: 235px; width: 328px ! important; }.capa_rss { z-index: 5; position: absolute; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); border: 2px solid rgb(205, 205, 205); height: 265px ! important; width: 310px ! important; visibility: hidden; }.contenido_rss { z-index: 6; position: absolute; height: 190px; width: 312px ! important; visibility: hidden; }.contenido_rss h3 { float: left; margin: 0px; font: bold 11px Arial,Helvetica,sans-serif; color: rgb(102, 102, 102); }.contenido_rss .cabecera { width: 299px ! important; padding: 6px; border-bottom: 1px solid rgb(236, 236, 236); }.contenido_rss img { float: right; margin: 0px; padding: 0px; }.contenido_rss a img { border: 0px none; }.contenido_rss ul { margin: 0px 2px 0px 0px; padding: 0px; }.contenido_rss li { background: url("/static/portadas/rss/img/fnd_lista_rss.gif") repeat-x scroll left bottom transparent; list-style-type: none; margin: 0px ! important; padding: 2px 2px 2px 5px; font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss li img { float: left; }.contenido_rss li a { display: block; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(255, 255, 255); padding: 2px 0px; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss li a:hover { display: block; background: none repeat scroll 0% 0% rgb(234, 238, 243); padding: 2px 0px; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.contenido_rss .sin_borde { background: none repeat scroll 0% 0% transparent; font-size: 10px; color: rgb(102, 102, 102); }.contenido_rss .sangria { padding: 0px 0px 0px 21px; font-size: 9px; }.limpiar { clear: both; line-height: 1px; font-size: 1px; height: 1px; }.listaRssizq { padding: 2px 0px; width: 183px ! important; float: left; border-right: 1px solid rgb(204, 204, 204); }.listaRssizq a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRssizq img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; }.listaRssder { padding: 2px 0px 2px 7px; width: 208px ! important; float: left; }.listaRssder a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRssder img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; }.entrar a { color: rgb(0, 51, 102); text-decoration: none; }.entrar a:hover { color: rgb(0, 51, 102); text-decoration: underline; }.listaRss2 { background: none repeat scroll 0% 0% rgb(250, 250, 250); border: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding: 5px 5px 5px 15px; font: 10px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(99, 156, 206); margin: 10px 0pt; width: 420px ! important; }.listaRss2 a { font: 11px Arial,Helvetica,sans-serif; text-decoration: none; color: rgb(0, 51, 102); }.listaRss2 img { margin: 1px 4px -2px 1px ! important; width: 24px; height: 13px; border: 0px none; padding-top: 5px; } --> <form> <input name="ocultar" type="hidden" value="1" /> </form></div>
2012-02-01T06:27:56-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/267
Medicamentos: El hallazgo de dos nuevas dianas logra retrasar la progresión del melanoma más agresivo
2012-01-31T06:53:51-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Científicos del Centro Oncológico Jonsson de la Universidad de California en Los Ángeles (UCLA) han descubierto los mecanismos moleculares por los que el melanoma logra en ocasiones sobreponerse al tratamiento inicial, y que pueden convertirse en nuevas dianas terapéuticas para retrasar la progresión de la enfermedad.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Así lo ha asegurado el investigador español Antoni Ribas, profesor de onco-hematología y coautor del estudio, que ha participado recientemente en la jornada 'Nuevo abordaje multidisciplinar del melanoma metastásico', celebrada en Madrid y organizada por el Grupo Español Multidisciplinar del Melanoma (GEM), en colaboración con Roche.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El cáncer de piel es uno de los tumores con mejor pronóstico cuando se diagnostica de forma precoz. Sin embargo, cuando se detecta en fase avanzada la esperanza de vida es muy reducida. Para estos casos, no se había conseguido ningún avance terapéutico en los últimos treinta años hasta la aprobación este mismo año de dos terapias específicas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Una de ellas, el vemurafenib, comercializado por Roche con el nombre de 'Zelboraf', actúa bloqueando la mutación de la proteína BRAF V600, presente en la mitad de estos tumores en fase avanzada. Este fármaco, que ya se está utilizando en Estados Unidos y está pendiente de aprobación en Europa, logra reducir el tamaño del tumor en el 40% de los pacientes tratados y hacerlo desaparecer en otro 10%. Sin embargo, sus efectos "no son muy duraderos" y, en muchos casos, "después de seis o siete meses el tumor reaparece".</p> <p><strong>Golpear al tumor en dos lugares diferentes</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Ahora, Ribas y su equipo han descubierto la implicación en este proceso de dos nuevas proteínas, la MEK y el N-Ras, cuya inhibición puede servir para retrasar la reaparición de la enfermedad. "Es como golpear el tumor en dos lugares diferentes", asegura Ribas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Asimismo, este tratamiento puede reducir los efectos secundarios que origina el vemurafenib. Según explica Ribas, "en algunos casos se daba un efecto paradójico, ya que, al tiempo que se bloqueaba el tumor, se desarrollaban pequeños melanomas escamosos de poca agresividad que requerían el uso de cirugía". La combinación de este fármaco con inhibidores de MEK, en cambio, reduce la toxicidad.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los resultados son preliminares y todavía es necesario seguir indagando en los mecanismos que deben activarse o desactivarse para mejorar la eficacia de esta terapia, explica este experto, que no obstante celebra el "enorme avance" que se ha conseguido en un grupo de pacientes para los que hasta ahora no había ninguna solución.</div>
2012-01-31T06:53:51-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/266
Hipertensión arterial: Diferencias de presión entre el brazo izquierdo y el derecho aumentan el riesgo de mortalidad por enfermedad cardiovascular
2012-01-30T12:11:16-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La diferencia de presión sanguínea entre el brazo izquierdo y el derecho de un paciente podría indicar que padece una enfermedad vascular. Así se desprende del metaanálisis realizado por investigadores de la University of Exeter, en Devon (Reino Unido), publicada en la versión 'on line' de <em>The Lancet.</em> Este descubrimiento sugiere que se debería medir la presión sanguínea en ambos brazos de forma rutinaria.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los autores, que revisaron 28 investigaciones acerca de las diferencias de presión entre ambas extremidades, encontraron evidencias que sugieren que una diferencia de 15 miligramos Hg o más está asociada con un mayor riesgo de enfermedad vascular periférica (2,5 veces mayor), enfermedades cerebrovasculares preexistentes (1,6); mortalidad cardiovascular (70%).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los investigadores, dirigidos por el doctor Christopher E. Clark, del Peninsula College of Medicine and Dentistry, en la Universidad de Exeter, señalan que estos resultados indican que "una diferencia en la presión sanguínea sistólica de 10 mm Hg o más o de 15 mm Hg o más entre brazos podría identificar a los pacientes con alto riesgo de enfermedad vascular periférica asintomática y de mortalidad, que podrían beneficiarse de más valoraciones".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según estos expertos, "los descubrimientos de este estudio deberían incorporarse a las futuras guías para la hipertensión y la medición de la presión sanguínea para justificar su medición en los dos brazos y promover controles dirigidos a la enfermedad vascular periférica y el manejo de factores de riesgo agresivos en sujetos con una diferencia sistólica entre brazos demostrable".</div> <a href="http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2811%2961710-8/fulltext" target="_blank">The Lancet (2012); doi:10.1016/S0140-6736(11)61710-8</a>
2012-01-30T12:11:16-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/265
Enfermedad de Alzheimer: Actividad cognitiva sostenida durante la vida previene alzhéimer
2012-01-26T07:21:11-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Leer, escribir y realizar algunas actividades cognitivas previenen el alzhéimer, una de las enfermedades neurodegenerativas más devastadoras para el ser humano que, según estadísticas, triplicará su incidencia para mediados de siglo.</p> <p>Esas acciones están asociadas con un menor riesgo de acumular en el cerebro la proteína beta-amiloide, componente principal de las placas desencadenantes de esa patología, demostró en un reciente estudio Susan Landau, de la Universidad estadounidense de California.</p> <p>En su artículo publicado en <a href="http://archneur.ama-assn.org/cgi/content/short/archneurol.2011.2748" target="_blank"><strong><em>Archives of Neurology</em></strong></a> (doi:10.1001/archneurol.2011.2748), comprobó una relación directa entre los hábitos de vida como actividad cognitiva regular y la acumulación de estas placas dañinas en el cerebro.</p> <p>Mediante técnicas de imagen, con el (11C)PiB, radiofármaco que se emplea en la prueba de imagen PET (Tomografía por Emisión de Positrones), los investigadores pudieron visualizar dichas placas y su depósito cerebral, destaca el artículo.</p> <p>Para llevar a cabo sus ensayos agrupó a 65 voluntarios, con edad promedio de 76 años, 10 pacientes con alzhéimer y 11 jóvenes sanos de unos 24 años, que integraron el grupo control.</p> <p>A todos ellos se les aplicó una serie de cuestionarios sobre actividad cognitiva y física, así como pruebas neuropsicológicas para evaluar su memoria.</p> <p>Los resultados demostraron que las personas mayores con una más actividad cognitiva tenían niveles de la proteína similares a los jóvenes del estudio.</p> <p>Por el contrario, las imágenes cerebrales de los de menor ejercicio mental eran comparables a las de los pacientes de alzhéimer, señalan los autores.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=471470&Itemid=1" target="_blank"><strong>Enero 25/2012 Washington, (PL)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de<strong> Hinari.</strong></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Susan M. Landau, Shawn M. Marks,Elizabeth C. Mormino,Gil D. Rabinovici,Hwamee Oh, James P. O'Neil,Robert S. Wilson.<em><strong>Association of Lifetime Cognitive Engagement and Low ?-Amyloid Deposition.</strong></em> Publicado en <em>Arch Neurol</em>. Publicado Enero 23, 2012.</p> </span>
2012-01-26T07:21:11-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/264
Hipertensión arterial: Idean un algoritmo que permite clasificar la hipertensión con una fiabilidad del 97%
2012-01-26T07:19:12-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>La ingeniera de telecomunicaciones Cristina Crespo, profesora del Oregon Institute of Tecnology, ha creado un algoritmo que permite clasificar el tipo de hipertensión que sufre el paciente con una precisión del 97%. Los métodos que se vienen utilizando actualmente presentan un porcentaje de error del 14,6%.</p> <p>Hasta ahora, los pacientes eran sometidos a una monitorización ambulatoria de la presión arterial, de forma que se recogían sus niveles cada 15 o 30 minutos durante uno o dos días. A partir de estos análisis, se establecieron dos categorías de pacientes: los 'dippers', esto es, lo que manifiestan un descenso nocturno, y los 'no dippers', asociados con una mayor frecuencia de eventos cardiovasculares y de daños en los órganos diana.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El algoritmo evaluó las señales de actigrafía (medición con pulsera) de 104 voluntarios de la Universidad de Vigo, y cosechó un acierto del 97% respecto a las anotaciones de los participantes, dato mucho más fiable que el resto de algoritmos existentes.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según destaca la profesora, cuando no se emplea esta nueva medida "se comenten errores de clasificación de los sujetos en cuanto al diagnóstico de la hipertensión".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Actualmente ya se han tramitado cinco solicitudes de patente ante la United States Patent and Trademark Office. Así, se espera que este algoritmo pueda ser empleado de forma gratuita por investigadores sin ánimo de lucro y que las empresas privadas puedan adquirir licencias no exclusivas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por el momento, varias entidades se han mostrado ya interesadas en conseguir uno de estos permisos. Sin embargo, Crespo advierte de que "aún hay mucho trabajo por hacer" para que el método sea adoptado por la comunidad científica y clínica.</div><div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Fuente:<a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/idean/algoritmo/permite/clasificar/hipertension/fiabilidad/97/_f-11+iditem-16119+idtabla-1" target="_blank">Jano</a></div>
2012-01-26T07:19:12-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/263
Nutrición: Un puñado de nueces tiene más antioxidantes que una ración diaria de frutas y verduras
2012-01-20T17:00:54-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Un estudio revela que los frutos secos suponen cerca del 8% de los antioxidantes que un adulto incluye en su dieta diaria.</p> <div class="content"><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;"> </span></div></div></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Una ración de nueces -unos 30 gramos- tiene más antioxidantes que una ración diaria de frutas y verduras, según el doctor Joe Vinsonel, catedrático del Departamento de Química de la Universidad de Scranton, en Estados Unidos, que ha liderado un estudio que ha sido recogido en la publicación <em>Food and Function.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Teniendo en cuenta el perfil nutricional de las nueces, este experto aconseja que se incluyan con "mayor frecuencia" en todas las dietas, "ya que son una fuente de fibra, con proteínas de alta calidad, una excelente fuente de ácido alfalinoléico, y además tienen un alto poder antioxidante".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La investigación revela también que los frutos secos suponen cerca del 8% de los antioxidantes que un adulto incluye en su dieta diaria.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los alimentos con antioxidantes neutralizan los radicales libres que dañan las membranas celulares, al contribuir a la lucha contra el envejecimiento y al ayudar a prevenir enfermedades.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Además, los polifenoles contenidos en las nueces son un tipo de antioxidante que actúa directamente sobre el 'colesterol malo' y combate la arterioesclerosis al ralentizar la acumulación de placa.</div> <a href="http://pubs.rsc.org/en/content/articlelanding/2012/fo/c2fo10152a" target="_blank">Food and Function (2012); doi: 10.1039/C2FO10152A </a></div>
2012-01-20T17:00:54-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/262
Cáncer: Explican cómo la interleucina 1b interviene en la génesis del adenocarcinoma esofágico
2012-01-18T06:22:02-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un grupo de investigadores del Centro Médico de la Universidad de Columbia, en Nueva York, ha identificado un mecanismo celular que explica la formación del adenocarcinoma esofágico, uno de los tumores cuya incidencia crece con más rapidez en diversos países industrializados, como Estados Unidos.</p> <p>A falta de un buen modelo animal del adenocarcinoma esofágico, resulta difícil investigar este tumor en el nivel básico. Se sabe que el adenocarcinoma está relacionado con la enfermedad por reflujo gastroesofágico; la acción en el tiempo de esta alteración irrita e inflama al esófago, provocando la forma precancerosa conocida como esófago de Barrett; un pequeño porcentaje de individuos que la sufren acaban desarrollando el adenocarcinoma.</p> <p>El trabajo aporta nuevos datos que cuestionan la idea asumida sobre la patogénesis del esófago de Barrett y el adenocarcinoma.</p> <p>Con ayuda de un modelo de ratón diseñado genéticamente para desarrollar esofagitis, estos científicos, coordinados por el profesor Timothy C. Wang, han clarificado los cambios celulares críticos en el desarrollo del esófago de Barrett y en el adenocarcinoma esofágico.</p> <p>Como en los pacientes, el reflujo a menudo conduce a una sobreexpresión de la interleucina 1 beta, un mediador importante en la respuesta inflamatoria, Wang desarrolló un ratón transgénico en el que la interleucina 1 beta estaba sobreexpresada en el esófago.</p> <p>La sobreexpresión de la interleucina en el esófago murino condujo a una esofagitis y a la expansión de células progenitoras vinculadas con la vía de señalización Notch; esta última es fundamental en el sistema de comunicación entre las células.</p> <p>Además, el estudio demuestra que el esófago de Barrett en realidad parte del cardias gástrico; en esta zona de transición con el estómago, los ácidos digestivos y las citocinas inflamatorias activan las células troncales, que empiezan a desplazarse hacia la parte superior del esófago, donde adquieren una apariencia de tejido intestinal.<br /> <a href="http://www.diariomedico.com/2012/01/18/area-cientifica/especialidades/explican-como-interleucina-1b-determina-genesis-adenocarcinoma-esofagico" target="_blank">enero 17/2012 (Diario Médico)</a></p> <p>Michael Quante, Govind Bhagat, Julian A. Abrams, Frederic Marache, Pamela Good, Michele D. Lee, et. al. <a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1535610811004740" target="_blank"><strong><em>Bile Acid and Inflammation Activate Gastric Cardia Stem Cells in a Mouse Model of Barrett-Like Metaplasia</em></strong></a>. <em>Cancer Cell</em> enero 2012; 21(1) pp. 36 - 51.</p> </span>
2012-01-18T06:22:02-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/261
Cáncer: Presentan una herramienta diagnóstica que ayuda a predecir la evolución del cáncer de mama
2012-01-18T06:18:02-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla"><img title="cancer_im_220" src="/public/site/images/mikhail/cancer_im_220.jpg" alt="cancer_im_220" width="269" height="207" />El dispositivo, comercializado por Ferrer inCode, incluye cuatro test genéticos basados en técnicas de biología molecular.</p> <div class="content"><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;"> </span></div></div></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Ferrer inCode ha iniciado la comercialización de una nueva herramienta diagnóstica que permite predecir la evolución del cáncer de mama y, por tanto, personalizar el tratamiento en función del perfil genético de cada paciente.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El dispositivo, que recibe el nombre de Symphony, incluye cuatro test genéticos basados en técnicas de biología molecular. El primero de ellos, MammaPrint, evalúa el perfil de expresión de 70 genes con el fin de identificar el riesgo de recidiva a 5 y 10 años en ausencia de terapia adyuvante sistémica. Brinda dos posibles resultados: alto riesgo o bajo riesgo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según el jefe del Servicio de Oncología Médica del Hospital Gregorio Marañón, Miguel Martín, “'Symphony' ofrece no sólo la información pronóstica y predictiva de Mammaprint sino que aporta también datos sobre la expresión de receptores hormonales y HER2 y clasifica los tumores de acuerdo con el subtipo intrínseco, aspectos todos ellos de gran interés para entender mejor la biología del tumor con el que nos enfrentamos".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por su parte, el jefe del Programa de Cáncer de Mama del Hospital Vall d'Hebron de Barcelona, el doctor Javier Cortés, señala que la nueva tecnología sanitaria "es una herramienta valiosísima para nuestras pacientes, al poder individualizar de una manera mucho más precisa qué pacientes van a necesitar o no tratamiento de quimioterapia".</div></div>
2012-01-18T06:18:02-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/260
Obesidad: Analizan el microbioma intestinal y lo relacionan con la obesidad
2012-01-17T06:56:02-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Por primera vez, investigadores de la Universidad de Washington, en Estados Unidos, han analizado multitud de microorganismos que residen en el intestino humano como un complejo, integrado en un sistema biológico, más que como un grupo de especies separadas.</p> <p>Su aproximación, que se publica en <em><strong>Proceedings of the National Academy of Sciences </strong></em>(doi:10.1073/pnas.1116053109), ha revelado patrones que corresponden con el exceso de peso corporal.</p> <p>La colección de microbios en el interior del intestino humano es una red genética que interactúa y utiliza energía. Mediante la construcción de modelos de estas comunidades de microbios, se han descubierto nuevas diferencias entre las personas obesas y las delgadas.</p> <p>Los científicos, coordinados por Sharon Greenblum y Peter J. Turnbaugh, este último de la Universidad de Harvard, en Massachusetts, afirman que su estudio introduce una nueva estructura. Aplicando sistemas de biología y mediante simulación computacional han estudiado el microbioma humano como un único sistema cohesivo.</p> <p>Las personas albergan más de 100 billones de microbios, que habitan en varias localizaciones del organismo. El intestino es el lugar que más cantidad de microbios aloja. Investigaciones previas en el microbioma intestinal sugieren que la manipulación de la flora intestinal podría tener aplicaciones clínicas.</p> <p>"La caracterización del microbioma intestinal y sus interacciones con el huésped humano tienen el potencial de proporcionar una profunda mirada sobre la fisiología humana y los estados patológicos", ha explicado Greenblum.</p> <p>Los científicos, mediante el mapeo del microbioma humano están descubriendo especies y genes desconocidos. Por otro lado, ya habían observado que las personas obesas y las delgadas tienen diferencias en su microbioma humano.</p> <p>Ahora, el equipo de Elhanan Borenstein ha obtenido datos derivados de dos estudios previos que describen el tipo de genes en los microbiomas intestinales de individuos obesos y delgados y pacientes con enfermedad inflamatoria intestinal. Los científicos utilizaron técnicas computacionales para reconstruir modelos de estas comunidades microbianas y las interacciones entre varios genes. Además, el grupo ha estimado el cambio en la abundancia de enzimas asociadas con varios estados del huésped: delgados, obesos o afectados por enfermedad inflamatoria intestinal.</p> <p>"Sus modelos reflejaron interdependencias metabólicas entre enzimas. Ciertas interacciones fueron fundamentales para el metabolismo de la comunidad microbiana. Sin embargo, aquellas enzimas que tipificaron obesidad o delgadez estaban, en su mayoría, alejadas de la red central y de sus funciones metabólicas.</p> <p>Enzimas periféricas<br /> Las enzimas funcionaron en la periferia de la red modelada. Estas enzimas periféricas podrían representar los primeros pasos metabólicos que se derivan de sustancias no fabricadas por el microbioma.</p> <p>Tales enzimas, según Borenstein, es probable que se utilicen directamente o que produzcan sustancias que caractericen el ambiente intestinal, y podrían servir de vínculo entre el metabolismo microbiano y el humano.<br /> <a href="http://microbiologia.diariomedico.com/2012/01/17/area-cientifica/especialidades/microbiologia/analizan-microbioma-intestinal-relacionan-exceso-peso" target="_blank">enero 16/2012 (Diario Médico)</a></p> <p>Sharon Greenblum, Peter J. Turnbaugh, Elhanan Borenstein.<a href="http://www.pnas.org/content/109/2/594.full?sid=42868f9f-8eac-4522-b6bb-ae812327c0d7" target="_blank"><em><strong> Metagenomic systems biology of the human gut microbiome reveals topological shifts associated with obesity and inflammatory bowel disease</strong></em></a>. <em><strong>PNAS</strong></em> 2012 109 (2) 594-599; publicado diciembre 19/2011.</p> </span>
2012-01-17T06:56:02-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/259
Cáncer: Los científicos identifican un gen heredado del cáncer de próstata
2012-01-16T10:58:11-05:00
Revista Finlay
Científicos han identificado la primera mutación genética importante asociada con un mayor riesgo de cáncer de próstata hereditario. <p>Los hombres que heredan la mutación en el gen HOXB13 tienen entre 10 y 20 veces más riesgo de desarrollar cáncer de próstata, según el estudio, que aparece en la edición del 12 de enero de la revista <em>New England Journal of Medicine</em>.</p> <p>El gen HOXB13 tiene mucho que ver con el desarrollo de la próstata en la etapa fetal, y con la función de esta glándula más adelante.</p> <p>El descubrimiento de esta mutación genética podría ayudar a mejorar la comprensión sobre el desarrollo del cáncer de próstata y cuáles hombres podrían requerir exploraciones adicionales para la enfermedad, según el equipo liderado por investigadores de la Facultad de Medicina de la Universidad de Johns Hopkins y del Sistema de Salud de la Universidad de Michigan.</p> <p>Los investigadores analizaron el ADN de los pacientes más jóvenes de cáncer de próstata en 94 familias que tenían casos múltiples de la enfermedad entre parientes cercanos, como padres, hijos y hermanos. Se halló que los miembros de cuatro familias distintas tenían la misma mutación en el gen HOXB13. Los 18 pacientes de esas cuatro familias portaban la mutación.</p> <p>Entonces, los investigadores observaron a los 5,100 hombres que habían sido tratados por cáncer de próstata, y hallaron que 1.4 por ciento (72) de ellos tenían la misma mutación en el gen HOXB13. Los hombres con la mutación eran mucho más propensos a tener por lo menos un pariente en primer grado (padre o hermano) que también había sido diagnosticado con cáncer de próstata.</p> <p>Cuando observaron a un grupo de control de 1,400 hombres sin cáncer de próstata, los autores del estudio hallaron que apenas uno de los hombres portaba la mutación.</p> <p>Los investigadores también observaron datos de hombres inscritos en estudios de cáncer de próstata de inicio temprano o familiar.</p> <p>"Hallamos que la mutación era significativamente más común en hombres con antecedentes familiares y un diagnóstico temprano, en comparación con los hombres diagnosticados más tarde, a partir de los 55 años, sin antecedentes familiares. La diferencia fue de 3.1 frente a 0.62 por ciento", señaló en un comunicado de prensa de la Hopkins la Dra. Kathleen Cooney, profesora de medicina interna y urología de la Facultad de Medicina de la Universidad de Michigan, y una de los dos autores principales del estudio.</p> <p>"Es lo que hemos estado buscando en los últimos 20 años", añadió el otro autor principal William Isaacs, profesor de urología y oncología de la Facultad de Medicina de la Universidad de Johns Hopkins. "Hace mucho está claro que el cáncer de próstata puede ser cosa de familia, pero detectar la base genética subyacente ha resultado difícil, y estudios anteriores han provisto resultados contradictorios".</p> <p>Se calcula que 240,000 hombres serán diagnosticados con cáncer de próstata este año en EE. UU. Aunque la mutación del gen HOXB13 podría dar cuenta de apenas un número bajo de casos de cáncer de próstata, podría proveer claves sobre la forma en que este cáncer se desarrolla y ayudar a identificar a un grupo de hombres que podrían beneficiarse de exploraciones tempranas o adicionales para la enfermedad, señalaron los investigadores.</p> <br /><em>Artículo por HealthDay, traducido por Hispanicare</em> <p>FUENTE: Johns Hopkins Medicine, news release, Jan. 11, 2012</p><p><a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_120754.html" target="_blank">Medline Plus</a></p>
2012-01-16T10:58:11-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/258
Alcoholismo: Identifican el mecanismo cerebral que está detrás de la adicción al alcohol
2012-01-16T06:52:13-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla"><img title="vino_448" src="/public/site/images/mikhail/vino_448.jpg" alt="vino_448" width="331" height="248" />Tras años de especulaciones acerca de si la ingesta de bebidas espirituosas provocaba la secreción de endorfinas, un estudio de la Universidad de California lo confirma definitivamente.</p> <div class="content"><p> </p><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;"> </span></div></div></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Un estudio de la Universidad de California (Estados Unidos) publicado en <em>Science Translational Medicine </em>ha demostrado por primera vez en humanos que el alcohol libera endorfinas. Tras casi treinta años de especulaciones acerca de si la ingesta de bebidas espirituosas provocaba la secreción de estas proteínas en determinadas zonas del cerebro -lo que produce la sensación de placer que conduce a la adicción-, esta universidad lo confirma definitivamente.</p> <p>"Hemos descubiero que el las endorfinas se liberan en el núcleo accumbens y en la corteza orbitofrontal, asegura la investigadora Jennifer Mitchell, quien añade que este hallazgo permitirá "mejorar los métodos y medicaciones para tratar los problemas con el alcohol".</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Para llegar a estas conclusiones, los investigadores analizaron las respuestas cerebrales de 13 personas con un elevado consumo de alcohol, y de otras 12 que no bebían de manera habitual. En todos los casos, la ingesta de alcohol produjo una liberación de endorfinas, si bien la sensación de placer sólo fue unánime "cuando las endorfinas se liberaron en el núcleo accumbens".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En cambio, cuando estas proteínas se liberaron en la corteza orbitofrontal "sólo se incrementaron los sentimientos positivos en los bebedores habituales". Este hecho indica que "el cerebro de los alcohólicos está modificado, de manera que encuentran más placentero el consumo de alcohol", explica Mitchell.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Otro de los datos de interés que arroja el estudio es las posibles vías sugeridas por el mismo para el tratamiento contra el alcohol. Según esto, la naltrexona puede mejorar la eficacia de las medicinas habituales. Este fármaco "bloquea más de un receptor, y mucha gente deja de tomarlo porque no les gusta cómo les hace sentir", apunta Mitchell.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Para observar los efectos del alcohol en el cerebro, los investigadores americanos utilizaron la técnica de tomografía por emisión de positrones, método que no es invasivo. Previamente suministraron bebidas alcohólicas a los sujetos y dos dosis de carfentanil.</div> <br /><br /><a href="http://stm.sciencemag.org/content/4/116/116ra6" target="_blank">Science Translational Medicine (2012); doi: 10.1126/scitranslmed.3002902 </a></div>
2012-01-16T06:52:13-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/257
Hipertensión arterial: Confirman eficacia del control de la hipertensión arterial en la noche
2012-01-16T06:41:52-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><span class="textonormal"><img title="hta3_403" src="/public/site/images/mikhail/hta3_403.jpg" alt="hta3_403" width="296" height="217" /></span>Una amplia investigación del equipo de la Universidad de Vigo que dirige Ramón Hermida sobre hipertensión arterial (HTA) confirma que el tratamiento de esta enfermedad por la noche reduce el riesgo cardiovascular y cerebrovascular entre un 50 y un 60%.</p> <p>Las conclusiones de este estudio aparecen en <em><strong>Journal of the American College of Cardiology</strong></em>, <em><strong>Diabetes Care</strong></em> y <em><strong>Journal of American Society of Nefrology</strong></em>, tres revistas científicas muy influyentes. Todas han dedicado editoriales a los resultados con una línea argumental similar: resaltan la oportunidad de un nuevo planteamiento para el manejo de la hipertensión arterial y apuestan por convertir la presión nocturna en una diana terapéutica validada contra esta dolencia.</p> <p>Los últimos resultados sobre enfermos renales se han publicado en diciembre en <strong><em>Journal of American Society of Nefrology</em></strong>, y ratifican en estos pacientes una reducción de los eventos vasculares con el tratamiento de la hipertensión arterial por la noche. "Se corrobora que la presión nocturna es el mejor indicador de riesgo cardiovascular y cerebrovascular y que reducirla aumenta la supervivencia", comenta Ramón Hermida. Antes, la Sociedad Americana de Nefrología emitió un comunicado donde declaraba que el control de la presión nocturna es clave para disminuir la mortalidad en estos enfermos.</p> <p>El estudio refrenda la MAPA como mejor herramienta para predecir el riesgo de infarto e ictus y justifica su utilización rutinaria en la clínica</p> <p>La metodología de la investigación se basa en la monitorización ambulatoria de la presión arterial (MAPA). "Otros trabajos lo han hecho, pero la nuestra es más amplia porque incluye todos los factores de riesgo y todas las entidades cardiovasculares", explica Hermida. La novedad es que su equipo realiza MAPA periódicamente, cada año y cada tres meses, si se modifica el tratamiento, "lo que nos ha permitido observar si el riesgo cardiovascular se modifica, cambiando los parámetros de la presión ambulatoria". Otro aspecto novedoso es que se ha analizado la influencia de la hora de administración de los fármacos antihipertensivos sobre el riesgo de sufrir un evento cardio y cerebrovascular, revelándose como un factor esencial en la evolución de los pacientes.</p> <p>Los resultados son concluyentes: el peligro disminuye entre un 50 y un 60% -dos tercios en los pacientes que presentan diabetes mellitus-, cuando la medicación se administra por la noche. Del análisis de los datos se infiere que el riesgo es bajo si la presión nocturna es baja, aunque por el día sea alta y que, por el contrario, si es elevada por la noche, el peligro aumenta aunque sea baja por el día.</p> <p>Objetivo validado<br /> Los editoriales coinciden en destacar que cuantificar la presión arterial nocturna y reducirla con el tratamiento en ese horario disminuye el peligro de que el paciente sufra un infarto o un ictus y que, por tanto, se convierte en "objetivo terapéutico validado". También subrayan el valor pronóstico de la MAPA para el diagnóstico de la hipertensión arterial, la valoración de un posible evento cardiovascular y, por tanto, para su tratamiento. En consecuencia, Hermida se ha mostrado firme en su defensa como prueba rutinaria en la práctica clínica: "Tiene que convertirse de forma inmediata en herramienta asistencial imprescindible".</p> <p>A su juicio, los primeros subsidiarios tendrían que ser los pacientes con diabetes, las personas con hipertensión resistente y aquéllas que sufren enfermedad renal crónica.</p> <p>Recordó además en un trabajo anterior que apuntaba que el 40% de los españoles padecen hipertensión arterial y que, de ellos, dos tercios no tienen la presión arterial bien controlada. Ha significado que la MAPA permite detectar a las personas con hipertensión enmascarados y que es una prueba barata, 80 céntimos de euro sin contar el personal necesario para realizarla: "Cuesta menos que una prueba de hemoglobina glucosilada, que se hace rutinariamente a los pacientes con diabetes sin que nadie se plantee no realizarla". El equipo de la Universidad de Vigo continúa con su investigación en casi 40 centros de primaria de Galicia.<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2012/01/10/area-cientifica/especialidades/cardiologia/actualidad/confirman-idoneidad-control-hta-noche" target="_blank">enero (Diario Médico)</a></p> <p><strong>Nota</strong>: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo del artículo a través de Hinari.</p> <p>Ramón C. Hermida, Diana E. Ayala, Artemio Mojón, and José R. Fernández<br /> <a href="http://content.onlinejacc.org/cgi/content/abstract/58/11/1165" target="_blank"><em><strong>Decreasing Sleep-Time Blood Pressure Determined by Ambulatory Monitoring Reduces Cardiovascular Risk</strong></em></a>. <em>J. Am. Coll</em>. <em>Cardiol</em>., September 6, 2011; 58: 1165 - 1173.</p> </span>
2012-01-16T06:41:52-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/256
Diabetes Mellitus: Una terapia con células madre podría revertir la diabetes
2012-01-12T12:31:56-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">El tratamiento consiste en 'reeducar' las células T, responsables del ataque del sistema inmune a las células beta de los islotes pancreáticos.</p> <div class="content"><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;"> </span></div></div></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Una terapia de células madre de cordón umbilical podría revertir la diabetes tipo 1. Así lo han señalado investigadores de la University of Illinois, en Chicago (Estados Unidos), descrita en la publicación <em>BMC Medicine.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La diabetes tipo 1 se origina por un ataque del sistema inmune a las células beta del islote pancreático. La nueva terapia 'reeduca' las células T, responsables de este ataque, para restablecer la función pancreática y reducir la necesidad de insulina.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La terapia reeducadora consiste en pasar linfocitos (separados de la sangre del paciente) sobre células madre de cordón de donantes sanos. Después de dos o tres horas en el dispositivo, los linfocitos 'reeducados' son devueltos al paciente.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los progresos de los pacientes fueron observados a las 4, 12, 24 y 40 semanas después de administrarse la terapia, que posibilitó una reducción de la dosis diaria de insulina. Según el investigador de la University of Illinois at Chicago Yong Zhao, que dirigió este estudio multicéntrico, "también se observó un mejor control autoinmune en estos pacientes".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>"Otros marcadores de la función inmune", añade Yong Zhao, "como el TGF-beta1, también mejoraron: nuestros resultados sugieren que es esta mejora en el control autoinmune, mediado por los reguladores autoinmunes AIRE en el CBSC, que permite recuperarse a las células beta de la isleta pancreática".</p></div> <br /><br /><a href="http://www.biomedcentral.com/1741-7015/10/3/abstract" target="_blank">BMC Medicine (2012); doi:10.1186/1741-7015-10-3 </a></div>
2012-01-12T12:31:56-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/255
Medicamentos: Un aerosol de insulina podría mejorar los síntomas del alzhéimer
2012-01-09T18:07:42-05:00
Revista Finlay
Un aerosol nasal de insulina podría algún día ayudar a las personas con problemas leves de memoria o enfermedad de Alzheimer inicial a mejorar o preservar su función mental, sugiere un nuevo estudio de tamaño reducido. <br /><br />Pero los autores del estudio añadieron que se necesita mucha más investigación para ver si la terapia en realidad beneficiará a los pacientes.<br /><br />La enfermedad de Alzheimer, la forma más común de demencia en las personas mayores, inicialmente causa dificultades con el pensamiento, la memoria y el lenguaje, y se cree que la disfunción insulínica tiene que ver con los síntomas.<br /><br />"Aunque es un estudio pequeño, los autores proveen evidencia de la más convincente hasta la fecha de que el tratamiento con insulina podría aliviar los síntomas de la enfermedad de Alzheimer", apuntó el Dr. James E. Galvin, profesor de neurología y psiquiatría y director del Centro de Evaluación y Tratamiento de la Memoria Pearl S. Barlow del Centro Médico Langone de la NYU.<br /><br />Estudios anteriores han sugerido una relación entre la obesidad, la diabetes tipo 2 y la enfermedad de Alzheimer, apuntó Galvin. Este estudio "respalda aún más las relaciones entre una señalización afectada de la insulina en el cerebro y el declive cognitivo", añadió.<br /><br />Para el estudio de cuatro meses, que aparece en la edición en línea del 12 de septiembre de Archives of Neurology (doi:10.1001/archneurol.2011.233), investigadores de Seattle reclutaron a 104 personas que sufrían de problemas leves de la memoria relacionados con el alzhéimer o con una afección conocida como deterioro cognitivo leve amnésico (DCLA); 36 participantes recibieron 20 UI (unidades internacionales) de insulina al día, 38 recibieron 40 UI de insulina al día, y 30 un placebo.<br /><br />Los investigadores evaluaron los efectos de la insulina sobre los procesos de pensamiento, el funcionamiento cotidiano y el metabolismo de la glucosa en el cerebro, entre otros factores.<br /><br />Y al final del periodo del estudio, los que tomaron 20 UI diarias demostraron una mejor memoria de historias, o sea, podían recordar mejor los detalles inmediatamente tras escuchar una historia y tras un breve periodo de tiempo. Ni los que tomaron la dosis más alta de insulina ni los que tomaron el placebo mostraron una mejor memoria de historias.<br /><br />Además, los resultados de una prueba estándar de demencia administrada antes y después del estudio no mostraron declives en ninguno de los grupos de insulina, en comparación con el grupo del placebo.<br /><br />Los autores del estudio también hallaron que los participantes con alzhéimer que recibieron una de las dosis de insulina tenían una función preservada, frente a las personas que tomaron el placebo. El grupo de placebo mostró declives ligeros en general.<br /><br />"Los resultados de nuestro ensayo piloto demuestran que la administración de insulina intranasal estabilizó o mejoró la cognición, la función y el metabolismo cerebral de la glucosa en los adultos con DCLA o alzhéimer", apuntaron en un comunicado de prensa de la revista Suzanne Craft, del Sistema de Atención de Salud de Asuntos de Veteranos de Puget Sound y de la Facultad de Medicina de la Universidad de Washington, y colegas.<br /><br />Se necesita más investigación para ver si la terapia con insulina se puede recomendar para mantener a raya los síntomas de alzhéimer, pero los investigadores se sienten optimistas sobre los hallazgos.<br /><br />"En conjunto, estos resultados proveen un ímpetu para ensayos clínicos futuros sobre la terapia con insulina intranasal y para más estudios mecánicos sobre el papel de la insulina en la patogénesis del alzhéimer", escribieron.<br /><br />El Dr. Sam Gandy, profesor de neurología y psiquiatría y director del Centro de Salud Cognitiva del Centro de Investigación sobre la Enfermedad de Alzheimer de Mount Sinai en la ciudad de Nueva York, dijo que los hallazgos podrían llevar a nuevas vías de tratamiento.<br /><br />"Aunque esto se consideró como un método no convencional, la ciencia básica provee ahora una vía clara y convincente para terapias completamente novedosas para el alzhéimer", dijo Gandy.<br /><br />Señaló que, en el cerebro, la insulina funciona de forma distinta que en las demás partes del cuerpo, "así que esta historia podría tratarse de un rol específico en el cerebro de la señalización de la insulina, y no necesariamente sobre el rol de la insulina en la absorción de la glucosa".<br /><br />Se están llevando a cabo ensayos que evalúan sensibilizadores a la insulina como la metformina para la enfermedad de Alzheimer, anotó Gandy. "Este éxito clínico y estos nuevos datos básicos nos hacen sentir optimistas de que los sensibilizadores a la insulina podrían tener un beneficio en el alzhéimer", comentó.<br /><br />El estudio fue financiado por los Institutos Nacionales de Salud de Estados Unidos.<br />septiembre 13/2011 (Medline) <br /><br />Suzanne Craft, Laura D. Baker, Thomas J. Montine, Satoshi Minoshima, G. Stennis Watson, Amy Claxton, et. al.. Intranasal Insulin Therapy for Alzheimer Disease and Amnestic Mild Cognitive Impairment. Arch Neurol.; publicado septiembre 12/2011.<br />
2012-01-09T18:07:42-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/254
Hipertensión arterial: La pérdida de peso reduce la presión arterial en obesos
2012-01-09T06:58:19-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La pérdida de peso reduce la presión arterial en personas obesas, al tiempo que también aporta "efectos beneficiosos" en pacientes pluripatológicos con diabetes o hiperlipemia, según revela el estudio 'Beneficios de la pérdida de peso en personas con pluripatología', realizado por especialistas Hospital Comarcal de Ronda (Málaga) y presentado recientemente en Sevilla, en el marco del 36 Congreso de la Sociedad Andaluza de Endocrinología y Nutrición (SAEN).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Este trabajo parte de la premisa de que existen "evidencias suficientes" que "documentan y avalan" la relación entre el aumento de la presión arterial, la hipertensión arterial y el exceso de grasa corporal.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Igualmente, los autores de este trabajo sostienen en la introducción del mismo que también existe "evidencia concluyente" de que la disminución de peso reduce no sólo la presión arterial en individuos obesos, "sino que, además, tiene efectos beneficiosos en la resistencia a la insulina, la diabetes, la hiperlipemia ventricular izquierda y la apnea obstructiva".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Asimismo, sugieren que muchos de los factores que influyen en dichas patologías son "modificables", tanto los que tienen que ver con la conducta, "como el régimen alimentario, la inactividad física y el consumo de tabaco y alcohol"; como los de tipo biológico, como las dislipemias, la hipertensión arterial, el sobrepeso o la hiperinsulemia.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>"Es aquí, en la capacidad de modificar dichos factores, donde podemos y debemos actuar", subrayan los investigadores, quienes asimismo apuntan a la reducción de peso a largo plazo "como una parte importante de la atención a las personas obesas con diabetes".</p> <p><strong>Mujer, 50 años, casada, sin hijos, obesa y sedentaria</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por ello, se marcaron como objetivo valorar, en un caso clínico concreto, cuáles son los factores que propician la adhesión de las indicaciones sanitarias con respecto a la pérdida de peso, tanto en lo que concierne a la diabetes, como a la presión arterial, el colesterol y los triglicéridos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Con esa premisa, realizaron el seguimiento y evolución durante 18 meses en la consulta de enfermería de una mujer de 50 años, de origen anglosajón, residente en la Costa del Sol desde hace 25 años, casada, sin hijos, fumadora de 15 cigarrillos al día, obesa y sedentaria.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Dicha paciente padecía, además, hiperglucemia sugerente de diabetes e hipertensión arterial y dislipemia mixta y se trataba farmacológicamente dichas patologías. Los autores del trabajo concluyeron que la disminución de peso en individuos obesos reduce no sólo la presión arterial, sino que además tiene efectos beneficiosos en la diabetes y la hiperlipemia.</div>
2012-01-09T06:58:19-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/253
Enfermedad de Alzheimer: Cambios en líquido cefalorraquídeo podrían ser señal de alzhéimer inicial
2012-01-07T07:25:04-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>En la búsqueda por una mejor prueba de exploración para la enfermedad de Alzheimer inicial, los investigadores creen que han hallado un marcador de cambios en el cerebro que precede el inicio de la enfermedad en cinco a diez años.</p> <p>Afirman que el indicador de problemas futuros es un cambio en los niveles de componentes específicos del líquido cefalorraquídeo (LCR) en el cerebro y en la médula espinal. Entre los pacientes que ya han sido diagnosticados con deterioro cognitivo leve, un descenso en esos niveles parece ser una señal de alzhéimer años antes de que se desarrollen síntomas.</p> <p>El descubrimiento, que aparece en la edición de enero de la revista<a href="http://archpsyc.ama-assn.org/cgi/content/short/69/1/98" target="_blank"><em><strong> Archives of General Psychiatry</strong></em></a> (doi:10.1001/archgenpsychiatry.2011.155), podría potencialmente ayudar en el uso de terapias para modificar la enfermedad, que están diseñadas para funcionar mejor si se aplican cuando el paciente aún está en las primeras etapas de la enfermedad.</p> <p>"Estos marcadores pueden identificar a los individuos en algo riesgo (de enfermedad de Alzheimer) en un futuro, al menos cinco a diez años antes de la conversión a la demencia", aseguró en un comunicado de prensa de la revista el autor del estudio, el Dr. Peder Buchhave, de la Universidad de Lund y la Universidad de Skane en Suecia. "Se espera que pronto haya nuevas terapias disponibles que puedan retrasar o incluso detener el avance de la enfermedad. En conjunto con un diagnóstico temprano y preciso, esas terapias podrían comenzarse antes de que la degeneración neuronal sea demasiado generalizada y los pacientes ya sean dementes".</p> <p>Los resultados del estudio provienen de más de nueve años de seguimiento a una investigación anterior en que participaron 137 pacientes diagnosticados con deterioro cognitivo leve, un estado mental que con frecuencia precede a la demencia.</p> <p>Durante el periodo del estudio, casi 54 % de los pacientes desarrollaron alzhéimer, mientras que otro 16 % fueron al final diagnosticados con distintas formas de demencia.</p> <p>Específicamente, entre los que desarrollaron alzhéimer, los investigadores hallaron que aspectos claves de su LCR se redujeron en los años precedentes. Además, otras propiedades del líquido en realidad aumentaron.</p> <p>El equipo del estudio dijo que creía que alrededor de nueve de cada diez pacientes de deterioro cognitivo leve que experimenten esos cambios en el LCR eventualmente desarrollarán alzhéimer.</p> <p>En un comentario sobre el estudio, un experto de EE. UU. dijo que la nueva investigación "provee confirmación del concepto general de que el LCR puede predecir el avance de la pérdida leve de memoria a demencia leve".</p> <p>El Dr. Sam Gandy, director asociado del Centro de Investigación sobre la Enfermedad de Alzheimer Mount Sinai en la Escuela de Medicina Mount Sinai en la ciudad de Nueva York, añadió que los resultados del estudio europeo se hacen en gran parte eco de los de un ensayo reportado por investigadores de los Institutos Nacionales de Salud de EE. UU. en 2010.</p> <p>Anotó que los métodos de detección temprana podrían resultar valiosos para la investigación sobre el tratamiento de la enfermedad de Alzheimer.</p> <p>"La mayoría de nuevos fármacos para el alzhéimer buscan reducir la acumulación de la (placa de proteína) amiloidea, y el consenso general es que estos fármacos solo funcionan en las etapas tempranas o presintomáticas de la enfermedad", apuntó Gandy, quien es también catedrático de investigación sobre el alzhéimer de la Mount Sinai. "El nuevo trabajo fortalece las probabilidades de que los biomarcadores del LCR puedan ser útiles para identificar la población de sujetos con enfermedad temprana o presintomática para reclutarlos en ensayos".<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_120383.html" target="_blank"><strong>Enero 3/2012 (Medlineplus)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Peder Buchhave, Lennart Minthon, Henrik Zetterberg, Åsa K. Wallin, Kaj Blennow, Oskar Hansson.<em><strong>Cerebrospinal Fluid Levels of ?-Amyloid 1-42, but Not of Tau, Are Fully Changed Already 5 to 10 Years Before the Onset of Alzheimer Dementia</strong></em>. Publicado en <em>Arch Gen Psychiatry</em>. 2012;69(1):98-106. Enero 2/2012</p> </span>
2012-01-07T07:25:04-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/252
Cáncer: Los fallecimientos por cáncer descienden un 1% en EE UU
2012-01-07T07:23:54-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Las muertes por cáncer descendieron en Estados Unidos en un 1,8% entre los hombres y en un 1,6% entre las mujeres; análogamente, la incidencia global de esta enfermedad experimentó una disminución de un 0,6% anual en los hombres, mientras que en las mujeres se estabilizó. Así lo recogen las últimas estadísticas del cáncer en este país, correspondientes al periodo 2004-2008.</p> <p>El informe, publicado en<em> A Cancer Journal for Clinicians, </em>recoge también que en<em> </em>los diez años transcurridos entre 1999 y 2008, la tasa global de muertes por cáncer descendió cerca de un 23% entre los hombres y en un 15% entre las mujeres. "Esto -destaca el informe- se traduce en que se han evitado más de un millón de muertes por esta enfermedad".</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Siguen bajando, asimismo, los fallecimientos ocasionados por los cuatro cánceres más extendidos, que son el de pulmón, el colorrectal, el de mama y el de próstata. A la reducción de las muertes por cáncer de pulmón se debe casi el 40% del descenso total de estos fallecimientos en hombres y a la disminución de las muertes por cáncer de mama, el 34% del descenso de muertes por estos cánceres entre las mujeres.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Con todo, el documento alerta del incremento de algunos cánceres poco comunes, entre ellos los de páncreas, hígado, tiroides, riñón, melanoma y de determinados cánceres de esófago y un tipo de cáncer de garganta, ambos asociados con el virus del papiloma humano (VPH).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Las razones del incremento de estos cánceres no se conocen con exactitud, si bien el informe apunta que podría deberse a la obesidad. "También es posible”, sugiere el documento, “que se detecten más casos de estos cánceres debido a la mejora de las prácticas de diagnóstico.”</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Estas tendencias en aumento son parte de la carga adicional asociada con la expansión y el envejecimiento poblacional y constituyen un llamamiento a la puesta en marcha de más investigaciones nuevas para determinar la causa", señalan los autores.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Las previsiones para 2012 son de 1.638.910 diagnósticos y 577.190 muertes.</div> <br /><br /><a href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.3322/caac.20141/abstract" target="_blank">A Cancer Journal for Clinicians (2012); doi: 10.3322/caac.20141 </a>
2012-01-07T07:23:54-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/251
Cardiopatía Isquémica: Recomiendan priorizar el masaje cardíaco frente al boca a boca
2012-01-06T05:28:18-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La British Hearth Foundation ha lanzado una campaña en la que recomienda a los ciudadanos que tengan que atender un paro cardíaco que opten por el masaje cardiopulmonar y se "olviden" de la respiración boca a boca.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La iniciativa responde a los resultados de un reciente estudio con más de 2.000 personas que reveló que cerca de la mitad de la población no sabe cómo reanimar a una persona con parada cardiorrespiratoria y uno de cada cinco (20%) admitía no estar dispuesto a hacer la respiración boca a boca "por temor a contraer una infección".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Asimismo, un 40% aseguraba que era mejor no intentar ayudar a un desconocido en esta situación por "temor" a verse involucrados en una demanda judicial "si algo sale mal".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"La respiración de boca a boca a menudo resulta sobrecogedora para aquellas personas que quieren ayudar cuando alguien ha sufrido un paro cardíaco pero no tienen grandes conocimientos sobre primeros auxilios", ha reconocido Ellen Mason, portavoz de la Fundación.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Este organismo británico pretende lograr que las personas pierdan el miedo a estas situaciones y prioricen sus actuaciones, recomendando optar primero por los masajes cardíacos para conseguir que el oxígeno vuelva a fluir por el organismo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Cuando una persona no está entrenada para hacer una reanimación cardiopulmonar, es mejor que evite la respiración boca a boca y se concentre en las compresiones firmes y rápidas en el centro del pecho", afirma Mason.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Lo curioso es que la British Hearth Foundation ha sugerido que para conseguir un ritmo adecuado en las compresiones se tararee la canción <em>Stayin' Alive,</em> de los Bee Gees. Algunos expertos han puesto en duda si esta recomendación es apropiada porque, dicen, puede llevar a que la gente se concentre demasiado en la canción y realice compresiones poco profundas.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En el video de la campaña aparece el actor británico Vinnie Jones haciendo un masaje cardiaco a ritmo de los Bee Gees. "Si te preocupa dar el beso de la vida, no lo des. Pero presiona fuerte y rápido en el centro del pecho", asegura.</div>
2012-01-06T05:28:18-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/250
Diabetes Mellitus: Identifican una proteína que está relacionada con la diabetes tipo 1
2012-01-06T05:25:46-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Investigadores del Wake Forest Baptist Medical Center, en Estados Unidos, han descubierto que la proteína IHoP puede desempeñar un papel importante a la hora de regular los niveles de azúcar en sangre y que, por ello, podría utilizarse para tratar la diabetes tipo 1.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Este hallazgo puede cambiar la idea que teníamos acerca de las causas de la diabetes de tipo 1", ha señalado uno de los autores del estudio, Bryon E. Petersen. "El descubrimiento abre la puerta a una mejor comprensión y al desarrollo de nuevos tratamientos para esta enfermedad, que en la actualidad es incurable", explica.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>El páncreas de las personas que padecen diabetes tipo 1 no produce suficiente insulina, lo que provoca que sus niveles de azúcar en sangre sean demasiado altos. La proteína IHoP se encuentra en los islotes pancreáticos, grupos de células que segregan insulina y glucagón, ambos reguladores del azúcar en la sangre. Así, en individuos sanos, el glucagón aumenta los niveles de azúcar en la sangre y la insulina ayuda a reducirlos.</p> <p>Durante la investigación, los pacientes y ratones que no habían desarrollado aún la diabetes presentaban niveles altos de IHoP pero, una vez que empezaron a desarrollar la enfermedad, no quedaron indicios de la proteína, por lo que los investigadores creen que puede regular los niveles de azúcar en sangre, al equilibrar la insulina y el glucagón.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"IHoP parece mantener la regulación de los niveles de azúcar en sangre bajo control. Cuando no está presente, el páncreas atraviesa una situación crítica y el proceso deriva en diabetes tipo 1", expone el autor principal del estudio, Seh-Hoon Oh.</div><div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Fuente: <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/identifican/proteina/esta/relacionada/diabetes/tipo/1/_f-11+iditem-15936+idtabla-1" target="_blank">Jano</a></div>
2012-01-06T05:25:46-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/249
Enfermedad de Alzheimer: Una hormona relacionada con la insulina podría también aumentar el riesgo de Alzheimer
2012-01-05T15:27:58-05:00
Revista Finlay
<p>MARTES, 3 de enero (HealthDay News) -- Los niveles crecientes de una hormona asociada con la sensibilización del cuerpo a la insulina parecen aumentar el riesgo de las mujeres de desarrollar demencia y Alzheimer, revela una investigación reciente.</p> <p>La hormona en cuestión, la adiponectina, se deriva de la grasa visceral. Se sabe que tiene que ver con la regulación del metabolismo de la glucosa y los lípidos, al mismo tiempo que tiene algunas características antiinflamatorias.</p> <p>El hallazgo es inesperado hasta cierto punto, dado que la resistencia a la insulina y la inflamación se consideran características tanto de la diabetes tipo 2 como de la enfermedad de Alzheimer. La suposición lógica hubiera sido que cualquier cosa que reduzca la resistencia a la insulina y la inflamación podría también reducir el riesgo de demencia.</p> <p>El líder del estudio Thomas van Himbergen, del Laboratorio de Metabolismo Lípido del Centro de Investigación sobre la Nutrición Humana en el Envejecimiento de la Universidad de Tufts, en Boston, y colegas, reportan sus hallazgos en la edición en línea del 2 de enero de la revista <em>Archives of Neurology</em>.</p> <p>"Está bien establecido que la señalización de la insulina es disfuncional en los cerebros de los pacientes de Alzheimer, y dado que la adiponectina mejora la sensibilidad a la insulina, se esperarían que las acciones benéficas protegieran del declive cognitivo", apuntó van Himbergen en un comunicado de prensa de la revista. "Sin embargo, nuestros datos indican que un nivel elevado de adiponectina se asociaba con un mayor riesgo de demencia y Alzheimer en las mujeres".</p> <p>Los autores señalaron que se espera que la incidencia global de demencia de duplique en las próximas dos décadas, momento en el cual afectará a alrededor de 72 millones de personas.</p> <p>Para observar posibles mecanismos e indicadores del inicio del Alzheimer, el equipo tomó muestras de sangre de 541 mujeres en el transcurso de trece años. Se midieron los niveles de varios marcadores, que incluían la glucosa, la insulina y la adiponectina, en las muestras. Todas las pacientes fueron monitorizadas simultáneamente en cuanto a los síntomas de demencia.</p> <p>Durante el estudio, 159 pacientes desarrollaron demencia, de las cuales 125 fueron casos de Alzheimer.</p> <p>Al final, los investigadores concluyeron que solo un aumento en la adiponectina señalaba un mayor riesgo de demencia de todas las causas y/o Alzheimer.</p> <br /><em>Artículo por HealthDay, traducido por Hispanicare</em> <p>FUENTE: <em>Archives of Neurology</em>, news release, Jan. 2, 2012</p>
2012-01-05T15:27:58-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/248
Las estatinas reducirían el riesgo de muerte por cáncer prostático
2012-01-05T11:55:22-05:00
Revista Finlay
<p>NUEVA YORK (Reuters Health) - En un nuevo estudio sobre hombres de mediana edad de Nueva Jersey, el uso de fármacos para bajar el colesterol estuvo asociado con una reducción del riesgo de morir por cáncer de próstata.</p> <p>Esto no prueba que las famosas estatinas protejan del cáncer fatal. Pero sí coincide con estudios previos que habían sugerido que controlar el colesterol permitiría reducir el riesgo de desarrollar la enfermedad.</p> <p>"Los pacientes toman estos medicamentos por el corazón, pero también le estarían haciendo bien a la próstata", dijo el autor, Stephen Marcella, de la University of Medicine and Dentistry de Nueva Jersey.</p> <p>"Si un hombre duda de tomar una estatina para el corazón, aquí tendría otro beneficios potencial para hacerlo", agregó.</p> <p>El equipo de Marcella reunió las historias clínicas de 380 hombres que habían fallecido por cáncer de próstata y de 380 varones de la misma edad y etnia, pero sin el cáncer o con una forma no letal.</p> <p>La mayoría era de etnia caucásica y tenía entre 65 y 70 años. Uno de cada cuatro había usado una estatina.</p> <p>Los autores descubrieron que las víctimas del cáncer prostático eran una 50 por ciento menos propensas a haber tomado una estatina alguna vez que el grupo de control.</p> <p>Al considerar factores como el sobrepeso, otras enfermedades y medicamentos utilizados, los pacientes con cáncer letal eran un 63 por ciento menos propenso a haber tomado una estatina, según publican los autores en la revista Cancer.</p> <p>Pero Marcella agregó: "No le diría a un paciente que si no tiene riesgo de desarrollar enfermedad coronaria, o hipertensión (...) tome una estatina para prevenir un cáncer de próstata fatal", y aseguró que todavía no existen pruebas de su efectividad.</p> <p>Y si se descubrieran, el equipo recuerda que estudios previos habían sugerido que las estatinas no reducirían el riesgo de desarrollar formas menos agresivas del cáncer.</p> <p>Según la Sociedad Estadounidense del Cáncer, a uno de cada seis hombres se le diagnosticará cáncer prostático en algún momento de su vida y uno de cada 36 morirá por la enfermedad.</p> <p>El equipo no contó con los datos necesarios para determinar si el uso prolongado de una estatina o el inicio temprano del tratamiento darían mejores resultados. Tampoco pudo saber si los participantes habían empezado a tomarlas antes o después del diagnóstico oncológico.</p> <p>Pero sí halló que las estatinas más potentes y nuevas estaban asociadas con una reducción de riesgo de desarrollar el cáncer, no así las estatinas no tan potentes. Esto, para el autor, sugiere que hay algo en estos fármacos que disminuye el riesgo de morir por la enfermedad.</p> <p>El doctor Stephen Freedland, del Centro Médico de Duke University, en Durham, explicó que las estatinas protegerían del cáncer prostático letal a través de sus efectos sobre el colesterol, que es un "nutriente clave" de las células tumorales.</p> <p>Pero consideró posible también que estos fármacos no prevengan ciertos cánceres y que la explicación resida en los pacientes que los utilizan, como cambiar la dieta y empezar a hacer ejercicio. "Es muy, muy difícil determinarlo", dijo Freedland a Reuters Health.</p> <p>Para probar que las estatinas previenen el cáncer agresivo hay que realizar un estudio grande en el que hombres sin el cáncer o con el cáncer en estadio inicial tomen o no estatinas al azar y se los controle durante años para determinar cuántos mueren por la enfermedad.</p> <p> </p><p>Fuente:</p><a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_120361.html" target="_blank">Medline Plus</a> <p> </p>
2012-01-05T11:55:22-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/247
Medicamentos: Documentan cómo un ácido biliar destruye selectivamente células cancerígenas
2012-01-05T06:29:06-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El ácido litocólico (LCA, por sus siglas en inglés), que se produce durante la digestión de manera natural, puede destruir células cancerígenas, en tumores cerebrales y en cáncer de mama, según un estudio de la Universidad Concordia de Canadá recogido en la publicación <em>Oncotarget.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"LCA no sólo destruye las células cancerígenas; además, evita que el tumor siga creciendo", ha informado el autor del estudio, Vladimir Titorenko, catedrático de Genómica, Biología Celular y Envejecimiento.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Así, su equipo observó que este ácido puede eliminar selectivamente las células cancerígenas y determinó que este fenómeno puede suponer un paso adelante contra la enfermedad, ya que la quimioterapia destruye indistintamente células cancerígenas y sanas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Asimismo, este ácido puede impedir que los tumores liberen sustancias que favorecen el crecimiento y la proliferación de las células cancerígenas adyacentes, por lo que este experto considera que puede interrumpir la progresión del tumor. "Este aspecto es importante para impedir que las células cancerígenas se propaguen a otras partes del cuerpo", ha apostillado Titorenko.</div> <br /><a href="http://www.impactjournals.com/oncotarget/index.php?journal=oncotarget&page=article&op=view&path%5B%5D=338&path%5B%5D=558" target="_blank">Oncotarget (2011); 2: 761 - 782</a>
2012-01-05T06:29:06-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/246
Diabetes Mellitus: Esclarecen el vínculo entre la diabetes y la insuficiencia cardíaca
2012-01-04T15:24:43-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un equipo de investigadores japoneses parece haber encontrado la causa que vincula la insuficiencia cardíaca con la diabetes mellitus y, con ello, tal vez un modo de romper este círculo vicioso del metabolismo.</p> <p>"Nuestros hallazgos aclaran las razones por las que la incidencia de la insuficiencia cardíaca es alta entre los pacientes con diabetes mellitus y la prevalencia de la resistencia a la insulina es mayor en pacientes con insuficiencia cardiaca", afirma Tohru Minamino, de la Facultad de Medicina de la Universidad de Chiba, en Japón.</p> <p>Según los autores de la investigación, cuyas conclusiones aparecen publicadas en <em><strong>Cell Metabolism </strong></em>(doi:10.1016/j.cmet.2011.12.006), el estrés motivado por la insuficiencia cardíaca activa la proteína p53 -según Minamino, una señal de envejecimiento celular-, y la señal de p53 conduce a la inflamación del tejido adiposo, la resistencia sistémica a la insulina y el empeoramiento de la función del corazón.</p> <p>En palabras de este experto," la p53 es un mecanismo protector frente al cáncer; sin embargo, la activación constante de su señal puede promover la inflamación, el cáncer y otras enfermedades del envejecimiento".</p> <p>El investigador había demostrado previamente que la acumulación de p53 asociada a la edad o inducida por el estrés promueve la insuficiencia cardíaca, y que el envejecimiento y las calorías adicionales inducen la misma señal de envejecimiento en los tejidos grasos.</p> <p>Del nuevo estudio se desprende que la activación de la p53 cardíaca también conduce a la activación de p53 en el tejido graso, de forma que las señales de p53 interactúan unas con otras, acelerando el desarrollo de enfermedades asociadas a la edad. Ello sugiere que el tratamiento idóneo implicaría bloquear la inflamación que acompaña a la activación de p53 sin comprometer su lucha contra los tumores.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/esclarecen/vinculo/diabetes/insuficiencia/cardiaca/_f-11+iditem-15923+idtabla-1" target="_blank">enero 3/2012 (JANO.es)</a></p> <p>I. Shimizu, Y. Yoshida, T. Katsuno, I. Komuro, Y. Kobayashi, T. Minamino, et. al. <a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1550413111004657" target="_blank"><em><strong>p53-Induced Adipose Tissue Inflammation Is Critically Involved in the Development of Insulin Resistance in Heart Failure</strong></em></a>.<em> Cell Metabolism</em>; vol 15 (1), enero 4/2012, págs 51-64.</p> </span>
2012-01-04T15:24:43-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/245
Síndrome metabólico: Relacionan la obesidad y la diabetes con la disminución de hormonas sexuales
2012-01-04T13:30:55-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El grupo de Diabetes y Metabolismo del Vall d'Hebron Instituto de Investigación (VHIR), de Barcelona, ha hallado un vínculo entre la inflamación de bajo grado -típica de las personas con obesidad o diabetes tipo II- y los niveles bajos de una proteína transportadora de hormonas sexuales (SHBG), según recoge la revista <em>Diabetes.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>"Nuestros resultados sugieren que TNF alfa (proteína mensajera de la inflamación) desempeña un papel clave en la disminución de la producción hepática de SHBG que se observa en las enfermedades inflamatorias crónicas de bajo grado como la obesidad y la diabetes tipo 2", ha explicado el doctor Rafael Simó, responsable del grupo de diabetes y metabolismo del VHIR.</p> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Un trabajo anterior a cargo de David M. Selva, investigador adscrito al programa Miguel Servet y miembro del grupo de investigación del Dr. Simó, sugería que los niveles de insulina no eran los responsables de los bajos niveles plasmáticos de SHBG observados en la obesidad.</div></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio dirigido por Simó revela que esta reducción de SHBG depende del grado de inflamación, siendo el TNF alfa el responsable de la caída de esta proteína y, por tanto, de las hormonas sexuales en las personas que presentan obesidad o diabetes mellitus tipo 2.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Simó ha explicado que la investigación se ha basado en estudios 'in vitro' en los que se han utilizado células hepáticas humanas y en análisis con ratones transgénicos, en los que se ha observado la expresión de SHBG en vivo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Finalmente, se han realizado dos estudios en humanos, uno dirigido a investigar el efecto directo de la administración de insulina en los niveles sanguíneos de SHBG, en pacientes diabéticos tipo II y, el otro para evaluar la relación entre los valores plasmáticos de TNF alfa y SHBG en pacientes obesos", señala este experto.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La SHBG es producida y secretada por el hígado humano y se une a los andrógenos y los estrógenos al transportar estas hormonas a través de la sangre y regular su biodisponibilidad. Los niveles bajos de SHBG en plasma han sido relacionados con la obesidad, grasa abdominal y síndrome metabólico.</div><div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Fuente:</div><div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/relacionan/obesidad/diabetes/disminucion/hormonas/sexuales/_f-11+iditem-15928+idtabla-1" target="_blank">Jano.es</a></div><br /><a href="http://diabetes.diabetesjournals.org/content/early/2011/12/22/db11-0727.abstract?sid=a26279b1-d212-4a24-84f4-37b5a46ec86d" target="_blank">Diabetes (2012); doi: 10.2337/db11-0727 </a> <!-- .content --> <div class="inner_content"><!-- .listaRss{position:relative; background:#fafafa; border:1px solid #ccc; padding:5px 5px 0px 15px;font:normal 10px Arial,Helvetica,sans-serif;text-decoration:none;color:#639CCE;margin:0px; height:400px; width:420px !important; width:440px;} .listaRss2{background:#fafafa; border:1px solid #ccc; padding:5px 5px 0px 15px;font:normal 10px Arial,Helvetica,sans-serif;text-decoration:none;color:#639CCE;margin:10px 0;width:440px;} .fondo_blanco{z-index:3; 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2012-01-04T13:30:55-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/244
Enfermedad de Alzheimer: Identifican otro factor de riesgo de Alzheimer en mujeres
2012-01-03T05:31:21-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Un estudio publicado en <em>Archives of Neurology </em>apunta que la adiponectina, una hormona derivada de la grasa visceral que sensibiliza al organismo frente a la insulina, constituye un factor de riesgo en el desarrollo de demencia y enfermedad de Alzheimer en las mujeres. Se estima que el número de personas afectadas por demencia en todo el mundo se eleva de 36 millones, cifra que podría duplicarse al término de los próximos 20 años.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El doctor Thomas M. van Himbergen, del Laboratorio de Metabolismo de Lípidos, en el Centro de Investigación de Nutrición Humana y Envejecimiento de la Universidad de Tufts, en Boston, y sus colaboradores, midieron los niveles de glucosa, insulina y albúmina glicosilada, así como la proteína C reactiva, la lipoproteína asociada a la fosfolipasa A2, y la adiponectina en el plasma, en los pacientes del decimonoveno examen bienal (1985-1988) del Estudio cardíaco de Framingham.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los 840 pacientes que tomaron parte en el estudio (de los que 541 eran mujeres con una edad media de 76 años) fueron seguidos durante un promedio de 13 años, evaluándose los signos del desarrollo de Alzheimer y demencia. Durante ese tiempo, 159 pacientes desarrollaron demencia, incluidos 125 casos de Alzheimer. Después del ajuste por otros factores de riesgo de demencia (edad, el genotipo apoE, nivel bajo de ácido docosahexaenoico en el plasma y cambios de peso), sólo la adiponectina en las mujeres se asoció con un aumento del riesgo de todas las causas de la demencia y Alzheimer.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según los autores, "la señalización de la insulina es disfuncional en el cerebro de pacientes con Alzheimer y, dado que la adiponectina aumenta la sensibilidad a la insulina, también se podrían esperar que tenga acciones beneficiosas que protejan contra el deterioro cognitivo. Los datos, sin embargo, indican que el nivel de adiponectina elevado se asoció con un mayor riesgo de demencia y Alzheimer en mujeres".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los investigadores concluyen que "una de las principales características de la adiponectina es que desempeña un papel significativo en la sensibilización de la insulina y, por lo tanto, puede convertirse en una diana terapéutica para el tratamiento de la diabetes tipo 2. Sorprendentemente, un nivel más alto de adiponectina puede ser también un predictor de la mortalidad vascular".</div> <br /><br /><a href="http://archneur.ama-assn.org/cgi/content/abstract/archneurol.2011.670v1?maxtoshow=&hits=10&RESULTFORMAT=&fulltext=+Himbergen&searchid=1&FIRSTINDEX=0&resourcetype=HWCIT" target="_blank">Archives of Neurology (2012); doi:10.1001/archneurol.2011.670 </a>
2012-01-03T05:31:21-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/243
Obesidad: La falta de apego entre madres e hijos favorece la obesidad en la adolescencia
2011-12-28T09:37:40-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Un estudio de la Ohio State University, en Estados Unidos, sugiere que la intensidad de la relación madre-hijo puede condicionar el peso de estos últimos durante su adolescencia, tras haber observado que cuanto menos apego tienen a sus progenitoras mayor es su riesgo de obesidad a los 15 años.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En concreto, y según los resultados que publica la edición 'on-line' de la revista <em>Pediatrics,</em> el riesgo de obesidad es casi el doble ya que, mientras que uno de cada cuatro niños con bajo apego por sus madres tenía obesidad, apenas el 13% presentaba este exceso de peso si el vínculo era mayor.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los investigadores analizaron datos de 977 familias participantes en un estudio de atención temprana del niño y desarrollo de la juventud realizado por el Eunice Kennedy Shriver National of Child Health and Human Development.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Todos los niños incluidos en el estudio habían nacido en 1991 y la relación con sus madres se analizó a los 15, 24 y 36 meses de vida. Para esta evaluación, las madres tenían que jugar con sus hijos mientras los investigadores iban clasificando diferentes aspectos de su comportamiento, tales como el apoyo y respeto por la autonomía del menor o determinados signos de control u hostilidad.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Posteriormente, cuando los niños cumplieron 15 años, se les calculó su índice de masa corporal (IMC) a partir de su estatura y peso medio. De este modo, observaron que un total de 241 niños (24,7%) presentaba una relación madre-hijo de baja calidad durante sus primeros años de vida, cuya posterior prevalencia de obesidad en la adolescencia era de un 26,1%.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según apunta la doctora Sarah Anderson, autora del estudio, esta asociación podría tener un origen cerebral, ya que el área que controla las emociones y las respuestas al estrés, el sistema límbico, es también la que regula el ciclo del sueño, el hambre y la sed, así como una variedad de procesos metabólicos. "Una respuesta al estrés bien regulada podría afectar a cómo comen y duermen los niños, dos factores que influyen directamente en el desarrollo de la obesidad", recuerda esta experta.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por ello, Anderson y su equipo proponen que las estrategias de prevención del sobrepeso y la obesidad no se centren exclusivamente en la alimentación y la práctica de ejercicio e incluyan también estrategias para mejorar el vínculo madre-hijo. "Se deben mejorar los lazos afectivos entre madres e hijos en lugar de centrarse sólo en la ingesta de alimentos", advierte.</div> <br /><a href="http://pediatrics.aappublications.org/content/early/2011/12/21/peds.2011-0972.abstract?sid=578957f9-b07a-45b5-967f-71009655e523" target="_blank">Pediatrics (2011); doi: 10.1542/peds.2011-0972</a>
2011-12-28T09:37:40-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/242
Ciencia y Tecnología: Logran afinar el diagnóstico de infarto de miocardio mediante la medición de un biomarcador
2011-12-28T09:30:33-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La medición de los niveles de troponina I (una proteína del tejido muscular) puede ayudar a descartar o confirmar el diagnóstico de infarto de miocardio, según un estudio publicado en la revista <em>JAMA.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Till Keller, de la Universidad de Hamburgo, en Alemania, y sus colaboradores, evaluaron el rendimiento diagnóstico de una prueba de alta sensibilidad de troponina I (hsTnI) recientemente desarrollada en comparación con la prueba actual de troponina I (cTnI). En el estudio participaron un total de 1.818 pacientes con sospecha de síndrome coronario agudo, inscritos en las unidades de dolor torácico en Alemania en 2007 y 2008. Los biomarcadores (entre los cuales se hallaban hsTnI y cTnI) se midieron al ingreso, y a las 3 y 6 horas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">A 413 pacientes (22,7%) se les diagnosticó infarto agudo de miocardio, discriminación que se efectuó a partir de la medición de los valores hsTnI y cTnI.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La prueba hsTnI, al ingreso, registró una sensibilidad del 82,3%, y un valor predictivo negativo (VPN) del 94,7%; a las 3 horas, la sensibilidad era del 98,2%, con un VPN del 99,4%. En comparación con hsTnI, la prueba de de cTnI registró una sensibilidad del 79,4% y un VPN del 94%; a las 3 horas, la sensibilidad fue del 98,2% y el VPN del 99,4%.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según los autores, el inconveniente de las pruebas de troponina actuales, con baja sensibilidad en las primeras horas de dolor torácido, fue lo que impulsó la evaluación de varios biomarcadores del diagnóstico de infarto de miocardio. En este nuevo estudio, la información de diagnóstico mediante hsTnI fue superior al resto de biomarcadores evaluados.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los investigadores concluyen que el uso de las pruebas de hsTnI y cTnI en pacientes con infarto de miocardio confirmado proporciona información útil para el diagnóstico. Determinar los valores de cTnI y hsTnI 3 horas después del ingreso en urgencias proporciona un valor actual neto de más del 99%, lo que permite una aplicación segura del protocolo ante el infarto de miocardio.</div> <br /><a href="http://jama.ama-assn.org/content/306/24/2684.short" target="_blank">JAMA (2011); doi: 10.1001/jama.2011.1896 </a>
2011-12-28T09:30:33-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/241
Cardiopatía Isquémica: El frío aumenta en un 20% el riesgo de infarto de miocardio
2011-12-27T16:08:12-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La prevalencia de enfermedades cardiovasculares aumenta en un 20% en invierno debido a las bajas temperaturas, mientras que las coronarias lo hacen en un 10%, según advierte la Fundación Española del Corazón (FEC), que recuerda que el frío puede perjudicar más a las personas de edad avanzada o a quienes sufren de diabetes, hipertensión o ya padecen alguna enfermedad cardiovascular.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La FEC basa la estimación en un estudio realizado por investigadores del London School of Hygiene & Tropical Medicine (LSHTM), en Reino Unido, y publicado en <em>The British Medical Journal,</em> que sostiene que por cada grado centígrado que descienden las temperaturas, aumenta en un del 2% el riesgo de infarto.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La presidenta de la sección de Cardiología Preventiva y Rehabilitación de la Sociedad Española de Cardiología (SEC) y cardiólogo del Hospital Universitario La Paz, de Madrid, la doctora Almudena Castro, alerta, asimismo, de que por estas fechas las enfermedades coronarias tienden a aumentar en un 10% por la misma causa.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por ello, aconseja a aquellos que padecen algún tipo de cardiopatía que tomen las precauciones posibles durante esta época del año. Así, recomienda vacunarse de la gripe y del neumococo, tomar la medicación correctamente, abrigarse bien cuando se sale a la calle, no fumar y no cometer excesos en la dieta durante las fiestas navideñas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">A este respecto, la FEC subraya que los eventos cardiovasculares durante los días de invierno no sólo son consecuencia directa del descenso de la temperatura, si no que se deben, fundamentalmente, a las infecciones del tracto respiratorio, cuya prevalencia aumenta en estos días, y cuyos efectos están muy asociados al agravamiento de la insuficiencia cardíaca, eventos isquémicos u otras enfermedades del corazón.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio del que se hace eco la FEC analizó a 8.010 pacientes ingresados por infarto durante 2003 y 2006, y estableció una relación entre los eventos cardíacos y la variación diaria de las temperaturas en Inglaterra y Gales.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Tras ajustar factores como la contaminación del aire, la actividad gripal, la estacionalidad y las tendencias a largo plazo, el estudio reveló que por cada descenso de un grado centígrado se producía un incremento del 2% en el riesgo de ataque al corazón. En total, se detectaron 200 infartos más que en épocas con temperaturas más altas.</div> <!-- .content --> <div class="inner_content"><!-- .listaRss{position:relative; background:#fafafa; border:1px solid #ccc; padding:5px 5px 0px 15px;font:normal 10px Arial,Helvetica,sans-serif;text-decoration:none;color:#639CCE;margin:0px; height:400px; width:420px !important; width:440px;} .listaRss2{background:#fafafa; border:1px solid #ccc; padding:5px 5px 0px 15px;font:normal 10px Arial,Helvetica,sans-serif;text-decoration:none;color:#639CCE;margin:10px 0;width:440px;} .fondo_blanco{z-index:3; position:absolute; background:#fff; visibility:hidden; filter:alpha(opacity=70);opacity:0.7; height:395px !important; height:387px; width:438px;} .fondo_gris{z-index:4; position:absolute; background:#666; visibility:hidden; filter:alpha(opacity=60);opacity:0.6; height:235px; width:328px !important; width:315px;} .capa_rss{z-index:5; position:absolute; background:#fff; border:2px solid #cdcdcd; height:265px !important; 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//docprint.document.write('<div id="container"><div id="content"><div id="main_content"><div id="news" class="clearfix bloque"><div class="inner_content">'); docprint.document.write(content_value); //docprint.document.write('</div></div></div></div></div>'); docprint.document.write('<table width="100%"><tr><td width="90%" colspan="3"><hr></td></tr><tr><td width="5%"> </td><td width="90%" align="center">Documento descargado de Jano.es el <b>'+ EscribeFecha() +'</b>.<br><br>Reservados todos los derechos. Queda prohibida la reproducción, distribución, comunicación pública y utlización, total o parcial, de los contenidos de esta web, en cualquier forma o modalidad, sin previa, expresa y escrita autorización, incluyendo, en particular, su mera reproducción y/o puesta a disposición como resúmenes, reseñas o revistas de prensa con fines comerciales o directa o indirectamente lucrativos, a la que se manifiesta oposición expresa.<br><b>ELSEVIER © '+ Anno() +'</b><br> </td><td width="5%"> </td></tr></table>'); docprint.document.write('</body>'); docprint.document.close(); docprint.focus(); } // ]]></script> <form> <input name="ocultar" type="hidden" value="1" /> </form></div>
2011-12-27T16:08:12-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/240
Cáncer: Desarrollan un sensor que detecta el cáncer de pulmón por el aliento
2011-12-23T16:07:39-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">El aliento de las personas enfermas presenta concentraciones mucho más altas de algunos de los compuestos orgánicos que lo forman.</p> <div class="content"><p><script type="text/javascript">// <![CDATA[// <![CDATA[ var loadingImage = 'http://www.jano.es/jano/lightbox/loading.gif'; var closeButton = 'http://www.jano.es/jano/lightbox/close.gif'; var maxImageWidth = 950; var maxImageHeight = 730; // ]]></script> <script src="http://www.jano.es/jano/lightbox/lightbox.js" type="text/javascript"></script> <script type="text/javascript">// <![CDATA[// <![CDATA[ function init() { document.vars.activa.value="1"; document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='bottom'; num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); if (num_imagenes==1) { document.getElementById('flecha_siguiente').style.display='none'; document.getElementById('flecha_anterior').style.display='none'; } if (num_imagenes==0) { document.getElementById('imagenes').style.display='none'; } } function siguiente () { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); activa = parseInt(document.vars.activa.value,10); if(activa<num_imagenes) { activa++; document.vars.activa.value=activa; mostrar(activa); document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='top'; if (activa==num_imagenes) { document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_siguiente').style.backgroundPosition='bottom'; } } } function anterior () { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); activa = parseInt(document.vars.activa.value,10); if(activa>1) { activa--; document.vars.activa.value=activa; mostrar(activa); document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_siguiente').style.backgroundPosition='top'; if (activa==1) { document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='bottom'; } } } function mostrar (activa) { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); if (document.getElementById) // DOM3 = IE5, NS6 { for (i=1;i<=num_imagenes;i++) { document.getElementById('imagen_'+i).style.display = 'none'; } document.getElementById('imagen_'+activa).style.display = 'block'; } } // ]]></script></p><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;" onclick="siguiente();"> </span></div></div></div> <!-- imagenes --> <script type="text/javascript">// <![CDATA[// <![CDATA[ init(); // ]]></script> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>La corporación tecnológica Tecnalia ha desarrollado, a través del proyecto Interreg Medisen, biosensores capaces de detectar la presencia de marcadores tumorales del cáncer de pulmón a través del aliento.</p> <p>Según apuntan los autores del proyecto en declaraciones al Servicio de Información y Noticias Científicas (SINC), el aliento humano está formado por multitud de compuestos orgánicos, como acetona, metanol, butanol, hidrocarburos, entre otros. Algunos de estos compuestos se encuentran en concentraciones comprendidas entre 1-10 partes por billón en el aliento de personas sanas, mientras que en personas enfermas se dan en una concentración de 10-100 veces por billón.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En la primera fase de este proyecto participaron pacientes con cáncer de pulmón tratados en la Sección de Oncología Médica del Instituto de Onco-Hematología del Hospital Donostia (IDOH). Durante la misma, se tomaron muestras de aliento de pacientes mediante un dispositivo específico y se realizó un análisis pormenorizado de los compuestos más representativos para utilizarlos como marcadores de la presencia o no de cáncer de pulmón.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Las muestras de aliento fueron analizadas mediante cromatografía de gases combinada con una detección por espectrometría de masas. Después, un análisis quimiométrico y un análisis multivariable permitieron selecionar los compuestos que realmente aportan información para el diseño del sensor. De forma paralela, los investigadores desarrollaron nuevos materiales para incrementar la sensibilidad de los dispositivos.</p></div></div>
2011-12-23T16:07:39-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/239
Enfermedad de Alzheimer: Hallan una nueva forma de acercarse a la detección precoz del Alzheimer
2011-12-23T16:06:15-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La apolipoproteína E (APOE) presenta en ocasiones la variación APOEe4, que constituye uno de los principales factores de riesgo genético para desarrollar la enfermedad de Alzheimer. Se estima que al menos el 40% de los pacientes afectados por esta enfermedad son portadores de APOEe4. El investigador de la Universidad del País Vasco Xabier Elcoroaristizabal ha abierto una vía para el análisis de genes candidatos que podría ayudar a explicar más casos. El artículo se puede leer en el último ejemplar de la revista <em>Neuroscience BMC.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>El objetivo a largo plazo es contribuir a la detección precoz de la enfermedad de Alzheimer mediante la identificación de los signos que podrían ser detectables en las primeras fases. Como explica Elcoroaristizabal, se trata de ir por delante del Alzheimer y retrasar su desarrollo: "Algunas medidas preventivas de estimulación cognitiva podrían retrasar su aparición. Incluso hay nuevas drogas que podrían comenzar a utilizarse. En la actualidad no existe una solución, pero cuanto más podamos mantener el estado cognitivo correcto de una persona, mejor".</p> <p>Los individuos que desarrollan la enfermedad de Alzheimer pasan, en primer lugar, por un período de transición, y este podría ser el momento clave para la aplicación efectiva de medidas preventivas.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Durante el llamado deterioro cognitivo leve (MCI) tienen lugar alteraciones cognitivas aunque no afectan a las actividades diarias de la persona. Entre los diferentes tipos de MCI, una afecta casi exclusivamente a la memoria (DCL amnésico), y aquellas personas que la padecen tienen una alta probabilidad de desarrollar el trastorno. La parte más difícil e interesante es saber qué componentes genéticos están vinculados a este deterioro y también determinar en qué porcentaje aumentan el riesgo de desarrollar la enfermedad. "Si podemos identificar qué genes están involucrados y cuáles son los factores de susceptibilidad que hay, las medidas preventivas podrían adoptarse", explica Elcoroaristizabal.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Así, se ha realizado un estudio de contraste entre una muestra de pacientes con deterioro cognitivo leve, pacientes de Alzheimer y personas sanas. Esta prueba puede ser usada para observar los cambios y reducir el campo de zonas a estudiar, de manera que puedan buscarse en esas zonas los genes candidatos. Elcoroaristizabal observa que "se ha observado que la capacidad del cerebro para controlar los niveles de colesterol parece jugar un papel clave a lo largo de la enfermedad, por tanto, los genes que codifican la proteína relacionada con este control se han analizado".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En esta búsqueda de genes candidatos, Elcoroaristizabal ha confirmado que la variación genética APOEe4 es, de hecho, el principal factor de riesgo para desarrollar la enfermedad de Alzheimer. Pero además, ha identificado varios genes que, siempre y cuando se manifiesten en combinación con APOEe4, podrían acercar más la detección precoz de este trastorno. "Los genes que de alguna manera están conectados con los canales de neurotransmisión, el estrés oxidativo o la eficacia de los estrógenos parecen estar relacionados con un mayor riesgo de portar el gen APOEe4", explica.</div> <br /><a href="http://www.biomedcentral.com/1471-2202/10/125" target="_blank">Neuroscience BMC (2011); doi:10.1186/1471-2202-10-125 </a>
2011-12-23T16:06:15-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/238
Medicamentos: Las estatinas reducen el riesgo de muerte en pacientes con gripe
2011-12-20T06:24:13-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img title="capsula_540_540" src="/public/site/images/mikhail/capsula_540_540.jpg" alt="capsula_540_540" width="198" height="148" />Las estatinas, utilizadas habitualmente para regular el colesterol, podrían servir como complemento a la vacunación anual contra la gripe. Así lo demostró el equipo de investigadores liderado por Meredith L. Vandermeer, de la Oregon Public Health Division en Portland, en un estudio cuyos resultados se publican en <strong><em>The Journal of Infectious Diseases</em></strong> (doi: 10.1093/infdis/jir695).</p> <p>Los autores analizaron datos de adultos hospitalizados durante 2007 y 2008 por gripe estacional. El objetivo era evaluar la asociación entre los pacientes a los que se les prescribieron estatinas y las muertes relacionadas con la gripe.</p> <p>De los 3043 pacientes hospitalizados por gripe confirmada en laboratorio, el 33% recibió estatinas antes o durante su hospitalización. Los que no fueron tratados con estatinas resultaron tener casi el doble de posibilidades de morir por gripe que los que recibieron la medicación.</p> <p>Según estos investigadores, "el estudio reveló que las estatinas están relacionadas con un descenso de las posibilidades de morir entre los pacientes hospitalizados con gripe confirmada en laboratorio".</p> <p>Según concluyeron los autores, los ensayos controlados y randomizados que se lleven a cabo en adelante deberían centrarse en los potenciales beneficios de las estatinas para el tratamiento de la gripe "lo que permitiría examinar cuestiones como la dosis adecuada, su uso en pacientes jóvenes y la identificación de la clase de estatina más efectiva".<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/estatinas/reducen/riesgo/muerte/pacientes/gripe/_f-11+iditem-15765+idtabla-1" target="_blank">diciembre 18/2011 (Jano.es) </a></p> <p><strong>Nota</strong>: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo del artículo a través de Hinari.</p> <p>Meredith L. Vandermeer, Ann R. Thomas, Laurie Kamimoto, Arthur Reingold, Ken Gershman, James Meek. <a href="http://jid.oxfordjournals.org/content/early/2011/12/12/infdis.jir695.abstract?sid=04f30d4d-8638-4ff4-a718-c6a44bb7004c" target="_blank"><em><strong>Association Between Use of Statins and Mortality Among Patients Hospitalized With Laboratory-Confirmed Influenza Virus Infections: A Multistate Study</strong></em></a>. <em>The Journal of Infectious Diseases</em> (2011).</p> </span>
2011-12-20T06:24:13-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/237
Medicamentos: Un estudio muestra que la 'Aspirina' es el tratamiento adecuado para la migraña y la cefalea tensional
2011-12-19T06:09:16-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio 'Aspirina, tratamiento de primera línea para la migraña y cefaleas tensionales episódicas a pesar de la intensidad del dolor' ha revelado que este medicamento es el adecuado para tratar la migraña o la cefalea tensional episódica.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los resultados del trabajo, publicados en la revista <em>Headache,</em> de la American Headache Society<em>,</em> muestran que el acido acetilsalicilico puede ser eficaz para ambos dolores incluso cuando son intensos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio incluye un análisis retrospectivo realizado entre 1998 y 2002, y en el que participaron 2.127 pacientes con migraña aguda, y un estudio individual en 326 pacientes con cefaleas tensionales episódicas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Numerosos trabajos han demostrado que la 'Aspirina', de Bayer, se tolera bien cuando se siguen las indicaciones del prospecto. Concretamente, en España, está autorizada para el alivio sintomático de los dolores ocasionales leves o moderados, como dolores de cabeza, dentales, menstruales, musculares o de espalda o estados febriles.</div>
2011-12-19T06:09:16-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/236
Diabetes Mellitus: HbA1c, opiniones divididas para diagnosticar la diabetes mellitus
2011-12-19T06:02:29-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>La hemoglobina glucosilada es la prueba ideal para diagnosticar la diabetes mellitus, según el Comité Internacional de Expertos. Durante el Congreso Mundial de Diabetes, celebrado en la capital de Emiratos Árabes, se debatió sobre si el progreso va en la dirección adecuada.</p> <p>El Comité Internacional de Expertos formado por la Asociación Americana de Diabetes, la Asociación Europea para el Estudio de la Diabetes y la Federación Internacional de Diabetes recomiendan que la prueba idónea para diagnosticar esta disfunción es la hemoglobina glucosilada (HbA1c) siempre que se disponga de las garantías adecuadas en los laboratorios.</p> <p>Sin embargo, su utilización sigue despertando controversia entre los facultativos. Por este motivo, dentro del Congreso Mundial de Diabetes que se celebró en Dubai (Emiratos Árabes), se debatió sobre si la utilización de esta prueba es un avance más, o si se ha elegido el camino equivocado.</p> <p>El Comité Internacional de Expertos declaró que la HbA1c es la mejor prueba para diagnosticar diabetes melitus en las zonas con laboratorios acreditados</p> <p>"Ninguno de los tres test actuales para hiperglucemia (HbA1c, glucemia en ayunas y prueba oral de tolerancia a la glucosa) es el idóneo, pero los últimos estudios remiten a la eficacia de una HbA1c", defendió Saul Genuth, de la Universidad Case Western Reserve, en Cleveland, Ohio (Estados Unidos). "Los datos que se obtienen con esta prueba son sobre tres meses y además está relacionada con la retinopatía diabética".</p> <p>La gran ventaja de esta prueba es la facilidad de su manejo: con ella se puede extraer sangre al paciente en cualquier momento (ya que no exige preparación previa), la exposición crónica de la glucemia no se ve comprometida por el estrés o la dieta del paciente, y la variabilidad oscila entre el 1,7 y el 5,7%.</p> <p>Consulta a la OMS<br /> "La Organización Mundial de la Salud (OMS) especificó que se puede usar como herramienta de diagnóstico siempre que existan unas garantías estrictas sobre su calidad y que los ensayos estén estandarizados", añadió Robert E. Ratner, del departamento de Endocrinología de la Universidad de Georgetown, en Washington (Estados Unidos). "Estas condiciones no se dan en la actualidad".</p> <p>Ratner destacó que con la HbA1c el diagnóstico depende de la disponibilidad en el laboratorio y que presenta limitaciones con respecto a la raza, etnia o edad del paciente. "Incluso si nos encontrásemos en las condiciones ideales, esta prueba no tiene una sensibilidad óptima. ¿Cómo justificamos si no que este test no diagnostique al 40% de los pacientes positivos con diabetes?".</p> <p>Por su parte, Genuth recordó que estudios como Nhanes o Detect-2 la avalan. "El único problema es que no hay suficientes laboratorios acreditados para realizar la prueba, el subdesarrollo de ciertos países y factores de riesgo que pueden confundir los resultados como el decrecimiento de los glóbulos rojos o los niveles de hierro bajos en anemias".<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=24173&Itemid=413" target="_blank">diciembre 12/2011 (Diario Médico)</a></p></div> </span>
2011-12-19T06:02:29-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/235
Cáncer: El estrés leve puede proteger frente al desarrollo de mutaciones genéticas
2011-12-19T05:48:06-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Investigadores del Centro de Regulación Genómica (CRG) han descubierto en un estudio en gusanos que un tratamiento de estrés por calor para estimular determinadas proteínas puede impedir el desarrollo de mutaciones genéticas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los hallazgos, que se han publicado esta semana en la revista 'Science Express', podrían explicar por qué muchas personas heredan mutaciones genéticas, que pueden causar enfermedades como el cáncer de mama y la esquizofrenia, y sólo las desarrolla un determinado subgrupo de individuos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los investigadores sometieron a gusanos 'Caenorhabditis elegans' a un breve choque térmico cuando eran larvas y aún no presentaban un defecto genético. Posteriormente, en su etapa adulta, midieron la proporción de individuos afectados por las mutaciones.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Cuando usamos este tratamiento en gusanos con mutaciones genéticas, encontramos que podía 'curar' del 16 al 70% del efecto de las mutaciones, sin cambiar la información genética subyacente", según ha reconocido Olivia Casanueva, primera autora del estudio e investigadora del CRG, en declaraciones al Servicio de Información y Noticias Científicas (SINC).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según esta experta, mucho estrés produce efectos dañinos aunque, en dosis reducidas, los resultados pueden ser diferentes y causar un efecto protector contra las mutaciones.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Esto sucede cuando los niveles de estrés son tan bajos que no producen daño celular pero son suficientes para elevar los niveles unas proteínas llamadas chaperonas", explica en declaraciones recogidas por Europa Press.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La presencia de estas proteínas, que se unen a otras para facilitar su plegamiento "puede mantener a raya el efecto de las mutaciones", apunta Casanueva. Este proceso de plegado hacia una estructura tridimensional es necesario para que las proteínas funcionen adecuadamente.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Ben Lehner, investigador del CRG y coordinador del estudio explica que "la cantidad de chaperonas inducidas por cualquier tipo de estrés varían de un individuo a otro, incluso si los individuos son genéticamente idénticos".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Cuando se utiliza el estrés leve como tratamiento protector, la fluctuación azarosa en la dosis de chaperonas puede explicar hasta cierto punto por qué de todos los individuos que tienen las mismas mutaciones, sólo algunos desarrollan la enfermedad", según Lehner.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Casanueva, por su parte, reconoce que no se puede afirmar si esta variación azarosa también ocurre en humanos, "pero si esto fuese así, los resultados ayudaran a comprender mejor por qué se expresan ciertas enfermedades en algunas personas y no en otras".</div> <br /><a href="http://www.sciencemag.org/content/early/2011/12/14/science.1213491.abstract?sid=148656f1-7603-41e3-a569-267a527ad4c3" target="_blank">Science Express (2011; doi: 10.1126/science.1213491 </a>
2011-12-19T05:48:06-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/234
Nutrición: Expertos en nutrición reiteran los beneficios de los probióticos en bebés prematuros y en el abordaje de la obesidad
2011-12-19T05:34:23-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Más de 200 expertos incidieron en los efectos beneficiosos de los probióticos en bebés prematuros durante la primera sesión científica de la recién constituida Sociedad Española de Probióticos y Prebióticos (SEPyP), que se celebró el pasado viernes en Barcelona.</p> <p>El director de la Unidad de Investigación en Nutrición y Desarrollo Humano de Galicia, Rafael Tojo, recordó que el uso de ciertas cepas probióticas en neonatos previene la enterocolitis necrotizante (NEC), una enfermedad gastrointestinal grave con una incidencia y morbimortalidad elevadas. Según Tojo, "la intervención con probióticos en prematuros de menos de 34 semanas y bajo peso al nacer reduce el riesgo de sufrir enterocolitis y mortalidad".</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Otros beneficios de la administración de probióticos en niños, contrastados en metaanálisis de estudios recientes, tienen que ver con el tratamiento de la diarrea infecciosa aguda.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Asimismo, y aunque aún no se tienen evidencias para recomendar el uso generalizado en niños, hay datos preliminares que aconsejerían su administración en los casos de síndrome de intestino irritable, colitis ulcerosa crónica, dermatitis alérgica o prevención de enfermedades atópicas (eczema atópico, rinitis alérgica y asma).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por otro lado, la directora del Grupo de Investigación en Nutrición y Metabolismo de la Universidad Católica de Lovaina (Bélgica), Nathalie Delzenne, destacó los efectos de los prebióticos en los trastornos asociados a la obesidad.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según esta experta, estudios básicos han demostrado que la modificación de la flora intestinal por la ingesta de prebióticos mejora la respuesta del organismo al control de la barrera intestinal y la inflamación (endotoxemia), el depósito de grasa subcutánea y la función endocrina.</div>
2011-12-19T05:34:23-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/233
Medicamentos: Un estudio demuestra que la vitamina D no previene el infarto o el cáncer
2011-12-14T12:25:41-05:00
Revista Finlay
En los adultos mayores con alto riesgo de sufrir fracturas óseas, el consumo de vitamina D o calcio no reduce la probabilidad de morir por cáncer o enfermedad vascular. <p>La vitamina D es buena para la salud ósea; estudios previos habían determinado que tener bajos niveles en sangre aumenta el riesgo de morir por cardiopatías.</p> <p>Por lo tanto, la idea es que el consumo de vitamina D extra reduciría ese riesgo.</p> <p>"Hay mucho interés en el uso de la vitamina D para prevenir la enfermedad cardíaca y el cáncer, pero los resultados de estudios aleatorizados no son sólidos", indicó la doctora Alison Avenell, autora principal del estudio e investigadora de la Universidad de Aberdeen, en Inglaterra.</p> <p>En el nuevo estudio, publicado en Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism, los autores controlaron a casi 5.300 adultos de 70 años que habían tenido una fractura ósea.</p> <p>Al azar, los dividieron en cuatro grupos: uno tomó 800 unidades internacionales (UI) diarias de vitamina D; el segundo, 1.000 miligramos (mg) de calcio por día; el tercero utilizó ambos suplementos, y el cuarto, placebo.</p> <p>El tratamiento duró entre dos y cinco años, y se los siguió durante tres años más.</p> <p>Entre los usuarios de la vitamina, 32 de cada 100 murieron durante el estudio, comparado con 33 de cada 100 de los que no tomaron el suplemento. La diferencia podría atribuirse al azar.</p> <p>No hubo diferencia en la mortalidad por cáncer o enfermedad cardíaca. El calcio tampoco dio resultado.</p> <p>Una revisión reciente de 50 estudios sobre el efecto de la vitamina D en la salud cardíaca no mostró resultado alguno. Aun así, Avenell dijo que el estudio no es la respuesta final a si la vitamina previene las cardiopatías o el cáncer.</p> <p>"A menudo, los participantes dejaban de tomar las píldoras, lo que habría dificultado hallar algún efecto", indicó. "La dosis de vitamina D no habría sido suficientemente alta", añadió.</p> <p>Peggy Cawthon, del Instituto de Investigación del Centro Médico California Pacific y que no participó del estudio, señaló: "Un suplemento o una vitamina no aportaría la bala mágica para prevenir la próxima enfermedad. Ya tuvimos muchos ejemplos y la vitamina D es el último que demuestra que no influye en estos problemas de salud".</p> <p>La vitamina D se forma cuando la piel está expuesta al sol. Altos niveles de la molécula en el organismo están asociados con un mejor estado de salud cardíaco, aunque podría ser que la vitamina D sea apenas un signo de buen estado de salud general.</p> <p>"Las personas sanas están más tiempo al aire libre y producirían más vitamina D", propuso Cawthon.</p> <p>Avenell adelantó que hará dos estudios en Estados Unidos y el Reino Unido para confirmar si la vitamina D tiene algún efecto más allá de reforzar la resistencia ósea.</p> <p> </p> <p>FUENTE: Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism, online 23 de noviembre del 2011</p>
2011-12-14T12:25:41-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/232
Medicamentos: Nueva combinación terapéutica contra el cáncer de mama HER2 positivo metastásico
2011-12-14T12:10:57-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Oncólogos españoles han celebrado la nueva estrategia contra el cáncer de mama HER2 positivo metastásico, tras la presentación del estudio CLEOPATRA en el transcurso de la Reunión Anual sobre Cáncer de Mama en San Antonio (Estados Unidos).</p> <p>Los resultados de dicho estudio, publicado en <em><strong>The New England Journal of Medicine </strong></em>(doi: 10.1056/NEJMoa1113216), han revelado que la combinación de trastuzumab, quimioterapia y pertuzumab propicia un bloqueo más completo de las vías de señalización del receptor HER, lo que impide el progreso de la enfermedad durante al menos seis meses.</p> <p>El principal investigador del estudio y jefe del Servicio de Oncología y Hematología del Hospital General de Massachusetts de Boston (Estados Unidos), el doctor Josep Baselga, ha reconocido que los resultados han sido "mucho mejores" de lo que esperaban. "Es una mejoría con gran valor clínico, hasta el punto de que podemos decir que el estudio presenta uno de los resultados más positivos de la historia del cáncer de mama", ha manifestado.</p> <p>Por su parte, el doctor Javier Cortés, del Servicio de Oncológica Médica del Hospital Vall d'Hebron de Barcelona, ha asegurado que los resultados suponen un "gran avance" en el cáncer de mama HER2 positivo desde la aparición de trastuzumab.</p> <p>Este experto ha vaticinado que "de aquí a un año y medio este fármaco va a suponer una auténtica oportunidad". "Estamos acorralando al cáncer y es posible que en un futuro no muy lejano logremos cronificar su enfermedad, a pesar de que existan metástasis", ha precisado.</p> <p>"Datos como los presentados en San Antonio dan mayor energía a las pacientes para seguir luchando; el hecho de saber que cuentan con más oportunidades reduce muchísimo su ansiedad", ha explicado el jefe del Servicio de Oncología del Hospital Gregorio Marañón de Madrid, el doctor Miguel Martín.</p> <p>La jefa del Servicio de Hematología y Oncología del Hospital Clínico de Valencia, la doctora Ana Lluch, ha aclarado que la combinación de pertuzumab con trastuzumab "no suma prácticamente ninguna toxicidad, algo de diarrea pero totalmente manejable y que no altera la calidad de vida de nuestras pacientes". "No se ve afectada su cardioseguridad y esto te da muchísima tranquilidad", ha añadido.</p> <p>En el ensayo CLEOPATRA en fase III han participado 250 centros de 19 países -entre los que se encuentra España, con nueve hospitales- y 808 mujeres con cáncer de mama HER2 positivo metastásico. El nuevo tratamiento redujo en un 38% el riesgo de que la paciente empeorase o falleciera.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/oncologos/espanoles/celebran/resultados/nueva/combinacion/contra/cancer/mama/her2/_f-11+iditem-15736+idtabla-1" target="_blank">diciembre 13/2011 (JANO.es) </a></p> <p>José Baselga, Javier Cortés, Sung-Bae Kim, Seock-Ah Im, Roberto Hegg, Young-Hyuck Im, et. al. <a href="http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1113216?query=featured_home" target="_blank"><em><strong>Pertuzumab plus Trastuzumab plus Docetaxel for Metastatic Breast Cancer</strong></em></a>. <em>The New England Journal of Medicine</em> (2011).</p> </span>
2011-12-14T12:10:57-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/231
Nutrición: El pescado podría reducir la amenaza de la enfermedad cardiaca en las mujeres jóvenes
2011-12-14T12:08:05-05:00
Revista Finlay
Comer pescado rico en ácidos grasos omega 3, como el bacalao y el salmón, podría reducir significativamente el riesgo de una mujer joven de desarrollar enfermedad cardiaca, informan investigadores daneses. <p>Los investigadores hallaron que las mujeres en edad fértil que nunca comían pescado tenían 50 por ciento más problemas cardiovasculares que las que comían pescado con frecuencia, y un riesgo 90 por ciento más elevado que las mujeres que comían pescado semanalmente.</p> <p>"Hallamos que incluso las mujeres que comían pescado apenas un par de veces al mes se beneficiaban", afirmó la investigadora líder Marin Strom, becaria postdoctoral del Centro de Programación Fetal del Statens Serum Institut en Copenhague.</p> <p>"Las mujeres que comen pescado deben encontrar estos hallazgos alentadores, pero es importante enfatizar que para obtener el mayor beneficio del pescado y los aceites de pescado, las mujeres deben seguir las recomendaciones dietarias de consumir pescado como comida principal al menos dos veces por semana", apuntó.</p> <p>Sin embargo, el informe, que aparece en la edición en línea del 5 de diciembre de la revista <em>Hypertension</em>, no muestra una relación causal entre comer pescado y la reducción del riesgo cardiovascular, sino solo una asociación.</p> <p>El equipo de Strom recolectó datos de unas 49,000 mujeres embarazadas entre 1996 y 2008. Les preguntaron cuánto pescado comían, esperando determinar si comer ciertos tipos de pescado ayuda a reducir el riesgo de enfermedad cardiovascular. También se preguntó a las mujeres, que tenían de 15 a 49 años de edad al inicio del estudio, sobre el estilo de vida y los antecedentes médicos familiares.</p> <p>Durante los ocho años de seguimiento se registraron 577 eventos cardiovasculares, que incluían hipertensión, accidente cerebrovascular y enfermedad cardiaca. Cinco mujeres murieron de enfermedad cardiovascular.</p> <p>En general, más mujeres que comían poco o nada de pescado fueron hospitalizadas por enfermedad cardiovascular que las que comían pescado, hallaron los investigadores.</p> <p>Cuando los investigadores evaluaron a un subconjunto de mujeres en tres momentos distintos, el riesgo de enfermedad cardiovascular era tres veces mayor entre las mujeres que nunca comían pescado que para las que comían pescado rico en omega 3 al menos una vez por semana, añadieron.</p> <p>El aceite de pescado contiene ácidos grasos poliinsaturados de cadena larga omega 3, que parecen ser un factor protector contra la enfermedad cardiaca y vascular, explicó Strom.</p> <p>"Las mejores fuentes para obtener ácidos grasos de cadena larga omega 3 son los pescados grasos como el salmón, el arenque, la caballa, la trucha y el mero de Groenlandia", aseguró Strom</p> <p>Los pescados que las mujeres reportaron que comían con más frecuencia eran bacalao, platija, salmón, arenque y caballa. Las mujeres que tomaban complementos de aceite de pescado fueron excluidas del estudio.</p> <p>Aunque el pescado frito podría ser menos sano, probablemente no elimine los ácidos grasos, afirmó Strom.</p> <p>Según Strom, estudios similares del pasado se han enfocado en los hombres, no en las mujeres. "Hasta donde sepamos, este es el primer estudio de este tamaño que se enfoca exclusivamente en mujeres fértiles", aseguró.</p> <p>Ambos sexos comparten muchos de los mismos factores de riesgo de la enfermedad cardiovascular, pero algunos, como la inflamación, los triglicéridos y el colesterol, podrían ser más importantes en las mujeres, señaló.</p> <p>"Este estudio corrobora el efecto cardioprotector de la ingesta de pescado, y subraya la importancia de promoverla mediante recomendaciones dietarias", apuntó Strom. El efecto positivo notado incluso con un consumo moderado de pescado es alentador para las personas que no comen mucho pescado, añadió.</p> <p>Los autores reconocieron ciertas limitaciones del estudio, entre ellas que los datos fueron autorreportados.</p> <p>El Dr. Gregg Fonarow, profesor de cardiología de la Universidad de California en Los Ángeles, dijo que los hallazgos son coherentes con otros estudios en mujeres y hombres de más edad.</p> <p>"Este estudio provee más datos que respaldan que los ácidos grasos omega 3 en la dieta o como complementos son cardioprotectores", aseguró Fonarow.</p> <br /><em>Artículo por HealthDay, traducido por Hispanicare</em> <p>FUENTES: Marin Strom, Ph.D., postdoctoral fellow, Centre for Fetal Programming, Statens Serum Institute, Copenhagen, Denmark; Gregg C. Fonarow, M.D., professor, cardiology, University of California, Los Angeles; Dec. 5, 2011, <em>Hypertension</em>, online</p>
2011-12-14T12:08:05-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/230
Diabetes Mellitus: La diabetes tipo 2 tratada con análogos de insulina mejora el control glucémico con un menor riesgo de hipoglucemias
2011-12-14T11:56:15-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Los análogos de la insulina proporcionan una mejora del control glucémico a los pacientes con diabetes tipo 2, según los resultados del estudio 'A1chieve', publicados en la revista<em> Diabetes Research and Clinical Practice</em>.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Concretamente, el 80% de las personas que han formado parte del estudio tenía complicaciones derivadas de la diabetes y el 75% padecía enfermedades cardiovasculares. Después de 24 semanas de tratamiento con un análogo de insulina de Novo Nordisk, se produjo una reducción significativa del 2,1% en los niveles de HbA1c (pasando del 9,5% al 7,4). Los pacientes aseguraron que su calidad de vida había mejorado notablemente.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El profesor de Medicina en la Universidad de Newcastle (Estados Unidos) Philip Home ha reconocido que mejoras de HbA1c de esta magnitud tienen una "gran importancia" clínica para las personas con diabetes tipo 2. "Sabemos que una reducción del 1% de HbA1c está asociada a una disminución del riesgo de complicaciones de la enfermedad a largo plazo", ha añadido.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio, en el que han participado un total de 66.726 personas con diabetes tipo 2 de 28 países de Asia, África, Europa y América Latina, tenía como objetivo evaluar la seguridad de las insulinas en la práctica clínica, comprobando la incidencia de reacciones adversas en los pacientes, así como los índices de hipoglucemias que se producían.</div> <br /><br /><a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0168822711005638" target="_blank">Diabetes Research and Clinical Practice (2011); doi:10.1016/j.diabres.2011.10.021 </a>
2011-12-14T11:56:15-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/229
Cáncer: Desarrollan un test para la detección masiva de mutaciones asociadas al cáncer de ovario
2011-12-13T05:37:17-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La empresa valenciana Sistemas Genómicos ha desarrollado un test genético, conocido como 'Onco GeneProfile', que permite la secuenciación masiva y simultánea de un total de 22 genes para tratar de identificar mutaciones asociadas al cáncer de ovario y otros tumores hereditarios.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La carga genética en el cáncer de ovario es mayor de lo que se pensaba hasta ahora y, según un reciente estudio publicado en la revista norteamericana <em>Proceedings of the National Academy of Sciences, </em>el número de mujeres con un carcinoma de ovario que presentan mutaciones que predisponen a la aparición de esta enfermedad es superior a lo estimado previamente, mientras que en el desarrollo de esta enfermedad también hay involucrados más genes de los previstos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En concreto, se ha observado la presencia de mutaciones en la línea germinal (que se transmiten de generación en generación) en 21 genes supresores de tumor, identificando un total de 85 mutaciones en 12 genes, la mayor parte de ellas mutaciones de pérdida de función.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Además, se ha evidenciado que más de una quinta parte de los carcinomas de ovario se asociaron con una mutación en la línea germinal en genes supresores de tumores (genes que desaceleran la división celular o causan que las células tumorales mueran en el momento correspondiente), siendo los genes BRCA1 y 2 los que se asocian con un mayor riesgo de carcinoma ovárico.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La responsable de la Unidad de Genética Médica de la compañía, Sonia Santillán, destaca que el test 'Onco GeneProfile' permite analizar simultáneamente 22 genes mediante secuenciación masiva paralela, "con unos plazos y costes similares a la secuenciación convencional de tan sólo dos de estos genes".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La secuenciación masiva es una técnica que se basa en fragmentar el genoma en millones de partes de pequeño tamaño, capturar los fragmentos pertenecientes a los exones de los genes o los genes incluyendo exones e intrones, secuenciar esos miles de fragmentos y, posteriormente, ensamblarlos de tal forma que se pueda leer de forma ordenada el genoma o exoma.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">De esta manera, se puede examinar si existen o no mutaciones, pequeñas deleciones, inserciones o grandes reestructuraciones que expliquen la susceptibilidad familiar al cáncer.</div>
2011-12-13T05:37:17-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/228
Cáncer: Casi la mitad de los casos de cáncer pueden prevenirse
2011-12-11T15:38:43-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Casi la mitad de los casos de cáncer que se detectan cada año pueden prevenirse, ya que están relacionados con hábitos poco saludables como el tabaco, el alcohol o la mala alimentación. Así se desprende del informe realizado por el Cancer Research UK, de Reino Unido, cuyos resultados se han publicado en el <em>British Journal of Cancer</em>.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Muchas personas creen que el cáncer está en los genes y es cuestión de azar", asegura el profesor Max Parkin, responsable de este estudio, que apunta en la dirección de que el cáncer es una enfermedad "que tenemos el poder de cambiar".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En concreto, el estudio revela que cada año hay cerca de 134.000 nuevos casos en los que diferentes factores ambientales o hábitos de vida poco saludables se combinan de una forma u otra causando el desarrollo de esta dolencia.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En total se han identificado hasta 14 factores ambientales, entre los que el tabaco se sitúa como el primer factor previsible, al estar detrás del 23 de los tumores masculinos y del 15,6% de los femeninos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>El estudio muestra diferencias por sexos en el resto de factores ambientales. Así, mientras en mujeres los factores de riesgo más frecuentes son el sobrepeso (6,9%), el virus del papiloma humano (3,7%) o la exposición al sol o a las cabinas de rayos UVA (3,6%), en los hombres resulta más dañino la falta de frutas y verduras en la dieta (6,1%), el alcohol (4,3%) o los factores de riesgo laboral, como estar expuestos a productos químicos (4,9%).</p> <p>"No imaginábamos que comer frutas y vegetales resultase tan importante a la hora de proteger a los hombres contra el cáncer. O, entre las mujeres, que el sobrepeso representara un factor de mayor riesgo que el alcohol", ha señalado a la BBC el profesor Parkin, en declaraciones recogidas por Europa Press.</p> <p><strong>Tabaco, sobrepeso, obesidad...</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Algunos de los factores de riesgo están perfectamente descritos, como el vínculo del tabaco con el cáncer de pulmón, aunque hay otros que son menos conocidos, advierten los autores del estudio.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por ejemplo, y en el caso de cáncer de mama, cerca de una décima parte del riesgo tiene su origen en el sobrepeso o la obesidad. Asimismo, en cuanto al cáncer de esófago o garganta, el 50% del riesgo proviene de comer muy pocas frutas y vegetales, mientras que sólo una quinta parte del riesgo se relaciona con el alcohol, según el informe.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En el cáncer de estómago, un quinta parte del riesgo se debe al uso excesivo de sal en la dieta, y otros, como el de vesícula biliar, no tienen que ver con el estilo de vida.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según reconoce el doctor Harpal Humar, director ejecutivo de Cancer Research UK, aunque un estilo de vida saludable no garantiza que una persona no vaya a tener cáncer, este estudio ha demostrado que "podemos aumentar significativamente las probabilidades a nuestro favor". "Deberíamos tratar de hacer todo lo que esté a nuestro alcance", concluye.</div>
2011-12-11T15:38:43-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/227
Nutrición: La dieta mediterránea generaría mejor estado de salud cardíaca
2011-12-07T10:38:35-05:00
Revista Finlay
Una vez más, expertos aseguran que tener una dieta rica en pescado, legumbres y verduras, con moderada cantidad de alcohol, está asociado con una reducción del riesgo de morir por un ataque cardíaco, un accidente cerebrovascular (ACV) u otros problemas vasculares. <p>Esos son los datos obtenidos de un estudio sobre habitantes de la ciudad de Nueva York.</p> <p>La mayoría de los participantes hispanos o afroamericanos no necesariamente consumía alimentos tradicionales de los países mediterráneos, pero cuanto más parecida era la dieta al estilo mediterráneo, menor riesgo corrían the morir por problemas vasculares, incluido el infarto.</p> <p>"Aunque no se trata de la dieta mediterránea exactamente, sino de una comparación entre una alimentación más saludable que otra, existe alguna mejoría para la salud", dijo Teresa Fung, profesora del Simmons College de Boston, quien no participó del estudio.</p> <p>Durante nueve años, el equipo del doctor Clinton Wright, de la University of Miami, siguió a más de 2.500 residentes de la zona norte de Manhattan, un barrio con un 63 por ciento de residentes hispanos, un 20 por ciento de habitantes afroamericanos y un 15 por ciento de blancos.</p> <p>Es que, según escribe el equipo en American Journal of Clinical Nutrition, falta información sobre los beneficios de la llamada dieta mediterránea para la salud de los afroamericanos y los hispanos de Estados Unidos.</p> <p>Algo más de la mitad de los participantes eran hispanos, mientras que el resto se dividían entre negros no hispanos y blancos.</p> <p>Todos tenían más de 40 años al inicio del estudio, cuando respondieron sobre su salud y calificaron sus hábitos de alimentación según una escala de 9 puntos: a mayor puntaje, mayor proximidad de la dieta al ideal mediterráneo, con gran cantidad de pescado, verduras, legumbres, granos integrales y aceites vegetales, y reducida en carne roja y grasa animal.</p> <p>Luego, el equipo controló cuántos participantes tuvieron un ACV, un infarto o murieron por un problema vascular, como una embolia pulmonar o un aneurisma. Más de 300 participantes murieron por un trastorno vascular.</p> <p>Por cada punto más en la escala de calificación de la dieta, el riesgo de morir por causas vasculares disminuía un 9 por ciento.</p> <p>Aun así, el estudio no pudo determinar si la dieta tenía algún efecto en el riesgo de sufrir un ACV: entre los 171 participantes que tuvieron un infarto cerebral, el grupo con mayor puntaje en la escala de calificación de la dieta era tan propenso a sufrir un ACV como el grupo con la calificación más baja.</p> <p>El equipo sí detectó que la dieta proporcionaba una leve protección contra el infarto en el grupo con la dieta más parecida al estilo mediterráneo, aunque esto podría atribuirse al azar.</p> <p>Las pruebas no son concluyentes, según aseguró Wright, pero la dieta mediterránea sería mejor para la salud cardíaca de la población que otros tipos de dietas, "como las ricas en carnes rojas".</p>
2011-12-07T10:38:35-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/226
Nutrición: Asocian deficiencia vitamina D con enfermedad cardíaca y muerte
2011-12-07T09:55:13-05:00
Revista Finlay
Tras analizar datos de más de 10.000 pacientes, un equipo estadounidense halló que el 70 por ciento tenía deficiencia de vitamina D, con un riesgo cardíaco mucho más alto que el resto de la población y el doble de posibilidad de morir. <p>Pero el uso de suplementos para corregir esa deficiencia redujo un 60 por ciento el riesgo de morir, indicaron los expertos de la University of Kansas.</p> <p>"Esperábamos observar una relación entre la enfermedad cardíaca y la deficiencia de vitamina D, pero nos sorprendió con qué solidez", dijo el doctor James L. Vacek, del Hospital y Centro Médico de la University of Kansas. "Fue mucho más profunda que lo que esperábamos", agregó.</p> <p>La deficiencia de vitamina D está asociada con una gran cantidad de enfermedades, pero pocos estudios habían demostrado que los suplementos podrían prevenirlas.</p> <p>El equipo de Vacek revisó datos de 10.899 adultos, a los que se les habían medido los niveles de vitamina D en sangre en el hospital de la universidad. En más del 70 por ciento, los niveles estaban por debajo de los 30 ng/ml, que es el valor considerado saludable.</p> <p>Tras considerar la historia clínica de los pacientes, los tratamientos farmacológicos y otros factores, los cardiólogos observaron que las personas con deficiencia de vitamina D eran dos veces más propensas a tener diabetes, un 40 por ciento más propensas a tener hipertensión y un 30 por ciento más propensas a desarrollar cardiomiopatía (enfermedad del músculo cardíaco) que las personas sin deficiencia del nutriente.</p> <p>Además, ese grupo tenía tres veces más riesgo de morir por cualquier causa que los que no tenían deficiencia de vitamina D, según publica el equipo en American Journal of Cardiology.</p> <p>Al concentrarse en los usuarios de suplementos de vitamina D, el equipo observó que el riesgo de morir por cualquier causa era un 60 por ciento más bajo que en el resto de los participantes, aunque el efecto fue aún mayor en aquellos con deficiencia de la vitamina al momento de la evaluación.</p> <p>El estudio no prueba que la vitamina D sea la responsable de los efectos observados; otros factores, como la enfermedad, podrían explicar las diferencias asociadas con el estado de salud y los niveles de vitamina D registrados.</p> <p>El último relevamiento nacional sobre salud y nutrición de la población (National Health and Nutrition Examination Survey) estimó que entre el 25 y el 57 por ciento de los adultos de Estados Unidos tienen niveles insuficientes de vitamina D.</p> <p>Vacek lo atribuyó a la forma de obtener el nutriente: dijo que debería ser un 90 por ciento a través del sol y apenas un 10 por ciento a través de la alimentación.</p> <p>El cuerpo humano produce la vitamina D cuando la piel se expone al sol. Ciertos alimentos, como los pescados grasos, los huevos y la leche enriquecida, también aportan el nutriente.</p> <p>Para absorber una cantidad suficiente de vitamina D al sol, hay que exponer todo el cuerpo durante por lo menos 20 minutos diarios en las estaciones más cálidas, pero Vacek dijo que la mayoría de la población no pasa tiempo suficiente al aire libre.</p> <p>FUENTE: The American Journal of Cardiology, online 7 de noviembre del 2011</p>
2011-12-07T09:55:13-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/225
Diabetes Mellitus: Debate sobre la forma de prevenir la diabetes mellitus
2011-12-07T07:06:03-05:00
Revista Finlay
<div class="announcementDescription" style="display: block; overflow: hidden; clear: both;"><span class="textonormal"><p>La Organización Mundial de la Salud estima que para el 2030 los diagnósticos de diabetes mellitus doblarán las cifras actuales. La prevención y el abordaje precoz han sido uno de los pilares básicos de la primera jornada del Congreso Mundial de Diabetes que se está celebrando en Dubai (Emiratos Árabes).</p> <p>El Centro para el Control y Prevención de Enfermedades de Estados Unidos (CDC) estima que existen aproximadamente 79 millones de estadounidenses con prediabetes y que, de ellos, entre el 40 y el 50% progresarán a diabetes mellitus tipo 2. Además, la Organización Mundial de la Salud (OMS) predice que para el 2030 la prevalencia será el doble y que la prevención y el diagnóstico precoz de esta enfermedad son decisivos para reducir la incidencia. Sin embargo, las opiniones de los expertos difieren sobre el abordaje precoz. ¿Qué es más adecuado, ejercicio físico y cambios en el estilo de vida combinados con la administración de fármacos, o solo deporte y dieta? Este fue el punto de partida de uno de los debates más concurridos que sedesarrolló en el congreso.</p> <p>Los argumentos a favor los expuso Ralph DeFronzo, director de la Unidad de Investigación de Diabetes de la Universidad de Texas (Estados Unidos) quien destacó que el tratamiento de la enfermedad sin una combinación farmacológica no funciona a largo plazo: "La modificación del estilo de vida reduce la conversión de la intolerancia de la glucosa (IGT) a diabetes mellitus tipo 2, pero es complicado implantarlo y sostenerlo durante periodos largos de tiempo, como se demostró en el estudio DPP", explicó. En este estudio participaron 3234 estadounidenses y se comprobó que los cambios en la dieta y la inclusión del ejercicio físico provocaron que el 54% de los participantes redujeran su peso; en el caso de aquellos que lo combinaron con metformina se produjo un descenso del 31%.</p> <p>Algunos expertos creen que la prevención de la diabetes mellitus consiste en cambios en la dieta y el estilo de vida; otros afirman que debe incluir fármacos</p> <p>Una vez finalizado el tratamiento, los facultativos realizaron 16 sesiones de seguimiento cara a cara durante 24 semanas; tras esto se redujeron a sesiones mensuales y a terapias de grupo. Además, a los pacientes se les asignó un programa de actividades físicas de 150 minutos a la semana. Aun así, los pacientes que habían perdido peso todavía evolucionaban a diabetes mellitus tipo 2, mientras que los que habían combinado la terapia con metformina se mantuvieron en los mismos niveles cuatro años más. "El hambre, el deseo de comer y la urgencia para ingerir comida están ahí; los fármacos pueden reducirlos", aseguró DeFronzo.</p> <p>En el otro lado está la opinión de Jaakko Tuomilehto, del Departamento de Salud Pública de la Universidad de Helsinki (Finlandia). "El funcionamiento de los fármacos está supeditado al tiempo de toma, a la tolerancia o a si el paciente dispone del dinero suficiente para mantener un tratamiento a largo plazo. "Si la terapia no ha funcionado, el paciente debe enfrentarse a comorbilidades que de otro modo no huiese tenido, e incluso a la mortalidad", ha afirmado Tuomilehto. El especialista explicó que programas como el DPP de India han demostrado que los pacientes menores de 30 años obtienen beneficios frente al placebo, pero que a partir de los 35 años las cifras son similares, por lo que no tiene grandes repercusiones a largo plazo ya que "cuando el efecto farmacológico desaparece los pacientes pueden recuperar los niveles anteriores ".</p> <p>Aun así, DeFronzo ha insistido en que se obtienen mejores resultados combinando deporte y fármacos. "Los estudios Dream, DPP, Tripod, Pipod o Act Now respaldan mi argumentación. En el estudio Canoe hemos visto que una dosis alta de liraglutide puede reducir un 90% la conversión de IGT a diabetes mellitus. Además, una dosis simple de este fármaco restaura la respuesta de las células beta en pacientes con diabetes mellitus tipo 2 hiperglucémicos".</p> <p>Por su parte, Tuomilehto insistió en que no deben emplearse fármacos para promocionar la prevención. "Las personas que han desarrollado diabetes tipo 2 están ligadas al tratamietno farmacológico y dependerán de él, pero si todavía no se ha desarrollado supone un gasto innecesario para el Estado y la familia". Tuomilehto recordó que una parte del estudio DPP consiste en educar al pacientes para mejorar su dieta, y que tras dos años estos consejos son innecesarios.</p> <p>"Aproximadamente un 40% de las personas en las que se hace intervención dietética y cambios en el estilo de vida no consiguen sus objetivos y desarrollan diabetes mellitus; la alternativa es añadir un fármaco", explicó Rafael Gabriel, del Hospital Universitario La Paz, de Madrid. "Hemos diseñado el proyecto ePredice, que empezará a mediados del 2012. Participarán 16 centros europeos y dos australianos e incluirá a un mínimo de 3000 pacientes que se seguirán durante cinco años".</p> <p>En la investigación los pacientes se dividirán en cuatro grupos: uno de control y tres más. En estos se modificarán los estilos de vida y se incluirá un fármaco diferente en cada muestra. La finalidad es determinar qué tipo de tratamiento tiene menor incidencia de complicaciones microvasculares. "El objetivo es mirar la eficacia en el abordaje precoz, intensivo, combinado frente solo a estilos de vida, en prevenir las complicaciones microvasculares en pacientes con prediabetes o con diabetes mellitus recién diagnosticados no conocidos".<br /> <a href="http://endocrinologia.diariomedico.com/2011/12/07/area-cientifica/especialidades/endocrinologia/prevencion-diabetes-mira-hacia-farmacologia" target="_blank">diciembre 6/2011 (Diario Médico) </a></p> </span></div>
2011-12-07T07:06:03-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/224
Anuncio: Suplemento conjunto de la Revista Cubana de Cardiología y Cirugía Cardiovascular y la Revista española de cardiología
2011-12-04T05:46:08-05:00
Revista Finlay
<img title="suplemento-conjunto-cardiologiap_75" src="http://www.revfinlay.sld.cu/public/site/images/mikhail/suplemento-conjunto-cardiologiap_75.jpg" alt="suplemento-conjunto-cardiologiap_75" width="53" height="75" />Como parte de un convenio sin precedentes históricos en Iberoamérica, se publican simultáneamente en la <a href="http://www.revcardiologia.sld.cu/index.php/revcardiologia/issue/view/10/showToc" target="_self"><em>Revista Cubana de Cardiología y Cirugía Cardiovascular</em></a> y en la <em><a href="http://www.revespcardiol.org/es/revistas/summary/revista-espanola-de-cardiologia-vol11-num-suple" target="_blank">Revista española de cardiología</a>,</em> un suplemento conjunto realizado por sus sociedades científicas. suplemento especial, dedicado íntegramente a la prevención y la rehabilitación cardiovascular, publicado al unísono por ambas revistas y con la participación de prestigiosos especialistas de ambas sociedades.<br /> Este suplemento debe ser un referente para el trabajo cooperativo entre sociedades y entre revistas que, con la adecuada selección de temas de necesario interés e impacto en la morbimortalidad de las enfermedades, permita establecer pautas para su abordaje.
2011-12-04T05:46:08-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/223
Anuncio: El 3 de diciembre se conmemora en Cuba el Día del trabajador de la salud y de la Medicina Latinoamericana.
2011-12-03T08:34:03-05:00
Revista Finlay
<div class="postcontent"><p style="text-align: center;">El 3 de diciembre se conmemora en Cuba el <strong><em>Día del trabajador de la salud y de la Medicina Latinoamericana</em></strong>. En este año, el Portal de Infomed les ofrece el mensaje de felicitación que nos ha hecho llegar el doctor Roberto Morales Ojeda, Ministro de Salud Pública, con motivo de tan señalado día. Felicitamos a todos los que en nuestro país y en tierras lejanas trabajan en este sector para mejorar la salud y calidad de vida de toda la humanidad.</p> <p style="text-align: center;"><a href="http://www.sld.cu/verpost.php?blog=http://articulos.sld.cu/editorhome&post_id=8594&tipo=1&opc_mostrar=2_3_&n=z"> <img class="size-full wp-image-8518 aligncenter" src="http://files.sld.cu/editorhome/files/2011/12/carta-del-ministro-por-el-3-de-diciembre-de-2011.jpg" alt="" width="217" height="300" /></a></p> <a class="enlacevermas" href="http://www.sld.cu/verpost.php?blog=http://articulos.sld.cu/editorhome&post_id=8594&tipo=1&opc_mostrar=2_3_&n=z">[más...]</a></div>
2011-12-03T08:34:03-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/222
Factores de riesgo cardiovascular: Beber con moderación reduciría el riesgo de diabetes
2011-12-02T11:20:05-05:00
Revista Finlay
Las mujeres de mediana edad que comen gran cantidad de carbohidratos refinados tendrían menos riesgo de desarrollar diabetes tipo 2 si beben alcohol con moderación. <p>Tras seguir a 80.000 mujeres durante 26 años, un equipo halló que aquellas con una dieta rica en carbohidratos refinados (pan blanco, papa y bebidas azucaradas) tenían un 30 por ciento menos riesgo de desarrollar diabetes que un grupo con la misma alimentación, pero que no consumía alcohol.</p> <p>"Una dieta rica en carbohidratos sin beber alcohol aumenta un 30 por ciento el riesgo de desarrollar diabetes", dijo el autor principal, doctor Frank Hu, de la Escuela de Salud Pública de Harvard, en Boston.</p> <p>"Pero si se consume una cantidad moderara de alcohol, ese riesgo disminuye", añadió.</p> <p>Casi la mitad de los 26 millones de adultos diabéticos de Estados Unidos es mujer, según los Centros para el Control y la Prevención de Enfermedades (CDC por su sigla en inglés).</p> <p>El nuevo estudio, publicado en American Journal of Clinical Nutrition, no prueba que el alcohol proteja de la diabetes. El equipo de Hu sugiere que el alcohol influiría en la producción de insulina y otras sustancias después de una comida para contrarrestar los picos de azúcar en sangre que promueven la diabetes.</p> <p>El equipo analizó datos de 82.000 participantes del estudio Nurses' Health Study. En 26 años, 6.950 mujeres (el 9 por ciento) sin diabetes al inicio del estudio desarrollaron la enfermedad.</p> <p>Las mujeres respondieron cada cuatro años cómo se alimentaban. En general, aquellas que más carbohidratos refinados (cereales para el desayuno, pan, puré de papas, bebidas colas y jugo de naranja) y carnes rojas consumían tenían más riesgo de desarrollar diabetes.</p> <p>Pero en ese grupo, las bebedoras "moderadas" (más de 15 gramos diarios de alcohol) tenían un 30 por ciento menos riesgo de diabetes que las que no bebían alcohol.</p> <p>Las mujeres que consumían alcohol con moderación bebían en promedio unos 24 gramos por día, es decir, unas dos copas por semana.</p> <p>Sólo un pequeño porcentaje de participantes bebían 57 gramos o más de alcohol por día, aunque en ese grupo no se observó una disminución del riesgo de desarrollar diabetes.</p> <p>A Jill Kanaley, experta en diabetes tipo 2 de la University of Missouri, que no participó del estudio, le sorprendieron los resultados.</p> <p>"Nunca había leído en la literatura que unas pocas copas de alcohol podrían influir en la relación entre la cantidad de carbohidratos de la dieta y el riesgo de diabetes", dijo.</p> <p>Con todo, Kanaley destacó: "Hay muchos factores que el estudio pasó por alto, como cuándo se consumía el alcohol y si era con la comida, o de qué tipos de bebida se trataba".</p> <p> </p><p>FUENTE: American Journal of Clinical Nutrition, online 2 de noviembre del 2011</p> <div>Reuters Health</div>
2011-12-02T11:20:05-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/221
Accidentes vasculares encefálicos: El grosor de la pared arterial determina el riesgo de repetición de un ictus
2011-12-01T12:09:00-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Un estudio liderado por el equipo de Neurología del Hospital del Mar ha dado como resultado el descubrimiento de una nueva herramienta para valorar el pronóstico de la repetición del ictus. Las conclusiones de este trabajo, en el que participaron más de 600 pacientes que habían sufrido un ictus, apuntan a la utilidad de medir el espesor de las capas íntima y media de la arteria carótida, mediante ecografía, como elemento de alerta precoz en la probabilidad de recaída y, por tanto, como marcador clínico de pronóstico.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Los datos de este trabajo, enmarcado en el estudio multicéntrico ÁRTICO, que evalúa probables marcadores de recurrencia en ictus y en el que han colaborado cerca de 50 hospitales de España, se han publicado en el número de noviembre de la revista Stroke. Se estima que el porcentaje de pacientes que vuelve a sufrir un episodio durante el primer año es del 7%, cifra que llega al 15% anual si se tienen en cuenta los episodios cardiovasculares y la muerte.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En el estudio se comparó un indicador conocido y fiable del pronóstico, el grado de estrechamiento de la arteria carótida (estenosis carotídea), con el grueso de las capas internas de la arteria (espesor de las capas íntima y media), en un colectivo de enfermos que ya había sufrido un ictus. Una estenosis de la carótida superior al 50% se considera un indicador de riesgo de un nuevo episodio de ictus.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Las últimas aportaciones en el estudio de estenosis carótidas en el ictus o incluso en otros problemas cardiovasculares apuntan en la misma dirección: la presencia de placas en el interior de las arterias carótidas tiene un papel clave y bien conocido a la hora de producirse un accidente vascular y aumenta la posibilidad de un nuevo episodio de ictus, de infarto o de muerte, en los sujetos que ya han sufrido un ictus y que presentan placas en sus carótidas.</p> <p>Asimismo, los datos preliminares de estudios internacionales que se están llevando a cabo aportan, en cada nuevo hallazgo, más evidencia científica de la importancia de valorar el grado de esta estenosis para hacer un adecuado abordaje de la prevención (primaria y secundaria) de esta patología y los pacientes de riesgo.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>"La novedad del estudio ÁRTICO es que no sólo complementa otros estudios recientes, sino que, en este caso, supone una herramienta de gran valor al tratarse de un indicador que anticipa la presencia de esta estenosis y que permite, por tanto, identificar pacientes de alto riesgo en ausencia de estenosis carotídea ", explica el Dr. Jaume Roquer, jefe del servicio de Neurología del Hospital del Mar y responsable del estudio.</p> <p>"Este estudio ha demostrado que pacientes que tenían pocas placas en las carótidas o no tenían, pero que presentaban como anomalía ecocardiográfica, en sus carótidas, el engrosamiento de la capa íntima-media, también tenían un riesgo más elevado de recurrencias cardiovasculares o muerte".</p> <p>Si bien el engrosamiento de la pared arterial se había considerado hasta ahora un rasgo inicial de la arterosclerosis (proceso patológico que conduce al estrechamiento y la obstrucción de las arterias por la acumulación de colesterol en sus paredes y que entorpece la circulación sanguínea y puede acabar provocando un ictus isquémico), no se había demostrado que este engrosamiento fuera en sí mismo un marcador de pronóstico precoz de recurrencia de ictus.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>La comparación de pacientes con estrechamiento de la carótida con pacientes que presentaban un grosor de la íntima-media superior a 1,11 mm (porcentaje considerado significativo en este estudio), reveló que los episodios recurrentes de ictus resultaban similares en ambos grupos, en un seguimiento de 12 meses.</p> <p>"Los datos sobre el valor pronóstico del grosor de la íntima-media en la recurrencia del ictus son escasos y los resultados de este estudio vienen a apoyar la hipótesis de que, lejos de ser un mero marcador inicial de la arterosclerosis, el engrosamiento de la íntima-media arterial sería una variante de la enfermedad aterosclerótica, presente en algunos individuos y ausente en otros ", añade el Dr. Roquer.</p></div> <br /><a href="http://stroke.ahajournals.org/content/42/11/3099.abstract?sid=2d1b81ac-0381-4e67-aae8-fb433ab0c444" target="_blank">Stroke (2011); doi: 10.1161/STROKEAHA.110.612010 </a>
2011-12-01T12:09:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/220
Obesidad: La enfermedad del hígado graso no alcohólico no afecta la supervivencia, halla un estudio
2011-12-01T09:40:19-05:00
Revista Finlay
Una afección conocida como enfermedad del hígado graso no alcohólico (EHGNA) no aumenta el riesgo de muerte, según el hallazgo de un nuevo estudio que sorprendió a investigadores de la Universidad de Johns Hopkins. <p>Desde hace mucho se pensaba que la EHGNA, una afección asociada con la obesidad y la enfermedad cardiaca, tenía un impacto nocivo sobre la salud y la longevidad. Pero el nuevo estudio concluyó que la EHGNA no afecta la supervivencia.</p> <p>"Los médicos han pensado que la enfermedad del hígado graso es un factor de riesgo realmente preocupante para la enfermedad cardiovascular", apuntó en un comunicado de prensa de la Universidad de Johns Hopkins la líder del estudio, la Dra. Mariana Lazo, becaria postdoctoral del Centro Welch de Prevención de la Facultad de Medicina de la institución educativa.</p> <p>"Nuestro análisis de los datos muestra que no parece ser así. Por decir poco nos sorprendió, porque esperábamos al menos enterarnos de cuánto aumentaba la enfermedad del hígado graso no alcohólico el riesgo de muerte, y en vez de ellos hallamos que la respuesta fue que nada", explicó Lazo.</p> <p>Los investigadores analizaron datos de más de 11,000 estadounidenses de 20 a 74 años de edad a quienes se dio un seguimiento de hasta 18 años como parte de la tercera Encuesta nacional de examen de la salud y la nutrición.</p> <p>Según el estudio que aparece en la edición del 18 de noviembre de la revista <em>BMJ</em>, no se halló evidencia de un mayor riesgo de muerte en el 20 por ciento de los participantes que tenían EHGNA.</p> <p>Según la Fundación Americana del Hígado (American Liver Foundation), la EHGNA afecta a hasta el 25 por ciento de los estadounidenses. La afección se caracteriza por la incapacidad del hígado de descomponer las grasas, junto con la acumulación de grasa en ese órgano.</p> <p>"Aún no sabemos por qué la mortalidad no se ve afectada o si pudiera en realidad haber algún efecto protector de la enfermedad del hígado graso no alcohólico, pero parece que la capacidad del hígado de acumular grasa podría de alguna forma proteger al cuerpo de los efectos nocivos de otros problemas de salud como la obesidad y la diabetes", señaló Lazo en el comunicado de prensa.</p> <br /><em>Artículo por HealthDay, traducido por Hispanicare</em> <p>FUENTE: Johns Hopkins Medicine, news release, Nov. 21, 2011</p>
2011-12-01T09:40:19-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/219
Obesidad: Las dietas hipocalóricas reducen la grasa que rodea el corazón en los obesos, según un estudio
2011-12-01T09:37:32-05:00
Revista Finlay
La función cardiaca mejoró en las personas obesas con diabetes tipo 2 que consumieron una dieta con muy pocas calorías, según un pequeño estudio reciente. <p>Los investigadores midieron el índice de masa corporal (IMC) y usaron IRM para analizar la función cardiaca y la grasa pericárdica en quince personas obesas (siete hombres y ocho mujeres) con diabetes tipo 2 antes y cuatro meses después de que comenzaran a consumir una dieta de 500 calorías al día.</p> <p>La grasa pericárdica se acumula alrededor del corazón, y puede resultar nociva para la función cardiaca.</p> <p>La diabetes mejoró de inmediato tras reducir las calorías, según el estudio.</p> <p>Cuatro meses después de que los participantes iniciaran la dieta hipocalórica, el IMC promedio cayó de 35.3 a 27.5 (la obesidad estadística comienza en un IMC de 30) y la grasa pericárdica se redujo de 39 a 31 mililitros (ml).</p> <p>El estudio halló que una medida clave de la función cardiaca diastólica también se redujo a niveles más sanos. La función cardiaca diastólica involucra al periodo del latido del corazón en que los ventrículos se llenan de sangre. Una mala función cardiaca diastólica puede llevar a la insuficiencia cardiaca congestiva.</p> <p>Tras otros 14 meses de seguimiento en que los participantes comían una dieta regular, el IMC promedio aumentó a 31.7, pero la grasa pericárdica solo se elevó ligeramente a 32 ml y la relación E/A fue de 1.06.</p> <p>El estudio se presentará el lunes en la reunión anual en Chicago de la Sociedad Radiológica de América del Norte (Radiological Society of North America, RSNA).</p> <p>"Nuestros resultados muestran que 16 semanas de restricción calórica mejoraron la función cardiaca en estos pacientes", señaló en un comunicado de prensa de la RSNA el autor líder, el Dr. Sebastiaan Hammer, del Centro Médico de la Universidad de Leiden en los Países Bajos. "Lo más importante es que a pesar de que recuperaron el peso, los efectos cardiovasculares beneficiosos persistieron a largo plazo".</p> <p>Aunque los resultados son promisorios y mostraron que las intervenciones del estilo de vida parecen proveer beneficios cardiacos más significativos que los fármacos en estos pacientes, las personas obesas no deben de intentar consumir una dieta hipocalórica solas. Se debe hacer bajo supervisión médica, anotó Hammer.</p> <p>Debido a que este estudio se presentará en una reunión médica, sus datos y conclusiones deben ser considerados como preliminares hasta que se publiquen en una revista revisada por profesionales.</p> <br /><em>Artículo por HealthDay, traducido por Hispanicare</em> <p>FUENTE: Radiological Society of North America, news release, Nov. 28, 2011</p>
2011-12-01T09:37:32-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/218
Factores de riesgo cardiovascular: "Paradoja de obesidad" se mantiene en pacientes con ACV: estudio
2011-12-01T09:35:46-05:00
Revista Finlay
Los pacientes con sobrepeso que padecen un accidente cerebrovascular (ACV) no sólo no corren más riesgo de recurrencia que aquellos con peso normal sino que su riesgo general de eventos cardiovasculares es en verdad menor, según muestra un nuevo estudio. <p>Los resultados generan el interrogante de si debería recomendarse rutinariamente la pérdida de peso en los pacientes obesos o con sobrepeso que sufren enfermedad vascular, según el equipo del doctor Bruce Ovbiagele, de la University of California, en San Diego.</p> <p>Los hallazgos también brindan aún más evidencia de la llamada "paradoja de la obesidad", o la observación de que la morbilidad y la mortalidad de los pacientes con enfermedad cardíaca disminuye a medida que aumenta el índice de masa corporal (IMC).</p> <p>El IMC es una medición del peso en relación con la estatura que permite determinar el nivel de sobrepeso u obesidad.</p> <p>"Al menos 10 estudios han demostrado lo mismo y esto es muy extraño, pero es consistente", dijo Ovbiagele a Reuters Health.</p> <p>En un artículo publicado en la revista Stroke, el equipo de Ovbiagele informa sobre un análisis de un ensayo clínico que incluyó a 20.246 pacientes que fueron seguidos durante 2,5 años luego de un ACV isquémico.</p> <p>El 24 por ciento de los participantes del estudio eran obesos, el 44 por ciento tenía sobrepeso y el resto eran delgados.</p> <p>Los investigadores no hallaron un aumento del riesgo de recurrencia del ACV entre los pacientes obesos y con sobrepeso (las tasas eran similares en ambos casos a las registradas entre los individuos delgados).</p> <p>Y las proporciones de riesgo de un evento cardiovascular mayor fueron 0,84 para las personas con sobrepeso y 0,86 entre los obesos, comprado con los pacientes delgados.</p> <p>Ovbiagele, neurólogo, dijo que está viendo cada vez más pacientes obesos con ACV en su práctica médica, y que por eso había decidido realizar un estudio para determinar cuánto énfasis debía poner en la pérdida de peso en esas personas.</p> <p>Según los nuevos hallazgos, señaló, deberá pasar más tiempo focalizándose en reducir la presión sanguínea, el consumo de sal y la toma de la medicación prescripta.</p> <p>"Cosas como ésta deberían enfatizarse más que bajar de peso, según nuestro estudio", dijo.</p> <p>En una revisión publicada en la misma revista, el doctor Wolfram Doehner, del Centro de Investigación del ACV en la Universitatsmedizin en Berlín, y colegas concluyen que los principios de manejo de la obesidad en la atención primaria no deberían aplicarse a los pacientes con ACV.</p> <p>"Mientras que evitar el sobrepeso es sin dudas importante para prevenir enfermedades cardiovasculares (incluido el ACV), los médicos deberían claramente diferenciar entre la prevención primaria y secundaria; por ejemplo, en lo que respecta a las recomendaciones a pacientes con una enfermedad cardiovascular ya establecida", dijo Doehner a Reuters Health.</p> <p>"Por todo lo que vemos de los datos emergentes, la pérdida de peso no mejora el resultado luego de un ACV", finalizó Doehner.</p> <p> </p><p>FUENTE: Stroke, online 29 de septiembre del 2011</p>
2011-12-01T09:35:46-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/217
Cáncer: Relacionan los niveles altos de azúcar en sangre de las mujeres mayores con el cáncer colorrectal
2011-11-30T06:46:01-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los niveles elevados de azúcar en la sangre están asociados con un mayor riesgo de cáncer colorrectal, según un estudio dirigido por investigadores del Albert Einstein College of Medicine, de la Universidad de Yeshiva, en Estados Unidos. Los resultados, basados en una muestra de cerca de 5.000 mujeres posmenopáusicas, han sido publicados en el <em>British Journal of Cancer.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según la Sociedad Americana del Cáncer, el cáncer colorrectal es el tercer cáncer más diagnosticado y la tercera causa de muerte por cáncer en hombres y mujeres en los Estados Unidos. Las estadísticas compiladas por los Centros para el Control y Prevención de Enfermedades en 2007 (el año más reciente para el cual hay cifras disponibles) muestran que 142.672 estadounidenses son diagnosticados con cáncer colorrectal anualmente.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La nueva investigación involucró a mujeres inscritas en un estudio sobre cáncer y salud del Instituto Nacional de Salud, a las que se midieron sus niveles de azúcar en sangre en ayunas y los niveles de insulina al inicio del estudio, y luego varias veces más durante los siguientes 12 años.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Al final del período de 12 años, 81 mujeres habían desarrollado cáncer colorrectal. Los investigadores observaron que los niveles elevados de glucosa en la línea de base fueron asociados con un mayor riesgo de cáncer colorrectal, y que las mujeres agrupadas en el tercio más alto de los niveles de glucosa en la línea de base tuvieron casi el doble de probabilidades de desarrollar cáncer colorrectal que las mujeres en el tercio más bajo. Los resultados fueron similares cuando los científicos examinaron los niveles de glucosa en el tiempo. Por otro lado, no se encontró asociación entre los niveles de insulina y el riesgo de cáncer colorrectal.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La obesidad, que suele ir acompañada de niveles elevados de insulina y glucosa, es un factor de riesgo conocido para el cáncer colorrectal; los investigadores daban por seguro que la obesidad influía en el riesgo de cáncer colorrectal debido a los niveles elevados de insulina que produce. Sin embargo, el nuevo estudio sugiere que el impacto de la obesidad en este tipo de cáncer puede ser debido a niveles elevados de glucosa.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"El próximo reto es encontrar el mecanismo por el cual los niveles crónicamente elevados de glucosa pueden conducir al cáncer colorrectal", afirma el doctor Geoffrey Kabat, epidemiólogo y autor principal del artículo, quien agrega que "es posible que los niveles elevados de glucosa estén vinculados a factores de crecimiento y factores inflamatorios que estimulen el crecimiento de pólipos intestinales, algunos de los cuales más tarde se convierten en cáncer".</div>
2011-11-30T06:46:01-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/216
Cáncer: Abren una vía para destruir selectivamente células tumorales mediante quimioterapia
2011-11-28T21:12:08-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El Grupo de Inestabilidad Genómica del Centro Nacional de Investigaciones Oncológicas (CNIO), adscrito al Instituto de Salud Carlos III y dirigido por el doctor Óscar Fernández-Capetillo, ha conseguido describir una estrategia que permite matar selectivamente a las células tumorales a través de agentes quimioterápicos, siempre y cuando aquéllas presenten una determinada propiedad.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La investigación, publicada en la <em>revista Nature Structural and Molecular Biology,</em> revela que los tumores que presentan estrés replicativo son especialmente sensibles al tratamiento con inhibidores de las proteínas ATR y Chk1. Estas dos proteínas son las principales responsables de proteger a las células de estrés replicativo, lo que explicaría la gran sensibilidad de estos tumores hacia este tipo de fármacos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Como prueba, el grupo ha demostrado que la inhibición de Chk1 es muy eficaz para el tratamiento de linfoma de Burkitt, asociado a niveles muy altos de estrés replicativo. Por el contrario, este tratamiento no es eficaz en aquellos tumores que no presentan este tipo de estrés.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El descubrimiento viene reforzado por la observación de que niveles bajos de la proteína ATR y, por lo tanto, una respuesta deficiente a estrés replicativo, previenen por completo el desarrollo de linfoma y tumores pancreáticos iniciados por el oncogen Myc, ambos tumores presentan niveles muy altos de este tipo de estrés.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Parte de la relevancia de este estudio, en el que también han colaborado los grupos de los doctores Mariano Barbacid y Manuel Hidalgo del CNIO, y el grupo del doctor Bruno Amati en el centro oncológico italiano IFOM, se encuentra en que algunas de estas moléculas, como los inhibidores de Chk1, ya están siendo testados en la clínica para el tratamiento del cáncer. Sin embargo, apuntan, estos inhibidores se estaban testando de forma genérica, sin identificar aquellos tumores que podrían ser particularmente sensibles, "lo que estaba dando resultados muy modestos".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Desde el CNIO explican que el trabajo de Fernandez-Capetillo permite definir un uso más eficaz de estos fármacos, ya que describe una estrategia para identificar a aquellos pacientes que se beneficiarían especialmente de este tipo de tratamiento.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por otra parte, recuerdan que, a día de hoy, una de la limitaciones principales a la hora de tratar el cáncer es que si bien los fármacos utilizados son muy tóxicos para el tumor también lo son para el tejido sano, siendo la causa principal de la mayoría de los efectos colaterales de la radio y la quimioterapia.</div> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/nsmb/journal/vaop/ncurrent/full/nsmb.2189.html" target="_blank">Nature Structural and Molecular Biology (2011); doi:10.1038/nsmb.2189</a>
2011-11-28T21:12:08-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/215
Factores de riesgo cardiovascular: Asocian la excreción urinaria de sal al riesgo de accidentes cardiovasculares o muerte
2011-11-24T05:28:49-05:00
Revista Finlay
<img title="salt_280_266" src="/public/site/images/mikhail/salt_280_266.jpg" alt="salt_280_266" width="200" height="149" /><div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La excreción urinaria de sodio en niveles superiores o inferiores a los valores de gama media, en personas con enfermedades cardiovasculares o diabetes, puede acarrear un mayor riesgo de sufrir accidentes cardiovasculares o muerte cardiovascular (para los niveles más altos) y hospitalización por insuficiencia cardíaca congestiva (para los niveles inferiores), según un estudio publicado en la revista <em>JAMA.</em> Por otra parte, el aumento de la excreción urinaria de potasio se asocia con un menor riesgo de accidente cerebrovascular.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Existe cierta confusión respecto a la dosis óptima de sodio. Los resultados de estudios prospectivos de cohorte, que han evaluado la asociación entre la ingesta de sodio y los eventos cardiovasculares, han sido contradictorios.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según la información de respaldo del artículo, aclarar cuál es la dosis óptima diaria de sodio es particularmente importante en pacientes con enfermedad cardiovascular, ya que estas personas pueden ser especialmente vulnerables a sus efectos. Los autores añaden también que el nivel óptimo de la ingesta de potasio, un modificador de la asociación entre la ingesta de sodio y la enfermedad cardiovascular, aún no ha sido establecido con exactitud.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los doctores Martin J. O'Donnell y Salim Yusuf, de la Universidad de McMaster, en Canadá, y sus colaboradores, examinaron en esta nueva investigación la asociación entre la excreción de sodio y de potasio, y los accidentes cardiovasculares y la mortalidad.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio consistió en un análisis observacional de cohortes en el que los investigadores analizaron la excreción de sodio y potasio en muestras de orina de los participantes, tomadas en ayunas. Al inicio del estudio, el promedio estimado de excreción de sodio y potasio fue de 4,77 g, y 2,19 g respectivamente. Después de un seguimiento de 56 meses, los investigadores observaron que, tras un análisis multivariable, en comparación con la excreción de sodio de referencia de 4 a 5,99 g por día, el aumento o la disminución de la excreción de sodio se asoció con un mayor riesgo de muerte cardiovascular, infarto de miocardio, accidente cerebrovascular y hospitalización por insuficiencia cardíaca congestiva.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En comparación con el grupo de referencia, el aumento de la excreción de sodio se asoció con un mayor riesgo de muerte cardiovascular, infarto de miocardio, accidente cerebrovascular y hospitalización por insuficiencia cardíaca congestiva. Por otro lado, una menor excreción de sodio se asoció con un mayor riesgo de muerte cardiovascular y hospitalización por insuficiencia cardíaca congestiva, según el análisis multivariable. Este mismo análisis reveló que el aumento de la excreción de potasio se hallaba asociado con un menor riesgo de accidente cerebrovascular.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según los investigadores, "los resultados discrepantes de estudios anteriores se deben, probablemente, a las diferencias en los rangos de ingesta de sodio, a los participantes, a los métodos de medición, y a la falta de exploración no lineal".</div> <br /><a href="http://jama.ama-assn.org/content/306/20/2229.short" target="_blank">JAMA (2011); doi: 10.1001/jama.2011.1729</a>
2011-11-24T05:28:49-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/213
Ciencia y Tecnología: Hallan gen responsable del aneurisma aórtico abdominal
2011-11-20T18:48:13-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>Científicos británicos identificaron un gen que causa el aneurisma aórtico abdominal, un trastorno letal que afecta a decenas de miles de personas en el mundo.</p> <p>El hallazgo de los científicos de la Universidad de Leicester, Inglaterra, ayudará a entender por qué ocurre este trastorno en la aorta que provoca un peligroso ensanchamiento de la pared vascular. Se espera que el descubrimiento conduzca al desarrollo de tratamientos para la enfermedad. Aunque se sabía que un aneurisma aórtico ocurre en familias, ésta es la primera vez que se descubre una causa.</p> <p>"Este es un descubrimiento tremendamente emocionante y es la culminación de más de una década de investigación en seis países", afirmó el doctor Matt Bown, cirujano vascular que dirigió el estudio.</p> <p>El aneurisma aórtico abdominal (AAA) se desarrolla cuando la pared del principal vaso sanguíneo que irriga el abdomen, la pelvis y las piernas, (la arteria aorta abdominal) se rompe, provocando una hemorragia interna que puede ser mortal. El trastorno se desarrolla lento y gradualmente durante muchos años y a menudo no presenta ningún síntoma sino hasta su ruptura. Por lo general una AAA solo se descubre con una tomografía o una imagen de resonancia magnética (MRI).</p> <p>El único tratamiento para prevenir la ruptura de un AAA es la cirugía, que requiere insertar un stent para reparar la arteria. Pero la operación solo se recomienda si el aneurisma presenta un tamaño de 5,5 cm porque el riesgo de ruptura siendo pequeño es bajo, pero puede ocurrir durante la operación. Y no hay formas de evitar que un aneurisma pequeño crezca.</p> <p>Se sabe que los factores de riesgo incluyen tabaquismo, hipertensión arterial, obesidad, hipercolesterolemia, entre otros, y afecta principalmente a hombres mayores de 60 años. Pero hasta ahora se desconocían sus causas.</p> <p>"Esperamos que futuras investigaciones sobre la función de este gen en el aneurisma aórtico abdominal nos ayuden a entender más sobre la enfermedad y cómo tratarla sin necesidad de recurrir a operaciones", añadió el Dr. Matt Bown.</p> <p>Tal como explica el doctor Bown, el estudio involucró a 2000 personas con AAA y unos 5500 individuos sin el trastorno en el Reino Unido, Estados Unidos, Holanda, Islandia, Australia, Dinamarca y Suecia. Los resultados mostraron que una variante en el LRP1 es más común en los individuos con aneurisma que en las personas sanas. Y lo más interesante es que este gen no está vinculado a ninguna otra enfermedad cardiovascular.</p> <p>"Como los AAA ocurren en familias, el equipo de investigación comparó los genes de personas con AAA con los de personas sanas y descubrió que el gen LRP1 está asociado con el AAA", dijo el investigador.</p> <p>El estudio mostró que la variante en el LRP1 conduce a un 14% más riesgo de sufrir un aneurisma abdominal. La mutación es más común entre los pobladores europeos blancos y casi no se ve entre los pobladores del sureste asiático, quienes rara vez desarrollan aneurismas.</p> <p>Se sabe que este gen regula una enzima llamada MMP9 que se encarga de descomponer las paredes de los vasos, pero no está claro aún cómo la variante tiene un impacto en el aneurisma.<br /> La investigación aparece publicada en <em><strong>American Journal of Human Genetics</strong></em> (doi: 10.1016/j.ajhg.2011.10.002).<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=24058&Itemid=565" target="_blank">noviembre 13/2011 (Diario Salud)</a></p> <p>Matthew J. Bown, Gregory T. Jones, Seamus C. Harrison, Benjamin J. Wright, Suzannah Bumpstead, Annette F. Baas, et. al. <a href="http://www.cell.com/AJHG/abstract/S0002-9297%2811%2900436-8" target="_blank"><em><strong>Abdominal Aortic Aneurysm Is Associated with a Variant in Low-Density Lipoprotein Receptor-Related Protein 1</strong></em></a>. <em>The American Journal of Human Genetics</em>, vol 89(5) 619-627, noviembre 3/2011.</p></div> </span>
2011-11-20T18:48:13-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/212
Cáncer: Concluye ensayo en fase III de fármaco contra cáncer de próstata avanzado
2011-11-20T18:45:00-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><div><p>Finaliza el ensayo fase III AFFIRM con MDV3100 en hombres con cáncer de próstata avanzado previamente tratados con quimioterapia, al confirmarse los resultados positivos de supervivencia en un análisis provisional predeterminado. Se ofreció a los hombres que estaban tomando placebo el MDV3100.</p> <p>Este fármaco es el primer inhibidor oral de la señalización del receptor androgénico con un perfil farmacológico distinto al de los antiandrógenos actuales, y ha demostrado que puede mejorar de una forma estadísticamente significativa (p<0.0001) la supervivencia global, mostrando una mediana de mejora frente al placebo de 4,8 meses [índice de riesgo (HR) = 0.631].</p> <p>Este fármaco actúa en tres puntos distintos de la vía de señalización androgénica: bloquea la unión de la testosterona en el receptor androgénico, dificulta el movimiento del receptor androgénico al núcleo de las células del cáncer de próstata (translocación nuclear) e impide la unión al ADN. Esto ha demostrado que puede suprimir el crecimiento de las células cancerosas e inducir su muerte (apoptosis).</p> <p>"Existe una necesidad real de nuevos tratamientos para el cáncer de próstata avanzado que combatan el tumor de diferentes formas", dijo el profesor Johann de Bono, catedrático de medicina experimental del cáncer y consultor honorario de oncología médica en The Royal Marsden Hospital y The Institute of Cancer Research, además del principal coinvestigador del estudio AFFIRM. "MDV3100 tiene un novedoso mecanismo de acción y es alentador ver que el análisis provisional tenga datos de supervivencia positivos", concluyó.</p> <p>El cáncer de próstata es el más común entre los hombres de los países desarrollados y el tercero más prevalente del mundo. Cada año se diagnostican en Europa alrededor de 300 000 nuevos casos de cáncer de próstata, y se calcula que 1 de cada 5 hombres desarrollará esta enfermedad en algún momento de su vida.</p> <p>El crecimiento del cáncer de próstata se debe principalmente a la señalización del receptor de andrógenos dentro de la célula cancerosa. En el cáncer de próstata avanzado el cáncer puede seguir desarrollándose a pesar de cirugía previa, radioterapia y tratamientos hormonales o de quimioterapia convencionales.</p> <p>Cuando esta enfermedad progresa a pesar del tratamiento con deprivación androgénica (DA), puede definirse como cáncer de próstata resistente a la castración. Se cree que la señalización del receptor androgénico sigue siendo un factor importante para el crecimiento y proliferación del cáncer en el de próstata resistente a la castración (CPRC).</p> <p>Los pacientes con CPRC tienen actualmente pocas opciones. En este campo existe una necesidad no satisfecha de nuevos compuestos que combatan el cáncer de una forma diferente y que puedan ofrecer alternativas terapéuticas para los pacientes en esta fase avanzada de la enfermedad.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/concluye/prematuramente/resultados/positivos/ensayo/fase/iii/farmaco/contra/cancer/prostata/avanzado/_f-11+iditem-15507+idtabla-1" target="_blank">noviembre 15/2011 (Jano.es)</a></p></div> </span>
2011-11-20T18:45:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/211
Cáncer: Más pruebas vinculan la obesidad con el cáncer de colon
2011-11-10T06:48:17-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los adultos con sobrepeso, sobre todo los de mediana edad, correrían más riesgo de desarrollar cáncer de colon que sus pares más delgados y el ejercicio puede reducir la incidencia de la enfermedad, especialmente entre las mujeres, indicó un estudio europeo.</p> <p>Más de 120 000 adultos en Holanda de entre 55 y 69 años se sometieron a un seguimiento durante 16 años para el estudio, publicado en la <a href="http://aje.oxfordjournals.org/content/174/10/1127.abstract?sid=ed3fc06b-19f2-46fd-a046-7a7b5daa199c" target="_blank"><em><strong>American Journal of Epidemiology </strong></em></a>(doi:10.1093/aje/kwr247).</p> <p>Durante ese tiempo, alrededor del 2 % desarrolló cáncer colorrectal, tumores en el colon y/o en el recto, aunque la mayoría fueron diagnosticados con cáncer de colon.</p> <p>El riesgo era un 25 % mayor para los hombres que tenían un significativo sobrepeso u obesidad al principio, frente a los varones con un peso normal.</p> <p>"El estudio ofrece más evidencias de que el exceso de grasa en el cuerpo contribuye a un mayor riesgo de cáncer de colon", dijo la principal investigadora Laura Hughes, de la Universidad de Maastricht en Holanda.</p> <p>Para los hombres, el tamaño de la cintura parecía más importante. Los varones con grandes vientres tenían un 63 % más posibilidades de contraer cáncer colorrectal que los más delgados.</p> <p>Entre las mujeres, sin embargo, una cintura de mayor tamaño solo estaba vinculada a un mayor riesgo de cáncer en las que también hacían poco ejercicio físico, definido como menos de 30 minutos de actividad al día.</p> <p>Las mujeres con una talla "44" de pantalones -alrededor de una 16 en Estados Unidos- que hacían poco ejercicio tenían un 83 % más de riesgo de cáncer de colon que las que tenían una cintura menor y que hacían más de 90 minutos de ejercicio por día.</p> <p>Varios estudios han relacionado la obesidad abdominal con otras dolencias, como la diabetes y enfermedades del corazón, y la grasa en el vientre parece estar particularmente relacionada con una inflamación crónica de bajo nivel del cuerpo, añadió Hughes.</p> <p>"Una de nuestras observaciones más interesantes es que la grasa abdominal se asociaba con el cáncer colorrectal en las mujeres sólo cuando se combinaba con bajos niveles de ejercicio", dijo.</p> <p>No está claro por qué puede ser, o qué patrones afectan sólo a las mujeres, añadió Hughes. El equilibrio calórico, es decir la proporción entre cuánta comida se ingiere y cuánto se quema con el ejercicio, puede ser importante.</p> <p>"Las mujeres deberían centrarse en mantener un saludable estilo de vida más que prestar solo atención a lo que diga la balanza", añadió Hughes.</p> <p>Los factores de riesgo para la enfermedad colorrectal incluyen la edad, los antecedentes de enfermedad ulcerosa o enfermedad de Crohn, un historial familiar de cáncer, y el tabaco.</p> <p>Algunos estudios también han relacionado las dietas ricas en grasa animal y bajas en frutas, verduras y fibra como un factor de riesgo.<br /> Noviembre 4/2011 (Reuters) -</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de <strong>Hinari.</strong></p> <p>Hughes LA, Simons CC, van den Brandt PA, Goldbohm RA, van Engeland M, Weijenberg MP.<em><strong>Body Size and Colorectal Cancer Risk After 16.3 Years of Follow-up: An Analysis From the Netherlands Cohort Study</strong></em>.Publicado en<em> Am J Epidemiol</em>. 2011 Noviembre 15;174(10):1127-39.</p> </span>
2011-11-10T06:48:17-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/210
Diabetes Mellitus: Nueve de cada diez diabéticos desarrolla retinopatía a los 30 años del diagnóstico
2011-11-10T06:34:24-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El 90% de los diabéticos desarrolla retinopatía diabética a los 30 años de ser diagnosticada la enfermedad, según explicó el jefe del departamento de Oftalmología del Hospital General Universitario Gregorio Marañón, el doctor Carlos Cortés, que aseguró que "entre un 3 y un 5% de los diabéticos sufre Edema Macular Diabético (EDM)".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En un foro de expertos celebrado a propósito del Día Mundial de la Diabetes, que se celebra el próximo día 14 de noviembre, Cortés advirtió de que uno de los riesgos de una diabetes mal regulada es "una posible ceguera total o parcial". El galeno subrayó que "la retinopatía y el EDM son más frecuentes en diabéticos de tipo II, ya que son más mayores".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La retinopatía diabética consiste en una destrucción progresiva de la retina por la falta de afluencia de sangre al ojo, y "es una de las dos causas de ceguera más importantes en el mundo", subraya el médico. Los diabéticos tipo II que tienen esta complicación alcanzan ya "el 40 o 45%, mientras que en la tipo I las cifras son de más de un 20%", explica.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Una de las causas de que se produzcan estas complicaciones la encuentra la representante de la Federación de Diabéticos Españoles, Mercedes Maderuelo, en que "los enfermos no se cuidan suficiente".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El doctor Cortés explicó que hay una serie de síntomas que deberían ser motivo de preocupación para el paciente, como son “la visión con puntitos negros, la dificultad para ver durante la noche o de distinguir los colores y el efecto de estar viendo a través de una burbuja de agua nos pone en alarma".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Asimismo, el especialista hizo hincapié en la conveniencia de rechazar el alcohol y el tabaco, "que caracterizó como dos de los mayores riesgos para el desarrollo de la retinopatía".</div>
2011-11-10T06:34:24-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/209
Ciencia y Tecnología: Tecnología de imagen dual mejora el diagnóstico y tratamiento de la enfermedad arterial coronaria
2011-11-08T04:01:33-05:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Investigadores del Hospital General de Massachusetts (Estados Unidos) aseguran que un nuevo dispositivo que combina dos tecnologías de microimagen puede revelar la anatomía detallada de las paredes arteriales y las actividades biológicas que, en las arterias coronarias, podrían indicar riesgo de ataques al corazón o la formación de coágulos.</p> <p>En concreto, y según informa en su último número la revista <em><strong>Nature Medicine</strong></em> (doi:10.1038/nm.2555), han descrito el uso de un catéter intra-arterial que combina la frecuencia óptica de imagen (OFDI) y la fluorescencia de infrarrojo cercano (NIRF) para obtener simultáneamente imágenes moleculares y estructurales de la superficie interna de las arterias en conejos.</p> <p>"La capacidad de esta técnica de medir tanto la información microestructural como la molecular en la misma ubicación de la pared arterial, podría mejorar el diagnóstico de la enfermedad vascular", afirma el coautor del estudio, el doctor Gary Tearney, del Centro de Fotomedicina Wellman y el Departamento de Patología del Hospital General de Massachusetts.</p> <p>Desarrollado en el Centro Wellman, OFDI utiliza una sonda de fibra óptica con una punta de láser que rota constantemente para crear imágenes moleculares detalladas de superficies interiores, como las paredes de las arterias. Mientras que OFDI se puede utilizar para guiar procedimientos como la angioplastia coronaria y para confirmar la correcta colocación de los stents no obstante su capacidad para determinar detalles importantes de curación por stent es limitada.</p> <p>Los stents que evolucionan bien son cubiertos por el endotelio, el mismo tejido que normalmente recubre la superficie arterial; pero también pueden convertirse en stents recubiertos por fibrina, una proteína de coagulación que puede poner a los pacientes en riesgo de trombosis.</p> <p>Por otro lado, la tecnología NIRF, que fue desarrollada en el Centro de Investigación Cardiovascular del Hospital General de Massachusetts, en colaboración con la Universidad Técnica de Munich, utiliza agentes especiales de imagen para detectar células y moléculas que participan en procesos vasculares, como la coagulación y la inflamación.</p> <p>Tras reconocer las ventajas potenciales de la combinación de ambas tecnologías, los investigadores de Wellman, trabajando con un equipo del Centro de Investigación Cardiovascular del Hospital General de Massachusetts, dirigido por el doctor Farouc Jaffer, desarrollaron un sistema integrado de NIRF y OFDI incorporado en la sonda intravascular.</p> <p>Los investigadores confirmaron primero que el sistema podía proporcionar imágenes detalladas de un stent implantado en la arteria coronaria humana de un cadáver, y que era capaz de identificar la presencia de fibrina en el dispositivo. En una serie de experimentos en conejos vivos, el sistema OFDI -NIRF fue capaz de detectar la fibrina en los stents y de identificar la presencia de placas ateroscleróticas y actividad enzimática asociadas con la inflamación.</p> <p>"En la actualidad no somos capaces de predecir qué pacientes con stent pueden desarrollar trombosis, pero la tecnología integrada OFDI -NIRF puede evaluar muchos factores clave relacionados con el riesgo de formación de coágulos", explica Jaffer.</p> <p>De hecho, añade, "si esta técnica es validada en estudios clínicos, los pacientes con riesgo de trombosis podrían ser sometidos a un chequeo de stent para determinar su estado; así, los pacientes con stents sin cicatrizar podrían tomar, o seguir tomando, medicamentos anticoagulantes, y los pacientes con stents bien curados podrían dejar los medicamentos anticoagulantes, que pueden causar un sangrado excesivo".<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=24056&Itemid=413" target="_blank">noviembre 7/2011 (Diario Salud)</a></p> <p>Hongki Yoo, Jin Won Kim, Milen Shishkov, Eman Namati, Theodore Morse, Roman Shubochkin, Jason R McCarthy, et. al..<a href="http://www.nature.com/nm/journal/vaop/ncurrent/full/nm.2555.html" target="_blank"><em><strong> Intra-arterial catheter for simultaneous microstructural and molecular imaging in vivo</strong></em></a>. <em>Nature Medicine</em>, publicado noviembre 6/2011.</p> </span>
2011-11-08T04:01:33-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/208
Aterosclerosis: Consumir esteroles vegetales favorece la adopción de hábitos saludables para el control de la hipercolesterolemia
2011-11-08T03:55:44-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Un estudio internacional liderado por investigadores españoles ha venido a confirmar lo que ya habían apuntado investigaciones previas: la importancia de introducir modificaciones en el estilo de vida, concretamente en lo referente a la dieta y el ejercicio, y los beneficios del consumo de alimentos funcionales enriquecidos con esteroles vegetales en el control de la hipercolesterolemia, uno de los principales factores de riesgo cardiovascular. En el Estudio RECIPE (Reduce Cholesterol Involving Patient Endorsement), de 4 meses de duración, participaron un total de 1.048 pacientes, con una edad promedio de 56 años. Un 25% de los participantes presentaba además sobrepeso u obesidad, el 47% tenía exceso de grasa abdominal; el 20% fumaba, un 13% padecía diabetes y un 37%, hipertensión.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"El gran objetivo en la lucha contra el colesterol es concienciar a los pacientes de la necesidad de adoptar un estilo de vida saludable, basado en una dieta baja en grasas y en el abandono del sedentarismo, y ésas son las pautas que se dieron a los participantes en este estudio. A ello se unió la recomendación de consumir diariamente una unidad de leche fermentada con esteroles vegetales. A día de hoy está plenamente demostrado que los fitoesteroles reducen el colesterol en un 10%. Sin embargo, esta constatación conlleva el riesgo de que el consumo de alimentos enriquecidos con este nutriente sea considerado por los pacientes como la única medida, relajándose respecto a la adopción de otros cambios en el estilo de vida. Por eso el estudio se basó en la combinación de todas estas recomendaciones (consumo de fitoesteroles y cambio de hábitos)”, explicó el doctor Luis Masana, jefe de la Unidad de Medicina Vascular y Metabolismo del Hospital Universitario Sant Joan de Reus e investigador principal de RECIPE.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Al finalizar el estudio, los participantes presentaron una reducción del colesterol total de un 11,1%, disminuyeron su LDL en un 13,2% y aumentaron el HDL en un 7,2%. “Además, el 40% mejoró los hábitos de su estilo de vida (adoptando hábitos nutricionales positivos) y un 23% se enroló en algún tipo de actividad física. Pero sin duda la principal conclusión del estudio es que ha permitido demostrar que la incorporación en la dieta de elementos adicionales, como los lácteos con esteroles vegetales, actúa como un factor motivador que induce a los pacientes a seguir un mejor cumplimiento de los hábitos nutricionales, y ayuda a las personas a adoptar un estilo de vida más saludable, lo que genera un impacto positivo en sus niveles de colesterol”, señaló el doctor Masana.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por su parte, el doctor Leonardo Reinares, coautor del estudio y director de la Unidad de Lípidos del Instituto Cardiovascular del Hospital Clínico San Carlos, de Madrid, recordó el efecto que tiene la hipercolesterolemia como factor de riesgo de las enfermedades cardiovasculares. “Si el LDL se incrementa de forma lineal aumenta paralelamente el riesgo de cardiopatía isquémica. Sin embargo, los especialistas nos enfrentamos en la consulta a la evidencia de que el control de este factor de riesgo por parte de los pacientes no es tan positivo como desearíamos. Se estima que 3 de 4 pacientes con hipercolesterolemia están tratados, pero sin embargo, el nivel de adopción de las otras medidas de control no es el adecuado. De ahí la importancia de concienciarlos sobre la eficacia de introducir pequeños cambios en el estilo de vida”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">“Los resultados de este estudio pueden ser muy relevantes para el abordaje precoz de personas con un alto nivel de riesgo cardiovascular. No hay que olvidar que la arterosclerosis es una enfermedad silente, y las bases de los factores de riesgo se comienzan a desarrollar mucho antes de que las complicaciones cardiovasculares sean visibles. Lo que esta investigación demuestra es que haciendo las cosas bien (básicamente en lo que se refiere a la dieta sana y al ejercicio) es posible reducir los índices de colesterol en sangre, y esto es fundamental, teniendo en cuenta que una disminución del 10% del colesterol LDL se asocia a una reducción de hasta un 25% del riesgo de padecer enfermedades de corazón”, señaló el doctor Juan Pedro-Botet, presidente de la Sociedad Española de Arteriosclerosis.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Está previsto que a partir de la experiencia española el estudio se repita en otros países europeos.</div>
2011-11-08T03:55:44-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/207
Tabaquismo: Expertos aseguran que la mayoría de los fumadores que quieren dejar el hábito "necesitan tratamiento farmacológico"
2011-11-06T20:41:12-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><img title="tabaco_194" src="/public/site/images/mikhail/tabaco_194.jpg" alt="tabaco_194" width="194" height="191" />La mayoría de los fumadores que pasan por la consulta del neumólogo "son pacientes con alta dependencia de la nicotina que ya han intentado dejar de fumar antes y necesitan tratamiento farmacológico", asegura el neumólogo del Hospital Clínico de Valencia, el doctor Francisco Carrión Valero. El galeno preside la 3ª edición de la Jornada Valenciana 'Tabaquismo y Respiración', que tiene lugar en la ciudad del Turia este viernes, y reúne a profesionales sanitarios de toda España.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En el simposio, Carrión Valero ha subrayado el hecho de que el requirimiento de ayuda médica "incrementa las posibilidades de éxito en el proceso de cesación tabáquica". Para el experto, "el consejo del facultativo es fundamental y aumenta la motivación del paciente que quiere dejar de fumar".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El tabaquismo preocupa especialmente a los sanitarios, ya que es la primera causa de muerte evitable en España. Por ello, se debaten las novedades terapéuticas que "han revolucionado el abordaje de esta enfermedad en los últimos tiempos, aludiendo a la influencia de alternativas farmacológicas y a la importancia del consejo del especialista", explica Carrión Valero.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Este evento se celebra un año más gracias a la colaboración de la compañía biomédica Pfizer. A la cita en Valencia acuden más de 350 médicos, farmacéuticos, psicólogos y enfermeros. Además, también está confirmada la presencia de la presidenta del Colegio de Médicos de Valencia, Rosa Fuster, y del presidente de la Sociedad Valenciana de Medicina Familiar y Comunitaria, Carlos Fluixá.</div>
2011-11-06T20:41:12-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/206
Cardiopatía Isquémica: La vejez no debe ser un factor excluyente de coronariografía en el síndrome coronario agudo
2011-11-06T20:32:13-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El manejo intervencionista de los ancianos con síndrome coronario agudo sin elevación del segmento ST (SCASEST) mejora notablemente el pronóstico de estos pacientes frente al abordaje conservador.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Así lo demuestra un estudio realizado por el servicio de Cardiología del Hospital Meixoeiro de Vigo, y divulgado por la Sociedad Española de Cardiología (SEC), que ha analizado de manera retrospectiva a los pacientes ingresados en el centro consecutivamente entre el 1 de enero de 2004 y el 31 de diciembre de 2009 con el diagnóstico de SCASEST, con una edad superior a 85 años.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Y es que, según recogía el estudio Grace, casi el 20% de aquellos que sufren un evento coronario agudo superan los 75 años y un 6% los 85, pero hasta ahora, existía una baja representación de estos pacientes en los ensayos clínicos, especialmente en los que se refieren al tratamiento del SCASEST.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por ello, el análisis del Hospital Meixoeiro, publicado en la última edición de Revista Española de Cardiología (REC), se propuso evaluar si el abordaje intervencionista (AI) resulta más beneficioso para el paciente que el manejo conservador (MC) en pacientes ancianos, estudiando las complicaciones durante la hospitalización y el pronóstico a medio plazo (tres años).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El abordaje intervencionista consiste en la realización de coronariografía con intención de revascularizar (devolver el riego sanguíneo) las lesiones culpables, mientras que el manejo conservador se basa en la estabilización con tratamiento médico, sin realización de coronariografía.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">De los 228 pacientes ingresados con diagnóstico de SCASEST durante el período de análisis, el 82,9% tenían un riesgo alto, un 14,9% presentaban un riesgo intermedio y un 2,2%, un riesgo bajo. A pesar de que las guías de la Sociedad Europea de Cardiología (ESC) recomiendan la realización sistemática de coronariografía (excepto a aquellos enfermos que tienen riesgo bajo y no presentan isquemia recurrente ni muestran un test de isquemia positivo), tan sólo 100 pacientes fueron tratados con AI y 128 con MC, pues así lo consideraron oportuno los responsables de cada uno de los pacientes.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los enfermos a los que se manejó invasivamente eran más jóvenes, tenían menor prevalencia de demencia y menos comorbilidad que los manejados de forma conservadora. Pasados los tres años de análisis, y tras ajustar por las variables confusoras, se demostró que la realización de coronariografía disminuía la mortalidad un 19,1% y el reingreso por infarto de miocardio un 14,3%, a expensas de una baja tasa de complicaciones relacionadas con el procedimiento y sin aumentar significativamente las hemorragias durante la hospitalización. En el seguimiento no hubo diferencias en cuanto a episodios de ictus, ni en los reingresos por angina, hemorragia, ni insuficiencia cardíaca.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según el Dr. Iñaki Villanueva-Benito, miembro de la SEC y FEA de Cardiología del Hospital Donostia de San Sebastián: “Nuestro estudio demuestra beneficio de la coronariografía en el seno del SCASEST en la población muy anciana similar al demostrado por los estudios previos en población más joven. La edad, por tanto, no debería ser un motivo para negar a estos pacientes la realización de coronariografía”.</div>
2011-11-06T20:32:13-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/205
Obesidad: Identifican una región genética relacionada con la obesidad
2011-11-04T03:43:02-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La Unidad de Genética del Complejo Hospitalario Universitario de Badajoz (CHUB) acaba de publicar en la revista <em>Obesity Journal</em> los resultados de un estudio sobre la obesidad, en el que se identifica una región genética que "se hereda en bloque y puede generar un riesgo evidente de sufrir esa enfermedad".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los investigadores del complejo hospitalario pacense realizaron un análisis masivo de variantes genéticas en más de 200 pacientes afectados de obesidad superior antes de los 14 años, que referían como mínimo otros tres familiares que padecían obesidad severa, con al menos uno de ellos en primer grado.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los pacientes habían sido seleccionados previamente por el grupo multidisciplinar de profesionales que trabajan en el Observatorio Extremeño de la Obesidad (OBEX.O), según informa el Gobierno regional en nota de prensa.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Así, explica que tras el análisis masivo de variantes genéticas de los sujetos sometidos a estudio, frente a una población control representativa, las conclusiones del trabajo describen la existencia de una región genética -una zona del gen FTO situado en el cromosoma 16-, que supone un "riesgo heredable y transmisible" de desarrollar obesidad.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según los autores, el trabajo de investigación "evidencia la importante heredabilidad de la obesidad y su relación con la aparición severa en la infancia", y calculan que el riesgo atribuible a ese gen alcanza el 34% en individuos que han heredado la combinación de riesgo de ambos progenitores, y tiene un efecto mayor y más perjudicial entre las mujeres.</div>
2011-11-04T03:43:02-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/204
Accidentes vasculares encefálicos: Menos inversión en salud, más accidentes cerebrovasculares
2011-10-29T14:54:13-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los países que invierten menos en salud presentan una mayor incidencia de enfermedad cerebrovascular (ECV), sugirió una investigación difundida en la revista <a href="http://stroke.ahajournals.org/content/42/10/e557.extract?sid=5ca3482d-2583-4793-89cf-fe7407c06f5c" target="_blank"><em><strong>Stroke</strong></em></a> (doi:10.1161/STROKEAHA.111.626960 ).</p> <p>Las personas que viven en esas naciones tienen un 30 % de más probabilidades de sufrir ese tipo de eventos que en otras donde los gastos en la prevención son superiores.</p> <p>A estos resultados llegaron expertos de la Unidad de Investigación de Evaluación de Resultados de ECV en el Hospital St. Michael, en Toronto, Canadá, quienes analizaron la relación del estatus socioeconómico con la incidencia de ese tipo de accidente cerebro vascular.</p> <p>El riesgo de muerte un mes después de padecer un ECV sea hemorrágica o isquémica también es más elevado y el de que ese problema ocurra a una edad más joven resulta mayor, señala la pesquisa que en América Latina incluyó a Brasil, México y Chile.</p> <p>Contrario a lo que podría pensarse, el peligro de padecer un ECV hemorrágico no es mayor en naciones latinoamericanas que en Estados Unidos, indicaron los científicos en la publicación perteneciente a la Sociedad Estadounidense del Corazón.</p> <p>En Estados Unidos, las probabilidades de padecer un ECV isquémico son un 83 % más alto y hemorrágica un 17 %, mientras que en América Latina se estiman tasas de un 43 % hemorrágica.</p> <p>Para el autor principal del estudio, Gustavo Saposnik, esta relación se produce porque muchos países no invierten lo suficiente en "la prevención y control de factores de riesgo de ECV.</p> <p>Este problema también está aumentando entre personas jóvenes de países de bajos y medianos ingresos.</p> <p>"Nuestro estudio muestra que poblaciones con bajo ingreso per capita o bajo gasto en salud tienen mayor riesgo de ECV, enfermedad cerebrovascular más precoz y mayor mortalidad' indicó Saposnik.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=436895&Itemid=1" target="_blank"><strong>Octubre 28/2011 Washington, (PL)</strong></a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011<strong> "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Luciano A. Sposato, Gustavo Saposnik. <em><strong>"Incidence of Stroke and Socioeconomic Neighborhood Characteristics: An Ecological Analysis of Dijon Stroke Registry"</strong></em> . Publicado en <em>Stroke</em> . Octubre 28/2011</p> </span>
2011-10-29T14:54:13-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/203
Accidentes vasculares encefálicos: Los ictus que pasan inadvertidos multiplican por tres la posibilidad de sufrir un segundo infarto cerebral
2011-10-29T14:44:20-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Un estudio coordinado por el Grupo de Investigación Neurovascular del Vall d'Hebron Instituto de Investigación (VHIR) intenta determinar, por primera vez, cuál es la frecuencia de los ictus silentes, es decir, los que pasan inadvertidos y sin manifestaciones clínicas, en la población mediterránea.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Uno de los problemas a los que se enfrentan los neurólogos es la previsión y la recurrencia del ictus. Se estima que, tras un primer episodio de ictus, entre un 6 y un 12% de los pacientes presentan un segundo ictus en el primer año y hasta el 30% se ve afectado por un segundo episodio durante los siguientes cinco años. Ahora bien, ¿qué pasa cuando se sufre un ictus y no se es consciente de ello? Para empezar, y puesto que nada se sabe acerca del problema, no se aplica tratamiento alguno ni se adoptan medidas preventivas. Así, la posibilidad de sufrir un segundo ictus –éste sí, con un perfil más grave- se multiplica por tres., y la de sufrir algún tipo de demencia, por cinco.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Cuando un paciente ingresa en un hospital afectado por un ictus, en un elevado porcentaje de las pruebas de imagen que se le realizan (RMN, TAC s, etc.), aparecen lesiones antiguas compatibles con ictus previos. Este hecho, según los especialistas, no es en modo alguno anecdótico.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio coordinado por investigadores del VHIR y neurólogos de este mismo hospital sobre los infartos cerebrales silentes en la población española, es observacional, es decir, se analiza a lo largo del tiempo y de forma prospectiva la relación entre la aparición de infartos silentes y otros factores clínicos, radiológicos, biológicos y hemodinámicos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"La idea", explica la Dra. Pilar Delgado, investigadora principal de este proyecto "es ir un poco más allá de los factores de riesgo conocidos hasta ahora y poder identificar subgrupos de población con los riesgos más altos y, en base a nuestros resultados, tal vez poder emitir algún tipo de recomendación que pudiera cambiar la tendencia actual”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio se realiza en un grupo de 1.000 pacientes, con hipertensión arterial esencial y edades comprendidas entre 50 y 70 años, atendidos por los Equipos de Atención Primaria de la zona de referencia del Hospital Universitario Vall d'Hebron.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los datos relativos al ictus silente en Estados Unidos, Japón y Holanda sitúan las cifras de esta dolencia torno al 10% de la población de 65 años, el 15% de la de 70 y el 20% de la de 75. A partir de los 80 años, lo sufren una de cada tres personas. El ictus mata a 5,7 millones de personas cada año en todo el mundo, según datos de la Organización Mundial de la Salud (OMS).</div>
2011-10-29T14:44:20-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/202
Obesidad: Vinculan hormonas con recuperación de peso luego de perderlo
2011-10-28T10:38:45-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Cualquier persona que se somete a una dieta sabe que es difícil no volver a recuperar el peso perdido. Ahora un estudio encontró que incluso un año después de haber perdido una buena cantidad de peso rápidamente, las hormonas de quienes se han sometido a dieta siguen insistiendo en que se debe comer.</p> <p>Los descubrimientos sugieren que quien hace dieta y recupera el peso perdido no sólo recae en malos hábitos, sino que está luchando contra una persistente urgencia biológica.</p> <p>La gente que aumenta nuevamente de peso no debería ser dura consigo misma, ya que comer es nuestro instinto más básico'', dijo Joseph Proietto, de la Universidad de Melbourne en Australia, y un autor del estudio. La investigación aparece en la revista <a href="http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1105816#t=article" target="_blank"><em><strong>New England Journal of Medicine.</strong></em></a></p> <p>La recuperación del peso perdido en un problema común que enfrentan quienes realizan dietas. Para estudiar qué lo provoca, Proietto y sus colegas inscribieron a 50 pacientes obesos o con sobrepeso en un programa de dieta de 10 semanas en Australia. Querían ver qué ocurriría en la gente que perdió al menos 10% de su peso corporal. A la postre sólo 34% de los pacientes perdieron esa cantidad y se mantuvieron en el estudio el tiempo suficiente para realizar un análisis.</p> <p>El programa fue intenso. En promedio, los participantes perdieron casi 13,5 kilogramos (30 libras) durante las 10 semanas, más rápido que el consejo estándar de reducir entre 0,5 y 1 kg (una o dos libras) por semana. Consumieron de 500 a 550 calorías diarias, utilizando un suplemento alimenticio llamado Optifast más vegetales durante ocho semanas. Después agregaron gradualmente a su alimentación comida común.</p> <p>A pesar de recibir asesoría verbal y por escrito sobre cómo mantener su nuevo peso, aumentaron nuevamente un promedio de 5,5 kg (12 libras) en el siguiente año. Así que aún tenían menos peso que cuando iniciaron la dieta.</p> <p>Los científicos analizaron los niveles en la sangre de nueve hormonas que influyen en el apetito. El descubrimiento clave vino de comparar los niveles hormonales previos al programa de pérdida de peso con los registrados un año después del mismo. Seis hormonas permanecían desequilibradas en una dirección que estimulaba el hambre.</p> <p>Además, quienes hicieron la dieta reportaron que un año después del programa sentían más hambre después de comer de la que sentían antes del mismo.</p> <p>Expertos no relacionados con el estudio dijeron que el efecto persistente sobre los niveles de hormonas no era sorpresivo, y que probablemente no tenía nada que ver con la velocidad de la pérdida de peso.</p> <p>Las personas que perdieron menos de 10% del peso corporal probablemente mostrarían lo mismo, aunque en menor grado, dijo el doctor George Bray, del Centro Pennington de Investigación Biomédica en Baton Rouge, Luisiana.</p> <p>Un mensaje clave del estudio es que es mejor no ganar peso que tratar de perderlo'', señaló Bray.</p> <p>¿Por qué el cuerpo de una persona a dieta se rebelaría contra la pérdida de peso?</p> <p>Se trata de un vestigio evolutivo antediluviano, cuando la pérdida de peso podía amenazar la sobrevivencia y reproducción, señaló el doctor Rudolph Leibel, un experto en obesidad de la Universidad de Columbia en Nueva York. Así que para nada es una sorpresa'' que nuestros cuerpos luchen en consecuencia durante al menos un año'', indicó. Esta es probablemente una respuesta más o menos permanente'', agregó.</p> <p>La gente que pierde peso significativo no sólo gana más apetito, sino que también quema menos calorías de lo normal, creando una tormenta perfecta para la recuperación de peso'', dijo Leibel.</p> <p>El especialista señaló que en primer lugar evitar aumentar nuevamente de peso parece ser un problema fundamentalmente diferente a perder peso, y que los investigadores deberían poner más atención a ello.<br /> Octubre 27/2011 NUEVA YORK (AP)</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011<em><strong> "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></em></p> <p>Priya Sumithran, Luke A. Prendergast, Elizabeth Delbridge, Katrina Purcell, Arthur Shulkes, Joseph Proietto.<em><strong>LongPersiste-Term nce of Hormonal Adaptations to Weight Loss</strong></em>.Publicado en <em>N Engl J Me</em> d2011; 365:1597-1604 Octubre 27, 2011</p> </span>
2011-10-28T10:38:45-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/201
Cáncer: Las células tumorales de colon que producen metástasis en el hígado se vuelven más agresivas
2011-10-27T12:03:40-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><img title="msd_540_420" src="/public/site/images/mikhail/msd_540_420.jpg" alt="msd_540_420" width="284" height="286" />Determinadas células sanas del hígado promueven una respuesta adaptativa en células de cáncer colorrectal, inhibiendo su proliferación y provocando su muerte. Las células tumorales que se adaptan, cambian su comportamiento y su morfología, favoreciendo la migración. Ésta es una de las conclusiones a las que han llegado los investigadores del Instituto de Investigación Biomédica de Bellvitge (IDIBELL) y del Instituto Catalán de Oncología (ICO), coordinados por David García Molleví, que han publicado su trabajo en la revista <em>Neoplasia.</em></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El microambiente celular (denominado estroma) tiene un papel dual en el control del desarrollo normal o maligno de las células: por un lado, impide el crecimiento de proliferación anormal (neoplasia) en los tejidos normales, mientras que por el otro puede potenciar el crecimiento y la invasión tumoral en la progresión del cáncer.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El cáncer es un tejido complejo donde actúan diferentes tipos de células (el 80% son de un tipo denominado fibroblastos) que conviven con otras células creando un microambiente particular. El equilibrio entre estas poblaciones puede determinar el destino del tumor.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>El objetivo del estudio es comparar la influencia del microambiente en tres situaciones distintas: en un tejido colorrectal sano, en un tumor colorrectal primario y en un tumor colorrectal que ha producido metástasis al hígado.</p> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><strong>Un microambiente hostil </strong></div></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En el tumor primario, los fibroblastos del colon aumentan la proliferación de las células malignas y las protegen de la muerte celular programada (apoptosis). En cambio, en la situación de metástasis al hígado,en que las células tumorales se encuentran en un ambiente hostil de fibroblastos hepáticos, no sólo disminuye su proliferación, sino que muchas de ellas mueren. Las células que consiguen adaptarse a este ambiente cambian su comportamiento y su morfología para favorecer su migración. Estas células tumorales adaptadas son más agresivas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según David Garcia Molleví, coordinador del estudio, este descubrimiento puede ser útil en la práctica clínica ya que “abre las puertas a estudiar el mecanismo o los factores de los fibroblastos hepáticos que producen la muerte de las células tumorales colorrectales para utilizarlos en el futuro como herramientas terapéuticas contra el tumor de colon metastásico”.</div> <a href="http://www.neoplasia.com/abstract.php?msid=4473" target="_blank">Neoplasia (2011); doi: 10.1593/neo.11706</a>
2011-10-27T12:03:40-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/200
Cáncer: Una alteración genética predice el éxito de la quimioterapia en cáncer de mama
2011-10-25T16:37:34-04:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">La investigación, coordinada por el Netherlands Cancer Institute y que publica la revista 'Nature Communications', caracteriza la proteína RBM38, clave en la regulación de la muerte de las células tumorales.</p> <div class="content"><p><script type="text/javascript">// <![CDATA[// <![CDATA[ var loadingImage = 'http://www.jano.es/jano/lightbox/loading.gif'; var closeButton = 'http://www.jano.es/jano/lightbox/close.gif'; var maxImageWidth = 950; var maxImageHeight = 730; // ]]></script> <script src="http://www.jano.es/jano/lightbox/lightbox.js" type="text/javascript"></script> <script type="text/javascript">// <![CDATA[// <![CDATA[ function init() { document.vars.activa.value="1"; document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='bottom'; num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); if (num_imagenes==1) { document.getElementById('flecha_siguiente').style.display='none'; document.getElementById('flecha_anterior').style.display='none'; } if (num_imagenes==0) { document.getElementById('imagenes').style.display='none'; } } function siguiente () { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); activa = parseInt(document.vars.activa.value,10); if(activa<num_imagenes) { activa++; document.vars.activa.value=activa; mostrar(activa); document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='top'; if (activa==num_imagenes) { document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_siguiente').style.backgroundPosition='bottom'; } } } function anterior () { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); activa = parseInt(document.vars.activa.value,10); if(activa>1) { activa--; document.vars.activa.value=activa; mostrar(activa); document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_siguiente').style.backgroundPosition='top'; if (activa==1) { document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='bottom'; } } } function mostrar (activa) { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); if (document.getElementById) // DOM3 = IE5, NS6 { for (i=1;i<=num_imagenes;i++) { document.getElementById('imagen_'+i).style.display = 'none'; } document.getElementById('imagen_'+activa).style.display = 'block'; } } // ]]></script></p><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;" onclick="siguiente();"> </span></div></div></div> <!-- imagenes --> <script type="text/javascript">// <![CDATA[// <![CDATA[ init(); // ]]></script> <p>Científicos del Instituto de Investigación Biomédica de Bellvitge (Idibell) han participado en un estudio internacional que ha descubierto una alteración genética que predice el éxito de la quimioterapia en cáncer de mama.</p> <p>En un comunicado, el Idibell ha precisado que la investigación, coordinada por el Netherlands Cancer Institute y que publica la revista <em>Nature Communications</em> caracteriza la proteína RBM38, clave en la regulación de la muerte de las células tumorales.</p> <p>Dicha proteína se desactiva en los tumores mamarios, haciéndolos más resistentes a determinados tratamientos de quimioterapia, por lo que el conocimiento previo de la presencia o no de la proteína podría ayudar a predecir el éxito del tratamiento.</p> <p>La proteína p53 es la encargada de eliminar células premalignas, si bien ahora los investigadores han constatado que actúa junto a la RBM38, que la ayuda a controlar pequeñas moléculas.</p> <p>El estudio concluye que los tumores mamarios desactivan epigenéticamente el gen de RBM38, de forma que no puede interactuar con p53, por lo que la identificación de estos pacientes sería un paso clave para construir tratamientos alternativos.</p> <br /><a href="http://www.nature.com/ncomms/journal/v2/n10/full/ncomms1519.html" target="_blank">Nature Communications (2011); doi:10.1038/ncomms1519 (2011)</a></div>
2011-10-25T16:37:34-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/199
Enfermedad de Alzheimer: Descubren que los astrocitos son clave en el desarrollo del Alzheimer
2011-10-25T11:29:16-04:00
Revista Finlay
<p>Un equipo liderado por investigadores del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC) ha descubierto que los astrocitos, las células mas abundantes del cerebro, cumplen un papel clave en el desarrollo del Alzheimer, ya que en ellos transcurre una fase esencial del proceso inflamatorio.<br /> <br /> Hasta ahora se sabía que la inflamación del cerebro asociada a la enfermedad se desencadena por la acción de las células microgliales, encargadas de la defensa del sistema nervioso central.<br /> <br /> Sin embargo, y según ha reconocido el investigador del Instituto Cajal y director del estudio, Ignacio Torres Alemán, en un artículo publicado en la revista <em>Molecular Psychiatry,</em> en este nuevo trabajo han determinado que "si no hay inflamación en los astrocitos, la enfermedad no se desarrolla".<br /> <br /> Mediante técnicas de ingeniería genética, los científicos han imitado la enfermedad en ratones y han observado cómo se produce la inflamación, un proceso relacionado con la producción de un tipo de proteínas citotóxicas, denominadas citoquinas, que acaba siendo perjudicial para el cerebro a lo largo del tiempo.<br /> <br /> Desde que se identificaron, los astrocitos se han considerado sostenes de la neurona. "Actualmente se cree que su papel es mucho mas activo y que inciden directamente en la función cerebral. Además, su influencia en las enfermedades neurodegenerativas esta tomando relevancia. Nuestras observaciones apoyan este papel central", señala Torres.<br /> <br /> El trabajo abre la vía para diseñar tratamientos que consigan atacar la enfermedad, ya que los investigadores han corroborado la presencia de estos mismos procesos en cerebros humanos.<br /> <br /> Según este experto, "los antiinflamatorios se han probado en enfermos sin efectos positivos. La razón no esta clara, pero ahora sabemos que los fármacos luchan selectivamente contra la inflamación de estas células".</p> <br /><a href="http://www.nature.com/mp/journal/vaop/ncurrent/full/mp2011128a.html" target="_blank">Molecular Psychiatry (2011); doi:10.1038/mp.2011.128</a>
2011-10-25T11:29:16-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/198
Factores de riesgo: Una campaña itinerante hace hincapié en la disfunción eréctil como indicador precoz de enfermedad cardiovascular
2011-10-25T10:27:49-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La relación entre enfermedad cardiovascular y salud sexual no se produce únicamente tras sufrir un episodio cardiovascular, sino que puede preceder a la enfermedad, e incluso se convierte en un síntoma. Es el caso de la disfunción eréctil, un importante marcador precoz de riesgo coronario, ya que puede avisar hasta tres años antes de la aparición de una patología cardíaca.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Así lo afirman la mayoría de los 120 pacientes que han respondido a una encuesta en la que han participado 30 asociaciones de pacientes coronarios de toda España. La mayoría de estos pacientes retrasaron el momento de mantener nuevamente relaciones sexuales tras haber sufrido un episodio cardiovascular y la principal razón fue el miedo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por ello, la Fundación Española del Corazón (FEC), la Fundación para la Investigación en Urología (FIU) y la Sociedad Española de Médicos de Atención Primaria (SEMERGEN), en colaboración con Lilly, han puesto en marcha una campaña informativa bajo el lema ‘Por ti, por mí, por el sexo con corazón’, cuyo fin es concienciar a la población sobre la vinculación existente entre enfermedad cardiovascular y salud sexual, especialmente, en lo que concierne a la disfunción eréctil</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La campaña, a su paso por la ciudad de Palma de Mallorca, ha contado con la colaboración del Col•legi Oficial de Farmacèutics de les Illes Balears y ARCOR Balears (Associació per a la Rehabilitació Cardiaca de Balears).</div> <p><strong>Síntoma centinela</strong></p> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La disfunción eréctil y la enfermedad cardiovascular poseen prácticamente los mismos factores de riesgo, como es el caso de la hipertensión, la arterosclerosis, la obesidad, el tabaco, las drogas o el alcohol. Así, dos de cada tres hombres con hipertensión arterial tienen disfunción eréctil, y más de la mitad de los que tienen disfunción eréctil, tiene colesterol elevado, lesiones coronarias (el 40% posee oclusiones coronarias relevantes) y prueba de esfuerzo alterada.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En este sentido, según el Dr. Joan Mir, médico de familia y sexólogo, “un 93% de los pacientes que tienen alguna enfermedad cardiovascular padecieron entre dos y tres años antes disfunción eréctil”, por lo que la disfunción eréctil podría predecir o alertar sobre muchas de las futuras enfermedades cardíacas. “Este dato”, añade el Dr. Mir, “revela hasta qué punto esta disfunción es un importante marcador precoz del riesgo coronario y del desarrollo de una futura patología cardíaca”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El Dr. Joan Mir destaca también la importancia del médico de Atención Primaria en la detección precoz, ya que “es habitual que el primer contacto del paciente se establezca con este colectivo médico y es fundamental que éste muestre una actitud abierta y pregunte al paciente. Es esta actitud del médico lo que muchas veces favorece el diagnóstico de una disfunción eréctil y la consecuente detección precoz de una enfermedad cardíaca”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En este sentido, cabe señalar que sólo el 16,5% de los pacientes que presentan disfunción eréctil consultan por propia iniciativa la enfermedad con el médico, y es la actitud del mismo la que resulta decisiva para detectar esta patología.</div> <p><strong><br />A partir de los 40 años</strong></p> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La disfunción eréctil, en sus diferentes niveles llega a afectar al 40% de los hombres mayores de 40 años, y se agrava con la edad. La prevención y la actuación sobre el estilo de vida, una dieta saludable baja en grasas, la reducción del consumo de alcohol, dejar el tabaco, perder peso e incrementar la actividad física, son las primera actuaciones que debe tener en cuenta el paciente.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La prevención de estos factores de riesgo ayuda a la mejora de ambas patologías, tanto la cardiovascular como la disfunción sexual. “Prevenir los factores de riesgo cardiovascular mejora el flujo sanguíneo durante la erección, por lo que a un paciente con disfunción eréctil se le debería preguntar por su salud cardíaca y sus factores de riesgo cardiovascular” , explica el Dr. Juan Gual-Juliá, miembro de la Sociedad Española de Cardiología (SEC) y cardiólogo y codirector del Instituto de En cuanto al tratamiento farmacológico, los inhibidores de la fosfodiesterasa 5 son los únicos fármacos orales disponibles en la actualidad para el tratamiento de la disfunción eréctil y son efectivos, seguros y, en general, bien tolerados. Su eficacia supera el 80% en cualquier grupo de edad, en cualquier grado de severidad de la disfunción eréctil y por cualquier etiología.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">“A medida que hemos profundizado en las investigaciones sobre disfunción eréctil, más claramente hemos visto la relación entre los problemas de erección y los cardiovasculares”, afirmó el Dr. Gual-Juliá. “Aunar la visión de cardiólogos, urólogos y médicos de Atención Primaria es un ejemplo de cómo colaborar conjuntamente en beneficio del paciente”.</div> <p><br /><strong>Primeros resultados</strong></p> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En una encuesta previa a la campaña y en la que han participado unas 30 asociaciones de pacientes cardíacos de toda España, los resultados muestran algunos datos de gran interés sobre la salud sexual de este colectivo. De esta manera, la gran mayoría de los entrevistados piensa que es posible recuperar la vida sexual tras haber tratado la disfunción eréctil después de un evento coronario.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">A pesar de que la encuesta se realizó entre pacientes que habían sufrido un episodio cororario, dos de cada tres seguían sin conocer exactamente por qué se produce la disfunción eréctil, lo que viene a reforzar la necesidad de comunicar a la sociedad la importancia que tiene la disfunción eréctil como predictor de riesgo coronario.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Para la mayoría de los hombres encuestados, la vida sexual es importante y aunque el 42% afirma no tener ningún problema en hablar de disfunción eréctil, el resto aseguran que preferirían no tener que hacerlo por vergüenza o pudor (28%) o por desconocimiento (17,5%).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según señala el Dr. Enrique Sala O'Shea, urólogo que trabaja en la Policlínica Miramar, "todavía vemos que hay cierta timidez a la hora de hablar de disfunción sexual en la consulta del médico. Saber que es un predictor de riesgo coronario ayudará a que los pacientes que se acerquen hasta nuestra consulta, de forma que abordaremos dos problemas al mismo tiempo, disminuyendo su riesgo cardíaco y mejorando su salud sexual”. Y añade que “esta campaña permite abordar un mismo problema desde diferentes disciplinas, pero de forma complementaria".</div> <p><br /><strong>Prevalencias en Baleares</strong></p> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En lo que se refiera a la prevalencia del trastorno de la excitación sexual, según el Estudio Epidemiológico para la Detección de Disfunciones Sexuales en Pacientes que acuden a las consultas de Atención Primaria (Estudio VASS-AP), en Baleares, casi el 38% de los hombres que acudieron a una consulta de Atención Primaria reconocieron padecer algún episodio de disfunción eréctil.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por otro lado, un 32,88% de las muertes que se producen en Baleares están provocadas por una enfermedad cardiovascular. Entre todas las enfermedades cardiovasculares, la cardiopatía isquémica es la más frecuentes (29% de las muertes), seguidas de las cerebrovasculares (25%) y arritmias y otros eventos cardiovasculares (21%).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En comparación con el resto de comunidades autónomas, las Islas Baleares se sitúan ligeramente por debajo de la media española en cuanto a la incidencia de la cardiopatía isquémica en la mortalidad (69,7 fallecimientos por 100.000 habitantes, siendo la media nacional de 74,2). Respecto a la repercusión de las enfermedades cerebrovasculares en la mortalidad poblacional, esta comunidad ocupa una posición intermedia (59,2 defunciones por 100.000 habitantes vs 63,9 de la media española). Igualándose a la media nacional en arritmias y otros eventos cardiovasculares (48,8 defunciones vs 48,7).</div>
2011-10-25T10:27:49-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/197
Cáncer: Identifican una nueva función del oncogen Myc para frenar la progresión de tumores
2011-10-24T08:54:42-04:00
Revista Finlay
<p>Investigadores del Centro de Regulación Genómica (CRG) de Barcelona han logrado demostrar que un cambio en la función del temido oncogen Myc -causante de la aparición de diversos tipos de tumores- permite frenar la proliferación de células tumorales.</p> <p>En declaraciones a Europa Press, el director del trabajo, Luciano di Croce, ha señalado que el descubrimiento permite abrir nuevas perspectivas en el tratamiento de la leucemia, la enfermedad sobre la que ha trabajado el equipo del CRG.</p> <p>El oncogen Myc, cuando se encuentra asociado con la proteína Max, es uno de los causantes de la aparición de tumores, aunque los investigadores han comprobado que, si se separan, la proliferación descontrolada de la célula se detiene.</p> <p><br /> Al detenerse, el gen Myc pasa a estimular la actividad de un agente diferenciador, el Receptor de Ácido Retinoico (Rar), lo que hace que las células tumorales recuperen su función normal y por tanto se detenga la expansión sin control.</p> <p><br /> Di Croce ha señalado que la gran novedad del estudio, que publica la revista <em>Nature Cell Biology, </em>radica en que por primera vez se ha constatado que las terapias no tienen por qué ir dirigidas a la eliminación de Myc, sino que pueden estar encaminadas a cambiar su funcionalidad.</p> <p>El cambio de función se produce mediante una modificación química que consiste en añadir un grupo de fosfato a Myc, un proceso conocido con el nombre de 'fosforilación', ha relatado Di Croce.<br /> <br /> La investigación ha demostrado su eficacia en ratones, si bien ahora el CRG intentará seguir el mismo proceso en células aisladas humanas, como paso previo a plantearse una investigación en pacientes.<br /> <br /> En el estudio han participado también investigadores del Instituto de Medicina Predictiva y Personalizada del Cáncer del Instituto de Investigaciones Biomédicas de Barcelona (IBB Sant Pau), gracias a los fondos del Ministerio de Sanidad, el de Ciencia e Innovación, la Agencia de Gestión de Ayudas Universitarias e Investigación de Catalunya (Agaur) y la Fundación La Marató de TV3.</p> <a href="http://www.nature.com/ncb/journal/vaop/ncurrent/full/ncb2355.html" target="_blank">Nature Cell Biology (2011);</a>
2011-10-24T08:54:42-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/196
Obesidad: La evidencia científica contrastada rebate creencias muy arraigadas sobre el abordaje de la obesidad
2011-10-22T06:07:43-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Médicos y expertos en nutrición coinciden actualmente en afirmar que, a pesar de que la obesidad debe abordarse de forma integral, la dieta constituye un pilar fundamental, tanto en su tratamiento como en su prevención, pero lo cierto es que el tratamiento dietético tradicional, aun correctamente realizado, tampoco obtiene, de forma sostenida, unos resultados completamente satisfactorios, debido, sobre todo, a la falta de seguimiento por parte del paciente. Por otra parte, la aparición de dietas heterodoxas, las populares 'dietas milagro', han obligado a sociedades científicas y agencias sanitarias a revisar todos los aspectos relacionados con la dieta del paciente obeso para poder tomar una postura y ofrecer respuestas a las posibles ventajas de patrones dietéticos distintos de los habitualmente prescritos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Desde esta perspectiva, y en el marco del Congreso de la Sociedad Española para el Estudio de la Obesidad (SEEDO), celebrado estos días en Barcelona, se ha presentado el documento 'Recomendaciones nutricionales basadas en la evidencia para la prevención y el tratamiento de la obesidad e adultos'. Este trabajo ha analizado datos científicos publicados entre el 1 de enero de 1996 y el 31 de enero de 2010 sobre eficacia, ventajas e inconvenientes de los diferentes enfoques nutricionales que se han aplicado en la prevención y el tratamiento de la obesidad. Algunas de las conclusiones del documento desafían creencias muy extendidas, como la de que los adultos que no desayunan tienen mayor riesgo de sobrepeso y obesidad o la de que tomar aperitivos se asocia con el incremento de peso: el consenso afirma que las investigaciones sobre este asunto son “controvertidas e inconsistentes”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En cambio, el estudio ha hallado evidencia del más alto nivel que demuestra que la ausencia de supermercados con disponibilidad de frutas y hortalizas o su ubicación a grandes distancias de núcleos humanos, sobre todo si son económicamente desfavorecidos, son factores determinantes de un mayor índice de masa corporal (IMC) medio poblacional. En resumen: existen ambientes obesogénicos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Comer frecuentemente fuera de casa y consumir comida rápida más de una vez por semana también son factores con un grado 1+ de evidencia científica (el más elevado en una escala del 1 al 4). La dieta mediterránea obtiene cierto grado de evidencia (2-) en la prevención del sobrepeso y la obesidad, mientras que se otorga un 2+ a las evidencias de que una mayor adherencia a la dieta mediterránea podría prevenir el aumento del perímetro abdominal. Los estudios analizados apoyan, por otra parte, la creencia de que un consumo alto de frutas y hortalizas está relacionado con un menor incremento del peso en adultos a largo plazo (grado de evidencia 2+). Asimismo, recomiendan limitar el consumo de bebidas azucaradas por su vinculación a IMC mayores (2+) y en cambio no han hallado evidencia ni positiva ni negativa de que el consumo de aceite de oliva o frutos secos pueda asociarse a la ganancia de peso.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El director de la Agencia Española de Seguridad Alimentaria y Nutrición, Dr. Roberto Sabrido, ha presentado este Consenso FESNAD-SEEDO acompañado de su coordinador, el Dr. Manuel Gargallo; el presidente de la Federación Española de Sociedades de Nutrición Alimentación y Dietética (FESNAD), Dr. Jordi Salas-Salvadó, y el presidente de la SEEDO, Dr. Xavier Formiguera.</div>
2011-10-22T06:07:43-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/195
Cáncer: Día Mundial del Cáncer de Mama
2011-10-19T21:27:40-04:00
Revista Finlay
<a href="/index.php/finlay/announcement/view/195"><img style="float: left;" title="cancer-de-mama1_51" src="/public/site/images/mikhail/cancer-de-mama1_51.jpg" alt="cancer-de-mama1_51" width="115" height="118" /></a>El cáncer de mama es el más común entre las mujeres en todo el mundo, pues representa el 16% de todos los cánceres femeninos. Se estima que en el 2004 murieron 519 000 mujeres por cáncer de mama y, aunque este cáncer está considerado como una enfermedad del mundo desarrollado, la mayoría (69%) de las defunciones por esa causa se registran en los países en desarrollo (OMS, Carga Mundial de Morbilidad, 2004). <p style="text-align: justify;">Con el objetivo de llamar la atención sobre esta enfermedad y de promover el conocimiento, cada 19 de octubre se celebra el Día Mundial del Cáncer de Mama. Esta conmemoración ofrece una oportunidad para hacer un llamado de alerta mundial acerca de la importancia de la detección temprana de la enfermedad, piedra angular de la lucha contra este cáncer.</p> <p style="text-align: justify;">Las organizaciones del cáncer utilizan la cinta rosada para asociarse con el cáncer de mama, como una forma de promover el conocimiento, alertar sobre la enfermedad, y apoyar las donaciones. Algunas de estas organizaciones relacionadas con el cáncer de mama utilizan la cinta rosada como su símbolo primario.</p> <p style="text-align: justify;">La cinta rosada representa el temor al cáncer de mama, la esperanza en el futuro y promueve la benevolencia de las personas. Tiene la intención de evocar la solidaridad con las mujeres que tienen cáncer de mama, además de ser un símbolo de buena voluntad hacia las mujeres en general.</p> <p style="text-align: justify;">En el otoño de 1991 la Fundación Susan G. Komen repartió cintas rosadas a los participantes en la carrera de la Ciudad de Nueva York para los sobrevivientes del cáncer de mama. Esta fue la primera vez, que se conozca, del uso de la cinta rosada en relación con el cáncer de mama.</p> <p><strong>Más información...</strong><br /> <a title="http://www.who.int/topics/cancer/breastcancer/es/index.html" href="http://www.who.int/topics/cancer/breastcancer/es/index.html" target="_blank">OMS: Cáncer de mama: prevención y control</a><br /> <a title="http://www.paho.org/Spanish/AD/DPC/NC/pcc-breast-cancer-guidelines.htm" href="http://www.paho.org/Spanish/AD/DPC/NC/pcc-breast-cancer-guidelines.htm" target="_blank">OPS: Normas internacionales para la salud de mama y el control de cáncer de mama</a><br /> <a title="http://blogs.sld.cu/marionod/?s=cancer+de+mama" href="http://blogs.sld.cu/marionod/?s=cancer+de+mama" target="_blank">Sitios novedosos: cancer de mama</a><br /> <a title="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/breastcancer.html" href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/breastcancer.html" target="_blank">Medline Plus: Cáncer de seno </a></p>
2011-10-19T21:27:40-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/194
Aterosclerosis: Descubren molécula causante de arteriosclerosis
2011-10-19T07:48:24-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><a href="/index.php/finlay/announcement/view/194"><img style="float: left;" title="aterosclerosis_156" src="/public/site/images/mikhail/aterosclerosis_156.jpg" alt="aterosclerosis_156" width="185" height="161" /></a>Investigadores españoles descubrieron una de las señales que atraen y guían a las células del sistema inmunológico a la pared arterial para formar las placas que provocan la arteriosclerosis, enfermedad que causa 130 mil muertes al año.</p> <p>Tres grupos de la Red de Investigación Cardiovascular (Recava) del Instituto de Salud Carlos III del ministerio de Ciencia e Innovación desarrollaron conjuntamente un estudio científico coordinado por el doctor José Martínez destinado a encontrar alguna de estas señales.</p> <p>De acuerdo con un comunicado, el aumento de los niveles de colesterol en sangre (hipercolesterolemia) es uno de los principales factores de riesgo para el desarrollo de arteriosclerosis.</p> <p>La arterioesclerosis es una enfermedad inflamatoria crónica que consiste en un endurecimiento progresivo de las arterias, que puede progresar hasta la oclusión del vaso impidiendo el flujo de sangre por la arteria afectada.</p> <p>La oclusión da lugar a un infarto de miocardio cuando la disminución de llegada de sangre afecta al corazón o un ictus cuando afecta al cerebro, que en ambos casos incapacita al paciente o causar su muerte de forma fulminante.</p> <p>La investigación se realizó en 107 individuos aparentemente sanos que se sometieron a un examen ultrasonográfico de las arterias carótidas para detectar la enfermedad en sus fases más tempranas (aterosclerosis subclínica).</p> <p>Los científicos observaron cómo los niveles elevados de colesterol en sangre (>240 mg/dL) se asociaban con una mayor producción de una molécula llamada CCL20.</p> <p>Esta molécula es quimioatrayente y provoca que entren en funcionamiento los linfocitos T que son las células del sistema inmunológico que provocan la inflamación de la pared de los vasos sanguíneos.</p> <p>Los investigadores consiguieron demostrar también que las arterias de pacientes con aterosclerosis sintetizan y liberan CCL20 y que esta molécula es producida sobre todo por las células musculares de las arterias como respuesta a una elevación de las LDL, el llamado colesterol malo.</p> <p>La investigación constituye el primer estudio científico que describe un aumento precoz de la CCL20 en pacientes con mayor riesgo cardiovascular.<br /> octubre 18/2011 (Notimex)</p> <p><strong>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> </span>
2011-10-19T07:48:24-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/193
Nutrición: Las amantes del chocolate padecen menos accidentes cerebrovasculares
2011-10-15T16:34:48-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>¿Tentada por una barra de chocolate? Quizá darse el gusto con frecuencia no es algo tan malo, especialmente si se trata de chocolate amargo.</p> <p>Según un estudio sueco publicado en <a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0735109711028440" target="_blank"><em><strong>Journal of the American College of Cardiology</strong></em></a>(doi:10.1016/j.jacc.2011.07.023) que observó a más de 33 000 mujeres, aquellas que dijeron que consumían más chocolate corrieron menos riesgo de sufrir un accidente cerebrovascular (ACV).</p> <p>Los resultados se suman a un cuerpo de evidencia cada vez mayor que relaciona el consumo de cacao con la salud cardíaca, pero no son un pase libre para darse un atracón con chocolate.</p> <p>"Dado el diseño observacional del estudio, los hallazgos no prueban que el chocolate sea el que reduce el riesgo de ACV", dijo a Susanna Larsson, del Instituto Karolinska en Estocolmo.</p> <p>Aunque la experta cree que el chocolate tiene beneficios para la salud, también advirtió que comer demasiado del delicioso cacao podría ser contraproducente.</p> <p>"El chocolate debería consumirse con moderación dado que es elevado en calorías, grasa y azúcar. Como el chocolate amargo contiene más cacao y menos azúcar que el chocolate con leche, el consumo de chocolate amargo sería más beneficioso", agregó.</p> <p>Larsson y sus colegas indagaron en datos de un estudio mamográfico que incluía informes personales de cuánto chocolate consumían las mujeres en 1997. Las pacientes tenían entre 49 y 83 años.</p> <p>En la siguiente década, hubo 1549 ACV en el grupo. Cuanto más chocolate consumían las mujeres, menor era su riesgo.</p> <p>Entre aquellas con la mayor ingesta semanal de chocolate -más de 45 gramos- hubo 2,5 ACV por cada 1000 mujeres anualmente.</p> <p>La estadística trepaba a 7,8 de cada 1000 mujeres por año entre las que menos cacao consumían (menos de 8,9 gramos semanales).</p> <p>Los científicos especulan que sustancias conocidas como flavonoides serían responsables del aparente beneficio del chocolate sobre la salud.</p> <p>Según Larsson, los flavonoides han demostrado reducir la hipertensión, un factor de riesgo de los ACV, y mejorar otras cuestiones sanguíneas relacionadas con la salud cardíaca.</p> <p>No obstante, aún debe probarse con estudios rigurosos si esas bondades teóricas se traducen en beneficios concretos en la vida real.</p> <p>Solamente en Estados Unidos, cerca de 800 000 personas padecen un ACV cada año. Alrededor de seis de ellas mueren como consecuencia y muchas otras quedan discapacitadas.</p> <p>Para quienes tienen factores de riesgo, los médicos aconsejan tomar medicinas para controlar la presión, dejar el cigarrillo si son fumadores, hacer más ejercicio y consumir una dieta saludable. Hasta el momento, el chocolate no está en la lista.<br /> Octubre 11/2011 (Reuters) -</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011<strong> "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de Hinari.</p> <p>Susanna C. Larsson, Jarmo Virtamo , Alicja Wolk .Chocolate<em><strong> Consumption and Risk of Stroke in Women</strong></em>. Publicado en<em> Journal of the American College of Cardiology</em>.Volume 58, Issue 17, 18 Octubre 2011, Pages 1828-1829</p> </span>
2011-10-15T16:34:48-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/192
Cáncer: Muchos sobrevivientes de cáncer tienen problemas de estrés
2011-10-15T16:32:30-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un diagnóstico de cáncer puede dejar secuelas psicológicas similares a las que sufren quienes han estado en una guerra, y ese impacto puede permanecer por años, señalaron investigadores de Estados Unidos.</p> <p>Más de una década después de ser diagnosticados con cáncer, casi cuatro de cada 10 sobrevivientes de la enfermedad dijo que aún se sentía asediado por síntomas del trastorno por estrés postraumático (TEPT), indicó la autora Sophia Smith, del Instituto del Cáncer Duke en Carolina del Norte.</p> <p>Entre esos síntomas se encuentran el estado de alerta excesivo, tener pensamientos perturbadores sobre el cáncer y su tratamiento o sentirse emocionalmente mal con los amigos y la familia.</p> <p>Uno de cada 10 pacientes también dijo que evitaba pensar en su cáncer y uno de cada 20 manifestó que se mantenía alejado de situaciones o actividades que le recordaran la enfermedad, algo que podría convertirse en un problema médico.</p> <p>"Uno se preocupa si el paciente evita la atención médica porque podría no estar recibiendo seguimiento", dijo Smith ."No tenemos datos que respalden esto, pero nos preocupa", añadió.</p> <p>El estudio, publicado en<a href="http://jco.ascopubs.org/content/early/2011/10/04/JCO.2011.37.2631.abstract?sid=8350a1ef-4701-4de0-ad09-db5dd8b08c25" target="_blank"><em><strong> Journal of Clinical Oncology</strong></em></a> (DOI:10.1200/JCO.2011.37.2631. ), se basó en un sondeo sobre 566 pacientes con linfoma no Hodgkin, un tipo de cáncer relativamente común.</p> <p>El equipo de Smith había encuestado una vez previamente a los pacientes para indagar sobre síntomas de TEPT y estimado que alrededor de uno de cada 12 tenía el trastorno plenamente desarrollado.</p> <p>El diagnóstico incluía un trío de síntomas: negación, excitación y recuerdos perturbadores. No obstante, muchos más tenían uno o más síntomas de TEPT. El nuevo sondeo demostró además que esos síntomas solían persistir.</p> <p>En general, la mitad de los pacientes no tenía ningún síntoma de TEPT 13 años después del diagnóstico. Los problemas habían desaparecido en el 12 %, pero se habían mantenido o empeorado en el restante 37 %.</p> <p>"Este estudio halló que las personas parecían haber empeorado en su TEPT", dijo Bonnie Green, especialista en trauma de la Georgetown University, pionera en el estudio del TEPT en sobrevivientes de cáncer de pecho pero que no participó del último estudio.</p> <p>"Es sencillamente muy estresante para las personas saber que tienen cáncer. Uno no puede asumir simplemente que se sentirán mal ahora pero que eso pasará", agregó.</p> <p>Green destacó que es apenas una minoría de pacientes los que desarrolla el TEPT en su totalidad, pero añadió que la depresión es común luego de un diagnóstico de cáncer.</p> <p>El nuevo sondeo muestra que las personas con bajos ingresos son más vulnerables al impacto psicológico de vivir con cáncer.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=384195&Itemid=1" target="_blank"><strong>Octubre 13/2011 (Reuters) - </strong></a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu acceden al texto completo a través de Hinari.</p> <p>Sophia K. Smith, Sheryl Zimmerman, Christianna S. Williams, Habtamu Benecha, Amy P. Abernethy, Deborah K. Mayer.<em><strong>Post-Traumatic Stress Symptoms in Long-Term Non-Hodgkin's Lymphoma Survivors: Does Time Heal?</strong></em>. Publicado en<em> J Clin Oncol</em>. 2011 Octubre 11.</p> </span>
2011-10-15T16:32:30-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/191
Tabaquismo: TABAQUISMO. ¿Quién puede dañarse más?
2011-10-15T07:13:08-04:00
Revista Finlay
<p><a href="/index.php/finlay/announcement/view/165"><img style="float: left;" title="tabaco_194" src="/public/site/images/mikhail/tabaco_194.jpg" alt="tabaco_194" width="118" height="117" /></a>En el humo del tabaco se han hallado más de 4000 sustancias químicas diferentes, con capacidad tóxica y con capacidad de producir cáncer, siendo las más importantes el monóxido de carbono, óxido de nitrógeno, amoniaco, cianuro de hidrógeno y las acroleínas.</p> <p>En la combustión del tabaco se produce un aerosol con microgotas de 0,45 de diámetro con nicotina, alquitrán oxidante y otras sustancias. El tamaño de estas partículas permite que se depositen tanto en la vía aérea central como en la periférica originando las alteraciones.</p> <p>Al quemar el cigarrillo se producen 2 tipos de corrientes: la principal y la lateral. La corriente principal (45%) es la que inhala el fumador. Se produce desde el cono incandescente y los puntos calientes que se forman a lo largo del cigarrillo hasta el filtro. La corriente lateral (55%) se produce de la combustión lenta del cigarrillo y se mezcla con el aire ambiente. En los diferentes estudios se ha observado que esta corriente lateral tiene más monóxido de carbono y componentes con capacidad cancerígena, que la corriente principal.</p> <p>Actualmente no existe duda alguna de que el tabaquismo causa daños en la salud de los fumadores activos. Sin embargo, en los últimos años el tabaquismo también se ha asociado en los fumadores pasivos como un factor de riesgo de enfermedades relacionadas con su consumo. Un fumador pasivo es aquel no fumador (ex fumador o nunca fumador) que se expone involuntariamente al humo del tabaco, especialmente en un ambiente cerrado.</p> <p>Por lo tanto, se ha observado que el humo del tabaco incrementa el riesgo de daños a la salud del fumador involuntario, por ejemplo cáncer pulmonar e infarto agudo del miocardio, infecciones respiratorias y asma, éstas, especialmente en los niños de padres fumadores. Estudios han demostrado tanto en mujeres de fumadores como en profesiones con ambientes de alto contenido en humo de tabaco, que tienen un mayor riesgo de padecer las enfermedades antes mencionadas.</p> <p>Cuba en encuesta realizada en el año 2006 tenía una prevalencia de fumadores pasivos del 56.4% de la población. Cienfuegos con una prevalencia de fumadores activos de 25.6% debe tener un 43.2% (172,800 habitantes) de la población expuesta habitualmente al humo del tabaco.</p> <p>El principal lugar de exposición al humo del tabaco sigue siendo la casa, lo que conlleva la necesidad urgente de fomentar la educación en la familia para reducir el número de fumadores que exponen a sus miembros a este agente nocivo.</p> <p>Esta batalla no es contra los fumadores, sino contra el humo que ellos producen. Nuestro único objetivo: la salud del pueblo. Recuerden que lo mejor es no comenzar.</p>
2011-10-15T07:13:08-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/190
Medicamentos: Asocian el uso de suplementos de vitamina E con un mayor riesgo de cáncer de próstata
2011-10-13T05:29:26-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Un estudio realizado a partir de datos de unos 35.000 varones ha demostrado que los sujetos que recibieron suplementos diarios de vitamina E presentaban un riesgo significativamente mayor de padecer cáncer de próstata.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">A pesar de la evidencia preclínica y epidemiológica de que el selenio y la vitamina E pueden reducir el riesgo de cáncer de próstata, el informe inicial (publicado en diciembre de 2008), llamado 'Selenium and Vitamin E Cancer Prevention Trial (SELECT)', no encontró ninguna reducción en el riesgo de cáncer de próstata relacionada con el selenio o la vitamina E, pero sí una relación estadísticamente no significativa entre el riesgo de cáncer de próstata y la vitamina E.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En el presente estudio, publicado en la revista<em> JAMA,</em> el doctor Eric A. Klein, de la Clínica Cleveland, en Estados Unidos, y sus colaboradores, han examinado los efectos a largo plazo de la vitamina E y el selenio sobre el riesgo de sufrir cáncer de próstata en hombres relativamente saludables. SELECT incluía un total de 35.533 hombres de Estados Unidos, Canadá y Puerto Rico, cuyos datos fueron registrados entre agosto de 2001 y junio de 2004 (los criterios de elección se basaron en una prueba de antígeno prostático específico, un tacto rectal que no arrojara sospechas de cáncer de próstata y la edad, que debía estar comprendida entre los 50 y los 55 años).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El nuevo análisis incluyó a 34.887 hombres, que fueron asignados aleatoriamente a uno de los cuatro grupos de tratamiento: 8.752 tomaron selenio (200 mcg/día); 8.737, vitamina E (400 UI/día); 8.702, ambos agentes, y 8.696 placebo, con un seguimiento planificado de un mínimo de 7 años y un máximo de 12.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Desde el informe inicial, fueron diagnosticados 521 cánceres de próstata adicionales: 113 en el grupo placebo, 147 en el grupo de vitamina E, 143 en el grupo de selenio, y 118 en el grupo de combinación. Los investigadores observaron que la tasa de detección del cáncer de próstata fue superior en todos los grupos de tratamiento en comparación con el placebo, pero sólo fue estadísticamente significativa en el grupo de la vitamina E (un 17% de aumento en la tasa de detección de cáncer de próstata).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>En comparación con el grupo placebo, en el que 529 hombres desarrollaron cáncer de próstata, en el grupo de la vitamina E desarrollaron desarrollaron el tumor 620, en el grupo del selenio 575 y en el grupo de selenio combinado con vitamina E 555. La diferencia en las tasas de cáncer de próstata entre la vitamina E y el placebo se hizo evidente durante el tercer año.</p> <p><strong>Suplementos potencialmente dañinos</strong></p> <p>Según los autores, teniendo en cuenta que más del 50% de las personas mayores de 60 años toman suplementos que contienen vitamina E, y que el 23% de ellos toma por lo menos 400 UI (a pesar de que la cantidad recomendada de ingestión dietética diaria es de tan sólo 22,4 UI) las nuevas observaciones son especialmente importantes.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los investigadores señalan que el hecho de que el aumento del riesgo de cáncer de próstata en el grupo de la vitamina E se hiciera aparente después de años de seguimiento, sugiere que los efectos sobre la salud de estos agentes pueden continuar después de este tiempo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según los autores, el aumento observado del 17% en la incidencia de cáncer de próstata demuestra el potencial dañino de algunas sustancias biológicamente activas aparentemente inocuas, como las vitaminas; por ello instan a los consumidores a ser escépticos ante estos productos en ausencia de una fuerte evidencia de beneficio demostrado en ensayos clínicos.</div> <a href="http://jama.ama-assn.org/content/306/14/1549.short" target="_blank">JAMA (2011); doi: 10.1001/jama.2011.1437 </a>
2011-10-13T05:29:26-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/189
Ciencia y Tecnología: Estudian el papel del epicardio como generador de células cardiacas
2011-10-11T22:34:43-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El grupo de investigación de Desarrollo Cardiovascular y Angiogénesis de la Universidad de Málaga (UMA) está estudiando si el epicardio, la capa de células que recubre el corazón, cuenta, más allá de su función protectora, con un papel destacado en la regeneración celular del corazón.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los expertos de la UMA llevan más de quince años estudiando el desarrollo del epicardio desde el momento de la gestación del feto. Con esta investigación, llevada a cabo con peces, han descubierto que en el epicardio del embrión se generan células que migran al interior del corazón, dando lugar a las arterias coronarias y a buena parte de las células fibrosas del corazón.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los investigadores desconocen aún los detalles del mecanismo de regeneración que se produce en el músculo cardíaco pero, en cambio, sí saben que se regenera, aunque de forma muy lenta, a partir de progenitores poco numerosos, una especie de células madre cardíacas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"El corazón tiene siempre el mismo número de células porque se renuevan lentamente a partir de progenitores cuyo origen es poco conocido. Nosotros pensamos que el origen de los progenitores podría estar relacionado con esas células que en el embrión derivan del epicardio", explica al Servicio de Información y Noticias Científicas (SINC) el responsable de la investigación, Ramón Muñoz-Chápuli.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El proyecto persigue ahora conocer mejor las relaciones entre el miocardio, el tejido muscular del corazón, y el epicardio. Para ello, estudian los mecanismos que intervienen en el crecimiento y desarrollo del miocardio y cómo el epicardio está implicado en ellos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En concreto, centran su estudio en el gen WT1, relacionado con distintos tipos de cáncer y que según los expertos resulta fundamental para comprender los fenómenos que ocurren en el desarrollo del corazón.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio en ratones con la inactivación de este gen ha demostrado que los roedores mueren por insuficiencia cardíaca, ya que su epicardio no se desarrolla correctamente, y ahora buscan conocer el mecanismo de control de este gen y a qué otros genes afecta, para descubrir qué papel podría tener en el mantenimiento del epicardio adulto.</div>
2011-10-11T22:34:43-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/188
Factores de riesgo cardiovascular: La hipertrigliceridemia contribuye a la detección temprana de alteraciones metabólicas y cardiovasculares
2011-10-11T22:25:51-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Una investigación española liderada por un equipo de la Universidad Complutense de Madrid (UCM) sugiere que los niveles elevados de triglicéridos en la sangre, lo que se conoce como hipertrigliceridemia, constituye un marcador potencial para la detección temprana del síndrome metabólico y la diabetes, así como del riesgo de enfermedades cardiovasculares.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Así se desprende de los resultados de un estudio que publica en su último número la revista <em>European Journal of Internal Medicine,</em> para el que se reclutaron un grupo de sujetos de ambos sexos y diferentes edades diagnosticados con hipertrigliceridemia, con más de 200 miligramos por decilitro (mg/dl).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los resultados mostraron también que los individuos presentaban una prevalencia muy alta de síndrome metabólico (79,6%), con independencia de los niveles en plasma de triglicéridos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">De igual modo, los valores de prevalencia que se observaron para la hipertensión, diabetes y enfermedad cardiovascular fueron de 50,9%, 33,5% y 14,6%, respectivamente.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por otra parte, se comprobó que la prevalencia de enfermedad cardiovascular entre los individuos sometidos al ensayo fue de 7,6% en sujetos con síndrome metabólico, y 2,9% en sujetos sin síndrome metabólico. De estos datos se deduce que el 95,9% de pacientes con enfermedad cardiovascular presentaban también síndrome metabólico.</div> <a href="http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0953620510002475" target="_blank">European Journal of Internal Medicine (2011); doi:10.1016/j.ejim.2010.12.011</a>
2011-10-11T22:25:51-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/187
Obesidad: Sofocos de la menopausia, asociados con lípidos elevados
2011-10-11T17:46:48-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Los sofocos están asociados con cambios lipídicos generalmente adversos en las mujeres de mediana edad, y esto minaría su salud cardiovascular, indicaron investigadores en el encuentro anual de la Sociedad Norteamericana de la Menopausia, en Washington.</p> <p>"Le diría a las mujeres que si están teniendo muchos sofocos durante la transición menopáusica o si los sofocos persisten por mucho tiempo, se aseguren de ver a su médico clínico, realizarse controles regulares y mantener las medidas preventivas de salud cardiovascular", dijo la doctora Rebecca C. Thurston, de la University of Pittsburgh. "Eso incluye el control de lípidos, hacer ejercicio físico y seguir una dieta prudente", añadió.</p> <p>Como ha estado surgiendo evidencia sobre las relaciones entre los sofocos e indicios de riesgo cardiovascular, Thurston y sus colegas querían saber más sobre los posibles mecanismos subyacentes a esa vinculación.</p> <p>El equipo analizó datos de un estudio con 3201 mujeres de entre 42 y 52 años a las que se evaluaron anualmente los sofocos y sudoraciones nocturnas, así como también el colesterol LDL, el colesterol HDL, la apolipoproteína-a (apo-a), la apo-b, la lipoproteína(a), los triglicéridos y la hormona folículo-estimulante.</p> <p>Los autores hallaron que los sofocos más frecuentes estaban asociados significativamente con mayores niveles de todas las evaluaciones lipídicas, excepto la lipoproteína(a). Las relaciones se mantuvieron tras controlar la obesidad, etnia, tabaquismo y condición socioeconómica de las participantes.</p> <p>Por ejemplo, señalaron que las mujeres que habían informado sofocos durante uno a cinco días en las dos semanas previas tenían niveles de LDL un 48% mayores que los que las mujeres que no informaban sofocos.</p> <p>En tanto, las mujeres con sofocos por al menos seis días en las dos semanas previas presentaban niveles de LDL que superaban más del doble los de aquellas participantes sin sofocos.</p> <p>También hubo relaciones positivas entre los sofocos y el colesterol HDL, dijo Thurston.</p> <p>"La naturaleza cardioprotectora del HDL tiende a variar cuando las mujeres transitan la menopausia, y hay algunos datos que sugieren que los tamaños de las partículas cambian", lo que pondría en duda su seguridad para el corazón, añadió.</p> <p>La experta señaló que ella no cree que tratar los sofocos pueda ayudar a la salud cardiovascular de las mujeres.</p> <p>"No estoy segura que esta sea realmente una relación causal. Nos dice más sobre los vasos femeninos. Pero las mujeres que están teniendo muchos sofocos necesitan controles preventivos", indicó.</p> <p>"Si fuman, deberían dejar. Si deben bajar de peso, tendrían que hacerlo. Los sofocos serían otro indicador para las mujeres de que necesitan ser cuidadosas con la prevención", concluyó Thurston.<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_117298.html" target="_blank">octubre 10/2011 (medlineplus) </a></p> </span>
2011-10-11T17:46:48-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/186
Medicamentos: Estudian las propiedades de la vitamina D como diana terapéutica contra la obesidad
2011-10-11T17:43:36-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Científicos del Centro de Investigación Biomédica en Red-Fisiopatología de la Obesidad y la Nutrición (CIBERobn) han abierto una nueva línea de estudio para profundizar en las propiedades saludables de la vitamina D y ver si puede convertirse en una diana terapéutica para prevenir y combatir la obesidad y otras enfermedades asociadas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Dicho trabajo está siendo dirigido desde el Hospital Universitario Ramón y Cajal de Madrid por el doctor Miguel Ángel Lasunción, y se basa en investigaciones previas que relacionan la falta de esta vitamina con altos índices de obesidad, sobre todo cuando ésta es severa.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Asimismo, también se ha constatado una asociación con el desarrollo de determinados tipos de cáncer, como colon, próstata y mama, una vía de investigación también abarcada por el CIBERobn a través de su programa multidisciplinar 'Obesidad y Cáncer'.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En concreto, los investigadores del CIBERobn han estudiado la relación existente entre la deficiencia de vitamina D y el síndrome metabólico, una conjunción de factores de riesgo cardiovascular en un mismo individuo con la obesidad, sobre todo de tipo abdominal, como nexo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El déficit de esta vitamina se asocia al síndrome metabólico y a la alteración de los niveles de lípidos (colesterol y triglicéridos), algo que, según el doctor José Ignacio Botella, miembro del grupo de investigación del Hospital Ramón y Cajal, "hace pensar que es un factor modificable".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">De hecho, un reciente estudio realizado en una muestra de 90 mujeres del estado de California, en Estados Unidos, concluyó que el 63% de las mujeres (57 de las 90 estudiadas) presentaba carencias de vitamina D y pesaban 7,4 kilos más que las que no presentaban este déficit. Además, tenían 3,4 puntos más en sus mediciones de masa corporal.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>La vitamina D, también llamada antirraquítica, puede obtenerse tanto de la dieta como del sol. Pertenece al grupo de las liposolubles (solubles en lípidos, que permiten almacenarse en el cuerpo y no es preciso tomarlas a diario) e interviene en la absorción del calcio y el fósforo en el intestino, y, por tanto, en el depósito de los mismos en huesos y dientes.</p> <p><strong>Los rayos solares, la vitamina D "más eficiente"</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los alimentos que mayor aporte de vitamina D producen son los lácteos, especialmente la leche enriquecida con esta molécula, junto con cereales, frutos secos, verduras, hortalizas y el pescado. Dentro de este último grupo destacan los pescados grasos, entre los que se encuentran el salmón, el atún, el arenque y la sardina y, sobre todo, el aceite que se extrae de su hígado, especialmente rico en ácidos grasos omega 3.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">No obstante, los científicos del CIBERobn recuerdan que también es producida de forma "más eficiente" por el organismo tras la exposición a los rayos ultravioletas solares. De hecho, la piel oscura restringe el paso de los rayos ultravioletas y sintetiza menos vitamina D.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Desde el CIBERobn recomiendan utilizar las dos fuentes y, en el caso del sol, no abusar de él en verano, especialmente en las horas de mayor intensidad de los rayos UVA. Según el doctor Botella, una dieta equilibrada que incluya alimentos ricos en calcio y vitamina D en combinación con una exposición adecuada de 15 minutos diarios, es la clave para la prevención de la osteoporosis que padecen el 35% de las españolas.</div>
2011-10-11T17:43:36-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/185
Cáncer: Diseñan una terapia génica que induce el 'suicidio' de las células cancerígenas
2011-10-10T07:48:49-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Cuando una célula se vuelve cancerígena su química interna se altera. En concreto, hay unas moléculas involucradas en la expresión génica llamadas microRNA (miRNA), cuyos niveles aumentan o disminuyen de manera considerable.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Un equipo dirigido por el experto en biología sintética Ron Weiss ha diseñado una secuencia de ADN que, cuando es introducida en el interior de una célula, detecta los niveles de cinco miRNAs específicos que se ven alterados en el cáncer cervical. Si tres de ellos están altos y dos bajos, el circuito genético interpreta que esa célula es cancerígena y provoca la síntesis de una proteína llamada hBax que induce la muerte celular.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">“Es una manera de diferenciar células sanas de tumorales gracias a su diferente perfil de microRNA y provocar la apoptosis (muerte) sólo de las cancerosas”, explica Ron Weiss a SINC desde su laboratorio en el recién inaugurado Centro de Biología Sintética del MIT. Los resultados de la investigación fueron publicados en la revista <em>Science</em> el pasado 2 de septiembre.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Ron Weiss reconoce que hay más de 700 miRNAs humanos identificados y que cada tipo celular tiene un perfil diferente. Una posible aplicación terapéutica en humanos es todavía lejana. Pero defiende que es una aproximación novedosa que nadie había conseguido antes y “una prometedora demostración de lo que la biología sintética es capaz de conseguir”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Para Luis Serrano, director del Centro de Regulación Genómica de Barcelona, “es muy interesante y un gran paso en la biología sintética. Un circuito capaz de detectar varias señales y que sólo se activa cuando la célula es cancerosa, es realmente un gran paso adelante”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Weiss explica que “en teoría es cierto que si tuviéramos esta secuencia genética en nuestras células, ellas mismas se suicidarían al volverse tumorales ante algunos tipos de cáncer, pero esto es complicadísimo, cada tumor tiene su propio perfil de microRNA’s, y hay muchos factores desconocidos”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El equipo de Weiss cree que la aproximación más realista es la terapéutica, es decir, la del tratamiento del cáncer una vez que ya ha sido diagnosticado. La idea sería hacer una biopsia del tumor, extraer células cancerígenas, identificar varios miRNAs que hayan aumentado o disminuido de nivel, diseñar una secuencia de ADN específica para identificar estos niveles y, por medio de terapia génica, introducirla en las células tumorales para que induzcan selectivamente su muerte.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Con el vertiginoso progreso de la biología sintética, esto pronto podría hacerse en una semana. Lo limitante ya no es la síntesis y ensamblaje de ADN, sino la computación”, asegura Weiss, quien reconoce que uno de los principales inconvenientes son los falsos positivos y negativos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Por eso escogemos cinco microRNAs en lugar de uno solo; para que no dependa de un único factor. Pero en el futuro debemos contemplar más y afinar mejor la computación", explica Zehn Xie, primer autor del estudio.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">'Computación' es una palabra clave en biología sintética. Xie insiste: "No es el gen, es el sistema. Un gen aislado nos dice bien poco. Es como si relacionáramos solo gripe con fiebre. La biología sintética analiza el sistema completo".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><strong>Las técnicas del futuro</strong></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En la ingeniería genética convencional se transferían genes de una bacteria a una planta, o se alteraban genes ya existentes. La biología sintética va un paso más allá y diseña genes de novo que no existían en la naturaleza. Además contempla el concepto de programación: un sistema que da diferentes respuestas en función de diferentes parámetros.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">No es sólo una relación directa. “Esto antes era sólo una posibilidad teórica, pero ahora, con el desarrollo de la bioinformática y las técnicas de secuenciación y ensamblaje de ADN ya es factible”, explica Weiss, citando lo que en 2010 Craig Venter y Dan Gibson anunciaron como creación de vida artificial.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">“No es propiamente vida artificial, porque lo que hicieron fue copiar un genoma que ya existía. Pero la técnica de Gibson sí demostró que se podía sintetizar un genoma en el laboratorio, introducirlo en una célula a la que previamente se retiró su genoma, y lograr que la célula sobreviva y se reproduzca. Este hito era inimaginable pocos años atrás”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La secuencia de 45.000 pares de bases diseñada ahora por los investigadores es el primer circuito lógico que puede detectar cinco biomarcadores desde el interior de una célula cancerosa. Para evitar falsos positivos, los investigadores han utilizado miRNAs cuyos valores son extremadamente diferentes entre una célula tumoral y una sana, pero continúan trabajando para optimizar el sistema, identificar otro tipo de cánceres, y encontrar métodos seguros para transferir el material genético de manera eficiente y segura en células de animales vivos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El siguiente paso será la experimentación con modelos animales de laboratorio. Ron Weiss insiste en que estamos todavía lejos de una aplicación terapéutica en humanos, y que “lo más importante del estudio es demostrar el principio general de que con herramientas de biología sintética podemos crear circuitos genéticos lógicos que podrán ser aplicados en un rango amplio de enfermedades”.</div> <br /><a href="http://www.sciencemag.org/content/333/6047/1307.abstract" target="_blank">Science (2011); doi: 10.1126/science.1205527 .</a>
2011-10-10T07:48:49-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/184
Ciencia y Tecnología: Reducen tumores cerebrales con nanotecnología
2011-10-10T07:46:35-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Científicos de la Universidad Autónoma Metropolitana (UAM) y el Instituto Nacional de Neurología y Neurocirugía "Manuel Velasco Suárez" (INNN), ambos en la ciudad de México, emplean conceptos científicos usados en la industria petroquímica en el tratamiento del cáncer cerebral. Basados en la catálisis para romper enlaces de hidrocarburos, los investigadores hallaron la forma de destruir aquellos de las células cancerígenas, y de esa manera reducir el tamaño de los tumores hasta en un 96%.</p> <p>Se trata de una nueva línea científica llamada "nanomedicina catalítica", que consiste en diseñar materiales nanoestructurados (catalizadores) de pequeñas dimensiones para que penetren en las membranas de las células cancerígenas y, una vez en su interior, rompan los enlaces de ADN a fin de evitar que continúen con su reproducción desproporcionada.</p> <p>"El petróleo tiene cadenas de carbonos con hidrógenos, nitrógeno, oxígeno o azufre. Así, para elaborar una gasolina es necesario romper esas cadenas del hidrocarburo por medio de un catalizador. Si consideramos que las cadenas del ADN también contienen casi los mismos elementos con otro arreglo molecular, solo tendríamos que diseñar un catalizador biocompatible y no tóxico para romper principalmente los enlaces carbono-nitrógeno de forma selectiva. Afortunadamente lo logramos", dijo la doctora Tessy López, titular del Laboratorio de Nanotecnología UAM-INNN, donde se desarrolló la investigación.</p> <p>Hasta ahora, el tratamiento estándar para el cáncer cerebral avanzado es el uso de un medicamento basado en platino (cisplatino) que se encarga de eliminar las células cancerígenas; sin embargo, esta opción también afecta a aquellas que están sanas. Pero los investigadores de la UAM y el INNN desarrollaron catalizadores nanoestructurados para romper los enlaces carbono-nitrógeno de las de las células dañinas del ADN sin efectos colaterales.</p> <p>Para ello, los científicos optimizaron las propiedades del catalizador de platino (1%) soportado en óxido de titanio funcionalizado, al que llamaron NPt, el cual tiene un tamaño de uno a 10 nanómetros; es decir, de 500 a 700 veces más pequeño que el tamaño de una célula, de tal manera que pudieran rebasar la membrana sin que el sistema celular lo detectara como un cuerpo extraño, y una vez adentro pudiera romper los enlaces de ADN.</p> <p>La ventaja de este desarrollo sobre el procedimiento empleado en la actualidad es que, si bien utiliza como principal elemento también el platino, la cantidad empleada va directo a las células dañinas y evita el "envenenamiento" de aquellas que estén sanas (se usa solo 1% de platino y no la totalidad del medicamento).</p> <p>"Hicimos estudios en modelos animales para tumores de grandes proporciones, y logramos reducirlo en un principio en 56% su tamaño, pero en últimas fechas hemos llegado hasta 96 de reducción", comentó la doctora Tessy López, quien en el 2009 fue galardonada con el Premio Scopus, como una de las investigadoras más citadas por otros científicos.</p> <p>La investigación de la nanomedicina catalítica empezó en el 2007 en el Laboratorio de Nanotecnología del INNN-UAM, y ahora ha sido aprobado por comités Científico y de Bioética del Instituto el protocolo 46/09 (estudio con personas). Los candidatos de este ensayo clínico solo pueden ser pacientes que han pasado por todos los tratamientos existentes sin resultados positivos, posteriormente se debe hacer una evaluación detallada del caso, y de ser considerado a la nanoterapia, finalmente debe ser informado a detalle tanto por los neurocirujanos como por los científicos sobre el procedimiento, para después firmar una carta de consentimiento informado.</p> <p>El procedimiento consiste en remover la mayor parte del tumor por medio de cirugía y después implantar el nanocatalizador para reducir el resto de la masa neoplásica.</p> <p>Este desarrollo fue patentado por la UAM con la finalidad de hacer accesible esta tecnología a la población mexicana. En el proyecto también participan diversas instituciones nacionales e internacionales y recientemente fue apoyado por la Comunidad Europea Conacyt, en el marco de los Proyectos FONCICyT.<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=22687&Itemid=565" target="_blank">octubre 9/2011 (Diario Salud) </a></p> </span>
2011-10-10T07:46:35-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/183
Anuncio: BLOG DE DIALISIS DEDICADOS A PROFESIONALES DE LA SALUD Y ESTUDIANTES DE MEDICINA
2011-10-05T17:58:10-04:00
Revista Finlay
<p>Estimados lectores</p><p>En la página "<a href="http://medicablogs.diariomedico.com/jluisr/" target="_blank">http://medicablogs.diariomedico.com/jluisr/</a>" Ustedes pueden enctrar mucha información sobre la dialisis renal y sobre las enfermedades del riñón. El Dr José Luis Rodríguez en este blog hace una extensa revisión sobre estos importantes problemas de salud.</p>Los invitamos a revistar esta página
2011-10-05T17:58:10-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/182
Cáncer: Secuencian gen causante de tumores de ovario y mama
2011-10-04T05:55:28-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><span class="textonormal"><img title="adn4_540_540" src="/public/site/images/mikhail/adn4_540_540.jpg" alt="adn4_540_540" width="296" height="222" /></span>Una variación genética está asociada con el riesgo de padecer cáncer de ovario y de mama, comprueban investigadores en un reciente estudio en el cual secuenciaron 16 millones de variantes de ADN.</p> <p>Se trata del gen llamado BRIP1, que confiere un riesgo ocho veces superior de tener cáncer de ovario en aquellas mujeres con esa mutación.</p> <p>También está relacionado con un acortamiento de la vida, unos 3,6 años menos como promedio, destacan los autores en la más reciente edición de <em><strong>Nature Genetics</strong></em>.</p> <p>Considerado uno de los tumores más malignos, con una tasa de supervivencia a los cinco años inferior al 45%, a juicio del autor principal del estudio, Kari Stefansson, los resultados son importantes ya que este tumor suele detectarse tarde pues en sus inicios se comporta de manera silente.</p> <p>Si somos capaces de encontrar a aquellas mujeres con un riesgo elevado de sufrir este trastorno, podremos hacer una gran contribución, subrayó.</p> <p>La existencia de antecedentes familiares con este trastorno es un fuerte factor de riesgo para desarrollarlo, tanto es así que una mujer con una pariente en primer grado que haya padecido este tumor, tiene de tres a cuatro veces más probabilidades de padecerlo, destacó el especialista en su artículo.</p> <p>También podría ser un indicador de riesgo la existencia de mutaciones genéticas, como ocurre en otros tumores.</p> <p>Por ejemplo se sabe que las mujeres que portan alteraciones en los genes BRCA1 O BRCA2 tienen más posibilidad de tener cáncer de mama, explicó.</p> <p>El descubrimiento contribuirá en el futuro al desarrollo de test de diagnóstico genético y predecir con tiempo qué mujeres pueden presentar un tumor de este tipo y reducir así la tasa de mortalidad tan elevada en esta enfermedad, subrayó Stefansson.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=352865&Itemid=1" target="_blank">octubre 32011 (PL) </a></p> </span>
2011-10-04T05:55:28-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/181
Medicamentos: Científicos prueban con éxito droga radiactiva contra tumor de próstata
2011-10-02T23:38:38-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un medicamento que introduce partículas radiactivas en el tumor de próstata tuvo resultados exitosos en experimentos preliminares, anunciaron científicos británicos.</p> <p>El fármaco llamado Alpharadin TM ataca las células cancerígenas sin dañar el tejido circundante, comprobaron los científicos en un ensayo con 922 pacientes, con la enfermedad en estado avanzado, indicaron expertos del Hospital Royal Mardsen de Londres.</p> <p>Los enfermos tratados con ese medicamento sobrevivieron un promedio de 14 meses en comparación con quienes recibieron un placebo, que lo hicieron un período de 11 meses tras el diagnóstico.</p> <p>La terapia con Alpharadin TM consiste en la introducción de partículas radiactivas alfa en el tumor. Estas resultan mucho más efectivas que las beta en el tratamiento de ese tipo de cáncer.</p> <p>Dichas moléculas tienen núcleos ionizados de helio, más potentes que los de la radiación beta, una descarga de electrones o los rayos gamma.</p> <p>Durante mucho tiempo, la radioterapia se ha empleado contra distintos tipos de cáncer porque actúa dañando el código genético de las células.</p> <p>Pero lo novedoso de este estudio es que las partículas radiactivas lograron atacar de forma efectiva el cáncer sin dañar las células sanas, además de necesitarse menos tiros en comparación con las partículas beta.</p> <p>Los pacientes que intervinieron en el estudio tenían metástasis ósea, una etapa en la que los tratamientos carecen de impacto en la supervivencia.</p> <p>Estas personas fueron seleccionadas porque la fuente de la radiación, el Cloruro del Radio- 223 se fija al hueso como el calcio.</p> <p>Entre quienes recibieron ese tipo de medicamentos la tasa de supervivencia resultó un 30% más elevada.</p> <p>Por los resultados, los oncólogos decidieron aplicar el procedimiento a otros pacientes con cáncer de próstata avanzado.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=332535&Itemid=1" target="_blank">septiembre 27/2011 (PL) </a></p> </span>
2011-10-02T23:38:38-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/180
Factores de riesgo cardiovascular: Un mismo proceso biológico está detras de la propensión al cáncer y la diabetes
2011-09-30T17:29:34-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Contrariamente a lo que se creía, el cáncer y la diabetes parecen tener un vínculo biológico. Según un informe publicado en la revista <em>Cell,</em> un proceso que inicialmente llamó la atención por su relación con las células madre embrionarias y el cáncer, también influye en las probabilidades de que los ratones desarrollen o se resistan a la diabetes.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los ratones con altos niveles de proteínas promotoras del cáncer Lin28a o Lin28b se vuelven más sensibles a la insulina y menos propensos a la diabetes cuando se encuentran sometidos a una dieta alta en grasas, según este estudio.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>"Esto pone de manifiesto la coincidencia biológica de estos trastornos", afirma el doctor George Daley del Harvard Medical School, en Estados Unidos. "Puede que el mismo tipo de cambios metabólicos que permiten crecer a las células cancerosas también estén relacionados con el metabolismo de la glucosa. De hecho, hemos observado indicios de tal conexión, aunque aún no conocemos el mecanismo exacto", añade Daley. Los estudios han demostrado que las células cancerosas de un tumor son capaces de crecer con mayor rapidez al cambiar la forma en que usan la glucosa.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El equipo de Daley, que incluye a dos de los autores principales, Hau Zhu y Ng Shyh-Chang, ya había observado anteriormente que una forma inmadura de microARN (pequeños trozos de ARN), conocida como let-7, abunda en las células madre; según explica Zhu, "esto es lo que permite a las células madre ser células madre". Let-7 también es importante en la prevención del cáncer, explica Zhu, aunque su actividad es bloqueada por la proteína Lin28, que promueve el cáncer. Lin28, por otro lado, también se conoce como un ingrediente que puede ayudar a convertir células de la piel en células madre embrionarias.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según Zhu, "los ratones con demasiada Lin28 alcanzan un gran tamaño. Son ratones gigantes que absorben la glucosa con mucha eficiencia". El nuevo estudio muestra que los ratones transgénicos con Lin28 son resistentes a la diabetes y la obesidad, sin embargo, los ratones que carecían de Lin28a, o con un aumento de let-7, se volvían resistentes a la insulina e intolerantes a la glucosa.</div> <a href="http://www.cell.com/abstract/S0092-8674%2811%2901003-8" target="_blank">Cell (2011); doi: 10.1016/j.cell.2011.08.033 </a>
2011-09-30T17:29:34-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/179
Cardiopatía Isquémica: Sutiles indicios de daño cardiaco advierten de riesgo de muerte
2011-09-30T17:08:23-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Investigadores de la Universidad de Michigan descubrieron señales sutiles de daño cardiaco en electrocardiogramas, que podrían ayudar a identificar con anticipación a los pacientes con riesgo de morir pronto.</p> <p>Los resultados de un estudio, que se publican en la revista <a href="http://stm.sciencemag.org/content/3/102/102ra95.full?sid=e282f8b4-c2c6-4408-88ed-95fdaafededf" target="_blank"><em><strong>Science Traslational Medicine</strong></em></a> (DOI:10.1126/scitranslmed.3002557 ), otorgan nuevos elementos a los médicos para detectar este riesgo y otorgar un tratamiento anticipado a sus pacientes cardiacos con el que pueden salvarles la vida.</p> <p>En Estados Unidos cerca de un millón de personas registran ataques cardiacos cada año, y en ciertos grupos de edad más de uno de cada cuatro individuos que sobreviven al ataque inicial mueren por complicaciones dentro de un año, según la Asociación Cardiaca Estadunidense.</p> <p>En el estudio, participaron especialistas del Instituto Tecnológico de Massachussets, la Escuela de Medicina de Harvard y el Hospital Brigham and Womens de Boston.</p> <p>Los investigadores usaron técnicas de exploración de datos para analizar los Ecos continuos de 24 horas de cuatro mil 557 pacientes que habían sufrido ataques cardiacos.</p> <p>Además, determinaron que algunas señales registradas en los electrocardiogramas de muchos pacientes que murieron por causas cardiovasculares, contenían patrones erráticos similares que hasta ahora se habían desechado como ruido o no se detectaban.</p> <p>"En el ruido hay información oculta, y es casi invisible debido al enorme volumen de datos", dijo Cesan Syed, profesor de la UM y autor principal del estudio.</p> <p>Indicó que "usando avanzadas técnicas de computación podemos separar lo que es realmente ruido de lo que es, en realidad, un comportamiento anormal que nos indica cuán inestable es el corazón".</p> <p>Los médicos recetan en la actualidad tratamientos más agresivos después de un ataque cardiaco sobre la base de factores como la salud general del paciente, su historial médico, resultados de varios análisis de sangre y un ecocardiograma.</p> <p>El ecocardiograma es un examen diferente al electrocardiograma, que se basa en el ultrasonido para obtener una imagen del corazón y medir cuánta sangre bombea en cada palpitación.</p> <p>"Los métodos actuales que determinan cuáles víctimas de ataques cardiacos necesitan los tratamientos más agresivos pueden identificar los grupos de pacientes con alto riesgo de complicaciones, pero no aciertan en más del 70 % de las muertes", apuntó el especialista.</p> <p>Benjamín Scirica, cardiólogo del Hospital Brigham and Women s que también participó en el estudio, consideró que la medición actual es burda y no logra identificar un buen número de pacientes que tienen los corazones más enfermos.</p> <p>Durante los meses siguientes a un ataque cardiaco los pacientes son vulnerables a la muerte repentina debido a irregularidades en el ritmo del corazón, lo que puede evitarse con medicamentos o defibriladores implantados que administran descargas eléctricas.</p> <p>"Actualmente es difícil determinar quién necesita esos medicamentos o el defibrilador antes de que sea demasiado tarde", precisó.</p> <p>El electrocardiograma, una de las herramientas más antiguas en cardiología, mantiene una vigilia junto al paciente de ataque cardiaco internado en el hospital, pero para los médicos es complicado determinar predictores de resultado más importantes en sus grabaciones.</p> <p>Los médicos, observan estos datos en "instantáneas" que duran unos pocos segundos, debido a la imposibilidad para estudiar los datos recolectados en 72 horas de electrocardiograma, es por eso que se enfocan en pequeñas porciones.</p> <p>Syed y sus colegas desarrollaron nuevas formas para examinar los datos y encontrar anormalidades, llamadas 'biomarcadores computacionales', que señalan defectos en el músculo cardiaco y el sistema nervioso y que evolucionan con el tiempo.</p> <p>Esos biomarcadores son: la "variabilidad morfológica", que es el grado de variación sutil en la forma de los latidos del corazón aparentemente normales a lo largo de periodos prolongados.</p> <p>Así como los "motivos del ritmo cardiaco", que son secuencias específicas de cambio del ritmo cardiaco, y reflejan si el corazón responde como debe a las señales del sistema nervioso.</p> <p>El tercer biomarcador es el "desajuste simbólico", que mide la diferencia de la señal del electrocardiograma de largo plazo de un paciente comparada con la de otros pacientes con historiales clínicos similares.</p> <p>Los investigadores usaron las señales para comprobar quiénes estaban vivos un año después del ataque cardiaco y encontraron que las personas con al menos una de las anormalidades tenían de dos a tres veces más probabilidades de morir dentro de los 12 meses.</p> <p>Al agregar las tres técnicas a las actuales herramientas de evaluación que emplean los médicos, se logró predecir 50 por ciento más muertes con menos positivos falsos.</p> <p>"Esto representa decenas de miles de pacientes para los cuales los médicos podrían recetar un tratamiento preventivo eficaz sobre la base de una evaluación más individualizada de su riesgo de complicaciones", agregó Syed.</p> <p>Las nuevas técnicas usan datos que ya se recolectan de manera rutinaria durante las visitas al hospital, de tal forma que su puesta en práctica no aumentará los costos ni representa una carga adicional para los pacientes o quienes cuidan de su salud.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=339375&Itemid=1" target="_blank"><strong>Septiembre 28/2011 Chicago, (Notimex).- </strong></a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Zeeshan Syed, Collin M. Stultz, Benjamin M. Scirica, John V. Guttag.<em><strong>Computationally Generated Cardiac Biomarkers for Risk Stratification After Acute Coronary Syndrome</strong></em>. Publicado en <em>Science Translational.</em>3:102ra95. Septiembre 28/2011</p> </span>
2011-09-30T17:08:23-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/178
Cardiopatía Isquémica: La rehabilitación cardiaca aumenta la supervivencia
2011-09-29T21:25:04-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img title="ejercicios_y_salud3_168" src="http://www.revfinlay.sld.cu/public/site/images/mikhail/ejercicios_y_salud3_168.jpg" alt="ejercicios_y_salud3_168" width="166" height="168" />Las personas que sufren de enfermedad cardiaca y participan en rehabilitación cardiaca pueden mejorar la capacidad del corazón para volver a una tasa normal tras el ejercicio, sugiere un estudio reciente.</p> <p>Investigadores de la Clínica Cleveland anotaron que los pacientes con una recuperación normal de la tasa cardiaca viven más que aquellos cuyos corazones siguen acelerados durante más tiempo.</p> <p>"Ninguna medicina puede hacerlo", señaló la autora del estudio, la Dra. Leslie Cho, directora del Centro Cardiovascular de las Mujeres de la Clínica Cleveland en Ohio, en un comunicado de prensa de la American Heart Association.</p> <p>"Sobre todo en términos de mortalidad, si tuviéramos una medicina que pudiera lograr un impacto tan dramático, sería la más vendida del siglo", añadió Cho.</p> <p>Para llevar a cabo el estudio, que aparece en la edición actual de la revista<a href="http://circ.ahajournals.org/content/early/2011/09/25/CIRCULATIONAHA.110.005009.abstract" target="_blank"><em><strong> Circulation</strong></em></a> (doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.110.005009 ): <em>Journal of the American Heart Association</em>, los investigadores examinaron a 1,070 pacientes de varias enfermedades cardiovasculares que se sometieron a rehabilitación cardiaca en la Clínica Cleveland.</p> <p>La rehabilitación cardiaca incluía ejercicio supervisado por médicos, por lo general tres veces a la semana, con un calentamiento de 10 a 15 minutos, 30 a 50 minutos de actividad aeróbica continua, y un enfriamiento de 15 a 20 minutos.</p> <p>La recuperación de la tasa cardiaca de los pacientes, o sea el número de latidos que su tasa cardiaca se reducía en el primer minuto tras el ejercicio, se midió a través de pruebas de esfuerzo de ejercicio antes y después del programa de doce semanas.</p> <p>Al inicio de las 12 semanas de rehabilitación cardiaca, 544 de los estudiados tenían una recuperación anómala de la tasa cardiaca (un conteo de 12 latidos o menos). Sin embargo, al final de programa el estudio halló que 41 por ciento de ellos tenían una recuperación normal de la tasa cardiaca.</p> <p>De los 526 pacientes que comenzaron la rehabilitación cardiaca con una recuperación normal de la tasa cardiaca, 89 por ciento la mantuvieron tras el programa de 12 semanas.</p> <p>Los investigadores añadieron que el riesgo de muerte en un plazo de ocho años aumentaba en más del doble entre los participantes con una recuperación anómala de la tasa cardiaca tras la rehabilitación cardiaca, incluso tras tomar en cuenta otros factores de riesgo (como los antecedentes de tabaquismo).</p> <p>"La rehabilitación cardiaca es el tratamiento menos aprovechado de EE. UU.", señaló Cho. "No hay suficientes médicos que lo recomienden a los pacientes. Incluso cuando se hace una recomendación, no se informa a los pacientes que la rehabilitación cardiaca puede ayudarles a vivir más".</p> <p>Los autores del estudio señalaron que los pacientes que no mejoraron la recuperación de la tasa cardiaca tendían a ser mayores, con antecedentes de diabetes y enfermedad cardiaca. Añadieron que se necesita más investigación para explorar si 12 semanas adicionales de rehabilitación cardiaca pueden mejorar o no la recuperación de la tasa cardiaca de los pacientes aún más.<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_116923.html" target="_blank"><strong>Septiembre 27/2011(Medlineplus)</strong></a></p> <p>Nota: Los lectores del dominio *sld.cu tienen acceso al artículo a texto completo a través de Hinari.</p> <p>Michael A. Jolly, Danielle M. Brennan, Leslie Cho.<em><strong>Impact of Exercise on Heart Rate Recovery. </strong></em>Publicado en <em>Circulation</em>. Septiembre 26/2011</p> </span>
2011-09-29T21:25:04-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/177
Cáncer: El cáncer de pulmón aumentaría el riesgo de accidente cerebral
2011-09-27T06:36:39-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las personas diagnosticadas con cáncer de pulmón corren mayor riesgo de padecer un accidente cerebrovascular (ACV) que aquellas sin tumores pulmonares, según reveló un estudio taiwanés.</p> <p>Investigadores de la Universidad Médica de China observaron datos de más de 150 000 adultos y hallaron que entre aquellos con cáncer pulmonar, 26 de cada 1000 experimentaban un ACV al año, comparado con 17 de cada 1000 personas sin cáncer.</p> <p>El estudio no tuvo en cuenta cuestiones de estilo de vida que influirían en el riesgo de ACV -como el tabaquismo, el consumo de alcohol y el tipo de alimentación-, dijo Fung-Chang Sung, autor del estudio, publicado en la revista <em><strong>Stroke</strong></em> (doi:10.1161/STROKEAHA.111.615534).</p> <p>El mayor riesgo de ACV se registró durante los primeros tres meses posteriores al diagnóstico del cáncer pulmonar en los hombres y en los primeros cuatro a seis meses en las mujeres.</p> <p>"El cáncer de pulmón está asociado con un mayor riesgo de ACV subsiguiente dentro del año posterior al diagnóstico en los hombres y los dos años siguientes en las mujeres", escribieron Sung y colegas, quienes añadieron que el peligro disminuía luego de ese lapso de tiempo.</p> <p>Los expertos también hallaron que en los pacientes con cáncer pulmonar se daba con mayor frecuencia el tipo menos común de ACV -el hemorrágico, que es causado por un sangrado repentino en el cerebro- que el isquémico, que surge cuando un coágulo obstruye el flujo sanguíneo al tejido cerebral.</p> <p>Cierta evidencia sugiere que el sangrado excesivo y los coágulos sanguíneos -ambas cosas que pueden provocar los tumores-, además de los efectos colaterales de la quimioterapia, podrían explicar la aparente relación entre el cáncer y el ACV, indicaron los investigadores</p> <p>"El tipo más común de cáncer pulmonar, el adenocarcinoma, aumenta la propensión del cuerpo a formar coágulos sanguíneos, incluso más que otras formas de cáncer", señaló Andrew Russman, especialista en ACV del Hospital Henry Ford en Detroit, que no participó del estudio.</p> <p>Para la investigación se tomó información de una base de datos nacional sobre más de 52 000 pacientes con cáncer de pulmón y más de 104 000 personas sin ese cáncer.</p> <p>La mayoría de la población del estudio eran trabajadores como agricultores, pescadores y vendedores, que solían tener hipertensión arterial, diabetes mellitus y enfermedad cardíaca.</p> <p>"Hay una mayor tasa de hipertensión arterial, diabetes mellitus y enfermedad pulmonar en los pacientes con cáncer de pulmón", dijo Russman. "Creo que esto refleja una carga pesada de tabaquismo y factores de riesgo relacionados con el tabaco en la población", añadió.</p> <p>Según la Asociación Pulmonar Estadounidense, el tabaquismo es responsable directo de aproximadamente el 90% de las muertes por cáncer de pulmón, mientras que la Asociación Estadounidense del Corazón indicó en un informe que los ACV representaron en el 2007 una de cada 18 muertes en el país.</p> <p>"En Estados Unidos, los fumadores corren el doble de riesgo de ACV, más allá del cáncer de pulmón", dijo Russman.<br /> <a href="http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/spanish/news/fullstory_116775.html" target="_blank">septiembre 25/2011 (MedlinePlus) </a></p> <p>Pei-Chun Chen, Chih-Hsin Muo, Yuan-Teh Lee, Yang-Hao Yu, Fung-Chang Sung. <a href="http://stroke.ahajournals.org/content/early/2011/09/08/STROKEAHA.111.615534.abstract?sid=cba8ab23-59c3-4252-83e1-756952cbb728" target="_blank"><em><strong>Lung Cancer and Incidence of Stroke: A Population-Based Cohort Study</strong></em></a>. <em>Stroke</em>; publicado septiembre 2011.</p> </span>
2011-09-27T06:36:39-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/176
Eventos de enfermedades crónicas: 29 de septiembre, Día Mundial del Corazón
2011-09-26T17:02:19-04:00
Revista Finlay
Auspiciado por la <a href="http://www.worldheartday.org/" target="_blank">World Heart Federation</a>, el Día Mundial del Corazón en nuestro país se celebra desde el año 2000, con diferentes actividades de participación. Estas forman parte de un plan global auspiciado por la Organización de las Naciones Unidas y la Organización Mundial de la Salud, que luchan contra las enfermedades crónicas no transmisibles, y por el control de su elevada incidencia.<br /> Las enfermedades cardiovasculares, como el infarto de miocardio y el accidente cerebrovascular, son las más mortíferas del mundo, no en vano cobran 17,1 millones de vidas al año. Con las actividades organizadas por este día, se intenta que el gran público conozca mejor los métodos para reducir al mínimo los factores de riesgo; por ejemplo, mantener el peso corporal controlado y hacer ejercicios físicos regularmente. El sitio web cubano de <a href="http://www.sld.cu/sitios/cardiologia" target="_self">Cardiología</a> de nuestro portal, brinda toda la información sobre las <a href="http://www.sld.cu/galerias/doc/sitios/cardiologia/dia_del_corazon_actividades_2011.doc">actividades</a> que se desarrollarán en Cuba por este día.
2011-09-26T17:02:19-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/175
Eventos de enfermedades crónicas: Reunión de alto nivel 2011. Prevención y control de las enfermedades no trasmisibles
2011-09-21T06:17:12-04:00
Revista Finlay
Los días 19 y 20 de septiembre se realizó la reunión de alto nivel de la Asamblea General de las Naciones Unidas con la participación de Jefes de Estado y de Gobierno para tratar el tema de la prevención y el control de las enfermedades no trasmisibles. Este encuentro brindó una oportunidad única para que la comunidad internacional actúe contra la epidemia, salve millones de vidas y fortalezca las iniciativas de desarrollo.<br /> Las cuatro principales enfermedades no transmisibles ?enfermedades cardiovasculares, cáncer, enfermedades pulmonares crónicas y diabetes? matan a tres de cada cinco personas en el mundo, y causan un gran daño socioeconómico a los países, en especial a los países en desarrollo.<br /> La Asamblea General adoptó por consenso la resolución titulada, <em>«</em><a href="http://www.un.org/es/comun/docs/?symbol=A/66/L.1" target="_blank"><em>Declaración Política de la Reunión de Alto Nivel de la Asamblea General sobre la Prevención y el Control de las Enfermedades No Transmisibles</em></a><em>»</em>
2011-09-21T06:17:12-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/174
Prevención de las enfermedades crónicas: El entrenamiento muscular podría beneficiar a los pacientes de insuficiencia cardiaca crónica
2011-09-20T11:54:59-04:00
Revista Finlay
<p><img title="actividad_fisica_116" src="/public/site/images/mikhail/actividad_fisica_116.jpg" alt="actividad_fisica_116" width="97" height="116" />Este tipo de ejercicio aislado también puede fomentar el flujo de oxígeno y mejorar la calidad de vida de los pacientes, según un informe que aparece en la edición en línea del 13 de septiembre y en la edición impresa del 20 de septiembre de la revista <em>Journal of the American College of Cardiology</em>.</p> <p>Para llevar a cabo el estudio, investigadores de Italia y EE. UU. administraron a doce hombres un programa de ocho semana de ejercicios aislados de los músculos pequeños (extensiones de la rodilla) y de todo el cuerpo (ciclismo). Seis de los hombres sufrían de insuficiencia cardiaca crónica, y los demás no.</p> <p>Los investigadores examinaron la estructura muscular, el transporte de oxígeno y el metabolismo de los hombres tanto antes como después de completar el programa, y compararon los hallazgos de los que sufrían de insuficiencia cardiaca crónica con los de aquellos que no padecían la afección.</p> <p>Tras el programa inicial, los hombres con insuficiencia cardiaca completaron otro régimen de ejercicio de los músculos pequeños de ocho semanas, para que los investigadores pudieran comparar si sus resultados habían cambiado.</p> <p>El estudio mostró que el rendimiento cardiaco durante el ejercicio de los músculos pequeños fue similar en todos los participantes antes y después de las ocho semanas de entrenamiento. Sin embargo, hubo un cambio en el transporte del oxígeno.</p> <p>Antes del entrenamiento, la cantidad máxima de oxígeno que llegaba a los músculos de las piernas era significativamente más baja en los hombres con insuficiencia cardiaca crónica. Una vez completaron el programa de ocho semanas, la cantidad de oxígeno que llegaba a los músculos de sus piernas aumentó en aproximadamente 54 por ciento, al mismo nivel que los hombres sin la afección, informaron los autores del estudio.</p> <p>El consumo de oxígeno de las piernas de los hombres con insuficiencia cardiaca también era significativamente más elevado que el de los otros hombres, aumentando en alrededor de 53 por ciento tras el entrenamiento. Los investigadores lo atribuyeron a una mejor distribución de la circulación sanguínea.</p> <p>El Dr. Fabio Esposito, autor líder del estudio de la Universidad de Milano, señaló en un comunicado de prensa del Colegio Americano de Cardiología (American College of Cardiology) que los resultados del estudio "indican que los músculos esqueléticos de los pacientes de insuficiencia cardiaca crónica siguen teniendo el potencial de adaptarse de la forma esperada, si reciben los estímulos adecuados".</p> <p>Los hallazgos podrían ayudar a los profesionales médicos a desarrollar mejores estrategias de tratamiento y rehabilitación para los pacientes de insuficiencia cardiaca crónica, concluyó el equipo.</p> <br /><em>Artículo por HealthDay, traducido por Hispanicare</em> FUENTE: American College of Cardiology, news release, Sept. 12, 201
2011-09-20T11:54:59-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/173
Diabetes Mellitus: Un simposio de Roche sobre diabetes aborda los beneficios de las terapias estructuradas
2011-09-15T19:10:21-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El simposio ‘Focus Diabetes: Patients. Perspectives. Progress’, organizado por Roche Diabetes Care en el marco del reciente congreso de la Asociación Europea para el Estudio de la Diabetes, ha puesto en común las consideraciones de diversos expertos en torno a los estudios STeP y DECIDE.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los resultados del estudio STeP han demostrado que la automedición estructurada de la glucemia (AMG), la visualización de datos y el análisis de patrones, con los consiguientes ajustes en el tratamiento, puede reducir significativamente los valores de HbA1c, mejorar el control de la glucemia y proporcionar más calidad de vida a los pacientes.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según la Dra. Ildikó Amann-Zalán, jefe de Asuntos Médicos de la EMEA/LatAm, de Roche Diabetes Care, “la medición estructurada también puede tener un efecto positivo en biomarcadores cardiovasculares como el hs-CRP o el NT-proBNP, indicando una reducción potencial del riesgo cardiovascular de los pacientes que la realizan”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Asimismo, el estudio DECIDE, que contó con la colaboración de 288 profesionales de la salud, demostró que usando una herramienta automática de decisión basada en la medición estructurada junto con una formación adecuada, los participantes eran capaces de evaluar las complicaciones glicémicas de forma más efectiva y tomar las medidas terapéuticas oportunas.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Roche Diabetes Care es pionera en el desarrollo de sistemas de determinación de la glucemia y líder mundial en sistemas y servicios de control de la diabetes. La marca Accu-Chek lleva 35 años ayudando a las personas con diabetes y a los profesionales de la salud a tratar de manera óptima a sus pacientes con esta enfermedad.</div>
2011-09-15T19:10:21-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/172
Factores de riesgo: Descartan que la menopausia sea, por sí misma, un factor de riesgo cardiovascular
2011-09-09T06:53:47-04:00
Revista Finlay
<p>No hay relación entre la menopausia y un mayor riesgo de muerte por enfermedad cardíaca, según un estudio que publica la revista <em>British Medical Journal (BMJ)</em> y, cuyos resultados desafían la antigua creencia médica de que la tasa de muerte cardiovascular aumentan en las mujeres después de la menopausia. <br /> <br /> Lo que explica el creciente número de muertes entre las mujeres mayores es sólo el envejecimiento, no el impacto hormonal de la menopausia, según investigadores de la Johns Hopkins University School of Medicine (Estados Unidos). Los nuevos hallazgos podrían afectar a la forma como se evalúa la salud cardíaca en las mujeres premenopáusicas, en quienes antes se consideraba que había poco riesgo de muerte por un ataque cardíaco, apuntaron los autores del estudio. <br /> <br /> "Nuestros datos muestran que no hay un cambio hacia unas mayores tasas de muerte cardíaca tras la menopausia", aseguró el autor principal del estudio, Dhananjay Vaidya. "Lo que creemos que sucede es que las células del corazón y las arterias envejecen igual que todos los demás tejidos del cuerpo, y por eso vemos cada vez más ataques cardíacos. El envejecimiento en sí es una explicación adecuada, y la llegada de la menopausia, con su impacto de alteración hormonal no parece tener nada que ver", añadió Vaidya. <br /> <br /> En el estudio, los investigadores analizaron las estadísticas de mortalidad de personas nacidas en Inglaterra, Gales y Estados Unidos entre 1916 y 1945. Entre las mujeres, los aumentos en las tasas de muerte en el momento de la menopausia no sobrepasaban la curva constante asociada con el envejecimiento. "Se debe prestar especial atención a la salud cardíaca de las mujeres debido a su riesgo general de por vida", concluyó Vaidya, "no solo después de la menopausia".</p> <br /><a href="http://www.bmj.com/content/343/bmj.d5170" target="_blank">British Medical Journal 2011;343:d5170 </a>
2011-09-09T06:53:47-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/171
Factores de riesgo cardiovascular: Un índice elevado de homocisteína aumenta el riesgo de ictus en personas obesas
2011-09-06T17:58:05-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los pacientes que presentan altas concentraciones del aminoácido homocisteína en sangre y un índice de masa corporal elevado tienen más riesgo de sufrir un ictus criptogénico o de causa desconocida, según una investigación del Centro de Investigación Biomédica en Red-Fisiopatología de la Obesidad y la Nutrición (CIBERobn).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"La importancia de la hiperhomocisteinemia como factor de riesgo de ictus criptogénico es especialmente relevante en las personas obesas, ya que el casi el 40% de los obesos que sufrieron ictus criptogénico presentaron hiperhomocisteinemia, frente al 0% de los pacientes con sobrepeso que no lo padecieron", apunta la coordinadora de la investigación, la doctora Dolores Corella, quien ha liderado el estudio en colaboración con la doctora Amparo Vayá del Hospital la Fe de Valencia.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La hiperhomocisteinemia es, junto con la obesidad, uno de los factores de riesgo más importantes de ictus criptogénico en adultos jóvenes. Así quedó patente en los resultados extraídos de la investigación, que puso de manifiesto que la media de edad de los casos fue de 42 años.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Además del ictus criptogénico, existen otros tipos cuyas causas están más claras (hipertensión, placas de ateroma). Uno de los motivos más frecuentes es la acumulación de grasa en las arterias, de ahí que la obesidad sea un factor de riesgo junto con la hipertensión arterial, la diabetes o el colesterol.</div>
2011-09-06T17:58:05-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/170
Factores de riesgo cardiovascular: La obesidad cuesta anualmente a los estados miles de millones en gastos médicos en los EE.UU
2011-09-01T16:02:12-04:00
Revista Finlay
<img title="obesity09231_180" src="http://www.revfinlay.sld.cu/public/site/images/mikhail/obesity09231_180.jpg" alt="obesity09231_180" width="180" height="131" />La obesidad cuesta a los estados hasta quince mil millones de dólares cada año, sugiere un estudio reciente. <p>En nueve estados, la obesidad ya da cuenta del diez por ciento o más de los gastos médicos estatales anuales, según investigadores de RTI International, la Universidad de Duke y la Agencia de Investigación y Calidad de la Atención de Salud (AHRQ) de EE. UU.</p> <p>El estudio señaló que los contribuyentes pagan una gran parte de esa factura, ya que la parte estatal de los gastos por la obesidad financiada por Medicare y Medicaid varía entre el 25 por ciento en Virginia y un alarmante 64 por ciento en Rhode Island.</p> <p>"Este estudio muestra que la carga que la obesidad conlleva va más allá de dañar la salud de los individuos e impone una importante carga en todo el sistema de atención de salud", lamentó en un comunicado de prensa la Dra. Carolyn M. Clancy, directora de la AHRQ. "Reducir la prevalencia de obesidad y sus complicaciones es una importante prioridad para el país y requiere una atención enfocada y constante".</p> <p>El estudio, que es una actualización por estado de los estimados de 2004, reveló que para 2009 California tiene los costos totales estimados más altos relacionados con la obesidad, con 15.2 mil millones de dólares a nivel estatal, y gastos de Medicare relacionados con la obesidad de 3.4 mil millones. Por otro lado, Nueva York tiene los gastos estimados de Medicaid relacionados con la obesidad más altos por año, con 4 mil millones.</p> <p>En general, el estudio halló que Wyoming tiene los costos estimados atribuidos a la obesidad más bajos, con unos gastos totales a nivel estatal de 203 mil millones.</p> <p>El estudio también anotó que los estimados médicos anuales totales relacionados con la obesidad son diez por ciento o superiores en Alabama, Alaska, Indiana, Luisiana, Michigan, Mississippi, Ohio, Carolina del Sur y Tennessee.</p> <p>En comparación, los investigadores hallaron que Colorado y Hawái tienen el porcentaje más bajo de estimados médicos anuales relacionados con la obesidad, con alrededor de siete por ciento cada uno.</p> <p>Los autores del estudio concluyeron que la obesidad da cuenta de una parte significativa (y prevenible) de la factura médica del país.</p> <p>"Esta evidencia indica claramente que la obesidad impone altos costos médicos anuales totales y del sector público a los presupuestos estatales", afirmó en un comunicado de prensa el autor del estudio y economista de la salud de RTI Justin Trogdon. "Los altos costos enfatizan la necesidad de prevenir y controlar la obesidad como una forma de manejar esos costos".</p> <br /><em>Artículo por HealthDay, traducido por Hispanicare</em> <p>FUENTE: RTI International, news release, Aug. 18, 2011.</p> <div>HealthDay</div>
2011-09-01T16:02:12-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/169
Cardiopatía Isquémica: El 44% de los pacientes con cardiopatía isquémica presentan una frecuencia cardíaca demasiado elevada
2011-08-31T06:04:26-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p><img title="corazondentro_20071220_280_255" src="http://www.revfinlay.sld.cu/public/site/images/mikhail/corazondentro_20071220_280_255.jpg" alt="corazondentro_20071220_280_255" width="254" height="200" />El registro Clarify, el mayor cómputo internacional de pacientes ambulatorios con enfermedad coronaria, muestra que, a pesar del amplio uso de betabloqueantes, la frecuencia cardíaca en reposo del 44% de estos pacientes excede de los 70 latidos por minuto, una frecuencia vinculada con un mayor riesgo de ataque cardíaco. Los resultados de Clarify, elaborados a partir de datos de más de 30.000 pacientes de 45 países, han sido presentados en el congreso de la Sociedad Europea de Cardiología, que se celebra estos días en París.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Clarify (acrónimo en inglés de Registro Prospectivo Observacional Longitudinal de Pacientes con Enfermedad Arterial Coronaria Estable) fue diseñado para valorar papel que desempeña la frecuencia cardíaca en el pronóstico de los pacientes.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">“Sabemos desde hace años que la frecuencia cardíaca es un factor de riesgo potencialmente importante en la enfermedad arterial coronaria. Pero, hasta ahora, había relativamente poca información sobre la frecuencia cardíaca de los pacientes”, señala el profesor Gabriel Steg (Hôpital Bichat, París), coordinador de Clarify. “Estos hallazgos”, prosigue Steg, “sugieren que un mayor control de la frecuencia cardíaca basal con medicaciones que disminuyan dicha frecuencia podría beneficiar a los pacientes con enfermedad arterial coronaria, mejorando el control de síntomas y los resultados clínicos.”</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Más del 90% de los 3.000 pacientes evaluados recibían aspirina y estatinas, mientras que el 75% recibía betabloqueantes, lo que habla de la práctica generalización de los tratamientos de prevención secundaria. “Es reconfortante comprobar que la mayoría de los pacientes con enfermedad arterial coronaria reciben tratamientos de acuerdo con las guías de práctica clínica de manejo de la enfermedad”, celebra Steg. “Los resultados presentados ayer son simplemente el principio, porque Clarify tiene un seguimiento prospectivo a cinco años y cada año recabaremos información relevante”, concluye el coordinador del registro.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La enfermedad arterial coronaria, también conocida como cardiopatía isquémica, es el tipo más frecuente de enfermedad del corazón, y supone la principal causa de muerte en el mundo. Aproximadamente 3,8 millones de hombres y 3,4 millones de mujeres mueren por EAC cada año y se estima que, en 2020, la enfermedad será responsable de un total de 11,1 millones de muertes.</div> <!-- .content --> <div class="inner_content"><!-- .listaRss{position:relative; background:#fafafa; border:1px solid #ccc; padding:5px 5px 0px 15px;font:normal 10px Arial,Helvetica,sans-serif;text-decoration:none;color:#639CCE;margin:0px; height:400px; width:420px !important; width:440px;} .listaRss2{background:#fafafa; border:1px solid #ccc; padding:5px 5px 0px 15px;font:normal 10px Arial,Helvetica,sans-serif;text-decoration:none;color:#639CCE;margin:10px 0;width:440px;} .fondo_blanco{z-index:3; position:absolute; background:#fff; visibility:hidden; filter:alpha(opacity=70);opacity:0.7; height:395px !important; height:387px; width:438px;} .fondo_gris{z-index:4; position:absolute; background:#666; visibility:hidden; filter:alpha(opacity=60);opacity:0.6; height:235px; width:328px !important; width:315px;} .capa_rss{z-index:5; 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Queda prohibida la reproducción, distribución, comunicación pública y utlización, total o parcial, de los contenidos de esta web, en cualquier forma o modalidad, sin previa, expresa y escrita autorización, incluyendo, en particular, su mera reproducción y/o puesta a disposición como resúmenes, reseñas o revistas de prensa con fines comerciales o directa o indirectamente lucrativos, a la que se manifiesta oposición expresa.<br><b>ELSEVIER © '+ Anno() +'</b><br> </td><td width="5%"> </td></tr></table>'); docprint.document.write('</body>'); docprint.document.close(); docprint.focus(); } // ]]></script> <form> <input name="ocultar" type="hidden" value="1" /> </form></div>
2011-08-31T06:04:26-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/168
Prevención de las enfermedades crónicas: El chocolate reduce un tercio el riesgo de enfermedad cardíaca
2011-08-30T05:51:56-04:00
Revista Finlay
<p class="entradilla">Una investigación confirma los resultados de otros estudios que concluían que comer chocolate tiene una influencia positiva debido a sus propiedades antioxidantes y antiinflamatorias.</p> <div class="content"><p><script type="text/javascript">// <![CDATA[// <![CDATA[ var loadingImage = 'http://www.jano.es/jano/lightbox/loading.gif'; var closeButton = 'http://www.jano.es/jano/lightbox/close.gif'; var maxImageWidth = 950; var maxImageHeight = 730; // ]]></script> <script src="http://www.jano.es/jano/lightbox/lightbox.js" type="text/javascript"></script> <script type="text/javascript">// <![CDATA[// <![CDATA[ function init() { document.vars.activa.value="1"; document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='bottom'; num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); if (num_imagenes==1) { document.getElementById('flecha_siguiente').style.display='none'; document.getElementById('flecha_anterior').style.display='none'; } if (num_imagenes==0) { document.getElementById('imagenes').style.display='none'; } } function siguiente () { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); activa = parseInt(document.vars.activa.value,10); if(activa<num_imagenes) { activa++; document.vars.activa.value=activa; mostrar(activa); document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='top'; if (activa==num_imagenes) { document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_siguiente').style.backgroundPosition='bottom'; } } } function anterior () { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); activa = parseInt(document.vars.activa.value,10); if(activa>1) { activa--; document.vars.activa.value=activa; mostrar(activa); document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_siguiente').style.backgroundPosition='top'; if (activa==1) { document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='bottom'; } } } function mostrar (activa) { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); if (document.getElementById) // DOM3 = IE5, NS6 { for (i=1;i<=num_imagenes;i++) { document.getElementById('imagen_'+i).style.display = 'none'; } document.getElementById('imagen_'+activa).style.display = 'block'; } } // ]]></script></p><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;" onclick="siguiente();"> </span></div></div></div> <!-- imagenes --> <script type="text/javascript">// <![CDATA[// <![CDATA[ init(); // ]]></script> <div><div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>El consumo de chocolate pueden estar vinculado a la reducción en un tercio del riesgo de desarrollar enfermedades cardíacas, según una investigación de la Universidad de Cambridge (Reino Unido) publicada en <em>British Medical Journal</em>.</p> <p>El trabajo confirma los resultados de otros estudios que concluían que comer chocolate tiene una influencia positiva en la salud debido a sus propiedades antioxidantes y antiinflamatorias. Esto incluye la reducción de la presión arterial y la mejora la sensibilidad a la insulina. Sin embargo, los autores subrayan que se necesitan nuevos estudios para probar si la causa de esta reducción del riesgo es el chocolate o si se puede deber a otros factores.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El equipo de la Universidad de Cambridge, liderado por Oscar Franco, realizó una revisión a gran escala de las pruebas existentes para evaluar los efectos que tiene comer chocolate sobre eventos cardiovasculares como el ataque cardíaco y el accidente cerebrovascular.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Los investigadores analizaron los resultados de siete estudios que involucraron a más de 100.000 participantes con y sin enfermedad cardíaca existente. En cada estudio, se comparó el grupo con mayor consumo de chocolate frente al grupo con de menor consumo.</p> <p><strong>500 calorías por cada 100 gramos</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En cinco de los estudios, los expertos vieron una relación beneficiosa entre los niveles más altos de consumo de chocolate y el riesgo de eventos cardiovasculares y encontraron que "los niveles más alto de consumo de chocolate se asociaron con una reducción del 37% de riesgo de enfermedad cardiovascular y una reducción del 29% de los accidentes cerebrovasculares en comparación con los niveles más bajos de consumo", explica Franco, quien añade que "no se encontró una reducción significativa en relación con la insuficiencia cardíaca".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los autores advierten de que "los hallazgos deben ser interpretados con cautela porque el chocolate comercialmente disponible es muy calórico (alrededor de 500 calorías por cada 100 gramos) y comer demasiado puede ayudar a ganar peso, aumentar el riesgo de diabetes y enfermedades cardíacas".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Aun así, concluyen que, "teniendo en cuenta los beneficios de comer chocolate, se deben seguir explorando las iniciativas para reducir la grasa y el contenido actual de azúcar en la mayoría de los productos con chocolate".</div></div> <br /><a href="http://www.bmj.com/content/343/bmj.d4488" target="_blank">British Medical Journal (2011); doi: 10.1136/bmj.d4488 </a></div>
2011-08-30T05:51:56-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/167
Cardiopatía Isquémica: El paro cardiaco, frecuente en deportistas jóvenes
2011-08-30T05:07:54-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Un estudio reciente en Francia sugiere que los paros cardiacos en deportistas jóvenes se producen sin previo aviso, a la vez que son frecuentes en deportistas recreacionales adultos.</p> <p>Esta investigación comenzó a raíz de varias muertes súbitas producidas en deportistas como la del jugador de baloncesto Wes Leonard, quien se desplomó en el suelo a principios de este año después de haber anotado un tanto. Los investigadores analizaron 820 casos de deportistas que habían sufrido paro cardiaco desde el 2005 hasta el 2010 en 60 de los 96 distritos franceses.</p> <p>De los 820 paros cardiacos totales, 50 de ellos ocurrieron en deportistas con edades comprendidas entre los 10 y los 35 años, situándose en 10 casos anuales por cada millón de habitantes, cifra más elevada que la media general (cuatro o cinco muertes anuales por millón de personas).</p> <p>"Podemos concluir que los deportistas tienen más posibilidades de morir debido a un fallo cardiaco", señala Kim Harmon, de la Universidad de Washington, en Estados Unidos. Sin embargo, más del 90% de los paros cardiacos ocurrieron mientras practicaban deporte, sobre todo cuando montaban en bicicleta o corrían. En total, 253 personas llegaron con vida al hospital y sobrevivieron 128 de ellas. "La muerte súbita en deportistas es más común de lo que se cree, pero existen pocos estudios al respecto", señalan los investigadores.</p> <p>Teniendo en cuenta que alrededor de 300 000 estadounidenses sufren un paro cardiaco cada año, y la mayoría de ellos mueren, en esta investigación se señala la importancia de una rápida RCP. Además, los médicos debaten sobre si los deportistas de competición deben ser examinados para comprobar si pequeños defectos cardiacos pueden ocasionar un paro cardiaco repentino. Pero tal esfuerzo es muy difícil de planificar en aficionados al atletismo, según apunta Eloi Marijon, del Centro de Investigación Cardiovascular de Paris, en Francia.<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2011/08/26/area-cientifica/especialidades/cardiologia/actualidad/paro-cardiaco-produce-igual-deportistas-jovenes-adultos" target="_blank">agosto 26/08/2011 (Diario Médico)</a></p> </span>
2011-08-30T05:07:54-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/166
Anuncio: Reunión plenaria de alto nivel de la ONU sobre enfermedades no trasmisibles
2011-08-29T15:25:36-04:00
Revista Finlay
<a href="http://new.paho.org/hq/index.php?option=com_content&task=view&id=5267&Itemid=3805&lang=es" target="_blank">Reunión plenaria de alto nivel de la ONU sobre enfermedades no trasmisibles<br /> </a>Reconociendo el enorme sufrimiento humano, impacto socio-económico y creciente carga de las enfermedades no transmisibles (ENT) en todos los paises; las Naciones Unidas celebrará una reunión de alto nivel sobre las ENT los días 19 y 20 de septiembre del 2011.<br /> La Reunión Plenaria de Alto Nivel de la ONU sobre las ENT representa una oportunidad política única para la salud, que sólo ha ocurrido anteriormente una vez con VIH-SIDA en el 2001.<br /> Esta cumbre se centrará en el impacto social y económico de las ENT y sus factores de riesgo así como los retos que plantean las ENT en los países en materia de desarrollo, particularmente, en los países en vías de desarrollo. La reunión constará de una sesión plenaria y dos mesas redondas donde participarán tanto los Estados Miembros, como la sociedad civil y el sector privado. Los resultados de estas discusiones servirán para la redacción y adopción de un documento final orientado a la acción. El reto de abordar las ENT exige una respuesta multisectorial y multidisciplinaria, procedente de todos los sectores de la sociedad.
2011-08-29T15:25:36-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/165
Nutrición: Una dieta baja en calorías ayuda a reducir el colesterol
2011-08-28T22:32:31-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><img title="alimentacin_saludable_167" src="http://www.revfinlay.sld.cu/public/site/images/mikhail/alimentacin_saludable_167.jpg" alt="alimentacin_saludable_167" width="167" height="167" />La mayoría de las personas conocen los beneficios de llevar una dieta saludable y un nuevo estudio corrobora estas ventajas, al demostrar que seguir este tipo de alimentación reduce los niveles de colesterol.</p> <p>La investigación, divulgada en el <a href="http://jama.ama-assn.org/content/306/8/831.full" target="_blank"><em><strong>Journal of American Medical Association</strong></em></a> (doi: 10.1001/jama.2011.1202 ), asegura que combinando productos como, proteína de soja, nueces, vegetales y frutas y fitoesteroles se logra disminuir, en seis meses de manera importante, las cifras de colesterol.</p> <p>Para llegar a estas conclusiones, especialistas del Hospital San Michael y de la Universidad de Toronto (Canadá) realizaron un ensayo con 345 personas que padecían hiperlipidemia, los que fueron divididos en dos grupos de control.</p> <p>El primero siguió una dieta baja en grasas saturadas en la que se hacía énfasis en el consumo elevado de cereales, el segundo debía incorporar alimentos que de manera natural reducen los lípidos en sangre.</p> <p>Así se les indicó comer, proteína de soja (tofu), fitoesteroles (como los que contienen algunas margarinas), fibras solubles (vegetales, fruta, cebada) y frutos secos, como las nueces y los cacahuetes (conocida como dieta portafolio) .</p> <p>Al revisar los resultados, observaron significativas diferencias entre unos y otros, con grandes beneficios para los integrantes del segundo grupo.</p> <p>David Jenkins, autor principal del trabajo, señaló que las instituciones dedicadas a la salud cardiovascular hablan de la importancia de seguir una alimentación y estilos de vida adecuados, para disminuir el riesgo de enfermedad coronaria.</p> <p>No obstante, la introducción de las estatinas -modernos fármacos anticolesterol- a finales de 1980, puso en entredicho la relativa eficacia, aseveró.</p> <p>Sin embargo, llevar una dieta portafolio es más eficaz que un simple control de la alimentación durante seis meses a la hora de disminuir el colesterol, concluyeron los investigadores.<br /> <a href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=317553&Itemid=1" target="_blank"><strong>Washington, 24 ago (PL)</strong></a></p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011<strong> "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>David Jenkins. <em><strong>Effect of a Dietary Portfolio of Cholesterol-Lowering Foods Given at 2 Levels of Intensity of Dietary Advice on Serum Lipids in Hyperlipidemia: A Randomized Controlled Trial.</strong></em> Publicado en <em>Journal of American Medical Association</em>;306(8):831-839. Agosto/2011</p> </span>
2011-08-28T22:32:31-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/164
Artículos publicados: Rehabilitados 4 500 niños en cardiocentro cubano
2011-08-27T08:15:08-04:00
Revista Finlay
<p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">El doctor Francisco Carballés, responsable de Docencia e Investigación de esa institución, explicó que anualmente se operan de 300 a 400 pacientes y además realizan unos 300 cateterismos intervencionistas, proceder que ha sustituido el tratamiento quirúrgico de varias cardiopatías. </span></p> <span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> </span><p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">En Cuba existe una Red Cardiopediátrica Nacional, en la cual, además del especialista, se les brinda atención mediante el Médico de la Familia en la comunidad —donde realizan el entrenamiento físico— a los niños cardiópatas congénitos operados, remarcó.</span></p> <span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> </span><p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">Carballés, fundador del cardiocentro William Soler, que ayer arribó a sus 25 años de creado, por iniciativa del Comandante en Jefe Fidel Castro, destacó que el programa ha logrado que los infantes no pierdan años escolares y en breve tiempo se inserten en la sociedad y la escuela. </span></p> <span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> </span><p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">El Programa Nacional de Rehabilitación Cardiovascular también cuenta con dos subprogramas: Mujer con cardiopatía y embarazo, y Cardiopatía congénita y trabajo. En este último, según aclaró el doctor Carballés, los especialistas determinan qué tipo de labor pueden realizar los pacientes operados del corazón.</span></p> <span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> </span><p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">De referencia nacional para el tratamiento y seguimiento de las cardiopatías congénitas y las anomalías cardíacas del niño, el cardiocentro William Soler, en su cuarto de siglo de existencia ha efectuado más de 6 000 cirugías.</span></p> <span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> </span><p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">El doctor Eugenio Selman-Housein Sosa, director del centro, destacó que el 70 % del total de las cirugías se realizan a corazón abierto, porque son cardiopatías complejas.</span></p> <span style="font-family: Arial; font-size: x-small;"> </span><p><span style="font-family: Arial; font-size: x-small;">Ese colectivo, de 415 trabajadores, de ellos 55 médicos y 135 personal de enfermería, tiene el reto de continuar trabajando, desde el punto de vista científico, docente y organizativo, con mayor eficiencia para incrementar la calidad de la atención y satisfacción a pacientes y familiares, concluyó. </span></p>
2011-08-27T08:15:08-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/163
Obesidad: La obesidad no tiene por qué ser sinónimo de enfermedad
2011-08-25T15:53:19-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>Las personas que tienen sobrepeso, si llevan una vida saludable, pueden vivir tanto como las delgadas e incluso son menos propensas a desarrollar problemas cardiovasculares.</p> <p>Así lo afirman investigadores de la Universidad de York, en Canadá, que estudiaron a 6000 americanos obesos en un periodo de 16 años y compararon su riesgo de mortalidad con la de individuos delgados.</p> <p>"Nuestros resultados cuestionan la idea de que todos los obesos necesitan perder peso", afirma Jennifer Kuk, profesora en la escuela de York de Kinesiología y Ciencia de la Salud, autora principal del estudio, publicado en la revista <a href="http://www.nrcresearchpress.com/doi/full/10.1139/h11-058" target="_blank"><strong><em>Applied Physiology, Nutrition and Metabolism</em></strong></a>.</p> <p>Según Kuk, incluso intentar perder peso y fracasar en el empeño puede ser peor que mantener un elevado peso corporal y llevar un estilo de vida sano que incluya una actividad física y una dieta equilibrada con mucha fruta y verdura.</p> <p>El estudio reveló que las personas obesas con pocos o ningún problema físico o psicológico y que tenían un peso mayor al entrar en la edad adulta estaban más conformes con su peso e intentaban con menor frecuencia hacer una dieta durante su vida.</p> <p>Además, eran más propensas a ser físicamente activas y a seguir una dieta sana.</p> <p>Los investigadores utilizaron en su estudio el sistema de clasificación de la obesidad de Edmonton (EOSS en inglés) que, según afirman, es más fiable que el cálculo del índice de Masa Corporal (IMC) basado en el peso y la talla, y que el que mide la circunferencia de la cintura.</p> <p>Este nuevo sistema, desarrollado por la universidad canadiense de Alberta, establece cinco fases de la obesidad, teniendo en cuenta además del IMC y el tamaño de la cintura parámetros clínicos que indican la presencia de enfermedades a menudo agravadas por la obesidad, como la diabetes, la hipertensión y los problemas coronarios.</p> <p>Aunque un índice elevado de IMC se ha asociado con un mayor riesgo de enfermedades relacionadas con la obesidad y de mortalidad, se trata de una medida indirecta que no distingue entre tejido graso y magro.</p> <p>Según Kuk, para saber si deben o no perder peso, las personas deberían ver a un médico que las evalúe de acuerdo con los criterios del EOSS.<br /> Redacción Internacional, agosto 13/2011 (EFE).-</p> <p>Tomado del boletín de selección temática de Prensa Latina: Copyright 2011 <strong>"Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</strong></p> <p>Kuk JL, Ardern CI, Church TS, Sharma AM, Padwal R, Sui X, Blair SN. <em><strong>Edmonton Obesity Staging System: association with weight history and mortality risk</strong></em>.Publicado en <em>Applied Physiology, Nutrition and Metabolism</em>.Agosto 14/2011</p> </span>
2011-08-25T15:53:19-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/162
Prevención de las enfermedades crónicas: Quince minutos de ejercicio al día aumentan en tres años la esperanza de vida
2011-08-17T13:56:15-04:00
Revista Finlay
<p><img title="ejercicios_y_salud3_168" src="/public/site/images/mikhail/ejercicios_y_salud3_168.jpg" alt="ejercicios_y_salud3_168" width="185" height="186" /><span>Las personas que practican ejercicio durante 15 minutos al día -o 92 minutos a la semana- incrementan su esperanza de vida en tres años en comparación con las personas inactivas, según un estudio publicado en <em>The Lancet</em>.</span></p> <p><span>“El ejercicio a niveles muy bajos reduce la mortalidad por cualquier causa en un 14%”, afirma Xifeng Wu. uno de los autores principales del estudio, catedrático de la Universidad de Texas (Estados Unidos), para quien “los beneficios del ejercicio parecen ser significativos, sin llegar a la cantidad recomendada de 150 minutos por semana, basada en resultados de investigaciones previas”.</span></p> <p><span>El equipo de otro de los autores principales, Chi-Pang Wen, profesor de Medicina de los Institutos Nacionales de Investigación en Salud de Taiwán , encontró que el riesgo de muerte por cualquier causa descendió en un 4% por cada 15 minutos más de ejercicio, llegando hasta los 100 minutos de ejercicio al día durante el estudio. Así, la actividad física durante 30 minutos diarios añade unos cuatro años en la esperanza de vida. “Estos beneficios son aplicables a todos los grupos de edad, de ambos sexos y a personas con riesgos de enfermedades cardiovasculares”, señalan los autores.</span></p> <p><span>Según la investigación, si las personas sedentarias en Taiwán hicieran un poco ejercicio diario, una de cada seis muertes podría ser pospuesta. “Sería una reducción estimada de mortalidad similar a la de un programa de control del tabaco con éxito”, aseguran los autores.</span></p> <p><span>En el estudio, que siguió a 416.175 taiwaneses entre 1996 y 2008 durante un promedio de ocho años, los participantes completaron un cuestionario sobre su historial médico y su estilo de vida, así como la actividad física que realizaron por semana durante el mes anterior, recogida por intensidad (baja, moderada o alta) y tiempo.</span></p> <p><span>Asimismo, para tener en cuenta los efectos laborales, los participantes también caracterizaron la actividad física realizada en el entorno de trabajo, que va desde la actividad sedentaria al trabajo físico duro.</span></p> <p><span>Los que realizaban menos de una hora a la semana de actividad física fueron clasificados como inactivos, el 54% de todos los participantes. Otros fueron clasificados en un nivel bajo, medio, alto o muy alto, sobre la base de la duración y la intensidad de su ejercicio. Los investigadores calcularon el riesgo de mortalidad y la esperanza de vida para cada grupo.</span></p> <p><span>Los participantes con bajo volumen de ejercicio tenían menores tasas de mortalidad que las personas inactivas, independientemente de la edad, el riesgo de enfermedad de género, el estado de salud, el consumo de tabaco, consumo de alcohol o enfermedad cardiovascular.</span></p> <p><span>Los investigadores señalan que la Organización Mundial de la Salud (OMS) y los Centros para el Control y Prevención de Enfermedades (CDC) de Estados Unidos recomiendan por lo menos 150 minutos de ejercicio de intensidad moderada por semana. Un tercio de los adultos estadounidenses cumplen con esa pauta, y alrededor del 20% de los adultos en China, Japón o Taiwán.</span></p> <br /><br /><a href="http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2811%2960749-6/abstract" target="_blank">The Lancet 2011;doi:10.1016/S0140-6736(11)60749-6</a>
2011-08-17T13:56:15-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/161
Enfermedades del colágeno: La artritis reumatoide eleva el riesgo de muerte cardiovascular
2011-08-17T13:53:38-04:00
Revista Finlay
<p><span>Los pacientes con artritis reumatoide presentan un mayor riesgo de morir a causa de una enfermedad cardíaca, según un estudio realizado por investigadores de la Umea University (Suecia), publicado en <em>Arthritis Research & Therapy</em>.</span></p> <p><span>Este estudio ha demostrado que el riesgo de desarrollar una enfermedad cardiovascular para las personas con artritis reumatoide se debe a la inflamación relacionada con esta enfermedad, así como a factores de riesgo que afectan a la población general.</span></p> <p><span>El tratamiento de la artritis con fármacos antirreumáticos modificadores de la enfermedad (DMARD) también reduce el riesgo que corren estos pacientes de desarrollar una patología cardíaca.</span></p> <p><span>Los autores siguieron a unas 400 personas con artritis reumatoide desde la fecha del diagnóstico y durante cinco años después. La progresión de la enfermedad fue valorada utilizando marcadores químicos de inflamación y apariencia física. Los regímenes de tratamiento fueron controlados junto a los factores de riesgo para desarrollar una enfermedad cardíaca, entre los que se cuentan el peso, los niveles de colesterol, la presión sanguínea, la diabetes y el tabaquismo.</span></p> <p><span>Cinco años después, el 97% de estos pacientes habían sido tratados con DMARD, que redujeron los marcadores químicos de inflamación y las manifestaciones físicas de su artritis. Los pacientes incluso se cuidaban mejor que al principio, ya que eran menos los que fumaban y muchos habían reducido su índice de masa corporal (IMC) y su presión arterial, debido en parte al tratamiento para la hipertensión.</span></p> <p><span>El análisis de los datos reveló que se podía predecir la aparición de un nuevo evento cardiovascular, como una enfermedad del corazón, un ictus o una trombosis venosa profunda, por la intensidad de su artritis y por la presencia de diabetes, hipertensión y el nivel de triglicéridos. El tratamiento con DMARD redujo el riesgo, pero los inhibidores de COX-2 parece que podían predecir nuevos eventos.</span></p> <p><span>Según explica Wallberg-Jonsson, de la Umea University, “la inflamación asociada a la artritis reumatoide incrementa el riesgo de los pacientes de sufrir una enfermedad cardíaca y otros eventos cardiovasculares”. “Sin embargo, es posible reducir este riesgo a través de dos tipos de intervención, tratando por un lado la inflamación y por otro, los factores de riesgo tradicionales de la enfermedad cardíaca”, concluye.</span></p> <br /><a href="http://arthritis-research.com/content/13/4/R131/abstract" target="_blank">Arthritis Research & Therapy 2011, 13:R131</a>
2011-08-17T13:53:38-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/160
Nutrición: Reducir la ingesta de sal podría salvar millones de vidas
2011-08-16T13:32:06-04:00
Revista Finlay
<p><span>La reducción de la sal en la dieta podría salvar millones de vidas cada año en todo el mundo al disminuirse considerablemente los riesgos de enfermedades cardíacas y los accidentes cardiovasculares, según ha comentado el Prof. Francesco Cappuccio, cuya ponencia en la reunión de alto nivel sobre enfermedades no transmisibles de Naciones Unidas, que se celebrará en septiembre, versará sobre este asunto.</span></p> <p><span>La investigación de Cappuccio, publicada en el <em>British Medical Journal</em>, ha demostrado que una reducción de 3 gramos de sal al día podría evitar hasta 8.000 muertes por ictus y hasta 12.000 muertes por cardiopatía isquémica al año en el Reino Unido.</span></p> <p><span>Una reducción de sal similar en Estados Unidos se traduciría en 120.000 casos menos de cardiopatía isquémica, unos 66.000 ictus menos y 99.000 infartos de miocardio menos cada año. Con ello, también se podrían ahorrar hasta 24.000 millones de dólares anuales en gastos de atención de salud.</span></p> <p><span>La Organización Mundial de la Salud (OMS) ha establecido un objetivo mundial para reducir 5 gramos la ingesta de sal en la dieta por persona para el año 2025. Sin embargo, la ingesta de sal en muchos países es actualmente muy superior a esta cantidad. De hecho, la ingesta diaria promedio en el Reino Unido llega actualmente casi a los 9 gramos. No obstante, según los expertos, la pregunta no es si se debe reducir la ingesta de sal, sino cómo hacerlo de manera efectiva.</span></p> <p><span>El Prof. Cappuccio y los coautores del estudio aseguran que el cambio de comportamiento personal y la elección libre de cada individuo no es una opción efectiva y realista, puesto que la mayoría de la sal se añade a los alimentos antes de su venta y la incorporación comercial de la sal a los alimentos se está convirtiendo en una tendencia global.</span></p> <p><span>Según estos expertos, se hace necesario un enfoque de cuatro vertientes para llevar a cabo una política integral. En primer lugar, habría que establecer campañas de sensibilización pública, así como la posterior evaluación de las mismas. Por otra parte, consideran necesaria una reformulación para establecer objetivos progresivos de reducción de la sal en los alimentos procesados ya existentes y colaborar con la industria de alimentos en el establecimiento de normas para los alimentos nuevos. Otra de las estrategias sería la monitorización del proceso a través de una topografía de la ingesta de sal de la población, así como del progreso de la reformulación y la eficacia de las campañas. Por último, aseguran que sería necesario establecer un compromiso con la industria, que incluyera regulación, para crear igualdad de condiciones a fin de no crear desventajas a las empresas.</span></p> <p><span>Para Cappuccio, “debe ser reconocida la gran responsabilidad de los fabricantes de alimentos en la contribución a disminuir la epidemia de enfermedades cardiovasculares”. “La colaboración del mercado, la industria, la sociedad, los gobiernos y de todos los que se necesitan para desempeñar este proyecto es fundamental. Sin embargo, la negación y la dilación serán costosas en términos de enfermedades evitables y de gastos “, concluye.</span></p>
2011-08-16T13:32:06-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/159
Nutrición: Dietas altas en grasas implicadas en la diabetes tipo 2
2011-08-16T12:48:49-04:00
Revista Finlay
<p class="entradilla"><img title="obesidad_470" src="/public/site/images/mikhail/obesidad_470.jpg" alt="obesidad_470" width="317" height="210" />Un equipo estadounidense ha descubierto una nueva vía para la enfermedad que se activa en las células beta pancreáticas y conduce a defectos metabólicos en otros órganos y tejidos, incluyendo el hígado, los músculos y el tejido adiposo.</p> <div class="content"><p><script type="text/javascript">// <![CDATA[ // <![CDATA[ var loadingImage = 'http://www.jano.es/jano/lightbox/loading.gif'; var closeButton = 'http://www.jano.es/jano/lightbox/close.gif'; var maxImageWidth = 950; var maxImageHeight = 730; // ]]></script> <script src="http://www.jano.es/jano/lightbox/lightbox.js" type="text/javascript"></script> <script type="text/javascript">// <![CDATA[ // <![CDATA[ function init() { document.vars.activa.value="1"; document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='bottom'; num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); if (num_imagenes==1) { document.getElementById('flecha_siguiente').style.display='none'; document.getElementById('flecha_anterior').style.display='none'; } if (num_imagenes==0) { document.getElementById('imagenes').style.display='none'; } } function siguiente () { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); activa = parseInt(document.vars.activa.value,10); if(activa<num_imagenes) { activa++; document.vars.activa.value=activa; mostrar(activa); document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='top'; if (activa==num_imagenes) { document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_siguiente').style.backgroundPosition='bottom'; } } } function anterior () { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); activa = parseInt(document.vars.activa.value,10); if(activa>1) { activa--; document.vars.activa.value=activa; mostrar(activa); document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_siguiente').style.backgroundPosition='top'; if (activa==1) { document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='bottom'; } } } function mostrar (activa) { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); if (document.getElementById) // DOM3 = IE5, NS6 { for (i=1;i<=num_imagenes;i++) { document.getElementById('imagen_'+i).style.display = 'none'; } document.getElementById('imagen_'+activa).style.display = 'block'; } } // ]]></script></p><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;" onclick="siguiente();"> </span></div></div></div> <!-- imagenes --> <script type="text/javascript">// <![CDATA[ // <![CDATA[ init(); // ]]></script> <!--[if gte mso 9]><xml> Normal 0 21 false false false MicrosoftInternetExplorer4 </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><![endif]--><!--[if gte mso 10]> <mce:style><! /* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name:"Tabla normal"; mso-style-parent:""; font-size:10.0pt;"Times New Roman";} --> <!--[endif]--> <p><span>Un nuevo estudio ha revelado una relación entre las dietas altas en grasas y una secuencia de eventos moleculares responsables de la aparición y gravedad de la diabetes tipo 2. Estos hallazgos han sido publicados en <em>Nature Medicine</em>, una investigación dirigida por el Dr. Jamey Marth, director del Center for Nanomedicine.</span></p> <p><span>Tanto en ratones como en seres humanos, el equipo del Dr. Marth ha descubierto una nueva vía para la enfermedad que se activa en las células beta pancreáticas y conduce a defectos metabólicos en otros órganos y tejidos, incluyendo el hígado, los músculos y el tejido adiposo. En conjunto, estos factores favorecen la aparición de diabetes.</span></p> <p><span>“Al principio nos sorprendió saber la gran implicación de las células beta pancreáticas en la aparición y gravedad de la diabetes –explica-. La observación de que el mal funcionamiento de las células beta contribuye significativamente a la aparición de múltiples enfermedades, incluyendo la resistencia a la insulina, fue algo inesperado”.</span></p> <p><span>En personas sanas, las células beta del páncreas controlan el torrente sanguíneo regulando la glucosa, mediante los transportadores de glucosa anclados en sus membranas celulares. Cuando la glucosa en la sangre es alta, como por ejemplo después de una comida, las células beta absorben esta glucosa adicional y responden segregando insulina de una manera controlada. A su vez, la insulina estimula a otras células en el cuerpo para que absorban glucosa, nutriente que necesitan para producir energía.</span></p> <p><span>En la investigación, los altos niveles de grasa interfirieron con dos importantes factores de transcripción, proteínas que activan y desactivan genes. Estos factores de transcripción, FOXA2 y HNF1A, normalmente producen una enzima llamada glicosiltransferasa que modifica las proteínas en la estructura. Cuando los transportadores de glucosa FOXA2 y HNF1A no están funcionando correctamente, la función de la glicosiltransferasa disminuye considerablemente.</span></p> <p><span>Cuando los investigadores alimentaron a los ratones con una dieta alta en grasa, encontraron que las células beta de los animales no podían detectar y responder a la glucosa en sangre. La preservación de la función de la glicosiltransferasa fue capaz de bloquear la aparición de la diabetes, incluso en los animales obesos.</span></p> <p><span>“Ahora que entendemos mejor cómo los estados de una nutrición excesiva pueden conducir a la diabetes tipo 2, podemos saber más claramente cómo intervenir”, expone Marth. El doctor y sus colaboradores se encuentran actualmente considerando varios métodos, principalmente terapia génica y fármacos, para aumentar la actividad de la glicosiltransferasa en los seres humanos, como un medio para prevenir y, posiblemente curar, la diabetes tipo 2.</span></p> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/nm/journal/vaop/ncurrent/abs/nm.2414.html" target="_blank">Nature Medicine 2011; doi:10.1038/nm.2414</a></div>
2011-08-16T12:48:49-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/158
Enfermedades del colágeno: Nuevas claves sobre el origen de la artritis reumatoide
2011-08-16T12:45:48-04:00
Revista Finlay
<p><span><img title="artritis_rematoidea_129" src="/public/site/images/mikhail/artritis_rematoidea_129.jpg" alt="artritis_rematoidea_129" width="129" height="93" />Científicos de la Universidad de Toronto y otros centros de investigación han descubierto nuevas claves sobre las causas de la artritis reumatoide y otros trastornos autoinmunes como la diabetes tipo 1, el lupus y la enfermedad de Graves. Los resultados representan un gran paso inicial en el desarrollo del potencial de la medicina genómica y personalizada.</span></p> <p><span>En el estudio, publicado en <em>Nature Genetics</em>, la Dra. Katherine Siminovitch y su equipo identificaron los medios exactos por los que una alteración en el gen PTPN22 aumenta el riesgo de sufrir artritis reumatoide y otras enfermedades autoinmunes. El estudio utiliza tecnologías genómicas avanzadas que permiten realizar pruebas en millones de marcadores genéticos en un solo experimento para identificar genes que confieren un riesgo para la enfermedad, como el PTPN22.</span></p> <p><span>El equipo generó un modelo genético en ratones para mostrar cómo la mutación del gen PTPN22 deteriora la función inmunológica celular, y posteriormente validó sus resultados en seres humanos. Como resultado obtuvieron una comprensión más exacta sobre cómo se desarrollan las enfermedades autoinmunes, y cómo las nuevas pruebas de diagnóstico y las terapias dirigidas se pueden diseñar para un mejor control de los síntomas y una potencial curación.</span></p> <p><span>“Nuestros hallazgos son particularmente interesantes porque este estudio establece un nuevo precedente para el estudio de la artritis y otras enfermedades autoinmunes”, explica la la Dra. Siminovitch, profesora de la Universidad de Toronto. Añade que “este es uno de los primeros estudios en el que hemos trazado los pasos que conectan una lesión genética específica con el desarrollo de una condición autoinmune, común y compleja”.</span></p> <p><span>El grupo de investigación utilizó ratones genéticamente modificados en los que el gen PTPN22 había sido alterado para simular una mutación genética que se encuentra en muchos pacientes con artritis reumatoide. Se observaron los efectos de este cambio en las células inmunes en los ratones, y los estudios se repitieron en muestras de sangre humana de pacientes con y sin artritis reumatoide. De este modo, el grupo se centró en el impacto de una proteína llamada 'Lyp / Pep' que, en las células sanas, previene las respuestas hiper-inmunes responsables de los trastornos autoinmunes. El grupo observó que la mutación del gen conduce a la disminución de los niveles de Lyp, eliminando así el freno natural que normalmente impide los procesos inflamatorios subyacentes a la artritis reumatoide y a muchos otros trastornos autoinmunes.</span></p> <p><span>“La medición de los niveles de esta proteína nos ayudará a controlar la gravedad de la dolencia en pacientes con enfermedades autoinmunes, probar los efectos de varias terapias (incluyendo nuevos medicamentos), y determinar qué tratamientos funcionan mejor en cada paciente”, afirma el Dr. Edward Keystone, coautor del estudio y director del Centro para la Artritis y las Enfermedades Autoimmunes del Hospital Mount Sinai de Nueva York.</span></p> <p><span>Este especialista destaca la importancia de este tipo de investigación en la práctica de la medicina en general, teniendo en cuenta que los avances en el conocimiento genético están permitiendo diagnósticos más tempranos y tratamientos más personalizados, proporcionando a los pacientes mejores resultados. “Con el uso de las poderosas herramientas genéticas disponibles, las enfermedades, anteriormente crípticas, se diseccionan para identificar sus causas subyacentes”, concluye el Dr. Jim Woodgett, investigador en el Hospital Mount Sinai.</span></p> <br /><a href="http://www.nature.com/ng/journal/vaop/ncurrent/full/ng.904.html" target="_blank">Nature Genetics 2011;doi:10.1038/ng.904</a>
2011-08-16T12:45:48-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/157
Cáncer: Identifican tres mutaciones genéticas asociadas al cáncer de mama
2011-08-12T10:28:45-04:00
Revista Finlay
<img title="0600_cancer_cells_400" src="/public/site/images/mikhail/0600_cancer_cells_400.jpg" alt="0600_cancer_cells_400" width="282" height="226" />Una investigación llevada a cabo en el Instituto de Investigación Sanitaria (IIS) del Hospital Universitario La Fe de Valencia ha permitido identificar tres nuevas mutaciones genéticas consistentes en reestructuraciones de dos genes directamente implicados en el desarrollo del cáncer hereditario de mama y de ovario. <br /> <br /> El estudio analizó a 612 familias con alto riesgo de sufrir cáncer de mama y de ovario pertenecientes al Programa de Consejo Genético en Cáncer de la Comunitad Valenciana e identificó a 15 familias portadoras de grandes reordenamientos genómicos (LGRs) en los genes BRCA1 y BRCA2. <br /> <br /> Tres de las mutaciones detectadas no habían sido descritas hasta el momento y su descubrimiento añade información relevante al actual espectro mutacional de estos dos genes, que están directamente asociados a la probabilidad de desarrollar cualquiera de estos dos tipos de cánceres. <br /> <br /> Estos hallazgos constituyen el núcleo central de la investigación de la Dra. Sarai Palanca que se recoge en su tesis doctoral 'Identificación y estudio de grandes reordenamientos en los genes BRCA1 y BRCA2 en familias con cáncer de mama o cáncer de ovario hereditario'. <br /> <br /> Los portadores de LGRs tienen tanto riesgo de desarrollar cáncer de mama y ovario a edades tempranas como quienes presentan mutaciones puntuales en los genes BRCAs. Además, los portadores de LGRs suelen pertenecer a familias con un fenotipo particular, donde coexisten los dos tipos de cánceres. <br /> <br /> La detección de LGRs en una paciente aconseja la remisión de la familia a las unidades de consejo genético en cáncer en las que se identifica a familiares sanos portadores que pueden beneficiarse de las medidas de vigilancia y acciones preventivas como quimioprevención o cirugía profiláctica, encaminadas a reducir la morbimortalidad del CMOH.
2011-08-12T10:28:45-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/156
Cáncer: Identifican dos subtipos génicos de cáncer de estómago
2011-08-02T21:39:33-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Existen dos variaciones del cáncer de estómago según la composición genética y cada uno responde de manera diferente a la quimioterapia, según ha demostrado un equipo de científicos liderado por investigadores de la Universidad Duke-Nacional, en Singapur. El hallazgo, publicado en <em>Gastroenterology,</em> constituye el primer análisis genómico a gran escala del cáncer gástrico que confirma los dos tipos de tumor.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Nuestro estudio es el primero en demostrar que una propuesta de clasificación molecular del cáncer gástrico puede identificar subtipos genómicos que responden de manera diferente a las terapias, lo cual es crucial en los esfuerzos para personalizar los tratamientos", afirma el doctor Patrick Tan, autor principal del estudio y profesor del Cancer and Stem Cell Biology Program en la Universidad Duke-Nacional.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Se estima que 21.000 personas en Estados Unidos serán diagnosticadas con cáncer de estómago durante este año y 10.570 morirán a causa de la enfermedad, según el National Cancer Institute. A nivel mundial, sólo el cáncer de pulmón es más letal.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Los hallazgos genéticos realizados por los investigadores añaden una mayor especificidad a las clasificaciones microscópicas y, por primera vez, ofrecen orientación a los médicos para recetar tratamientos eficaces. El equipo de investigación analizó primero 37 líneas celulares de cáncer gástrico, células de cáncer puras libres de sangre, tejido y otras adulteraciones que pudieran afectar a los resultados.</p> <p>Los perfiles de expresión génica produjeron patrones muy distintos que indicaban los dos subtipos. En el 64% de los casos, los subtipos genéticos validaron la clasificación de Lauren -una prueba microscópica desarrollada en los años sesenta. En el 36% restante, el proceso genómico distinguió subtipos que la anterior prueba patológica no puedo distinguir. Los resultados fueron confirmados mediante muestras de tumores de 521 pacientes con cáncer.</p> <p><strong>Patrones moleculares distintos</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Fue muy reconfortante para nosotros que los subtipos genómicos se asociaran con el sistema de Lauren", comenta Tan, "existía la creencia general de que el cáncer gástrico, ya fuera intestinal o difuso (según la clasificación de Lauren), representaba dos versiones muy diferentes de cáncer gástrico, y ahora los datos genómicos lo confirman mediante la demostración de que los dos subtipos tienen patrones moleculares muy diferentes."</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El establecimiento de la precisa definición de los subtipos de tumores permitió a los investigadores observar las diferentes respuestas a la quimioterapia. Los tumores de tipo intestinal mostraron una respuesta significativamente mejor a la quimioterapia con 5-fluorouracilo y oxaliplatino, y eran más resistentes al cisplatino que los tumores difusos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Las razones exactas de esta diferencia son poco claras, y ésta es un área en la que estamos trabajando", comenta Tan, que agrega que los investigadores están trabajando para encontrar las vulnerabilidades específicas de los subtipos moleculares a los diferentes tratamientos.</div> <br /><a href="http://www.gastrojournal.org/article/S0016-5085%2811%2900597-X/abstract" target="_blank">Gastroenterology (2011); doi:10.1053/j.gastro.2011.04.042 </a>
2011-08-02T21:39:33-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/155
Cardiopatía Isquémica: Cuantifican los beneficios del ejercicio para el corazón
2011-08-02T21:36:54-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Las personas que realizan alguna actividad física de intensidad moderada durante 150 minutos a la semana tienen un 14% menos de posibilidades de sufrir una enfermedad cardiaca coronaria que aquellos que no realizan ningún ejercicio físico.</p> <p>Un estudio publicado en la revista <em>Circulation,</em> de la Asociación Americana del Corazón, revela que incluso las personas que realizan una actividad física por debajo de las directrices estadounidenses (2 horas y 30 minutos de ejercicio moderado a la semana), contraen un menor riesgo de dolencias cardíacas.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Las conclusiones generales del estudio corroboran las pautas federales, que señalan que 150 minutos de ejercicio a la semana es beneficioso, 300 minutos por semana es aún mejor", afirma el doctor Jacob Sattelmair, del Departamento de Epidemiología del Harvard School of Public Health.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Sattelmair explica que, a diferencia de trabajos anteriores, éste incluye la evaluación cuantitativa de la cantidad de actividad física que una persona necesita para reducir el riesgo, así como la magnitud del beneficio. Los investigadores examinaron más de 3.000 estudios sobre actividad física y enfermedades del corazón, e incluyeron 33 de ellos en su análisis.</p> <p>"Los primeros estudios dividían a las personas en activos o sedentarios. Los estudios más recientes han comenzado a evaluar la cantidad real de actividad física que un individuo realiza y cómo se relaciona este hecho con el riesgo de padecer enfermedades del corazón", dice Sattelmair.</p></div> <br /><br /><a href="http://circ.ahajournals.org/content/early/2011/08/01/CIRCULATIONAHA.110.010710.abstract?sid=265a8c00-9335-43dc-999c-748471ad9cb9" target="_blank">Circulation (2011); doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.110.010710 </a>
2011-08-02T21:36:54-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/154
Anuncio: Semana del bienestar para la salud y la prevención de las ENT
2011-07-27T15:52:06-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><img title="semana_del_bienestar_432" src="/public/site/images/mikhail/semana_del_bienestar_432.jpg" alt="semana_del_bienestar_432" width="432" height="176" />La Organización Panamericana de la Salud, Oficina Regional para las Américas de la Organización Mundial de la Salud (OPS/OMS) y el Foro Económico Mundial están colaborando en la Semana del Bienestar, la cual busca desarrollar un movimiento social en entornos saludables para una vida saludable y aumentar la conciencia entre las personas, los responsables políticos, las comunidades y los empresarios. El objetivo de la Semana del Bienestar es hacer hincapié en la importancia del medio ambiente construido y natural y las condiciones socioeconómicas en la modificación de los factores de riesgo para enfermedades no transmisibles y en la promoción de la prevención.<p> </p> <p>Las enfermedades no transmisibles (ENT) son responsables de más de la mitad de todas las muertes en el mundo. La OMS afirma que:</p> <ul><li>36 millones de los 67 millones de muertes en el mundo en el 2008 se debieron a enfermedades no transmisibles </li><li>29% de las muertes de las ENT en los países de bajos y medianos ingresos en el año 2008 se produjeron antes de la edad de 60 años </li><li>80% de los padecimientos prematuros de enfermedad cardíaca, accidentes cerebrovasculares y diabetes pueden ser prevenidos </li></ul> <p>Además de aumentar las tasas de mortalidad temprana, las enfermedades no transmisibles también aumentan los costos de atención de salud, afectan el desarrollo, reducen la calidad de vida y disminuyen el bienestar.</p> <p>Las enfermedades no transmisibles son fundamentalmente:</p> <ul><li>Las enfermedades cardiovasculares </li><li>El cáncer </li><li>Diabetes </li><li>Enfermedades respiratorias crónicas</li></ul> <p>Aunque no son las únicas ENT, estas cuatro son responsables de la mayoría de las enfermedades no transmisibles relacionadas con las muertes evitables y comparten los mismos factores de riesgo comunes asociados a la falta de actividad física, dieta inadecuada, el tabaquismo y el uso nocivo del alcohol.</p></div>
2011-07-27T15:52:06-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/153
Prevención de las enfermedades crónicas: Recopilación de normas de prevención y control de enfermedades crónicas en América Latina
2011-07-26T18:04:32-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><img title="normas_prevencion_ecnt_350" src="/public/site/images/mikhail/normas_prevencion_ecnt_350.gif" alt="normas_prevencion_ecnt_350" width="350" height="313" />La legislación es una herramienta fundamental para instrumentar políticas de salud. Las normas jurídicas aplicables a la prevención y el control de enfermedades crónicas determinan las obligaciones por parte de la autoridad y los prestadores de salud de implementar programas preventivos y brindar tratamiento a quienes padecen estas enfermedades. El reverso de esta obligación es el derecho de las personas a reclamar acciones de prevención y cuidado.<p> </p> <p><a class="doclink" href="http://new.paho.org/hq/index.php?option=com_docman&task=doc_download&gid=4245&Itemid="><img src="http://new.paho.org/hq/components/com_docman/themes/default/images/icons/16x16/pdf.png" border="0" alt="icon" /> <strong>Texto completo</strong></a> (237 págs.)</p> <p>El <strong>objetivo</strong> de este estudio es recopilar la legislación vigente en materia de prevención y control de enfermedades crónicas en los países de América Latina en referencia a la obesidad, diabetes y enfermedades cardiovasculares. Asimismo se efectúa un análisis preliminar de la situación en la región tratando de identificar los vacíos legales que pudieran existir.</p> <ul><li>La primera parte de este trabajo incluye una <strong><em>explicación de la metodología utilizada y un breve análisis preliminar sobre la legislación recopilada.</em></strong> </li><li>La segunda parte contiene las <strong><em>normas localizadas</em></strong> y aplicables a la prevención y control de la obesidad, diabetes y enfermedades cardiovasculares ordenadas <strong><em>por país y tipología</em></strong>.</li></ul></div>
2011-07-26T18:04:32-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/152
Factores de riesgo cardiovascular: Las alteraciones del miocardio inducidas por VLDL se exacerban en situación de hipoxia
2011-07-18T08:59:03-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Un estudio realizado conjuntamente por el Centro de Investigación Cardiovascular (CSIC-ICCC) y el Instituto Catalán de Ciencias Cardiovasculares (ICCC) ha demostrado que dosis altas de VLDL alteran la regulación del calcio (Ca2+) en los cardiomiocitos y que estas alteraciones inducidas por VLDL se exacerban en situación de hipoxia, jugando un papel crucial la proteína del retículo sarcoplasmático SERCA-2. El aumento de los efectos de VLDL en situación de hipoxia se explica, al menos en parte, por el efecto potenciador de la hipoxia en la expresión del receptor de VLDL.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El objetivo principal de este estudio, publicado en <em>Journal of Molecular and Cellular Cardiology, </em>fue analizar el efecto de dosis hipertrigliceridémicas de lipoproteínas de muy baja densidad (VLDL) en el contenido intracelular de lípidos y la regulación del calcio intracelular en cardiomiocitos expuestos a condiciones normales de oxígeno (normoxia) o bajas concentraciones del mismo (hipoxia).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>En pacientes con síndrome metabólico y enfermedad cardíaca aterosclerótica se observa frecuentemente hipertrigliceridemia. Los triglicéridos plasmáticos se transportan mayoritariamente en lipoproteínas de muy baja densidad (VLDL) y son captados por los cardiomiocitos a través del receptor de VLDL (VLDL-R), que está altamente expresado en el corazón. En condiciones de isquemia se produce una acumulación de lípidos en el corazón, tanto en modelos animales como en humanos.</p> <p><strong>Acumulación intracelular de lípidos</strong></p> <p>Dado que la isquemia del miocardio se asocia con disfunciónelectromecánica y esto, a su vez, se acompaña de graves alteraciones en la regulación del calcio intracelular, la hipótesis del grupo de investigación es que la acumulación de lípidos y la disfunción del calcio comparten mecanismos fisiopatológicos en los miocitos isquémicos. Los principales moduladores de la regulación intracelular del calcio son, por un lado, los canales de calcio tipo-L y el receptor de rianodina, responsables de la movilización del calcio necesario para activar la contracción cardiaca y, por otro lado, SERCA-2 que retira el calcio del citosol durante la relajación. En este estudio se analizó el efecto de las VLDL en el contenido intracelular de lípido y en el manejo de calcio en cardiomiocitos neonatales de rata expuestos a condiciones de normoxia e hipoxia.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Esta investigación demuestra que los cardiomiocitos expuestos a dosis altas de VLDL sufren acumulación intracelular de lípidos, disminución de la expresión de SERCA-2, de la amplitud de calcio y del contenido de calcio del retículo sarcoplasmático. Estos efectos se vieron agravados por la exposición de los miocitos cultivados a un ambiente hipóxico. Según Vicenta Llorente, investigadora principal del estudio, “los resultados de la investigación ponen de manifiesto el papel protagonista de la proteína del retículo sarcoplasmático SERCA-2 en la potenciación por la hipoxia de las alteraciones en el manejo del calcio inducidas por VLDL”.</div> <br /><br /><a href="http://www.elsevier.com/wps/find/journaldescription.cws_home/622889/description" target="_blank">Journal of Molecular and Cellular Cardiology</a><br /><a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21338608" target="_blank">Journal of Molecular and Cellular Cardiology (2011); doi: 50(5):894-902</a>
2011-07-18T08:59:03-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/151
Factores de riesgo cardiovascular: El déficit de colesterol HDL favorece la aparición de enfermedades cardíacas
2011-07-14T05:56:16-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Un estudio publicado en el último número de la <em>Revista Española de Cardiología,</em> publicación oficial de la Sociedad Española de Cardiología (SEC), advierte sobre la importancia de prestar atención al colesterol HDL, ya que, si se encuentra por debajo de las cifras deseables (<40 mg/dl en varones y <50mg/dl en mujeres), favorece la aparición del síndrome metabólico y, en consecuencia, de enfermedad cardiovascular y de diabetes tipo 2, el tipo más común.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El síndrome metabólico es la conjunción de varias anomalías propias del metabolismo relacionadas entre sí, como la hipertensión, la obesidad (especialmente la abdominal) y los elevados niveles de glucosa, triglicéridos y de colesterol HDL. Todos estos componentes, cuando se presentan asociados, representan un riesgo elevado de enfermedad cardiovascular.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En este sentido, en un estudio realizado por seis hospitales españoles (Hospital Universitario Dr. Peset, de Valencia; Hospital Universitario Gregorio Marañón, de Madrid; el Hospital Universitario Puerta del Mar, de Cádiz; Hospital Universitario Marqués de Valdecilla, de Santander, y el Hospital Universitario de Bellvitge y el Hospital del Mar, de Barcelona), en colaboración con el departamento de Medicina de la Universidad de Valencia y el departamento Médico de Abbot Healthcare, se muestra que el síndrome metabólico tiene una elevada prevalencia entre los pacientes con cardiopatía isquémica, especialmente entre las mujeres, y que los componentes más frecuentes son el cHDL bajo, la hiperglucemia y la hipertensión arterial.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Concretamente, más de la mitad (el 50,9%) de los 574 pacientes analizados presentaban síndrome metabólico, la hiperglucemia se daba en un 85% de los casos y el cHDL bajo, en un 80%. De los 292 pacientes coronarios con síndrome metabólico, el 66% eran mujeres. El estudio muestra, además, que al extraer la muestra a los pacientes con diabetes, el principal componente era el cHDL bajo, que también se daba en el 86% de los pacientes no diabéticos, con lo que se perfila como el principal factor de riego causante del síndrome metabólico.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><strong>Un problema en aumento</strong></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El síndrome metabólico se ha convertido en un auténtico problema de salud pública en los últimos años, ya que su prevalencia ha ido en aumento en todo el mundo, especialmente entre las mujeres, en las que el síndrome metabólico se ha convertido en un importante marcador de riesgo cardiovascular, sobre todo entre las de más edad, con mayor prevalencia de obesidad y con diabetes tipo 2.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Además, según muestran diversos estudios comparativos realizados recientemente, el síndrome metabólico aparece cada vez en edades más jóvenes y ya se da entre el 15 y el 25% de la población general. De hecho, se calcula que en los últimos 25 años la edad media en la que se presenta ha bajado de los 50 a los 35 años y obedece principalmente al sedentarismo y a la dieta inadecuada. Aunque en este estudio se muestra una mayor prevalencia del síndrome metabólico entre las mujeres, éste, en población general, continúa siendo más común entre los varones.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Por otro lado, cada vez hay una mayor evidencia de que en pacientes con síndrome metabólico o con diabetes tipo 2, el tratamiento debe centrarse ya no sólo en bajar las cifras de LDL, sino también en aumentar las de HDL.</p> <p>Según el Profesor Antonio Hernández Mijares, coordinador del estudio, miembro del Departamento de Medicina de la Universidad de Valencia y jefe del Servicio de Endocrinología del Hospital Universitario Dr. Peset de Valencia, “a pesar de que hemos conseguido llegar a reducir el colesterol malo a los valores indicados en todas las guías clínicas gracias al tratamiento con estatinas, sigue habiendo entre la población una importante prevalencia de enfermedad cardiovascular, debido a lo que denominamos 'riesgo residual' y que es provocado principalmente por poseer bajos niveles de colesterol bueno. Para incrementar el colesterol HDL no disponemos de fármacos tan eficaces y resulta imprescindible un verdadero cambio en el estilo de vida, evitar el tabaco, el sedentarismo y seguir una alimentación equilibrada”.</p></div> <!-- .content --> <div class="inner_content"><!-- .listaRss{position:relative; background:#fafafa; border:1px solid #ccc; padding:5px 5px 0px 15px;font:normal 10px Arial,Helvetica,sans-serif;text-decoration:none;color:#639CCE;margin:0px; height:400px; width:420px !important; width:440px;} .listaRss2{background:#fafafa; border:1px solid #ccc; padding:5px 5px 0px 15px;font:normal 10px Arial,Helvetica,sans-serif;text-decoration:none;color:#639CCE;margin:10px 0;width:440px;} .fondo_blanco{z-index:3; position:absolute; background:#fff; visibility:hidden; filter:alpha(opacity=70);opacity:0.7; height:395px !important; height:387px; width:438px;} .fondo_gris{z-index:4; position:absolute; background:#666; visibility:hidden; filter:alpha(opacity=60);opacity:0.6; height:235px; 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2011-07-14T05:56:16-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/150
Factores de riesgo cardiovascular: La medición de albúmina en la orina abre la puerta a la prevención de riesgos cardiovasculares en hipertensos resistentes
2011-07-13T06:58:29-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El equipo de la Unidad de Hipertensión y Riesgo Vascular del Hospital del Mar ha realizado un estudio donde determina cuáles son los parámetros de mayor utilidad para valorar la presencia de lesión orgánica y el riesgo de patología grave asociadas a hipertensión arterial. Las conclusiones del estudio, publicado en la revista <em>Hypertension,</em> apuntan a que las cifras de presión arterial sistólica nocturna en combinación con la medida de la excreción de albúmina en orina pueden ser marcadores de riesgo y pronóstico de patología asociada directamente a la hipertensión arterial.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La hipertensión arterial es un problema sanitario de primer orden en todo el mundo. Al tratarse de una enfermedad asintomática y que suele pasar desapercibida, la percepción de riesgo o enfermedad por parte de los que la padecen es inexistente.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>Es imprescindible un buen control de las cifras de presión arterial para evitar lesiones orgánicas asociadas. Previamente a la aparición de la lesión orgánica (infarto agudo de miocardio, insuficiencia renal avanzada, etc.), se produce un paso intermedio que se denomina lesión orgánica subclínica. Es fundamental detectar este paso previo para poder instaurar medidas efectivas que eviten, atenúen o minimicen los efectos de la lesión establecida de órgano diana. Un buen marcador para conocer esta lesión subclínica es la microalbuminuria, que es más frecuente en pacientes con hipertensión resistente al tratamiento (un 20% del total de los hipertensos). Hay grupos de pacientes que, aparentemente, tienen un buen control de presión arterial y que no constan como resistentes, pero que también presentan microalbuminuria. En estos casos es importante hacer una monitorización ambulatoria de presión arterial de 24 horas, porque podría ser que de día estuviesen bien controlados pero no de noche.</p> <p><strong>Efectiva, sencilla, no invasiva y económica</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según explica la Dra. Anna Oliveras, jefe clínico del Servicio de Nefrología del Hospital del Mar, responsable de la Unidad de Hipertensión y Riesgo Vascular y una de las coordinadoras del registro nacional de hipertensos resistentes, el estudio completo para detectar la presencia de lesión subclínica asociada a hipertensión incluye muchas "pruebas analíticas, electrocardiogramas, ecografías del corazón, de las arterias carótidas, conocer la velocidad de onda del pulso, la presencia de insuficiencia renal, etc. y, en la práctica, hacer un estudio tan extenso, no es posible en todas partes". Poder detectar de forma efectiva, sencilla, rápida, no invasiva y económica esta lesión subclínica facilita la detección precoz de daño vascular, indicando la necesidad de extremar las medidas de tratamiento y de prevención adecuadas para evitar complicaciones graves y secuelas a los pacientes, así como gastos al sistema.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Este estudio, realizado con una muestra de más de 350 pacientes hipertensos resistentes, ha sido posible gracias al registro nacional de hipertensión resistente de España. Los hipertensos resistentes son aproximadamente un 20% del total. “Si tenemos en cuenta que en el año 2025 se estima que habrá un 60% más de hipertensos que actualmente y las cifras se situarán en torno a los 600 millones de pacientes afectados en todo el mundo, la repercusión de las consecuencias de la hipertensión son de enorme trascendencia”, explica la Dra. Oliveras, y añade: “En España, el 30% de la población tiene la presión elevada y la cifra prácticamente se duplica cuando nos referimos a pacientes de 65 años o más. Poder disponer de herramientas económicas y fiables que nos indiquen qué enfermos tienen un riesgo de sufrir enfermedad orgánica grave derivada de esta hipertensión y, por lo tanto, qué enfermos tienen mal pronóstico, es fundamental para poder establecer las medidas adecuadas para atenuar y prevenir las graves secuelas de la hipertensión".</div> <br /><a href="http://hyper.ahajournals.org/content/57/3/556.abstract?sid=9b8f444a-0c5c-4b35-b821-deab85346d2a" target="_blank">Hypertension (2011); doi: 10.1161/HYPERTENSIONAHA.110.165563 </a>
2011-07-13T06:58:29-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/149
Medicamentos: Descubren que la saxagliptina combinada con insulina reduce los niveles de glucosa en pacientes con diabetes tipo 2
2011-07-12T05:13:59-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Bristol-Myers Squibb y AstraZeneca han hecho públicos los resultados de un ensayo clínico fase IIIb que concluye que saxagliptina 5 mg administrada junto con insulina (con o sin metformina) reduce significativamente los niveles de glucosa en sangre (hemoglobina glicosilada o HbA1c) en pacientes adultos con diabetes tipo 2, en comparación con placebo más insulina (con o sin metformina), en un tratamiento de 24 semanas. Estos datos muestran que el ensayo ha conseguido su objetivo principal: un cambio en la HbA1c desde la situación basal hasta la semana 24.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Otros resultados del ensayo fueron la reducción significativa del azúcar en sangre después de las comidas (glucosa postprandial o GPP) en pacientes que recibieron saxagliptina 5 mg en combinación con insulina (con o sin metmorfina). Además, entre los pacientes que recibieron saxagliptina 5 mg e insulina se registró una reducción numérica (no estadísticamente significativa) de los niveles de azúcar en sangre por las mañanas (glucosa plasmática en ayunas o GPA) y una mayor proporción de pacientes alcanzó el objetivo terapéutico de HbA1c inferior al 7% (significación no testada), en comparación con los pacientes que recibieron placebo más insulina (con o sin metformina).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por otro lado, en el grupo tratado con saxagliptina 5 mg (con o sin metformina) también hubo un menor incremento de la dosis media de insulina desde los niveles basales. Aunque a los pacientes se les aconsejó que no cambiaran la dosis de insulina, se realizaron ciertos ajustes. Se desconoce si el aumento en los niveles de insulina en el grupo de los pacientes que recibieron placebo puede haber afectado a las diferencias observadas en los análisis de eficacia entre ambos grupos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>La proporción de pacientes que sufrió al menos una reacción adversa durante las 24 semanas que duró el tratamiento fue similar en ambos grupos. Los más comunes fueron hipoglucemia, infección del tracto urinario, gripe y dolor en las extremidades</p> <p><strong>Dieta y ejercicio complementarios</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">“La diabetes tipo 2 es una enfermedad crónica y progresiva, y muchos pacientes que necesitan insulina pueden necesitar aumentar su dosis a lo largo del tiempo para ayudar a controlar los niveles de azúcar en sangre”, manifestó Berndard Charbonell, profesor de Endocrinología y Enfermedades Metabólicas en la Universidad de Nantes, Francia, e investigador principal del estudio, que hace unas semanas fue presentado en la 71ª Reunión de la Asociación Americana de Diabetes (ADA) celebrada en San Diego. "El estudio mostró que saxagliptina 5 mg administrado junto con insulina ayuda a mejorar los niveles de HbA1c en adultos con diabetes tipo 2".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Saxagliptina está indicada como complemento de la dieta y el ejercicio, y en combinación con metformina, una sulfonilurea, o una glitazona, para mejorar el control de los niveles de azúcar en sangre en adultos con diabetes mellitus tipo 2. Saxagliptina no debe administrarse en pacientes con diabetes mellitus tipo 1 o en pacientes con cetoacidosis diabética (aumento de los niveles de los cuerpos cetónicos en sangre o en la orina), porque no sería efectivo en estos casos.</div>
2011-07-12T05:13:59-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/148
Factores de riesgo cardiovascular: Consumir mucha o poca sal durante el embarazo puede afectar el desarrollo renal del futuro hijo
2011-07-12T05:11:29-04:00
Revista Finlay
<p>La ingesta de sal durante el embarazo podría afectar al desarrollo renal del hijo, tanto por exceso como si se toma en cantidades escasas, una circunstancia que puede generar problemas de hipertensión en el niño años después de su nacimiento. Ésta es la principal conclusión del estudio desarrollado por un grupo de investigadores de la University of Heidelberg (Alemania), publicado en la revista <em>Renal Physiology. <br /> </em><br /> Anteriores investigaciones comprobaron que la ingesta excesiva de sal genera la secreción de esteroides cardiotónicos endógenos, como marinobufagenin (MBG). Para las embarazadas, esto puede ser perjudicial, pues las altas concentraciones de MBG se relacionan con escasez de peso y mayor tensión sanguínea en los recién nacidos.<br /> <br /> Anteriores trabajos vincularon también la hipertensión con un menor número de nefronas, la unidad estructural y funcional básica del riñón, encargada de eliminar los residuos del organismo, regular el volumen y la presión sanguínea, controlar los niveles de electrolitos y metabolitos y regular el pH de la sangre. Sus funciones son vitales para la vida y están reguladas por el sistema endocrino.<br /> <br /> En este trabajo, un grupo de ratas Sprague-Dawley fue alimentada con dietas con niveles bajo, intermedio o alto de sal durante su embarazo y la lactancia. Las camadas fueron separadas de sus madres a las cuatro semanas de vida y después recibieron dieta con niveles de sal medios. Los animales tuvieron acceso libre al agua y la comida y su peso, lo que ingirieron y lo que bebieron fue controlado cada semana. <br /> <br /> La estructura del riñón de estas crías fue examinada en las semanas posnatales 1 y 12 y también se analizó la expresión de las proteínas implicadas en el desarrollo de este órgano en el momento del nacimiento y cuando los animales cumplieron una semana de edad. La presión sanguínea se midió con una telemetría en las crías de machos entre los dos y los nueve meses de edad. <br /> <br /> Los autores descubrieron que el número de glomérulos -la principal unidad estructural del riñón- durante las semanas 1 y 12 era significativamente menor y que la presión sanguínea en los machos tras el quinto mes fue mayor en las crías de madres que tomaron dietas altas o bajas en sal, frente a las que tomaron una cantidad media. <br /> <br /> Las dietas ricas en sal se hallaban asociadas a las mayores concentraciones de marinogufabenin en el líquido amniótico y con un incremento en la expresión tanto de GDNF como de su inhibidor, sprouty-1, en el riñón de la camada. <br /> <br /> La expresión de FGF-10, una señal genética responsable del desarrollo renal, fue menor en la camada de madres con dietas bajas en sodio y la expresión de Pax-2 y FGF-2, genes específicos del tejido que determinan el linaje celular, los patrones del tejido y la proliferación celular fue menor en los animales cuyas madres consumieron una dieta rica en sal. <br /> <br /> Estos resultados demuestra que, tanto los niveles bajos como los altos de sal en la dieta, retrasan el desarrollo de nuevos glomérulos, lo que provoca un déficit de nefronas. Extrapolados a pacientes, estos resultados supondrían que tanto tomar mucha como poca sal durante el embarazo podría ser un riesgo para la aparición de la hipertensión y ocasionar daños renales en los hijos.</p> <br /><br /><a href="http://ajprenal.physiology.org/content/early/2011/05/12/ajprenal.00626.2010.abstract" target="_blank">Renal Physiology 2011; doi: 10.?1152/?ajprenal.?00626.?2010 </a>
2011-07-12T05:11:29-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/147
Cáncer: Un ensayo demuestra la eficacia de la radioembolización en pacientes con cáncer hepático
2011-07-07T16:59:51-04:00
Revista Finlay
<p>La revista <em>Hepatology</em> ha publicado los resultados del estudio multicéntrico llevado a cabo por la European Network on Radioembolisation (ENRY), en el que se analizaba tanto la supervivencia como la seguridad de la radioembolización (también llamada terapia de radiación interna selectiva o SIRT) utilizando SIR-Spheres en pacientes con tumores hepáticos primarios no candidatos a cirugía.</p> <p>En el estudio han participado 325 pacientes diagnosticados de carcinoma hepatocelular no reseccionable tratados por un amplio equipo de especialistas compuesto por hepatólogos, oncólogos, radiólogos y médicos de medicina nuclear en ocho centros de Alemania, Italia y España. Según el doctor Bruno Sangro, jefe de la Unidad de Hepatología de la Clínica Universitaria de Pamplona, profesor en la facultad de Medicina de la Universidad de Navarra, y presidente del grupo ENRY, "se ha demostrado evidencia de supervivencia en pacientes tratados con radioembolización, incluso en aquellos casos en los que la enfermedad ya estaba avanzada o había escasas opciones de tratamiento”.</p> <p>Los pacientes diagnosticados de carcinoma hepatocelular (HCC) suelen ser personas con el hígado gravemente dañado o que han padecido cirrosis, debido a una hepatitis o por la ingesta de alcohol. En este sentido, es uno de los diez tumores más comunes del mundo, con casi 750.000 casos diagnosticados al año siendo, además, la tercera causa de muerte. Asimismo, esta patología tiene mayor incidencia en el Asia-Pacífico y en el sur de Europa, donde la hepatitis es más común.</p> <p>El cáncer hepatocelular puede curarse mediante cirugía, reseccionando las partes del hígado enfermas; o por transplante, con un hígado de un donante sano. Estas intervenciones, sin embargo, no son practicables en la gran mayoría de los pacientes, cuya supervivencia puede oscilar de unos pocos meses a dos o más años en función del estado del hígado en el momento del diagnóstico y de la extensión de la invasión tumoral.</p> <div><strong>Resultados del estudio</strong></div> <p>La mayoría de los pacientes (82,5%) evaluados en el ensayo presentaba enfermedad hepática que se compensó medianamente bien (Child-Pugh class A), con cirrosis (78,5%) y buen estado funcional en la escala ECOG, que mide la calidad de vida de los pacientes oncológicos (ECOG 0-1: 87,7%). Sin embargo, muchos de ellos presentaban múltiples nódulos tumorales (75,9%), presencia de la enfermedad en ambos lóbulos del hígado (53,1%) y/o oclusión de la vena porta (la vena que transporta la sangre del tracto gastrointestinal al hígado) en cada rama de la vena (13,5%) o de la vena principal (9,8%).</p> <p>Más del 40% de los pacientes (41,5%) mejoró después de someterse a uno o más tratamientos antes de la radioembolización con SIR-Spheres de Sirtex Medical Limited, Sydney, Australia), incluyendo cirugía o transplante de hígado, procedimientos percutáneos como la inyección de etanol, la ablación por radiofrecuencia de los tumores hepáticos individuales, los procedimientos vasculares como la embolización transarterial (TAE) o la quimioembolización (TACE) que bloquea las arterias hepáticas que alimentan los tumores.</p> <p>Utilizando la clasificación del grupo Barcelona Clinic Liver Cancer (BCLC) para el carcinoma hepático, la mayoría de los pacientes evaluados por el grupo ENRY presentaban la enfermedad en estadio avanzado (BCLC C: 56,3%) o intermedio (BCLC B: 26,8%).</p> <p>Los pacientes tratados con radioembolización recibieron una dosis media de 1,6 GBq de microesferas de resina de itrio-90, en un solo procedimiento trasferido al hígado mediante un catéter por las arterias femorales y hepáticas.</p> <p>La supervivencia general media de los pacientes tratados con SIRT evaluados por el grupo ENRY fue de 12,8 meses. Sin embargo, varió significativamente por fase de enfermedad: 24,4 meses para pacientes en fase inicial de la enfermedad (BCLC A); 16,9 meses en los casos de enfermedad intermedia (BCLC B); y 10,0 meses en aquellos pacientes de enfermedad avanzada (BCLC C).</p> <p>"Dado que ENRY no era un estudio prospectivo, nuestros resultados deben interpretarse de forma conservadora", explicó el profesor Sangro. "Lo que podemos afirmar, según nuestra evaluación de un amplio rango de pacientes con carcinoma hepatocelular tratados en práctica clínica rutinaria, es que la radioembolización utilizando SIR-Spheres se dirige directamente a los tumores y tejidos hepáticos viables de separar, lo que nos permite reducir la carga de la enfermedad y aumentar potencialmente la supervivencia y calidad de vida del paciente”.</p> <p>"Este análisis también demuestra que la radioembolización puede ser particularmente útil en cuatro grupos de pacientes específicos. Estos incluyen, principalmente, pacientes que pueden considerarse para quimioembolización (TACE) pero que pueden beneficiarse de SIR-Spheres; los pacientes que son peores candidatos para TACE debido al mayor número de nódulos tumorales (>5) o propagados por ambos lóbulos del hígado, los pacientes que previamente no han respondido a la TACE, y, finalmente, los pacientes aptos para TACE debido a la oclusión de vena porta y que tienen menos posibilidades de tratamiento”.</p> <br /><br /><a href="http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/hep.24451/abstract" target="_blank">Hepatology (2011); doi: 10.1002/hep.24451</a>
2011-07-07T16:59:51-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/146
Medicamentos: El ácido acetilsalicílico podría reducir el riesgo de desarrollar cáncer de piel
2011-07-07T16:50:23-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><img title="aspirina2_280_200" src="/public/site/images/mikhail/aspirina2_280_200.jpg" alt="aspirina2_280_200" width="220" height="251" />El uso de AINE’s (antiinflamatorios no esteroideos), incluido el ácido acetilsalicílico (aas), reduce el riesgo de presentar melanoma cutáneo (MC), según el resultado de un estudio epidemiológico, recientemente publicado en <em>Journal of Investigative Dermatology</em>.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio concluye que el uso de ácido acetilsalicílico por lo menos una vez a la semana, durante un período de 5 años o más, reduce el riesgo de desarrollar melanoma cutáneo en casi la mitad, en comparación con otros grupos de baja exposición.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Esta investigación, liderada por Clara Curiel-Lewandrowski, del Departamento de Dermatología del Arizona Cancer Center, Estados Unidos, fue diseñada para evaluar las asociaciones entre el melanoma cutáneo y la exposición a anti-inflamatorios no esteroides y estatinas. En el estudio se evaluaron 1.000 personas, de las que 400 casos eran melanomas cutáneos y 600, controles.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El 13% de las personas entrevistadas que no presentaba cáncer confirmó que había tomado ácido acetilsalicílico en bajas dosis por lo menos una vez a la semana durante 5 años, frente al 21% de los entrevistados que no habían tomado ácido acetilsalicílico y desarrollado algún melanoma. Asimismo, el 41% de las personas que participó y que no tenía cáncer afirmó haber tomado algún AINE por lo menos una vez a la semana durante 5 años, frente al 28% de los entrevistados que no había tomado AINE’s y desarrollado algún melanoma.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Por otra parte, los análisis de subgrupos no mostraron ningún efecto protector significativo con la exposición de las estatinas. </div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los estudios clínicos de intervención justifican llevar a cabo futuras investigaciones, para analizar en profundidad el papel potencial del ácido acetilsalicílico y otros AINE’s como agentes quimiopreventivos para el melanoma cutáneo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">De cualquier forma, los responsables del estudio advierten que esto no significa que pueda extrapolarse el consumo diario de ácido acetilsalicílico con este fin, ya que no se trata de una indicación del fármaco aprobada en España. </div> <a href="http://www.nature.com/jid/journal/v131/n7/full/jid201158a.html" target="_blank">Journal of Investigative Dermatology (2011); doi:10.1038/jid.2011.58</a>
2011-07-07T16:50:23-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/145
Cáncer: Desarrollan un test rápido para detectar las mutaciones que están en el origen del cáncer de mama
2011-07-05T14:56:27-04:00
Revista Finlay
La Clínica Montpellier dispone, en su centro de Zaragoza, del test breca 100, desarrollado por la compañía CGC Genetics en España. El objetivo de esta prueba es la detección de personas portadoras de mutaciones de los genes BRCA1 y BRCA2, los dos genes principales de susceptibilidad del cáncer de mama y ovario, para la realización de técnicas de detección precoz adecuadas a su riesgo. <br /> <br /> La incidencia de cáncer de mama en España supera los 20.000 nuevos casos al año y es la primera causa de muerte por cáncer en la mujer. Aunque existen varios métodos de detección precoz, muchos tumores se siguen diagnosticando en un estado avanzado. <br /> <br /> El test analiza todas las regiones de los genes BRCA1 y 2 donde se han descrito más del 95% de mutaciones de la población española. La posibilidad de disponer de un test rápido y asequible amplía su utilización a todas las personas con un nivel de riesgo moderado. El objetivo es aumentar la detección de personas portadoras de mutaciones de estos genes. Actualmente, se realiza un estudio completo de los mismos en familias de alto riesgo. Este tipo de programas lleva funcionando más de seis años en nuestro país. <br /> <br /> El estudio completo es muy lento y costoso, por lo que sólo se han identificado unas 2.000 familias portadoras, mientras que se calcula que al menos una de cada 300 o 400 personas es portadora de una mutación de estos genes. Dependiendo del tipo de antecedentes, el porcentaje de portadores puede llegar al 15%. <br /> <br /> Esta prueba identifica más del 95% de las mutaciones publicadas hasta el momento en familias españolas y analiza todas las regiones de los genes en las que se han encontrado. <br /> <br /> El test se realiza a partir de una muestra de sangre y no requiere preparación, ya que se puede realizar incluso sin que el paciente esté en ayunas e integrarse en el programa de seguimiento analítico, coincidiendo con otras determinaciones. Los resultados pueden recogerse en un plazo aproximado de 30 días.
2011-07-05T14:56:27-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/144
Ciencia y Tecnología: Una nueva tecnología robótica revoluciona el tratamiento de las arritmias
2011-07-02T11:00:32-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El Congreso de la Asociación Europea de Ritmo Cardíaco (EHRA) fue testigo el pasado martes de la retransmisión de una operación realizada con una tecnología electromagnética desarrollada por Magnetecs Corp., compañía con sede en Los Ángeles (Estados Unidos). El Dr. José Luis Merino, responsable de la Unidad de Electrofisiología Cardíaca Robotizada de La Paz, fue el encargado de dirigir la presentación.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El Catheter Guidance Control and Imaging (CGCI), que así se llama el ingenio de Magnetecs, está diseñado para curar cualquier clase de arritmia cardíaca de las cuatro cavidades del corazón y de los grandes vasos torácicos.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según el Dr. Merino, “el nuevo equipo supone un gran avance por su rapidez, precisión y estabilidad. El catéter se controla prácticamente en tiempo real por parte del especialista, gracias a la creación de un campo magnético de respuesta rápida, en lugar del empuje mecánico de los sistemas manuales utilizados hasta hoy. Esto mejora la eficacia de las operaciones, con una mayor seguridad para el paciente”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>El Hospital La Paz es el primero en el mundo que adopta este sistema, gracias al cual se puede aumentar la eficacia, la seguridad y el número de intervenciones que en él se realizan para corregir arritmias, y que actualmente se cifra en 400.</p> <p><strong>Aplicación en otros campos</strong></p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Aunque, hasta ahora, la tecnología se utiliza sólo para arritmias cardíacas, Magnetecs planea aplicarla en otros campos, como las intervenciones cardiológicas, la gastroenterología, la neurología y la ginecología.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El sistema CGCI de Magnetecs crea un campo electromagnético concentrado en el pecho del paciente. El sistema emite ese campo magnético sólo cuando está en uso y puede ajustar y manipular de manera dinámica ese campo para alcanzar una precisión y receptividad tridimensional sin precedentes, con una mayor seguridad y fiabilidad. El CGCI está dotado de sofisticados sistemas de navegación cardíaca, e incluye rayos X y ecocardiografía intracardíaca.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Se calcula que las arritmias afectan, a partir de los 75 años, a uno de cada diez españoles. En edades más tempranas, la incidencia puede llegar a ser de 100.000 nuevos casos al año. En Madrid, unos 65.000 pacientes sufren arritmias cardíacas y se espera un aumento en los próximos años.</div>
2011-07-02T11:00:32-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/143
Enfermedades cardiovasculares: La cardiopatía isquémica es la primera causa de muerte en el mundo
2011-06-29T15:56:37-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La primera causa de muerte en 2008 fue la cardiopatía isquémica, que provocó 7,25 millones de fallecimientos, el 12,8% de los 57 millones que hubo ese año. El dato se desprende del último informe sobre las 10 principales causas de muerte en el mundo, publicado ayer por la Organización Mundial de la Salud (OMS).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">A las cardiopatías isquémicas les siguen, como principales causas de deceso, los ictus y otras enfermedades cerebrovasculares, con 6,15 millones de muertes --el 10,8% del total-- y las infecciones respiratorias de vías bajas, que mataron a 3,46 millones de personas y supusieron el 6,1% del total de muertes a nivel mundial.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En cuarto lugar figura la EPOC, con 3,28 millones de decesos (5,8%); en quinto las diarreas, con 2,46 millones de muertes (4,3%); en sexta posición el sida, con 1,78 millones de fallecimientos (3,1%) y en octavo lugar los cánceres de pulmón, traquea y bronquios, con 1,39 millones de muertes (2,4%).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Los últimos puestos de la lista de las principales causas de muerte son la tuberculosis, con 1,34 millones de fallecimientos (2,4%); la diabetes mellitus, que causó 1,26 millones de decesos (2,2%) y en décima posición, los accidentes de tráfico, con 1,21 millones (2,1%).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según la OMS, el tabaquismo se presenta como la principal causa de la aparición de gran número de las enfermedades que han causado la muerte a más personas en todo el mundo. Entre ellas figura la enfermedad cardiovascular, la EPOC o el cáncer de pulmón. En total, el tabaco es responsable de la muerte de casi uno de cada 10 adultos en todo el mundo. </div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p><strong>Países ricos y países pobres</strong></p> <p>En los países pobres, las primeras causas de muerte fueron las enfermedades respiratorias, con 1,05 millones de muertes (11,3%); las diarreas, con 760.000 fallecimientos (8,2%) y el VIH/sida, con 720.000 decesos (7,8%). Las cardiopatías isquémicas ocupan el cuarto lugar de esta lista, con 570.000 muertes (6,1%), y la malaria la quinta posición, con 480.000 decesos (5,2%).</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">En los países ricos, es la cardiopatía isquémica la principal causa de deceso, con 1,42 millones de muertes (15,6%), seguida del ictus y otras enfermedades cerebrovasculares, con 790.000 muertes (8,7%) y los cánceres de traquea, pulmón y bronquios, que estuvieron detrás de 540.000 fallecimientos en 2008 (5,9%). La cuarta causa de muerte fueron el Alzheimer y otras demencias, con 370.000 muertes (4,1%).</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>"En los países con mayores ingresos, más de dos tercios de la población vive más allá de los 70 años y suele morir, sobre todo, de enfermedades como la patología cardiovascular, EPOC, cáncer, diabetes o demencia. Las infecciones pulmonares siguen siendo la única infección destacada que causa muertes", señala el estudio.</p> <p><strong>Menores de 15 años</strong></p> <p>En los países con menores ingresos, "menos de una de cada cinco personas logra llegar a los 70 años y más de un tercio de todas las muertes son de niños que no han llegado a los 15 años". En estos lugares, según el informe, "la población muere sobre todo de enfermedades infecciosas, como las infecciones pulmonares, las diarreas, el sida, la tuberculosis o la malaria".</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">"Las complicaciones en el embarazo y en el parto continúan siendo las principales causas de fallecimiento en estos países", destaca el informe, que recuerda que más de 8 millones de las muertes registradas en 2008 fueron de menores de cinco años, de las que el 99% se registraron en países de ingresos medios y bajos.</div>
2011-06-29T15:56:37-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/142
Diabetes Mellitus: La terapia intensiva contra el colesterol podría aumentar el riesgo de diabetes
2011-06-25T06:30:07-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p><span class="textonormal"><img title="capsula_540_540" src="/public/site/images/mikhail/capsula_540_540.jpg" alt="capsula_540_540" width="279" height="208" /></span>Las personas que toman altas dosis de estatinas para mantener su colesterol en un buen nivel deberían vigilar de cerca sus niveles de azúcar en sangre. Al menos eso es lo que sugieren las conclusiones de una revisión de estudios, que relacionan la terapia intensiva con estos fármacos con un mayor riesgo de desarrollar la enfermedad metabólica.</p> <p>Numerosos estudios previos han demostrado la capacidad de las estatinas para reducir los niveles de lípidos en sangre e, incluso, para disminuir el riesgo de padecer problemas cardiovasculares en el futuro. Sin embargo, otros trabajos también habían apuntado la posibilidad de que estos medicamentos aumentaran las posibilidades de desarrollar diabetes mellitus.</p> <p>Hasta el momento, no se ha realizado ningún estudio definitivo al respecto, por lo que un equipo de investigadores británicos han querido poner al descubierto todo lo publicado hasta la fecha en la literatura médica.</p> <p>Su objetivo, tal y como ellos mismos reconocen en las páginas de la <a href="http://jama.ama-assn.org/content/305/24/2556.short" target="_blank"><em><strong>Journal of the American Medical Association, JAMA</strong></em></a> (doi: 10.1001/jama.2011.860) , no era solo analizar la posible relación, sino averiguar si las dosis empleadas del fármaco podían influir de alguna manera en el riesgo de padecer la enfermedad.</p> <p>En total, localizaron cinco trabajos con datos de 32 752 pacientes con diferentes patrones de terapia a los que se les había realizado un seguimiento durante una media de casi cinco años.</p> <p>Al cruzar los datos, los investigadores comprobaron que entre los pacientes que tomaban una dosis elevada de estatinas al día (la terapia intensiva suele ser de 80 mg) se habían producido más casos nuevos de diabetes que entre los que seguían un tratamiento convencional (por ejemplo de 20 mg).</p> <p>En concreto, de los 2749 pacientes que desarrollaron la enfermedad metabólica, 1449 llevaban un tratamiento intensivo y a los 1300 restantes se les había indicado una terapia más moderada.</p> <p>Por otro lado, los investigadores también observaron que el riesgo de problemas graves del corazón era significativamente más bajo en el grupo de pacientes que tomaba altas dosis de estatinas al día, lo que confirma el papel protector de estos fármacos.</p> <p>En ese sentido, los investigadores reclaman más estudios al respecto que cuantifiquen los beneficios netos para los pacientes que siguen este tratamiento. Mientras tanto, sugieren que "los especialistas deberían vigilar el posible desarrollo de diabetes" en este grupo de enfermos.</p> <p>Futuros trabajos, insisten los autores, deberán dilucidar los mecanismos que están detrás de esta relación, analizar si existe algún grupo de pacientes con un riesgo especialmente elevado y hasta qué punto pueden afectar los problemas metabólicos a la salud global de enfermo en tratamiento con estatinas.</p> <p>Con todo, en sus conclusiones subrayan que estos datos no deben cuestionar el tratamiento con estatinas, que ha mostrado múltiples beneficios.<br /> <a href="http://www.diariosalud.net/index.php?option=com_content&task=view&id=22266&Itemid=36" target="_blank">junio 22/2011 (Diario Salud)</a></p> <p><strong>Nota</strong>: Los lectores del dominio *sld.cu, acceden al texto completo a través de Hinari.</p> <p>David Preiss, Sreenivasa Rao Kondapally Seshasai, Paul Welsh, Sabina A. Murphy, Jennifer E. Ho, et .al. <em><strong>Risk of Incident Diabetes With Intensive-Dose Compared With Moderate-Dose Statin Therapy</strong></em>. <em>JAMA</em>. 2011; 305(24): 2556-2564.</p> </span>
2011-06-25T06:30:07-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/141
Cardiopatía Isquémica: La angioplastia primaria, una de las prácticas más empleadas ante un infarto agudo de miocardio
2011-06-24T05:43:21-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>El uso de esta técnica registra un incremento del 6,5%, lo que la convierte en la más utilizada por los cardiólogos, por encima de la fibrinolisis.</p> <p>Las intervenciones coronarias que se han llevado a cabo en España en la última década han registrado un incremento de más del 100%.</p> <p>Concretamente, de las 31 920 intervenciones de 2001 se ha pasado a las 64 331 de 2010. La información procede del encuentro anual de la Sección de Hemodinámica y Cardiología Intervencionista de la Sociedad Española de Cardiología (SEC), celebrado durante los pasados 16 y 17 de junio. Asimismo, y según el registro nacional de actividad en Cardiología Intervencionista, el uso de la angioplastia primaria como técnica ante un infarto agudo de miocardio (IAM) ha aumentado un 6,5%, lo que convierte a esta técnica en la más utilizada por los cardiólogos, por encima de la fibrinolisis.</p> <p>La angioplastia primaria trata la oclusión de la arteria coronaria mediante la destrucción mecánica del coágulo para, a continuación, implantar un stent (malla metálica) que resuelva la estrechez subyacente. Por el contrario, la fibrinolisis consiste en la administración de fármacos que disuelven el coágulo desobstruyendo el vaso tapado.</p> <p>"Que los cardiólogos españoles prefieran el empleo de la angioplastia primaria como respuesta ante un infarto, es resultado del éxito de la iniciativa "Stent For Life", ideada por la European Society of Cardiology, en la que también participa la SEC" destaca el Dr. Javier Goicolea, presidente de la Sección de Hemodinámica y Cardiología Intervencionista de la SEC.</p> <p>En España se realizaron en 2010 una media de 235 angioplastias primarias por cada millón de habitantes. Navarra, con 410 angioplastias primarias por millón de habitantes es la comunidad autónoma que más intervenciones ha realizado, mientras que la Comunidad Valenciana, con 122, es la que menos angioplastias ha practicado.</p> <p>"Esta diferencia de intervenciones es debida a la falta de programas centralizados, promovidos y apoyados por las diferentes administraciones sanitarias", concluye el Dr. Goicolea.</p> <p>La Sección de Hemodinámica y Cardiología Intervencionista de la SEC y la Sociedad Española de Cirugía Torácica-Cardiovascular han elaborado por primera vez en España el registro TAVI, que recoge y analiza el resultado de las intervenciones TAVI (implantación transcatéter de válvula aórtica) en pacientes que presentan estenosis aórtica y que no pueden ser intervenidos mediante la cirugía convencional por ser considerados de alto riesgo.</p> <p>La estenosis aórtica consiste en un estrechamiento de la válvula aórtica, lo que disminuye el flujo de sangre desde el corazón. Es la enfermedad de válvula cardiaca más común en Occidente, y se estima que afecta al 2% de la población mayor de 65 años, al 3% de las personas mayores de 75 años y al 4% de los mayores de 85 años.</p> <p>Realizar un reemplazo quirúrgico de la válvula aórtica a corazón abierto se hace necesario en estos casos, ya que si no se realiza la intervención, la supervivencia de los pacientes tras tres años del diagnóstico de la enfermedad es de menos de un 30%. Aun así, existe un elevado número de afectados que no pueden operarse debido a contraindicaciones y al alto riesgo quirúrgico que representa la operación.</p> <p>Ante esta situación, en los últimos años se ha desarrollado la técnica TAVI, que consiste en implantar la válvula aórtica vía transfemoral (a través de la arteria femoral) o transapical (mediante una pequeña incisión a través de las costillas).</p> <p>"Esta técnica supone una disminución del riesgo de los pacientes durante la intervención, ya que evita la apertura del corazón. Además, el tiempo de postoperatorio es mucho menor" afirma el Dr. Goicolea.</p> <p>El Registro TAVI ha demostrado un éxito del 94% en los pacientes en los que se realizó esta intervención en 2010 en España, pacientes que no eran aptos para recibir la cirugía convencional. Así, a los 30 días de la intervención, la mortalidad entre estos pacientes fue del 7%.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/angioplastia/primaria/cabeza/practicas/mas/empleadas/ante/infarto/agudo/miocardio/_f-11+iditem-14134+idtabla-1" target="_blank">Junio 20/ 2011 (JANO)</a></p> </span>
2011-06-24T05:43:21-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/140
Cáncer: Dos de cada tres mujeres en edad avanzada con cáncer de mama fallecen a causa de otra enfermedad
2011-06-23T04:44:49-04:00
Revista Finlay
<p>Las mujeres mayores con cáncer de mama tienen más probabilidades de morir de enfermedad cardiovascular y otras causas que por el tumor, según los resultados de un reciente estudio del que informa<em> Breast Cancer Research.</em> <br /> <br /> Los investigadores analizaron datos de más de 60.000 mujeres de estadounidenses, a partir de los 66 años de edad, a quienes se realizó seguimiento durante al menos 12 años tras un diagnóstico de cáncer de mama. <br /> <br /> Al término del período de seguimiento, casi la mitad de las mujeres seguían con vida. Las que murieron vivieron hasta una edad de 83 años como promedio, y más de dos tercios de ellas fallecieron por causas distintas del cáncer de mama. De hecho, la enfermedad cardiovascular mató a más mujeres que el cáncer de mama. <br /> <br /> Las mujeres con más probabilidades de morir por cáncer de mama incluían a las que fueron diagnosticadas más jóvenes y a las que tenían un tumor de alto grado o de estatus de receptor de estrógeno negativo. <br /> <br /> El patrón observado en las mujeres del estudio encaja con el patrón de las mujeres de la población general, en que la enfermedad cardiovascular es la principal causa de muerte, señalaron los investigadores.<br /> <br /> "El cáncer es el responsable de alrededor de una cuarta parte de todas las muertes. Sin embargo, el cáncer de mama no es necesariamente una condena, y las pacientes deben cuidar su salud para reducir su riesgo de morir de enfermedad cardíaca y otras enfermedades relacionadas con la edad", señaló la autora del estudio Jennifer Patnaik, de la University of Colorado (Estados Unidos).</p> <br /><a href="http://breast-cancer-research.com/content/13/3/R64/abstract" target="_blank">Breast Cancer Research 2011;13:R64 </a>
2011-06-23T04:44:49-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/139
Enfermedades cardiovasculares: Los pacientes con psoriasis presentan un mayor riesgo cardiovascular
2011-06-21T07:11:46-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Las personas con psoriasis grave presentan un mayor riesgo de mortalidad cardiovascular; concretamente, un 57% superior al de la población general. Los niveles altos de colesterol y triglicéridos de estos pacientes aparecen como factores determinantes .</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La psoriasis es una enfermedad inflamatoria crónica de la piel que afecta aproximadamente entre el 2% y el 4% de la población. Esta dolencia favorece la aparición de otras enfermedades como la arterioesclerosis.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Un estudio reciente concluye que, a 10 años, el riesgo de enfermedad coronaria es un 28% mayor en los pacientes con psoriasis cuando se compara con la población general .</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><p>El estrés, los problemas psicológicos y niveles altos de tensión arterial son otros factores que también incrementan el riesgo de problemas cardiovasculares. Estos factores son más frecuentes en personas que padecen psoriasis grave. En estudios sobre la calidad de vida de estos pacientes, el 40% afirma que nunca volvería a ser la misma persona aunque su psoriasis desapareciera .</p> <p> “Se ha comprobado que la psoriasis está asociada a otras enfermedades, algunas de tipo cardiovascular, que incluso pueden derivar en una muerte prematura en aquellos pacientes cuya manifestación de la enfermedad es grave. Esta conexión existe por un factor común de tipo inflamatorio”, afirma el Dr. José Carlos Moreno, presidente de la Academia Española de Dermatología y Venereología (AEDV), quien añade que “si se consigue controlar la inflamación de la psoriasis grave se reduce el riesgo cardiovascular”.</p></div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Datos presentados en la European League Against Rheumatism (EULAR), recomiendan un control adecuado de la psoriasis para reducir el riesgo cardiovascular. Esta recomendación está basada en el manejo del riesgo cardiovascular de los pacientes con artritis psoriásica (asimismo, de carácter inmunológico y con consecuencias inflamatorias). El tratamiento temprano y antireumáticos, como los anti-TNF (terapias para bloquear el Factor de Necrosis Tumoral o TNF, una molécula cuyos niveles están aumentados en las lesiones de psoriasis) y el metotrexato, han demostrado que se asocian de forma independiente con un menor riesgo cardiovascular.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">“Es recomendable que todos los pacientes que padecen psoriasis moderada o grave, especialmente los de mayor edad, reciban un seguimiento periódico por parte de sus dermatólogos para mejorar el control de su patología y para reducir el riesgo de sufrir una enfermedad de tipo cardiovascular”, explica el Dr. Moreno</div>
2011-06-21T07:11:46-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/138
Diabetes Mellitus: Descubren una estrategia alternativa para el tratamiento de la diabetes
2011-06-20T17:20:37-04:00
Revista Finlay
<span class="nodtxt"> Investigadores de la Clínica Mayo de Jacksonville, en Florida (Estados Unidos), han probado con éxito una novedosa estrategia para tratar la diabetes tipo 2 que consiste en bloquear la descomposición de la insulina después de que haya sido secretada desde el páncreas, según los resultados de un estudio que publica la revista <em>PLoS One</em>.<br /> <br /> En la diabetes tipo 2, el organismo no responde eficazmente a la insulina, y para compensar esta insensibilidad a la insulina, muchas terapias para la diabetes trabajan estimulando los niveles de la hormona.<br /> <br /> Sin embargo, en esta ocasión, este equipo de científicos ha logrado un acercamiento diferente que también podría ser efectivo para tratar la diabetes.<br /> <br /> Los niveles de insulina en la sangre reflejan el balance entre la cantidad secretada y la cantidad degradad, reconoce el doctor Malcolm A. Leissring, autor del estudio, quien apunta que así se consigue lograr el mismo objetivo que muchas terapias existentes para la diabetes.<br /> <br /> En el modelo experimental donde se llevó a cabo el estudio, los sujetos sin la enzima que degrada la insulina (IDE), tenían unos niveles mayores de la hormona en general, pesaban menos y eran más eficientes en el control del azúcar en la sangre. <br /> <br /> Como reconoce Leissring, son individuos muy eficaces, dada a su habilidad para disminuir su glucosa en sangre después de una comida, proceso que está interrumpido en la diabetes.<br /> <br /> Estos descubrimientos sugieren que los fármacos que inhiben la IDE podrían ser de utilidad para tratar la diabetes y, a raíz de este hallazgo, ahora están trabajando activamente en el desarrollo de terapias que puedan ser efectivas en estos casos.<br /> <br /> La razón por la que estudiamos la eliminación de IDE fue para intentar comprender si los inhibidores de IDE podrían ser útiles para tratar la diabetes, explica el doctor Samer Abdul-Hay, coautor del estudio.<br /> <br /> No obstante, reconocen que el efecto de borrar toda la IDE es "tan fuerte" que, a pesar de ser su eficacia, se observó que hay casos en que, a medida que se les iba eliminando esta enzima, los individuos iban envejeciendo lentamente. De hecho los más viejos sí acababan desarrollando diabetes tipo 2.<br /> <br /> Es un ejemplo de cómo el exceso de algo muy bueno puede transformarse en algo perjudicial, advierten los expertos, que no obstante no dudan en asegurar que sus hallazgos tendrán implicaciones interesantes para entender cómo se inicia la diabetes.</span>
2011-06-20T17:20:37-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/137
Ciencia y Tecnología: Descubren que la agresividad de un tumor depende del movimiento celular
2011-06-20T14:46:30-04:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="margin: 0cm 0cm 10pt;" alt="" /><img title="movimiento_celular_262" src="/public/site/images/mikhail/movimiento_celular_262.jpg" alt="movimiento_celular_262" width="262" height="200" />Una investigación liderada por el Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC) ha descubierto el mecanismo que regula el tipo de movimiento de las células tumorales. Este proceso está mediado por la proteína RasGRF y su ausencia provoca que las células aumenten su capacidad invasiva. <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El estudio, que ha sido publicado en la revista <em>Nature Cell Biology,</em> revela que la acción de esta biomolécula convierte el movimiento elongado de dichas células en movimiento ameboide. Este cambio “les confiere mayor capacidad de invasión y metástasis”, asegura el investigador del CSIC en el Instituto de Biomedicina y Biotecnología de Cantabria responsable del trabajo, Piero Crespo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Aunque los motivos por los que una célula cambia su forma de desplazarse no se conocen todavía, el equipo de Crespo ha descubierto que altos niveles de RasGRF inhiben las funciones de la enzima Cdc42, lo que mantiene el movimiento elongado de las células. Por el contrario, cuando la proteína no está presente, Cdc42 se hiperactiva y dicha actividad provoca la transformación del movimiento elongado en ameboide.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El movimiento elongado se basa en una morfología celular alargada, en el que la célula emite prolongaciones de su propia estructura. Por su parte, en el movimiento ameboide, la célula mantiene su estructura circular y se desplaza de forma similar a como “lo hacen las cadenas de un tanque”, explica Crespo.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según el investigador, “este movimiento es más rápido que el elongado y más eficaz a la hora de desplazarse por el medio en el que se desenvuelven las células, ya que les confiere una mayor capacidad para sortear obstáculos, como macromoléculas y estrecheces que pueden presentarse en el espacio extracelular”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Las células tumorales presentan ambos tipos de movimiento. El investigador del CSIC señala que “trabajos previos habían demostrado que aquellos con mayor cantidad de células con desplazamiento ameboide son los más agresivos”. También se había observado que la proteína RasGRF está ausente en los tumores más virulentos. Ambos hechos han guiado al equipo de Crespo para descubrir que es esta misma proteína la que modula el cambio de movimiento.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El hallazgo, en el que han colaborado investigadores del Instituto de Investigación del Cáncer de Londres (Reino Unido), revela el mecanismo molecular por el que se regula la capacidad invasiva de “un tumor tan agresivo y tan difícil de tratar como el melanoma”, comenta el investigador del CSIC, y concluye: “Gracias a ello, en el futuro sabremos dónde apuntar en la búsqueda de nuevas dianas moleculares para tratar este tipo de tumores”.</div> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/ncb/journal/vaop/ncurrent/full/ncb2271.html" target="_blank">Nature Cell Biology (2011); doi: 10.1038/ncb2271 </a>
2011-06-20T14:46:30-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/136
Diabetes Mellitus: El 80% de los pacientes con diabetes tipo 2 son obesos
2011-06-16T05:36:39-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;"><img title="obesidad_470" src="/public/site/images/mikhail/obesidad_470.jpg" alt="obesidad_470" width="299" height="199" />La diabetes tipo 2 está aumentando progresivamente en los países desarrollados debido a un mayor estilo de vida sedentario, al sobrepeso y a la obesidad; esta última enfermedad afecta a casi el 80% de estos pacientes. Así lo ha asegurado el doctor Oscar Moreno, coordinador del Grupo de Trabajo en Diabetes de la Sociedad Española de Endocrinología y Nutrición (SEEN), en el marco del primer curso avanzado en diabetes mellitus para endocrinólogos celebrado en Alicante, con la colaboración de Novo Nordisk.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El problema de estos pacientes, según ha explicado, es que el 60% de ellos no alcanza un control óptimo de la enfermedad y presentan un nivel de glucosa en sangre superior al deseable. Por ello, en el caso de la diabetes tipo 2, es fundamental el abordaje integral de todos los trastornos y factores de riesgo que presenta el paciente, dado que, según el doctor Pedro Mezquita, otro de los coordinadores de este grupo de trabajo, "los niveles de glucosa en sangre altos no suelen darse solos, sino acompañados de otros factores, como presión arterial alta, hipercolesterolemia o sobrepeso".</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">A este respecto, dada la frecuencia y la gravedad del problema, los expertos hacen cada vez más hincapié en la atención a la 'diabesidad', ya que tanto la obesidad como la diabetes aumentan por sí mismas el riesgo de mortalidad de enfermedades cardiovasculares, creciendo "exponencialmente" en el caso de la 'diabesidad'.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Durante el curso también se ha analizado el papel de la cirugía metabólica, que, "a pesar de ser la única opción para aquellos casos de obesidad mórbida, no puede dar respuesta al mayor número de pacientes con diabetes tipo 2 que padecen sobrepeso u obesidad", explica el doctor Mezquita.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">No obstante, en estos casos ya existen otras opciones terapéuticas que "nos van a dar la posibilidad de abordar el problema de la diabetes tipo 2 y de la 'diabesidad' de forma eficaz", como los agonistas del GLP-1, una hormona con carácter de incretina cuyas funciones básicas consisten en aumentar la secreción de insulina por parte del páncreas de manera dependiente de la glucosa.</div>
2011-06-16T05:36:39-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/135
Cáncer: Una terapia triple mejora la eficacia en el tratamiento del cáncer de mama HER2
2011-06-11T11:27:28-04:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">La administración de los fármacos biológicos trastuzumab y bevacizumab, combinada con la quimioterapia oral capecitabina ha abierto la puerta a un aumento de la eficacia en el tratamiento del cáncer de mama HER2 positivo con metástasis. Si bien en la fase preclínica se había constatado que los tres juntos eran más eficaces que cuando actuaban por separado, faltaba confirmarlo en pacientes. En este sentido, los primeros datos positivos se han dado a conocer en la 47 Reunión Anual de la Sociedad Americana de Oncología Clínica (ASCO), que estos días se celebra en Chicago, EE.UU.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">“Con este triplete las pacientes logran una tasa de respuesta superior al 70% y una supervivencia libre de progresión por encima de los 14 meses, todo ello con una buena tolerabilidad”, explica el doctor Miguel Martín, jefe del Servicio de Oncología Médica del Hospital Gregorio Marañón de Madrid y principal investigador de este estudio internacional fase II, denominado MO21926.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Entre diciembre de 2008 y enero de 2010, fueron reclutados 88 pacientes con cáncer de mama avanzado a fin de determinar la eficacia y seguridad de la terapia triple, cuya elección venía justificada por investigaciones previas. “La realidad nos está demostrando que es preciso combinar biológicos con citotóxicos si queremos conseguir la máxima eficacia. En este caso se han combinado dos terapias dirigidas que habían mostrado una intensa sinergia en líneas celulares de cáncer de mama que sobreexpresan HER2. Por eso las hemos añadido a una quimioterapia oral, la capecitabina, que tiene un buen perfil de seguridad”, añade el Dr. Martín.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">Según este experto, si se confirma en un estudio comparativo que esta combinación triple es igual de eficaz o mejor que las pautas estándar más tóxicas, “podríamos entonces hablar de un tratamiento prometedor, puesto que en el ensayo clínico brinda buenas respuestas en prácticamente todas las mujeres con cáncer de mama HER2 positivo, con una buena tolerancia”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El doctor Martín considera igualmente una ventaja el hecho de que la toxicidad de los tres fármacos no se superponga, de hecho, el éxito del triplete pasa también por el modo en que sea tolerado por las pacientes “Desde luego, es mucho mejor tolerada que otras combinaciones en uso. A diferencia de ellas, no produce alopecia ni neurotoxicidad. A esto hay que añadir que otras posibles complicaciones como mucositis o toxicidad cardiaca son muy escasas o inexistentes y la calidad de vida de las pacientes es francamente buena”.</div> <div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">El cáncer de mama HER2 positivo se caracteriza por la presencia de cantidades elevadas de la proteína HER2 (receptor 2 del factor de crecimiento epidérmico humano) en la superficie de las células tumorales, lo que se denomina “positividad de HER2” y afecta al 20-25% de las mujeres con cáncer de mama.</div>
2011-06-11T11:27:28-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/134
Ciencia y Tecnología: Un proyecto coparticipado por el CENIT estudiará los efectos de la dieta en el desarrollo de enfermedades crónicas
2011-06-06T12:59:08-04:00
Revista Finlay
<p>Cuatro centros catalanes investigarán cómo influye la dieta en el desarrollo de enfermedades crónicas como la obesidad, la hipertensión arterial, la dislipemia, la diabetes o el síndrome metabólico. El proyecto, denominado Henufood, conllevará una inversión de 23,6 millones de euros, de los que 10,3 provendrán del programa CENIT, del Ministerio de Ciencia e Innovación, y otros siete de la empresa catalana de alimentación Gallina Blanca Star. El fondo tecnológico FEDER contribuirá también a la financiación del programa.</p> <div><p>Los centros en los que se llevará a cabo la investigación son el Hospital de la Santa Creu i Sant Pau, el Instituto Catalán de Ciencias Cardiovasculares, el Vall d'Hebron Instituto de Investigación y la Universidad de Lleida, a través de los equipos de investigación dirigidos, respectivamente, por el Dr. Jaume Kulisevsky, director del Instituto de Investigación del Hospital de la Santa Creu i Sant Pau, la Dra. Lina Badimon, directora del Instituto Catalán de Ciencias Cardiovasculares (ICCC), el Dr. Fernando Azpiroz, director del Grupo de Investigación sobre Hipersensibilidad y Motilidad del Vall d'Hebron Instituto de Investigación (VHIR) y la Dra. María José Motilva, directora del Grupo de Investigación en Antioxidantes del Departamento de Tecnología de Alimentos de la Universidad de Lleida.</p></div> <div><p>Además de Gallina Blanca Star, también participan en Henufood Biocentury SLU, Carinsa, Central Lechera Asturiana, GO Fruselva, Probelte Pharma, y Wild; la empresa del sector biotecnológico 2BBlackBio y Ibermática, perteneciente al sector de las tecnologías de la información.</p></div> <div>Según Xavier Argenté, consejero delegado de Gallina Blanca Star, "las empresas que formamos parte de este proyecto, estamos convencidos de que desde la industria podemos responder a los nuevos retos que se plantean hoy en día en el ámbito de la salud y contribuir así a la prevención de enfermedades crónicas desde algo tan básico pero a la vez tan importante como es la dieta habitual".</div>
2011-06-06T12:59:08-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/133
Nutrición: Los omega-3, útiles contra casos de infarto con "stent"
2011-06-05T09:24:59-04:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="consumo_de_omega_3_400" src="/public/site/images/mikhail/consumo_de_omega_3_400.jpg" alt="consumo_de_omega_3_400" width="400" height="369" />Los ácidos grasos omega-3, en combinación con dos antiagregantes, alteran el proceso trombótico y podrían reducir el riesgo de infarto en pacientes con stent.Esta es la conclusión de un trabajo que publica<em><a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21617138" target="_blank"> Arteriosclerosis, Thrombosis and Vascular Biology</a></em>: Journal of the American Heart Association.<p> </p> <div><p>En el ensayo, coordinado por Grzegorz Gajos, de la Universidad Jagiellonian de Cracovia, en Polonia, se ha demostrado que los pacientes que toman píldoras de omega-3 con aspirina y clopidogrel tenían trombos más susceptibles de eliminación en comparación con quienes eran tratados sólo con los antiagregantes.</p> <p>Los investigadores se han fijado especialmente en la proteína fibrina y en la estructura entrelazada que forma en la sangre coagulada. Los datos extraídos de 54 pacientes han permitido analizar los afectos de los omega-3 en casos de enfermedad coronaria arterial estable con un stent implantado. El uso de este tipo de ácidos grasos permite reducir la producción de trombina, acorta los tiempos para la destrucción de trombos, minimiza el estrés oxidativo y no altera los niveles de fibrinógeno y factores de coagulación II y XIII.<br /> <a href="http://cardiologia.diariomedico.com/2011/05/27/area-cientifica/especialidades/cardiologia/investigacion/omega-3-utiles-contra-casos-de-infarto-con-stent" target="_blank">mayo 27/2011(Diario Médico)</a></p> <p>Gajos G, Zalewski J, Rostoff P, Nessler J, Piwowarska W, Undas A. <a href="http://atvb.ahajournals.org/cgi/content/abstract/ATVBAHA.111.228593v1" target="_blank"><strong><em>Arterioscler Thromb Vasc Biol.Reduced Thrombin Formation and Altered Fibrin Clot Properties Induced by Polyunsaturated Omega-3 Fatty Acids on Top of Dual Antiplatelet Therapy in Patients Undergoing Percutaneous Coronary Intervention (OMEGA-PCI Clot)</em></strong></a>. Publicado en <em>Arterioscler Thromb Vasc Biol</em>. 26/Mayo/2011</p></div>
2011-06-05T09:24:59-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/132
Tabaquismo: El tabaco, principal factor de riesgo del infarto prematuro
2011-06-01T08:18:03-04:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="cigarrette2_540_540" src="/public/site/images/mikhail/cigarrette2_540_540.jpg" alt="cigarrette2_540_540" width="371" height="278" />El tabaco es el principal factor de riesgo de los infartos prematuros, según se desprende de un estudio publicado en la <em>Revista Española de Cardiología, </em>que también recoge, entre otras causas de dicha lesión, el exceso de grasa en la sangre y los antecedentes familiares.<p> </p> <p>Eva Andrés, miembro de la Unidad de Investigación y Epidemiología Clínica del Hospital Universitario 12 de Octubre y coautora del trabajo, precisa que “el tabaco multiplica por seis las posibilidades de sufrir un infarto agudo de miocardio entre los jóvenes. Concretamente, alrededor del 75% de los pacientes jóvenes que sufren un IAM son fumadores”.</p> <div><p>La investigación, que incluye una muestra de 12.096 pacientes hospitalizados tras un IAM, de los que 685 sufrieron un IAM prematuro (alrededor de un 6%), señala también que el perfil de riesgo cardiovascular varía en función de la edad del paciente En los jóvenes los factores de riesgo son el tabaco, presente en un 76,78% de los casos, y la dislipemia (exceso de grasa en la sangre), hallada en un 50,21% de los pacientes. En el caso de los mayores de 46 años, la hipertensión se halla en un 47,72% de los pacientes; la dislipemia, en un 35,79%; la diabetes, en un 28,09% y el tabaco, en un 24,46%.</p></div> <div><p>Otro dato relevante que arroja el estudio es la gran prevalencia de IAM prematuro entre los hombres. En España, alrededor del 90% de los infartos de miocardio que se producen en personas menores de 46 años se da en hombres. Según Andrés, esto se produce porque el tabaco y la dislipemia son mucho más prevalentes en hombres, aunque “en los próximos años el porcentaje tenderá a irse igualando entre hombres y mujeres, ya que éstas son cada vez más fumadoras”. En España, alrededor de un 34 % de mujeres menores de 46 años son fumadoras, mientras que en el caso de los hombres el porcentaje asciende al 38%.</p></div> <div><p>El estudio refleja también el gran impacto social, médico y económico que provoca el IAM prematuro, ya no sólo por la incapacidad laboral que puede acarrear, sino también por el mayor uso de los recursos médicos y sanitarios que, de por vida, van a tener que emplear estos pacientes.</p> <p>Según el Comité Nacional para la Prevención del Tabaquismo, la enfermedad coronaria le ha costado a España durante el año 2009 alrededor de unos 4.310 millones de euros, sin incluir los aproximadamente 530 millones que se estima que provocó el tabaquismo pasivo.</p></div> <br /><br /><a href="http://www.revespcardiol.org/sites/default/files/elsevier/eop/S0300-8932%2810%2900084-9.pdf" target="_blank">Revista Española de Cardiología (2011); doi: 0.1016/j.recesp.2010.09.012 </a>
2011-06-01T08:18:03-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/131
Cáncer: El riesgo de cáncer hereditario de ovario y mama puede ser identificado hasta en el 65% de casos
2011-05-31T07:51:57-04:00
Revista Finlay
<p>El riesgo de cáncer hereditario de ovario y mama puede ser identificado entre el 45% y el 65% de los casos, según ha expuesto el jefe de Servicio de Oncología del Complejo Hospitalario de Jaén, el Dr. Pedro Sánchez, en el marco del VI Congreso Andaluz de Médicos de Familia SEMERGEN-Andalucía, celebrado en Huelva.</p> <p>Según las conclusiones de Sánchez, las personas que presentan una mutación del gen BRCA1, que se caracteriza por predisponer a la mujer a estas enfermedades, tienen una probabilidad entre el 45% y el 65% de desarrollar los dos tipos de cáncer. </p> <p>"Actualmente suponen el 10% de todos los tumores diagnosticados", ha explicado el Dr. Pedro Sánchez, quien ha insistido en la importancia de identificar a las familias portadoras de estos síndromes "porque a través de estudios genéticos se pueden diagnosticar aquellos individuos que tienen una mayor susceptibilidad al cáncer, es decir, a experimentar una mutación en los genes que lo producen". <br /> <br /> Así, una identificación de las familias en las que se den estas enfermedades con un componente de tipo hereditario "permitiría que las campañas de prevención fueran más eficaces". Por esta razón, Sánchez aboga por "la necesidad de fomentar los vínculos de colaboración entre la atención a nivel primario y la atención especializada por parte de la oncología médica", ya que a través del conocimiento de una serie de factores de riesgo los médicos de familia podrían identificar a los individuos más susceptibles de contraer este tipo de enfermedad.</p>
2011-05-31T07:51:57-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/130
Enfermedades cardiovasculares: Las muertes por infarto en mujeres mayores de 65 años duplican las que se producen por cáncer
2011-05-30T12:33:22-04:00
Revista Finlay
<div><p>Las mujeres españolas tienen una probabilidad tres veces superior de morir por una cardiopatía isquémica que por un cáncer de mama, y entre mujeres mayores de 65 años, las muertes debidas a enfermedades cardiovasculares duplican la mortalidad causada por todos los tipos de cáncer juntos. Las jornadas <em>Mujer y Corazón,</em> organizadas por segundo año consecutivo por la Fundación AstraZeneca, han refutado la creencia popular de que las enfermedades cardiovasculares afectan más a los hombres.</p></div> <div><p>Según Isabel Calvo, jefa de la Unidad de Hemodinámica del Hospital Miguel Servet de Zaragoza y responsable del PAMYC de Aragón, “esta estimación errónea ha provocado que no se tomen suficientes medidas de prevención en este grupo de población”. Los últimos estudios al respecto sostienen que entre tres y cuatro de cada diez muertes en mujeres se deben a alguna enfermedad cardiovascular, como el ictus, el infarto agudo de miocardio o la insuficiencia cardíaca.</p></div> <div><p>“Las enfermedades cardiovasculares se desarrollan en la mujer, como promedio, diez años más tarde que en los hombres, porque el riesgo aumenta considerablemente después de la menopausia, momento en el que se acumulan los factores que predisponen a desarrollar esta patología”, apunta Calvo. Dos de las causas que explican esta incidencia son el aumento del envejecimiento de la población y el tabaquismo, antes poco prevalente en la mujer.</p></div> <div> La alimentación, unida a la actividad física moderada pero diaria es uno de los pilares básicos en la prevención de las enfermedades cardiovasculares”, explica Calvo. “Con todo, la primera recomendación es evitar el tabaco”, añade.</div>
2011-05-30T12:33:22-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/129
Tabaquismo: Fumar disminuye la fertilidad en mujeres obesas y con sobrepeso
2011-05-30T04:10:33-04:00
Revista Finlay
Cualquier dosis de tabaco consumida diariamente disminuye la fertilidad en mujeres obesas y con sobrepeso, mientras que en aquellas de peso normal las posibilidades de embarazo sólo se reducen claramente a partir de los 16 cigarrillos diarios. <br /> <br /> Así se desprende de una reciente revisión bibliográfica realizada en la Clínica Universidad de Navarra sobre la epidemiología de la fertilidad, que aglutina los resultados de distintos estudios internacionales, tanto sobre reproducción natural como asistida. <br /> <br /> Fruto de dicha revisión, llevada a cabo por el Dr. Álvaro Ruiz Zambrana con la participación de la Dra. Begoña Olartecoetxea, ambos especialistas del Departamento de Ginecología y Obstetricia de la Clínica, se concretan una serie de hábitos de vida modificables que favorecen la fertilidad, como son el mantenimiento de un peso normal, evitar el consumo de tabaco y alcohol, así como aprender a manejar el estrés. <br /> <br /> “Son un grupo de recomendaciones para aquellas parejas que no logran un embarazo. Como primera medida, modificar determinados hábitos puede tener buenos resultados y está indicado especialmente para aquellas mujeres que no quieren recurrir a tratamientos artificiales propios de la reproducción asistida. En definitiva, se trata de potenciar de manera natural las posibilidades de quedar embarazada”, explica el Dr. Ruiz Zambrana en un comunicado. <br /> <br /> Además de cambiar hábitos, este especialista destaca la importancia de conocer cuáles son los días fértiles dentro del ciclo menstrual. “Hay una serie de indicadores biológicos como el moco cervical o la temperatura corporal que permiten reconocer a la mujer, con un mínimo entrenamiento, los días fértiles. Dirigiendo las relaciones sexuales a esos días, aumentan las probabilidades de embarazo”, concreta. <br /> <br /> Por otro lado, el hecho de no mantener un peso normal -un índice de masa corporal situado entre 20 y 25- disminuye la fertilidad, tanto en las mujeres obesas como en las delgadas. “Las mujeres obesas o con sobrepeso y las excesivamente delgadas tienen menos posibilidades o les cuesta más tiempo lograr un embarazo que las que tienen un peso normal”, explica el Dr. Ruiz Zambrana. <br /> <br /> En este sentido, detalla que “cuanto mayor sea el nivel de obesidad, es decir por encima de un índice de masa corporal de 30, más tiempo tarda una mujer en quedarse embarazada”. “Así, cuando la media de tiempo para conseguir un embarazo ronda los siete meses, en mujeres obesas puede llegar a once meses”, añade. <br /> <br /> Además, la influencia negativa en la fertilidad del sobrepeso y la obesidad empeora con el hábito de fumar. “Según un estudio que compara tasas de fertilidad en mujeres clasificadas por peso y consumo de tabaco, en las delgadas la fertilidad sólo empeora claramente por encima de los 16 cigarrillos diarios. Sin embargo, en las que presentan sobrepeso y obesidad, la tasa de fertilidad disminuye desde el primer cigarrillo consumido”, señala el especialista de Clínica Universidad de Navarra. <br /> <br /> Esta influencia del tabaco, añade, “ocurre también en fumadoras pasivas y en la reproducción asistida, donde se reducen las tasas de implantación, embarazo y recién nacido sano”. <br /> <br /> Los resultados de esta revisión bibliográfica también ponen de manifiesto que el consumo de cigarrillos no sólo disminuye la fertilidad, sino que también puede influir negativamente en la evolución del embarazo. “Se ha observado una relación directa entre el tabaco y el aumento del número de abortos durante el primer trimestre, lo que apunta que las fumadoras tienen más posibilidades de sufrir abortos que las no fumadoras”, explica. <br /> <br /> Otro de los hábitos modificables cuando se está buscando un embarazo es el consumo de alcohol, según indica el Dr. Ruiz Zambrana, quien señala que “tomar más de cinco unidades de alcohol por semana reduce la tasa de embarazos por ciclo menstrual, así que cuanto más alcohol consuma, más difícil es que una mujer quede embarazada”. Una unidad de alcohol equivale aproximadamente a un vaso o copa de vino de unos 100 mililitros o una caña de cerveza de 200 mililitros. <br /> <br /> Igualmente, la cafeína consumida en grandes dosis parece tener influencia en la tasa de fertilidad, según los estudios revisados. “Aunque en sí misma la cafeína no es mala, se ha visto que tomar más de 3 o 4 cafés diarios disminuye a la mitad la posibilidad de embarazo”, apunta. <br /> <br /> Aunque resulta difícil de medir, reconoce este especialista, un nivel elevado de estrés también conlleva “más dificultades para quedarse embarazada y un mayor número de abortos”.
2011-05-30T04:10:33-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/128
Cáncer: El uso diario de dosis bajas de ácido acetilsalicílico reduce el riesgo de padecer cáncer de colon y rectal, según un estudio del Instituto Nacional del Cáncer de Estados Unidos
2011-05-27T11:52:45-04:00
Revista Finlay
<span class="nodtxt">Los resultados de un estudio llevado a cabo por investigadores del Instituto Nacional del Cáncer de EEUU han demostrado que el consumo habitual de ácido acetilsalicílico, en bajas dosis, reduce el riesgo de padecer cáncer de colon y rectal, según publica un estudio reciente en la revista científica ‘American College of Gastroenterology’.<br /> <br /> Este estudio, de cohorte prospectivo, que se ha realizado con ácido acetilsalicílico y otros antiinflamatorios no esteroideos (AINE’s), también apunta que el uso diario de AINE’s sin ácido acetilsalicílico disminuye el riesgo de desarrollar cáncer de colon más alejado del recto y cáncer colon, pero no el rectal. <br /> <br /> Los autores del estudio, que se ha llevado a cabo mediante cuestionario, examinaron los datos de más de 301.240 personas adultas, con una media de edad de 62,8 años, donde se analizaba la frecuencia del uso de 19 AINE’s. El 73,3 por ciento de las personas que participaron en la investigación tomaron ácido acetilsalicílico durante los doce meses previos, de los que el 42,6 por ciento lo hicieron de forma mensual, el 23 por ciento una vez a la semana y el 34,4 por ciento, diariamente.<br /> <br /> Los resultados de este trabajo prueban que el mayor beneficio se ha demostrado en las personas con antecedentes familiares de cáncer de colon y rectal.<br /> <br /> Los expertos observaron que cuanto mayor era la frecuencia de ingestión de ácido acetilsalicílico, existía menor probabilidad de padecer cáncer rectal. Cuando la ingestión de ácido acetilsalicílico fue mensual se redujo el riego de padecer la enfermedad en un catorce por ciento, y cuando el uso fue diario, se redujo en un 28 por ciento.<br /> <br /> Los tumores de colon y rectal son la tercera causa de muerte por cáncer. En EE.UU, 48 de cada 100.000 personas padece este tipo de cáncer, según confirma el Instituto Nacional del Cáncer de estadounidense. Sin embargo en España se trata del primer tumor maligno en incidencia y el segundo en mortalidad diagnosticándose cada semana más de 500 casos en nuestro país, según los últimos datos publicados de la Asociación Nacional contra el Cáncer.<br /> <br /> El doctor Andrew Chan, gastroenterólogo del Hospital General de Massachusetts declaró que el estudio respalda lo que se está empezando a advertir “que cada vez hay más datos que respaldan la idea de que el uso de ácido acetilsalicílico reduce el riesgo de cáncer de colon y rectal”.</span>
2011-05-27T11:52:45-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/127
Cáncer: Identifican un marcador biológico asociado a la supervivencia en cáncer colorrectal
2011-05-27T11:04:14-04:00
Revista Finlay
<span class="nodtxt"> Investigadores del Instituto del Cáncer Dana-Farber en Boston (Estados Unidos) han identificado un marcador biológico de la mejor supervivencia de los pacientes obesos con cáncer colorrectal. Los resultados del estudio se publican en la revista <em>Journal of the American Medical Association</em> (JAMA).<br /> <br /> Entre los pacientes obesos, la activación de la proteína indicador biológico CTNNB1 se asoció con una mejor supervivencia del cáncer colorrectal y una supervivencia global. <br /> <br /> Los autores explican que la activación del mecanismo de señalización WNT, una red de proteínas conocida por su implicación en el cáncer, y la proteína beta-1 asociada a la cadherina (CTNNB1, una betacatenina) juegan un importante papel en la carcinogénesis colorrectal. Las evidencias indican un papel del mecanismo WNT-CTNNB1 en la obesidad y las enfermedades metabólicas.<br /> <br /> Los investigadores, dirigidos por Teppei Morikawa, examinaron si la activación de CTNNB1 en el cáncer colorrectal modificaba las asociaciones de pronóstico del índice de masa corporal (IMC) y el nivel de actividad física posterior al diagnóstico. <br /> <br /> El estudio incluyó datos de dos estudios prospectivos estadounidenses realizados entre enfermeras y profesionales de la salud para evaluar el CTNNB1 entre 955 pacientes con fases I, II, III o IV de cáncer colorrectal y colon entre 1980 y 2004. Los autores utilizaron un modelo para computar el riesgo de mortalidad, ajustándolo a las características clínicas y del tumor.<br /> <br /> El análisis indicó que existía un efecto modificador del IMC. En los pacientes obesos con un IMC de 30 o superior el estatus positivo para la CTNNB1 se asoció con una mejor supervivencia al cáncer y general. En contraste, entre los pacientes no obesos, el estatus positivo para la CTNNB1 no se asoció con la supervivencia.<br /> <br /> Los autores también descubrieron que en los pacientes con estatus negativo para el marcador, el nivel elevado de actividad física tras el diagnóstico se asociaba con una mejor supervivencia al cáncer. Sin embargo, en los pacientes con este estatus positivo para CTNNB1, la actividad física no se asoció con la supervivencia.<br /> <br /> Los investigadores concluyen que los resultados proporcionan evidencias de un posible efecto interactivo del mecanismo de señalización CTNNB1 del tumor y el estatus de equilibrio energético del paciente en la determinación de la conducta de las células tumorales. Los datos apoyan la hipótesis de que la progresión de un tumor con un mecanismo de señalización WNT-CTNNB1 inactivo podría verse influida por el consumo y gasto energético, mientras que un tumor con el mecanismo activo podría progresar de forma independiente a este equilibrio energético.<br /> <br /> La conclusión es que el estatus CTNNB1 del tumor podría utilizarse en la práctica clínica como un indicador de la respuesta a la actividad física. Dado que la actividad física es un factor modificable del estilo de vida, los datos podrían tener implicaciones clínicas importantes, concluyen los autores.</span>
2011-05-27T11:04:14-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/125
Obesidad: Más de un 70% de los pacientes con fibromialgia presenta obesidad
2011-05-26T09:35:06-04:00
Revista Finlay
<div>Más del 70% de los pacientes con fibromialgia presenta obesidad, circunstancia de la que se desconoce su causa pero cuya mejoría podría ayudar a que consiguieran una mayor movilidad. Así lo ha asegurado el coordinador del servicio de Endocrinología de la Clínica Sagrada Familia de Barcelona, el Dr. Guillem Cuatrecasas.</div> <div> </div> <div>Durante su ponencia en el simposio “El Síndrome Fibromiálgico, necesidad de un abordaje multidisciplinario”, celebrado en el marco del LIII Congreso de la Sociedad Española de Endocrinología y Nutrición (SEEN), este especialista ha indicado que “existen varias enfermedades endocrinológicas que pueden generar fatiga intensa y dolor; nuestra obligación como endocrinólogos es su despistaje y posterior tratamiento”.</div> <div> </div> <div>En España, más de un millón de personas padece esta enfermedad, aunque continúa siendo mayoritariamente desconocida para la población general. A juicio del Dr. Cuatrecasas, “estamos ante un gran reto sanitario al que prestamos poca atención. Sin embargo, cada vez son más frecuentes las bajas laborales e incluso sentencias de invalidez por esta enfermedad”.</div> <div> </div> <div>La Organización Mundial de la Salud (OMS) define la fibromialgia como un dolor crónico y difuso con rigidez de los músculos que se acompaña con dolores específicos (existen 18 puntos gatillo concretos) y trastornos del sueño. En este sentido, los síntomas van desde el dolor persistente, la fatiga extrema y la rigidez muscular, hasta las dificultades para dormir y problemas de memoria.</div> <div> </div> <div>En este sentido, se estima que un enfermo puede tardar en ser diagnosticado entre uno y dos años, situación que, junto con el tratamiento multidisciplinar, representan los dos “grandes retos” del abordaje de esta enfermedad. “El reumatólogo debe hacer el diagnóstico clínico de forma precisa”, ha apuntado el experto, al tiempo que ha añadido que la intervención del psiquiatra “también es clave” en el manejo del estrés crónico que causan el dolor y la fatiga.</div> <div> </div> <div>En cuanto a la labor del endocrinólogo, el Dr. Cuatrecasas ha señalado que “es fundamental para el despistaje de las enfermedades endocrinológicas que puedan confundirse con un síndrome fibromiálgico”. Por ejemplo, se ha referido al hipotiroidismo subclínico o el déficit de la hormona del crecimiento.</div> <div> </div> <div>“Nuestros datos confirman que alrededor de un 15% de las pacientes con clínica de fibromialgia padece en realidad una deficiencia de hormona de crecimiento”, ha destacado el doctor, mientras que ha afirmado que España es “pionera” en este tratamiento.</div>
2011-05-26T09:35:06-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/124
Tabaquismo: El tabaco en el embarazo puede alterar el ADN del futuro hijo
2011-05-24T08:56:51-04:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="gene_376" src="/public/site/images/mikhail/gene_376.png" alt="gene_376" width="376" height="301" />Según un reciente estudio, presentado en la conferencia de la American Thoracic Society, celebrada en Denver (Estados Unidos), las mujeres que fuman durante el embarazo podrían estar exponiendo a su futro hijo a un mayor riesgo de alteraciones en el ADN. <br /> <br /> Dichos cambios, denominados metilación del ADN, podrían alterar la función normal de un gen. Los investigadores argumentan que los genes alterados, que los hijos pueden heredar de los padres, podrían explicar por qué algunos niños son más propensos que otros a desarrollar ciertas enfermedades, entre ellas el asma infantil. <br /> <br /> El estudio analizó cuestionarios completados por las madres y las abuelas de 173 niños. En dichos cuestionarios se evaluaba su hábito de fumar durante el embarazo. Además, se tomaron y analizaron muestras de ADN de las madres y los niños. <br /> <br /> Los investigadores hallaron que la metilación del ADN del gen AXL, que desempeña una función importante en muchos de los cánceres que afectan a los humanos y en la respuesta inmunitaria, ocurrió con casi tres veces más frecuencia en los niños cuyas madres habían fumado mientras estaban embarazadas de ellos. <br /> <br /> Observaron una relación más fuerte en las niñas que en los niños, y no hallaron una relación significativa entre el hábito de fumar de la abuela y la metilación del ADN del gen AXL, ya fuera en la madre o el hijo. <br /> <br /> "Los genes impresos parecen ser especialmente susceptibles a estas exposiciones debido a que proceden de uno de los padres y solo está activa una copia única de un cromosoma en el ADN", dijo la autora del estudio, Carrie Breton, profesora auxiliar de medicina preventiva de University of Southern California (Estados Unidos). "Cualquier cambio epigenético inducido por el entorno tendrá un mayor impacto en la expresión y función de los genes. Es probable que sean importantes las exposiciones durante la vida uterina y los primeros meses de vida, dado lo que conocemos acerca del momento del desarrollo en el que se establecen los marcadores epigenéticos". <br /> <br /> La investigación de los efectos de la exposición ambiental sobre la epigenética, o los cambios en la función o expresión de los genes que ocurren como resultado de mecanismos distintos de las alteraciones a la secuencia del ADN subyacente, constituye un área de investigación prácticamente inexplorada que promete mucho para la comprensión de los mecanismos biológicos que son la verdadera razón de las relaciones exposición-enfermedad, añade Breton. <br /> <br /> "Nos interesa ahondar en la caracterización del patrón de marcadores epigenéticos para este gen y confirmar si hay una respuesta generalizada tanto a la exposición al hábito de fumar de la madre como a la contaminación del aire durante la vida uterina", comentó. "También esperamos poder evaluar la sincronización de los efectos de la exposición por trimestre, al aumentar el número de muestras que evaluamos de forma que nos permita comparar las exposiciones específicas por trimestre".<img title="gene_376" src="/public/site/images/mikhail/gene_376.png" alt="gene_376" width="376" height="301" />
2011-05-24T08:56:51-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/123
Osteoporosis: La prevalencia de la osteoporosis ha aumentado un 54% en los últimos 20 años
2011-05-23T17:32:55-04:00
Revista Finlay
<div>La prevalencia de la osteoporosis en la población española ha aumentado un 54% en los últimos veinte años, según los expertos reunidos en el LIII Congreso de la Sociedad Española de Endocrinología y Nutrición (SEEN), celebrado en Santiago de Compostela.</div> <div> </div> <div>Debido al progresivo envejecimiento de la población, el coordinador del Grupo de Trabajo de Metabolismo Mineral Óseo de la SEEN, Esteban Jódar, aseguró que “podemos esperar un aumento igual o más significativo en los próximos años”.</div> <div> </div> <div>De hecho, en España se producen aproximadamente unas 25.000 fracturas cada año a causa de la osteoporosis y las mujeres tienen un 40% de riesgo de sufrir una fractura osteoporótica a lo largo de su vida. “Este porcentaje es equivalente al riesgo de cáncer de mama, ovario y endometrio asociados”, indicó el coordinador del Grupo de Trabajo de Asistencia Especializada de la SEEN, Manuel Muñoz Torres.</div> <div> </div> <div>Esta situación supone “un coste directo al Sistema Nacional de Salud (SNS) de más de 126 millones de euros y un coste indirecto cercano a los 420 millones”, detalló el Dr. Jódar. Además, “tras una factura de cadera, solo el 20% de los supervivientes es independiente, mientras que el 29% precisa ayuda domiciliaria y el 51% depende de un centro de crónicas”, añadió el Dr. Muñoz.</div> <div> </div> <div>Por ello, todos los especialistas coinciden en que la manera de reducir costes es, en primer lugar, prevenir la aparición de la osteoporosis y, en segundo, una vez que ésta se da en el paciente, realizar un diagnóstico precoz y un tratamiento eficaz de la misma.</div> <div> </div> <div>“Un estilo de vida saludable evitando tóxicos como el tabaco o el exceso de alcohol, una nutrición adecuada, un peso saludable y ejercicio físico regular, preferentemente la aire libre, son las mejores armas para prevenir la osteoporosis”, aseguró el Dr. Jódar.</div> <div> </div> <div>Respecto al tratamiento, Muñoz Torres recordó que “existe un amplio arsenal terapéutico que permite no sólo detener eficazmente la pérdida de masa ósea, sino también formar hueso nuevo mejorando la resistencia y reduciendo de forma muy significativa las fracturas osteoporóticas”.</div>
2011-05-23T17:32:55-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/122
Anuncio: Obra dedicada a Finlay obtiene primer premio en Videosalud 2011
2011-05-22T08:08:44-04:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="230px-finlay_carlos_1833-1915_120" src="/public/site/images/mikhail/230px-finlay_carlos_1833-1915_120.jpg" alt="230px-finlay_carlos_1833-1915_120" width="82" height="119" />El documental <em>Finlay el Nobel que no pudo ser</em>, de la realizadora Bárbara Diéguez Ruiz, de Mundo Latino, obtuvo el primer premio de la <a href="http://www.videosalud2011.sld.cu/index.php/videosalud/2011" target="_self">Segunda Muestra Internacional del Audiovisual en Ciencias de la Salud, </a>clausurada este viernes en La Habana.<p> </p> <p>Tras recibir el preciado lauro entregado por Waldo Ramírez, vicepresidente del Icrt, y en presencia de Damiana Martín Laurencio, directora del Centro Nacional de Información de Ciencias Médicas-Infomed, sede del evento, Diéguez Ruiz dijo que la obra era una deuda con Finlay (cumplida ahora por sus realizadores) y con Cuba.</p> <p>En medio de su visible emoción, la creadora añadió que el documental se hizo con mucho amor y constituye un homenaje a la obra y a la figura de Finlay un destacado científico del ámbito cubano y universal, a quien se debe el descubrimiento del Aedes Aegypti como agente trasmisor de la fiebre amarilla. </p> <p>Otro documental, <em>Ni preguntas, ni respuestas... es la vida</em>, de la realizadora cubana Lizette Vila y la multimedia <em>ABC en diagnóstico por imágenes normal, </em>de Nicolás Mercado Nieto, de Argentina, merecieron el segundo y tercer premios de la cita, en la que concursaron 80 obras en la muestra competitiva y 27 en la informativa.</p> <p>Otros premios concedidos en esta segunda muestra, inaugurada el pasado martes, fue el de la popularidad, ganado por el documental <em>El Llanio</em>, de José Luis Mederos.</p> <p>Asimismo hubo dos reconocimientos especiales por parte del jurado, que presidió Waldo Ramírez, y que alcanzaron Aedes Aegypti y Aedes Albopictus, una amenaza para el trópico, de Genilton José Vieira, de Brasil, y Olimpiada de Santovenia, de Pedro Justino Rojas y Dennis González Avela, de Cuba. </p> <p>Además fueron galardonadas las tres mejores producciones por cada una de las categorías establecidas en el evento: documental, multimedia, programa de TV, secuencia, spot, video clip, video didáctico y video informativo. </p> <p>En su intervención de clausura, Damiana Martín Laurencio significó la participación de realizadores de Argentina, Brasil, Costa Rica, Ecuador, Perú, Haití, Venezuela, España y Cuba y calificó el desarrollo del certamen en un ambiente cordial y diáfano.</p> <p>La directora del Cnicm-Infomed también refirió la ejecución de conferencias, que propiciaron enriquecedores debates entre los participantes, entre ellos, integrantes de los centros provinciales de información de ciencias médicas y del hospital clínico quirúrgico General Calixto García conectados a través de las salas virtuales.</p> <p>"Las obras expuestas se conservarán en los fondos de la Biblioteca Médica Nacional y en el catálogo virtual de las producciones audiovisuales en salud, que se enriquecerá con el esfuerzo de todas las provincias y el aval de los diferentes consejos científicos", subrayó.</p> <p>En esta jornada de clausura, se creó la Red de Audiovisuales en Salud, en la cual se incluyó como miembro de honor al querido profesor Noel González, quien ejecutó el primer trasplante de corazón en Cuba y fue una reconocida figura de la cirugía cardiovascular en nuestro país y en el ámbito internacional.</p> <p>Asistieron al acto, además, creadores, productores, guionistas y otras personas asociadas a la información y comunicación con imágenes y sonido. También, trabajadores y directivos del Cnicm-Infomed. (JNM)</p>
2011-05-22T08:08:44-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/121
Cáncer: Identifican un nuevo gen asociado al cáncer de mama
2011-05-20T09:05:28-04:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="adn4_540_540" src="/public/site/images/mikhail/adn4_540_540.jpg" alt="adn4_540_540" width="174" height="107" />Un estudio internacional liderado por investigadores del Instituto de Investigación Biomédica de Bellvitge (Idibell) ha identificado un nuevo gen implicado en la susceptibilidad de desarrollar cáncer de mama. <div> </div> <div>El estudio, publicado en <em>Breast Cancer Research and Treatment</em>, ha analizado variantes genéticas del gen TNFRSF11A, que codifica la proteína RANK y desempeña un papel fundamental en el proceso de desarrollo y diferenciación de las células del epitelio de la mama y en la iniciación de los tumores mamarios.</div> <div> </div> <div>Desde hace años se conocen dos genes -BRCA1 y BRCA2- que, cuando están mutados, aumentan mucho el riesgo de desarrollar cáncer de mama, a lo que hay que añadir los hallazgos de estudios recientes, que han identificado modificadores de la penetrancia de mutaciones de BRCA1/2 que también influyen en el riesgo de sufrir cáncer en la población general.</div> <div> </div> <div>Concretamente, en el estudio los investigadores han visto que las portadoras de alelo menor de la variante genética rs7226991 tienen un riesgo reducido de desarrollar cáncer de mama, una asociación que se ha encontrado tanto en pacientes esporádicas como en casos familiares de portadoras de mutaciones en el gen BRCA2.</div> <div> </div> <div>El objetivo del grupo de investigación de Transformación y Metástasis es incluir esta nueva información genética en los algoritmos de decisión que se usan en las unidades del consejo genético para mejorar el seguimiento de las pacientes con alta predisposición a sufrir cáncer.</div> <div> </div> <div>En el estudio han participado el Institut Català d'Oncologia (ICO), el Centro Nacional de Investigación Oncológica (CNIO), el Instituto de Oncología de Vall d'Hebron (VHIO), el Hospital de Sant Pau, el Hospital Universitario Miguel Servet de Zaragoza, el Clínico San Carlos de Madrid y otros centros de Israel e Italia.</div> <div> </div> <a href="http://www.springerlink.com/content/n7j3650v10670853/" target="_blank">Breast Cancer Research and Treatment 2011;doi: 10.1007/s10549-011-1546-7</a>
2011-05-20T09:05:28-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/120
Obesidad: Una de cada cuatro mujeres menopáusicas es obesa
2011-05-19T17:40:58-04:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="obesidad_470" src="/public/site/images/mikhail/obesidad_470.jpg" alt="obesidad_470" width="338" height="225" />Una de cada cuatro mujeres posmenopáusicas es obesa. En este sentido, en cuanto a la relación entre obesidad y mujer, aunque se trata de un trastorno más prevalente en la mujer independientemente de la edad, “cuando llega la menopausia, los cambios hormonales y la disminución del metabolismo basal, asociado con la edad, favorece que la mujer aumente de peso, lo que también conlleva un aumento del riesgo de enfermedades cardiovasculares”, destaca el Dr. Plácido Llaneza, miembro de la Junta Directiva de la Asociación Española para el Estudio de la Menopausia (AEEM) y ponente de la mesa que la AEEM celebró sobre este y otros temas relacionados con la salud de la mujer en el marco del XXXI Congreso Nacional de la Sociedad Española de Ginecología y Obstetricia (SEGO), que se está celebrando en Sevilla. <div> </div> <div> Al mismo tiempo, el déficit de estrógenos que se produce en la mujer a partir de la menopausia contribuye a elevar las cifras del colesterol LDL y a disminuir los niveles colesterol HDL. “Los estrógenos suponen una ventaja, puesto que favorecen la actuación de enzimas antioxidantes, y ello las protege frente a diversas patologías. Pero con la llegada de la menopausia, se produce una caída brusca de esteroides sexuales con una mayor susceptibilidad de presentar patologías cardiovasculares y una afectación considerable en la calidad de vida”, explicó el Dr. doctor Llaneza.</div> <div> </div> <div>Diversas patologías asociadas alteran la calidad de vida de las mujeres obesas y acortan su esperanza de vida. La hipertensión arterial, la resistencia a la insulina y las dislipemias son comunes en las mujeres posmenopáusicas con sobrepeso u obesidad y constituyen factores de riesgo de enfermedad cardiovascular.</div> <div> </div> <div>La llegada de la menopausia y, con ella, el descenso de estrógenos y progesterona, hace que aumenten los factores de riesgo para desarrollar este tipo de problemas de salud en las mujeres. “Esta circunstancia –comentó el Dr. Llaneza- motiva que la enfermedad cardiovascular se retrase unos años en la mujer con respecto al hombre debido a la protección hormonal de que goza la mujer hasta este período”.</div> <div> </div> <div>Además, con la llegada del climaterio y debido a la obesidad, en las mujeres existe una mayor incidencia de diabetes e hipertensión arterial. Por tanto, el Dr. Rafael Sánchez Borrego, presidente de la AEEM, señaló que “la mujer debe ser consciente de que no puede descuidar su salud con la llegada del climaterio y es necesario que se implique a la hora de prevenir los factores de riesgo, como la obesidad, que conducen a las enfermedades cardiovasculares, así como a otras patologías más prevalentes con la menopausia”. Asimismo, según el Dr. Llaneza, “los especialistas estamos obligados a realizar un esfuerzo terapéutico a largo plazo para alcanzar una reducción de peso mantenida”.</div> <div> </div> <div>La alimentación es indudablemente uno de los pilares básicos para la prevención de la obesidad. Una buena dieta, equilibrada y completa consigue reducir su incidencia. “No existe ningún alimento absolutamente prohibido en estos casos, ni ninguno que haya que comer en exclusiva. Por el contrario, hay que hacer dieta variada, procurando reducir la ingesta de los alimentos ricos en calorías”, explica el Dr. Llaneza.</div> <div> </div> <div>Al mismo tiempo, dado que la menopausia se asocia con una reducción del gasto energético, debido a la disminución de la tasa metabólica y la actividad física, el ejercicio físico a una intensidad adecuada y mantenida en el tiempo es un factor clave. “Uno de los ejercicios más recomendados sería caminar a paso ligero o la carrera suave”, explicó el citado especialista.</div> <div> </div> <div>En definitiva, y ante el aumento de la esperanza de vida de población femenina en España, que se estima que en el año 2020 llegará a los 85,1 años y la búsqueda de una mejor calidad de vida en la mujer madura, el Dr. Sánchez Borrego afirma que “los expertos en ginecología nos planteamos en la actualidad la necesidad de elaborar un programa individual de revisiones, posibles tratamientos y hábitos de vida saludable para cada mujer y en colaboración con ella, una vez analizados los factores de riesgo y siempre teniendo en cuenta su calidad de vida”.</div>
2011-05-19T17:40:58-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/119
Aterosclerosis: Una princesa, la momia más antigua con aterosclerosis
2011-05-18T05:48:30-04:00
Revista Finlay
<div id="tamano"><p><img title="momia_de_princesa_con_aterosclerosis_470" src="/public/site/images/mikhail/momia_de_princesa_con_aterosclerosis_470.jpg" alt="momia_de_princesa_con_aterosclerosis_470" width="392" height="261" />No fumaba, su posición social le permitía tener una dieta rica y sana, muy lejos de los fast-food que conllevan los apretados horarios de trabajo y, además, dada su condición, tampoco parece que fuera una mujer estresada.</p> <p>Ahmose-Meryet-Amon tenía la vida resuelta y saludable que le daba su condición de princesa egipcia. Era hija del Seqenenre Tao II, el último faraón de la 17ª dinastía, una de las más prósperas del país del Nilo. <strong>Alejada de la dieta normal</strong> de un egipcio medio, su estilo de vida no parecía propiciar una enfermedad arterial coronaria. Sin embargo, un grupo de investigadores de EEUU ha encontrado en los restos de este miembro de la realeza de hace 3.500 años lo que podría ser el primer caso conocido de aterosclerosis en la Historia.</p> <p>"Comúnmente pensamos que las enfermedades de las arterias coronarias y del corazón son consecuencia del modo de vida moderno, fundamentalmente porque han aumentado en los países en desarrollo a medida que se occidentalizan, pero nuestros resultados dejan en entredicho la percepción de la aterosclerosis como una enfermedad de la vida moderna", comenta el doctor Gregory S. Thomas, director de Cardiología de la Universidad de California, Irvine (EEUU).</p> <h3>Las arterias de la antigüedad</h3> <p>Bautizando el estudio con el nombre del dios egipcio Horus, 'el elevado', un grupo de investigadores se adentró en el estudio de los vasos sanguíneos de 52 momias del antiguo Egipto. Tal y como publicaba <a href="http://www.medisur.sld.cu/viejo/issues/view.php?u=Oi8vd3d3LmVsbXVuZG8uZXMvZWxtdW5kb3NhbHVkLzIwMDkvMTEvMTcvY29yYXpvbi8xMjU4NDg2NDE3Lmh0bWw%3D&b=13" target="_blank">'The Journal of the American Association' (JAMA)</a>, de ellas, sólo en 44 pudieron realizar un estudio de sus arterias y corazón, ya que en el resto habían desaparecido, y la sorpresa la encontraron cuando vieron que 20 de esos restos presentaban acumulaciones de calcio en las paredes de sus vasos sanguíneos.</p> <p>Los más antiguos de ellos eran los de la princesa Ahmose, que probablemente vivió entre los años 1580 a 1550 antes de Cristo y que se supone, murió con poco más de 40 años. Gracias a las pruebas de escáner se comprobó que "esta momia presentaba síntomas de aterosclerosis en dos de sus <strong>tres arterias coronarias</strong> principales", explica el doctor Thomas, "por lo que a día de hoy habría necesitado una cirugía de by-pass sin dudarlo".</p> <p>A partir de estas pruebas se abre el debate. ¿Son las enfermedades coronarias el resultado de los malos hábitos de la vida moderna? Hace 3.500 años no se conocía el tabaco ni las grasas 'trans', la dieta era rica en verduras, fruta y con una cantidad limitada de carne.</p> <p>Como miembro de una familia noble, es posible que Ahmose hubiese comido más carne, mantequilla y queso que el resto de los mortales egipcios y, la única pega importante, es que "los alimentos se conservaban en sal, algo que ha podido tener un efecto adverso en su salud", según comenta a ELMUNDO.es el doctor Thomas desde Amsterdam, donde se encuentra <strong>presentando los últimos resultados</strong> de este estudio en la Conferencia Internacional de Imagen Cardiovascular no Invasiva.</p> <p>Pero todos los expertos se ponen de acuerdo en que, aunque importante, la dieta no es el único factor para desarrollar una enfermedad coronaria. "Son un cúmulo de varias cosas, por ejemplo, en España, el 50% de las personas que sufre actualmente aterosclerosis tienen un colesterol normal", comenta por su parte Jesús Egido, Jefe de servicio de nefrología e Hipertensión de la Fundación Jiménez Díaz e investigador de la Red de Investigación Cardiovascular (RECAVA). "Efectivamente, la dieta es una parte importante para desarrollar esta patología, pero en este caso la dieta se basaba en cereales, vegetales y fruta, mientras que el consumo de grasas era más escaso que el nuestro, incluso en las altas esferas sociales", confirma el doctor Thomas. "Como no es la única causa también estamos investigando <strong>factores como una posible respuesta inflamatoria</strong> a las frecuentes infecciones parasitarias o la genética, ya que hemos descubierto que otros miembros de su familia también tenían síntomas de esta enfermedad", añade.</p> <p>"Esta investigación es importante porque se está viendo que los humanos están predispuestos a la aterosclerosis, lo que nos obliga a tomar las medidas necesarias para demorarla lo más que podamos", aseguran los autores de la investigación.</p> <p>Además, a estas posibles causas habría que añadir que la princesa también era diabética y, para Jesús Egido, "seguramente también <strong>sufría alguna enfermedad</strong> renal. Todo ello son causas que juntas hacen que se den este tipo de calcificación a pesar de tener sólo 40 años". Ahora, tal y como señala el doctor Thomas, sólo queda preguntarse ¿Qué factores son los más peligrosos?</p></div>
2011-05-18T05:48:30-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/118
Hipertensión arterial: Día mundial de la Hipertensión arterial
2011-05-17T18:18:35-04:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="evolucin_de_la_hipertensin_arterial_849" src="/public/site/images/mikhail/evolucin_de_la_hipertensin_arterial_849.jpg" alt="evolucin_de_la_hipertensin_arterial_849" width="484" height="327" />La hipertensión arterial (HTA) es la principal causa de morbimortalidad en el mundo y el factor de riesgo cardiovascular más prevalente. El 15% de la población mundial y el 38% % de la cienfueguera la padecen. Según estudios recientes de la iniciativa CARMEN (Conjunto de Acciones para Reducir Multifactorialmente las Enfermedades no Transmisibles) en Cienfuegos, muestra que la población de esta ciudad ha tenido un incremento de la prevalencia de hipertensión arterial en los últimos 20 años. Si bien a finales de la década de los 90 y principio de la primera década de este siglo la tasa de prevalencia disminuyó, nuevas evidencia muestran que en estos momentos más del 35 % de la población con más de 17 años tienen un incremento sostenido de la presión arterial igual o superior a 140 o 90 mmHg. Estos estudios también demuestran un incremento sostenido de la obesidad. En ese sentido llamamos a todos los ciudadanos a revisar bien todas las medidas preventivas posibles necesarias para reducir el peso y la hipertensión arterial a cifras normales.<p> </p><p>Por todo ello, desde el Centro de Estudio para las Enfermedades no Transmisibles se promueve concienciar a la población de la necesidad de tomarse la presión arterial de forma periódica y considera “fundamental” seguir un estilo de vida cardiosaludable. Así, aconsejan no fumar; no ingerir alcohol; hacer ejercicio físico de forma regular y practicar una alimentación baja en sal y alta en el consumo de frutas, legumbres, verduras, pan, frutos secos, así como otros cereales.</p><p> </p><p><a href="http://www.medisur.sld.cu/index.php/medisur/article/view/1166/70" target="_blank">Ver otros artículos sobre la iniciativa CARMEN</a></p>
2011-05-17T18:18:35-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/117
Cáncer: El consumo de café reduce el riesgo de un tipo de cáncer de mama
2011-05-16T16:34:12-04:00
Revista Finlay
<span class="nodtxt"> Las personas que toman café tienen menor riesgo de padecer cáncer de mama negativo al receptor de estrógeno resistente a los antiestrógenos, aunque se desconocen los mecanismos implicados en esta asociación, según un estudio del Instituto Karolinska en Estocolmo (Suecia), que se publica en la revista <em>Breast Cancer Research</em>.<br /> <br /> Los investigadores compararon factores del estilo de vida y el consumo de café en las mujeres con cáncer de mama y sin la enfermedad, que tenían la misma edad. En términos generales, descubrieron que quienes consumían café tenían una menor incidencia del cáncer de mama que las mujeres que lo bebían en raras ocasiones. <br /> <br /> Sin embargo, los autores también tuvieron en cuenta varios factores del estilo de vida que afectaban a las tasas de cáncer de mama como la edad de la menopausia, el ejercicio, el peso, la educación y un antecedente familiar de cáncer de mama. Una vez que tuvieron en cuenta estos otros factores, descubrieron que el efecto protector del café sobre el cáncer de mama se producía solo en el cáncer de mama negativo al receptor de estrógeno.<br /> <br /> Al comparar los resultados del presente estudio con los de otra investigación alemana, los autores descubrieron que sus datos mostraban la misma tendencia pero que la relación era mucho más débil. Los autores sugieren que esto podría tener que ver con la forma en la que se prepara el café o el tipo de café preferido. <br /> <br /> Es improbable que el efecto protector se deba a los fitoestrógenos presentes en el café dado que no existió reducción en la incidencia del cáncer positivo a los estrógenos en este estudio. Aunque es evidente que el café podría tener efectos beneficiosos para proteger a las mujeres del cáncer de mama negativo al receptor de estrógenos, se desconoce el mecanismo exacto y los componentes implicados y se sabe que no todos los tipos de café son iguales.</span>
2011-05-16T16:34:12-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/116
EPOC: Identifican una variante genética vinculada al desarrollo de la EPOC en hombres
2011-05-16T16:19:41-04:00
Revista Finlay
<span class="nodtxt"> Investigadores del Hospital de Brigham y las Mujeres en Boston (Estados Unidos) han vinculado una variante en el gen del receptor de la vitamina D (VDR) con el inicio de la enfermedad pulmonar obstructiva crónica (EPOC) en hombres caucásicos. El estudio, que se ha hecho público durante la conferencia internacional 2011 de la Sociedad Torácica Americana que se celebra en Denver, se realizó entre los participantes de un estudio sobre envejecimiento en veteranos estadounidenses.<br /> <br /> Según explica Audrey Poon autora del estudio, aunque el tabaquismo se considera el principal factor de riesgo de enfermedades obstructivas crónicas como el enfisema y la bronquitis crónica, sólo una proporción de fumadores desarrollan la enfermedad clínica. Los investigadores creen que los factores genéticos también contribuyen al riesgo de desarrollar EPOC. El mecanismo metabólico de la vitamina D ha sido implicado en el desarrollo de EPOC.<br /> <br /> Algunas variantes de genes que controlan el funcionamiento y metabolismo de la vitamina D se han asociado con la EPOC y otras enfermedades pulmonares, pero los resultados han sido contradictorios. En este estudio se investigaron variantes en dos genes del mecanismo de la vitamina D y su asociación con el desarrollo de EPOC.<br /> <br /> Los investigadores utilizaron el ADN del estudio de los veteranos y determinaron los genotipos de 24 variantes en el gen del receptor de la vitamina D y 12 en el gen de la proteína de unión de la vitamina D en un total de 1.215 hombres. <br /> <br /> Todos los individuos estaban libres de enfermedades crónicas, incluyendo enfermedad cardiaca coronaria, hipertensión, enfermedad pulmonar crónica, asma y diabetes en el momento de su inclusión en el estudio. El trabajo también proporcionaba datos de medidas de función pulmonar repetida a lo largo de 40 años, así como información de tabaquismo de los participantes.<br /> <br /> Los investigadores utilizaron los datos del funcionamiento pulmonar para medir el tiempo que tardaron los participantes en desarrollar EPOC, evaluando las 36 variantes genéticas. Descubrieron que la variante rs3847987 del gen VDR influía en el momento de inicio de la EPOC en la población del estudio.<br /> <br /> "Esperábamos descubrir una asociación de variantes en uno de estos genes con el desarrollo de EPOC. Sin embargo, no esperábamos que esta variante particular del gen VDR estaría asociada, dado que no se había asociado antes con la EPOC", explica Poon, que añade que serán necesarios futuros estudios para determinar la función de la variante genética.<br /> <br /> La autora apunta que se desconoce aún qué efecto, si existiera, tienen los niveles de vitamina D sobre el riesgo de desarrollar EPOC y si los niveles circulantes de la vitamina interaccionan con las variantes genéticas. <br /> <br /> "Además, sólo seleccionamos dos genes del mecanismo y existen numerosos genes que están implicados. Si estos descubrimientos se validan, entonces investigar el efecto de esta variante en particular en el funcionamiento de la vitamina D sería de especial importancia", concluye Poon.<br /> </span>
2011-05-16T16:19:41-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/115
Medicamentos: El CNIO desarrolla dos nuevas moléculas con propiedades antitumorales
2011-05-10T14:36:04-04:00
Revista Finlay
<div>El Grupo de Inestabilidad Genómica del Centro Nacional de Investigaciones Científicas (CNIO) ha finalizado el desarrollo de dos nuevas moléculas con propiedades anticancerosas que actúan inhibiendo la cinasa ATR, cuya diana son las mutaciones del gen p53, muy frecuentes en diferentes tipos de cáncer.</div> <div> </div> <div>El director de esta investigación, publicada en <em>Nature Structural and Molecular Biology</em>, Óscar Fernández-Capetillo, ha colaborado con el Programa de Terapias Experimentales del CNIO, que dirige Joaquín Pastor, ya que estos habían descrito previamente que los niveles reducidos de esta cinasa eran particularmente tóxicos para células que carecían del gen p53.</div> <div> </div> <div>Basándose en esta observación, la hipótesis con la que trabajaban era que inhibidores de ATR podrían ser particularmente eficientes para matar células con mutaciones en p53.</div> <div> </div> <div>En concreto, la relevancia de esta idea es que la pérdida de p53 es muy frecuente en cáncer, lo que se asocia en muchos casos a la pérdida de respuesta del tumor a muchas de las estrategias genotóxicas que se usan en quimioterapia.</div> <div> </div> <div>Tras tres años de trabajo, el grupo consiguió identificar varias moléculas capaces de inhibir de manera muy potente a ATR. Estudios in vitro han demostrado que, efectivamente, estas moléculas son particularmente tóxicas para células que carecen de p53, pero también para células que portan otras mutaciones cancerosas como la sobreexpresión de ciclina E.</div> <div> </div> <div>De hecho, uno de los compuestos que se ha identificado (NVP-BEZ235), está siendo actualmente testado en ensayos clínicos para el tratamiento del cáncer, pero se desconocía que su efecto podría estar mediado por la inhibición de ATR.</div> <div> </div> <div>En la actualidad, el grupo está explorando las posibilidades de trasladar estas ideas a ensayos clínicos y preclínicos con la ayuda del Programa de Investigación Clínica del CNIO, dirigido por el Manuel Hidalgo.</div> <div> </div> <div>Además de este trabajo, el grupo ya dispone de datos en modelos animales de que esta estrategia es “muy eficiente” para el tratamiento de algunos tumores.</div> <div> </div> <br /><br /><a href="http://www.nature.com/nsmb/journal/vaop/ncurrent/abs/nsmb.2076.html" target="_blank">Nature Structural & Molecular Biology 2011;doi:10.1038/nsmb.2076</a> <!-- .content --> <div class="inner_content"><!-- .listaRss{position:relative; 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2011-05-10T14:36:04-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/114
Factores de riesgo cardiovascular: El infarto de miocardio se adelanta 12 años en los fumadores
2011-05-09T13:16:54-04:00
Revista Finlay
<div>El infarto de miocardio se adelanta una media de 12 años en los pacientes fumadores, según ha revelado el estudio TABARCA que, “no sólo ha reflejado una mayor juventud entre las personas que fuman y que sufren un infarto, sino que también el pronóstico a un año de estas personas es más desfavorable que el de las personas con un síndrome coronario agudo pero que no fuman”.</div> <div> </div> <div>Así lo ha explicado la presidenta de la Sección de Hipertensión Arterial de la Sociedad Española de Cardiología (SEC), Dra. Pilar Mazón, quien ha detallado que en el estudio se ha analizado 825 pacientes ingresados en 42 hospitales de toda España por infarto de miocardio, de los que el 50% eran fumadores y el otro 50 no lo era. </div> <div> </div> <div>“Es labor de todos el seguir concienciando a los fumadores de que el tabaco es muy perjudicial para el corazón, ya que el estudio también ha reflejado que tras tres meses de sufrir un infarto, el 27% de los fumadores seguía fumando y que esta cifra aumentó al 29% al cabo de un año”, ha advertido esta especialista.</div> <div> </div> <div>El estudio, que ha analizado la influencia del tabaco en las complicaciones cardiovasculares de pacientes que ingresan en un hospital por un síndrome coronario agudo, también ha reflejado que la mayor mortalidad por infarto de miocardio entre los pacientes estudiados se ha dado entre los mayores de 75 años y fumadores con un 19%, seguido de los mayores de 75 años no fumadores con un 5.8%.</div> <div> </div> <div>La hipertensión arterial (HTA) es el factor de riesgo cardiovascular más prevalente. En España más del 60% de las personas mayores de 65 años son hipertensas, es decir, tienen un incremento continuo de las cifras de presión sanguínea en las arterias y su repercusión en el corazón las hace más propensas a padecer fibrilación auricular, que es la arritmia cardiaca más frecuente.</div> <div> </div> <div>Todo esto se ha explicado durante una reunión que la SEC ha celebra en Madrid, en la que han participado más de un centenar de cardiólogos, internistas y nefrólogos, y en la que se han abordado temas como la HTA y la fibrilación auricular.</div> <div> </div> <div>Según la Dra. Mazón, “la fibrilación auricular es una complicación frecuente y grave de la hipertensión arterial, tanto por el deterioro que supone en sí la presencia de la arritmia como por el elevado riesgo de sufrir otras complicaciones potencialmente mortales e invalidantes como la insuficiencia cardiaca o el ictus. Por lo tanto, el adecuado control de la tensión arterial en este ámbito ha demostrado beneficios importantes en la prevención de dichas complicaciones”, ha apuntado esta especialista.</div>
2011-05-09T13:16:54-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/113
Enfermedades cardiovasculares: Enfermedades cardíacas constituyen la principal causa no obstétrica de morbimortalidad materna en el embarazo
2011-05-06T05:42:10-04:00
Revista Finlay
<span class="textonormal"><p>La Fundación Española del Corazón recuerda la importancia que tiene el cuidado del corazón para las mujeres embarazadas, especialmente para aquellas que ya padecen alguna enfermedad cardiaca, dado que el riesgo es aún mayor para ellas y para sus bebés. Y es que las enfermedades del corazón son la primera causa no obstétrica de morbilidad y mortalidad materna en el embarazo.<br /> En el período de la gestación son habituales ciertos cambios fisiológicos a los que el sistema cardiovascular debe adaptarse, y en la mayoría de los casos lo hace sin problemas. Las principales modificaciones que sufre el sistema cardiovascular de la mujer en este estado son el incremento del volumen sanguíneo, la frecuencia cardiaca y el gasto cardiaco. Además, se produce un descenso de la presión arterial, tanto la sistólica como la diastólica.</p> <p>El incremento del volumen sanguíneo es un proceso adaptativo que está inducido por las necesidades metabólicas del feto. Este proceso comienza en la sexta semana de gestación y va incrementándose hasta el momento del parto, cuando se encuentra un 50% por encima de lo habitual. Asimismo, la frecuencia cardiaca normalmente se acelera en 10-20 latidos por minuto a lo largo del embarazo, con un pico a finales del segundo trimestre o a principios del tercero. Estos dos factores producen una ampliación paralela del gasto cardiaco de la madre (entre el 30% y el 50%), de modo que se logre la oxigenación adecuada tanto de la gestante como del feto.</p> <p>Debido a esta situación hiperdinámica, prácticamente todas las mujeres embarazadas presentan un soplo suave en el corazón que no conlleva ningún problema añadido y que desaparece tras el parto</p> <p>La incidencia de tromboembolismo pulmonar en el embarazo y el puerperio, se estima entre 1 de cada 1000 y 1 de cada 3000 partos y la mortalidad en alrededor de 1 de cada 100 000 embarazos. Factores como la obesidad, el hábito de fumar, la mayor edad de la gestante, la historia familiar de trombosis o el reposo prolongado pueden favorecer su presentación. Por este motivo, es importante la prevención, un diagnóstico rápido y un tratamiento eficaz.</p> <p>La dilatación de la aurícula durante el embarazo contribuye a la aparición de arritmias, por lo que estas pueden ser también habituales, y en mujeres que previamente ya padecían de esta enfermedad, pueden hacerse más frecuentes, pero en general estas arritmias son molestas pero no entrañan gravedad.</p> <p>El infarto de miocardio, por el contrario, rara vez se presenta en mujeres embarazadas y se estima que su incidencia es inferior a 1 de cada 10 000 embarazos. Suelen ser debidos a enfermedad coronaria no ateromatosa, como malformaciones congénitas: fístulas coronarias, nacimiento anómalo de las arterias, entre otras.</p> <p>Para evitar complicaciones, la FEC recomienda a las embarazadas y especialmente a las que ya presentan cardiopatías, controlar periódicamente la tensión arterial, apuntando en un cuaderno las cifras para mantener los registros; una dieta baja en sal, dejar de fumar y tratar de llevar una vida lo más saludable posible.</p> <p>Para la paciente cardiópata resultará imprescindible seguir las indicaciones de un equipo médico multidisciplinar. El seguimiento de un embarazo en un perfil de este tipo requiere tener presente el riesgo materno y el riesgo fetal, considerándose el embarazo como de alto riesgo, lo que implica una estrecha colaboración entre cardiólogos, obstetras y anestesiólogos.</p> <p>"No podemos olvidar que en algunos casos de mujeres con enfermedad cardíaca, debido a su complejidad, evolución y repercusión, hay que desaconsejar el embarazo por el alto riesgo que conlleva. Tras las modificaciones hemodinámicas impuestas al organismo materno durante el embarazo, resulta evidente imaginar las consecuencias sobre un corazón enfermo, incapaz de asegurar el aumento del trabajo durante la gestación", comenta la Dra. Irene Madariaga, miembro de la Sociedad Española de Cardiología (SEC) y jefe de la Sección de Cardiología del Complejo Hospitalario de Navarra.</p> <p>"En mujeres sanas el embarazo no tiene por qué presentar complicaciones cardiológicas, siempre y cuando se cuiden como es debido para contrarrestar el sobreesfuerzo que su corazón tiene que asumir durante la gestación", aclara la Dra. Milagros Pedreira, miembro de la SEC y cardióloga del Servicio de Cardiología y Unidad Coronaria del Hospital Universitario de Santiago de Compostela.<br /> <a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/enfermedades/cardiacas/primera/causa/no/obstetrica/morbimortalidad/materna/embarazo/_f-11+iditem-13653+idtabla-1" target="_blank">mayo 3/ 2011 (Jano)</a></p> </span>
2011-05-06T05:42:10-04:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/74
Anuncio: América Latina crea coalición para combatir la incidencia de enfermedades no transmisibles
2011-03-08T17:42:35-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="logocarmen_122_01" src="/public/site/images/mikhail/logocarmen_122_01.jpg" alt="logocarmen_122_01" width="182" height="186" />Medio centenar de organizaciones no gubernamentales de América Latina crearon una coalición para combatir la incidencia de enfermedades cardiovasculares, respiratorias, diabetes mellitus y cáncer, que conforman la principal amenaza para la vida de los habitantes de la región. Así lo advirtieron en Buenos Aires representantes de esas entidades, la mayoría integradas por profesionales de la salud, que resolvieron crear la Coalición Latinoamérica Saludable (CLAS).<br /> Los principales factores de riesgo de las llamadas enfermedades crónicas no transmisibles (ENT) son el tabaquismo, la dieta escasa en frutas y vegetales y el sedentarismo.<br /> Según la <a title="OMS, enfermedades crónicas" href="http://www.who.int/chp/chronic_disease_report/part1/es/index.html" target="_blank">Organización Mundial de la Salud (OMS)</a>, las ENT causan en la actualidad el 60% de las defunciones en el mundo y el 44% de las muertes prematuras. Pero además, el 80% de esas muertes se registran en países en desarrollo.<br /> "Es erróneo creer que estas enfermedades son de los ancianos", dijo a IPS el médico Jesús González Roldán, director de la Sociedad Mexicana de Salud Pública y delegado de la Unión Internacional contra la Tuberculosis y Enfermedades Respiratorias.<br /> "En México la esperanza de vida es de 75 años, pero de cada cinco muertes, tres se dan antes de esa edad por enfermedades no transmisibles y en edades productivas", alertó. En su país estas enfermedades ocasionan ocho de cada 10 fallecimientos, dijo González Roldán. Si hace 50 años la principal causa de muerte era una enfermedad infecciosa, actualmente esas fueron desplazadas por las ENT, aseguró.<br /> La preocupación por el incremento de la prevalencia y la mortalidad de estas enfermedades se discutió en febrero en México en una reunión de ministros de Salud de las Américas convocada para analizar los nuevos retos. En el encuentro el ministro mexicano José Córdova Villalobos señaló que en 1960 las ENT eran responsables del 7% de las muertes en las Américas y que ahora ese indicador se elevó del 70%. La diabetes mellitus asociada a la obesidad es la principal causa de muerte en el país azteca. La segunda la constituyen las enfermedades cardiovasculares relacionadas con los malos hábitos de vida, dijo el funcionario.<br /> Los ministros acordaron trabajar en una posición común para llegar a la cumbre de la Organización de Naciones Unidas (ONU) sobre ENT que se celebrará en septiembre en Nueva York, y lo mismo han hecho las entidades de la sociedad civil.<br /> La cita fue convocada por la ONU, a iniciativa de la Comunidad de Naciones del Caribe, una región que presenta los peores indicadores de muerte por estas enfermedades.<br /> En diálogo con IPS, el médico Eduardo Cazap, presidente de la Unión Internacional para el Control del Cáncer (UICC), advirtió que esta enfermedad está en aumento. En el mundo hay 12 millones de nuevos casos por año y en América Latina 1,2 millón. "Para la década del 2020 al 2030, en países centrales la cantidad de casos de cáncer se va a estabilizar con un leve incremento, pero en América Latina, Asia, África y algunos países de Medio Oriente se va a triplicar", alertó.<br /> Esas regiones en desarrollo soportarían una carga mayor de enfermedad que se suman a otras problemáticas sanitarias propias de los países pobres.<br /> Cazap explicó que los factores genéticos explican apenas el 8% de los casos. En cambio las causas principales se relacionan con el tabaco, la exposición al sol, la obesidad, el sedentarismo y la contaminación ambiental. Por otro lado hay buenos pronósticos en la cura de estas enfermedades, si en 1950 solo 20% de los cánceres se curaba ahora esa proporción subió al 50%. Pero el problema "no es de salud pública", advirtió, sino "de desarrollo humano".<br /> Para combatir la enfermedad, Cazap señaló educar a la población, hacer prevención primaria y diagnóstico precoz. La población debe llevar "un estilo de vida saludable". Esto significa mantener el peso, aumentar el consumo de frutas, verduras y pescado, hacer actividad física, exponerse al sol con moderación y, sin dudas, no fumar.<br /> Verónica Schoj, de la Fundación Interamericana del Corazón, dijo a IPS que en América Latina el consumo de tabaco es muy alto y el de algunos países, como Argentina, Chile o Cuba, está "entre los más altos del mundo".<br /> Dentro de una epidemia muy grave, hay tendencias nuevas que preocupan, como el incremento del consumo en mujeres y niños. "Hay países donde la edad de inicio es 12 años y otros de ocho", dijo Schoj.<br /> La médica sostuvo que en Argentina el cáncer de pulmón se duplicó en las mujeres en los últimos 20 años a causa del tabaco y que si la tendencia se sostiene en poco tiempo estos casos superarán al cáncer de mama.<br /> Buenos Aires, marzo 4/2011(IPS)<p> </p> <p>Tomado de Selección Temática de Prensa Latina: Copyright 2011 "Agencia Informativa Latinoamericana Prensa Latina S.A."</p>
2011-03-08T17:42:35-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/73
Cáncer: Tabaquismo pasivo puede aumentar probabilidades de cáncer mamario
2011-03-07T23:31:34-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="tabaco_194" src="/public/site/images/mikhail/tabaco_194.jpg" alt="tabaco_194" width="194" height="191" />El tabaquismo pasivo prolongado puede aumentar las probabilidades de padecer cáncer de mama, sugirió un estudio difundido en la <a title="BMJ" href="http://www.bmj.com/content/342/bmj.d1016.full?sid=b9a3d3d5-78f4-467d-9d8a-375d6837bede" target="_blank"><em>British Medical Journal, BMJ</em></a> (doi: 10.1136/bmj.d1016). Investigadores de la Universidad de Virginia Occidental apoyaron las conclusiones en un seguimiento de una década a casi 80 mil mujeres entre 50 y 79 años para determinar el vínculo entre el tabaquismo pasivo y el riesgo de tumor mamario. Mientras duró el estudio, fueron identificados 3250 casos con cáncer de mama. Muchas de estas mujeres tenían un historial como fumadoras pasivas desde edades tempranas.<br /> Según el estudio, las fumadoras tienen un riesgo del 16% de desarrollar cáncer de mama después de la menopausia. Para los ex fumadores las probabilidades son de un 9% y continúa alto 20 años después de abandonar ese mal hábito.<br /> El riesgo más significativo de sufrir la enfermedad se detectó entre las mujeres que fumaban desde hacía 50 años o más. Aquellas que nunca fumaron, pero vivieron o trabajaron con fumadores por mucho tiempo, al parecer se encontraban en riesgo creciente de sufrir ese tipo de neoplasia.<br /> <a title="PL" href="http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=268585&Itemid=1" target="_blank">Londres, marzo 2/2011 (PL) </a><p> </p> <p style="text-align: justify;"><em>BMJ</em>. <strong><em>Association of active and passive smoking with risk of breast cancer among postmenopausal women: a prospective cohort study</em></strong>. Published 1 March 201</p>
2011-03-07T23:31:34-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/72
Obesidad: Nuevo índice para calcular la adiposidad corporal
2011-03-06T06:37:58-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="cintura_237_01" src="/public/site/images/mikhail/cintura_237_01.jpg" alt="cintura_237_01" width="200" height="149" /><span class="textonormal">La fórmula más común para calcular la obesidad de un individuo es el índice de masa corporal (IMC). Esta medida, que se obtiene al dividir el peso (en kilogramos) por la altura al cuadrado (en metros), permite evaluar la cantidad de grasa corporal que tiene almacenado un organismo teniendo en cuenta sus dimensiones. Fue ideada en el siglo XIX por el belga Jacques Quetelet y ha sobrevivido hasta nuestros días como la mejor forma de evaluar los kilos de más, pese a que tiene algunas limitaciones, como el hecho de que no es útil en personas muy fibrosas -como los atletas- y tampoco puede utilizarse en todos los grupos étnicos. Con la intención de suplir estas carencias, un equipo multidisciplinario ha diseñado una fórmula alternativa -el índice de adiposidad corporal (IAC)- que, aseguran, refleja de una forma mucho más precisa el porcentaje de grasa acumulada y es útil tanto en hombres como en mujeres de distintas razas. Lo más llamativo de esta nueva medida es que hace innecesaria la báscula. Según la propuesta, tan sólo es necesario saber el diámetro de cadera y la altura de un individuo para calcular su grado de obesidad. En concreto, el IAC se calcula dividiendo la primera medida por la segunda elevada a la 1,5 potencia, una cifra a la que debe restársele 18. "Uno de las resultados más sorprendentes de nuestro estudio es que el porcentaje de adiposidad se puede estimar de forma adecuada sin usar una medición electrónica o mecánica del peso corporal", explican los autores en la revista <em>Obesity</em>. El resultado indica el porcentaje de grasa que se acumula en el cuerpo. La ventaja de que solo haga falta una cinta métrica, indican, es que "se podrá realizar un cálculo fiable del nivel de grasa incluso en los entornos más remotos dónde solo los métodos más simples y baratos están disponibles". Para diseñar la nueva herramienta, estos científicos examinaron a 1700 estadounidenses de origen mexicano cuya grasa corporal se evaluó a través de densitometría. Este tipo de técnica permite realizar un cálculo preciso de la cantidad y la localización del tejido adiposo; sin embargo, sus características hacen complicada hoy en día su generalización en la práctica clínica. Con estos datos, los investigadores intentaron obtener la misma información a través de la combinación de distintas variables como el peso, la altura, el sexo la edad, o el perímetro abdominal y de cadera. La citada relación entre la medida de la cadera y la altura parecía ser la fórmula más precisa para evaluar la grasa corporal pero, para estar seguros, los investigadores probaron la herramienta en una segunda muestra de población, esta vez estadounidenses de origen africano. La concordancia de las cifras también fue elevada, por lo que estos autores concluyen que su herramienta puede proponerse como "una nueva medida muy útil". Pese a su optimismo, estos científicos reconocen que aun debe demostrarse la eficacia de la herramienta en otras poblaciones y como arma predictiva del riesgo cardiovascular. Para Diego Bellido, endocrinólogo miembro del Centro de Investigación Biomédica en Red de la Fisiopatología de la Obesidad y la Nutrición (CIBERObn), la propuesta de un nuevo índice de medida es muy interesante, pero, antes de lanzar las campanas al vuelo "debe demostrarse su utilidad en otros trabajos", subraya. Según este especialista, la aplicación de la herramienta en la práctica clínica no es sencilla ya que "las medidas de la cadera pueden ser muy variables". "Parece que el perímetro es fácil de calcular, pero lo cierto es que colocar el metro un poco más arriba o más abajo arroja resultados diferentes", indica. "Hoy en día, aunque tenga algunas limitaciones, el IMC sigue siendo un índice objetivo para la gran mayoría de la población", concluye.</span>
2011-03-06T06:37:58-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/70
Anuncio: Número de la revista MEDICC dedicado a la Salud Rural en Cuba, sus logros y retos
2011-03-01T06:05:22-05:00
Revista Finlay
<img title="medicc_267" src="/public/site/images/mikhail/medicc_267.png" alt="medicc_267" width="267" height="84" />Los editores de <strong><em>MEDICC Review</em></strong> invitan a profesionales de la salud y de las ciencias afines a enviar sus manuscritos a considerar para el <strong>número de la revista de Enero 2012,</strong> dedicado a <strong>la Salud Rural en Cuba, sus logros y retos.</strong> <p> </p> <p><em>MEDICC Review: International Journal of Cuban Health and Medicine,</em> se publica por MEDICC, organización norteamericana sin fines de lucro con sede en California y se enfoca principalmente en la publicación de artículos que reflejen la investigación, política, prácticas y retos del sector salud en Cuba. La revista se encuentra disponible en línea en <a href="http://www.medicc.org/mediccreview">www.medicc.org/mediccreview</a> y también a través de los servicios de MEDLINE, SciELO, Thomson-Reuters, SCOPUS, y otros. </p> <p>Nuestro número sobre Salud Rural en Cuba <strong>se dedicará principalmente a la investigación y lecciones aprendidas del trabajo de los profesionales de la salud en la situación y mejoramiento de las condiciones de salud de los pobladores de las comunidades rurales. Los temas de interés incluyen (pero no se limitan) a:</strong></p> <p>1) Salud materno-infantil</p> <p>2) Enfermedades infecciosas</p> <p>3) Enfermedades crónicas no transmisibles</p> <p>4) Enfermedades de origen genético (por consanguinidad)</p> <p>5) Preparación para situaciones de desastre</p> <p>6) Atención estomatológica</p> <p>7) Acceso a la atención en salud</p> <p>8) Preparación profesional y técnica de trabajadores de la salud</p> <p><strong>Todos los trabajos se someten a un proceso riguroso de arbitraje. </strong></p> <p>Se considerarán trabajos de investigación, revisión, comentarios y perspectivas. Las guías para autores están disponibles en: <a href="http://www.medicc.org/mediccreview"><strong>www.medicc.org/mediccreview</strong></a><strong> </strong><strong> </strong></p> <p><strong><span style="text-decoration: underline;">FECHA TOPE para los Manuscritos: 18 de abril de 2011</span></strong></p> <p><strong>Envíe su manuscrito a: <a href="mailto:editors@medicc.org">editors@medicc.org</a></strong></p> <p><strong><em>MEDICC</em></strong><strong><em> Review se publica trimestralmente por </em></strong>Medical Education Cooperation with Cuba (MEDICC), Oakland, California, EEUU.</p>
2011-03-01T06:05:22-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/69
Ciencia y Tecnología: El corazón humano podría regenerarse durante un breve periodo de tiempo
2011-02-26T00:16:19-05:00
Revista Finlay
<p><img style="float: left;" title="corazon_336" src="/public/site/images/mikhail/corazon_336.jpg" alt="corazon_336" width="211" height="211" />Durante un corto periodo de tiempo, el corazón del ratón recién nacido puede reconstruirse tras sufrir una lesión, según un estudio del Centro Médico de la Universidad de Texas Southwestern en Dallas (Estados Unidos) que se publica en Science. Los investigadores señalan que, aunque esta capacidad se desvanece después de unos pocos días, el hallazgo sugiere que los corazones humanos podrían también tener un mayor potencial autorregenerador de lo que se pensaba. Las ranas, tritones y ciertos peces pueden regenerar su músculo cardíaco si resulta herido pero esto no resulta así para los mamíferos adultos. Se desconoce si los mamíferos perdieron la capacidad de regeneración cardíaca de forma total o si esta capacidad existe pero se desactiva después del nacimiento. Los científicos, dirigidos por Enzo Porrello, muestran ahora que el extirpación quirúrgica de parte del ventrículo cardíaco de ratones con un día de edad desencadena una respuesta que conduce a un recrecimiento de un ventrículo funcional anatómicamente normal. Esta respuesta, que implica la proliferación de células llamadas cardiomiocitos, se pierde cuando los ratones tienen siete días de edad. Si los investigadores pueden identificar los mecanismos responsables de esta regeneración y cómo se desactivan, la información podría conducir a nuevos métodos para reparar los corazones humanos dañados por la enfermedad.</p><p><a href="/index.php/finlay/manager/Science 2011;331:1078-1080" target="_blank">Science 2011;331:1078-1080</a></p>
2011-02-26T00:16:19-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/67
Cáncer: Descubren nuevos métodos para mejorar la supervivencia de las pacientes con cáncer de mama
2011-02-24T16:12:50-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="2011022358_2_92_mama2_135" src="/public/site/images/mikhail/2011022358_2_92_mama2_135.jpg" alt="2011022358_2_92_mama2_120" width="189" height="126" /><span class="nodtxt">Un grupo de investigadores de la Universidad de Lund (Suecia) ha desarrollado una técnica que permite determinar, de forma previa, qué pacientes con cáncer de mama corren el riesgo de desarrollar metástasis, un método que, aseguran, mejorará la supervivencia de las afectadas por la enfermedad.<br /> <br /> La investigación se basa en el análisis de los patrones de los biomarcadores, o moléculas de proteínas en la sangre, con las que, explican que "es posible obtener información sobre qué tipo de cáncer tiene el paciente y sobre cuál es su pronóstico".<br /> <br /> Este proyecto forma parte del Centro Interdisciplinaria Sobre el Cáncer, Crear Salud, en que inmunólogos, biólogos del tumor, nanotecnólogos, bioinformáticos e investigadores del cáncer trabajan juntos.<br /> <br /> "Recibir este premio permitirá que nuestra investigación pueda beneficiar a los pacientes antes", comenta el profesor de Inmunotecnología de la Universidad de Lund, Carl Borrebaeck.<br /> <br /> Con este estudio, él y sus colegas pretenden acortar significativamente los tiempos de espera para los resultados de las pruebas y la información sobre el tratamiento continuado. <br /> <br /> Su idea es construir una clínica de diagnóstico junto a la sala de operaciones, donde el tumor puede ser analizado mientras el paciente todavía está en la mesa de operaciones, de modo que el cirujano, el oncólogo y el patólogo puedan llegar a un diagnóstico conjunto y decidir el tratamiento más adecuado.<br /> <br /> "También hemos realizado un mapa del genoma de las células tumorales. Con su uso, podemos ver cómo las respuestas a diferentes tipos de tratamiento pueden estar relacionadas con genes específicos. Este conocimiento podría ser de gran ayuda en la selección del tratamiento adecuado", afirma Borrebaeck.<br /> <br /> El grupo también está en el proceso de elaborar un índice de cáncer de mama, a partir de la clasificación de sangre y muestras de tejido de pacientes con tumores de este tipo que se analizan, tanto a nivel de proteínas como de genes, y que forma una única 'huella' de cada uno de los tumores.</span>
2011-02-24T16:12:50-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/66
Hipertensión arterial: La hipertensión podría estar causada en algunas ocasiones por mutaciones en la glándula adrenal
2011-02-22T18:05:37-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="htaadrenal_135" src="/public/site/images/mikhail/htaadrenal_135.jpg" alt="htaadrenal_135" width="190" height="126" /><span class="nodtxt">La hipertensión puede ser causada, en algunas ocasiones, por tumores productores de hormonas benignas del cortex adrenal. Un estudio realizado por investigadores suecos y americanos ha descubierto ahora una causa genética tras la aparición de este tipo de tumores y el hallazgo se publica en <em>Science</em>. <br /> <br /> Cerca del 5 por ciento de los pacientes con hipertensión tienen además tumores endocrinos benignos en su glándula adrenal. Los tumores producen niveles anormalmente altos de hormona aldosterona (aldosteronismo primario), que a veces aumenta la presión. Sin embargo, se desconoce por qué surgen estos tumores.<br /> <br /> Investigadores de la Unidad de Cirugía Endocrina del Departamento de Ciencias Quirúrgicas del Hospital Universitario de Uppsala, en colaboración con otros investigadores de la Facultad de Medicina de la Universidad de Yale, en Estados Unidos, han identificado este mecanismo causal.<br /> <br /> Los códigos genéticos de los genes relevantes en tumores y tejido normal fueron analizados a través de una técnica conocida como secuenciación del exoma. Los resultados demuestran que una mutación en un canal de potasio específico (KCNJ5) que tiene un papel en el paso de las moléculas dentro y fuera de las células, da como resultado, en un gran número de casos, un crecimiento tumoral y una sobreproducción de hormona aldosterona.<br /> <br /> Esto lleva un mayor nivel de potasio y agua en sangre, circunstancia que eleva la presión sanguínea. La misma mutación aparece en una enfermedad genética rara caracterizada por un problema de hipertensión difícil de tratar.<br /> <br /> Según Peyman Björklund, investigador del Departamento de Ciencias Quirúrgicas de la Universidad de Uppsala, el canal de potasio mutado también representa una potencial diana molecular para el tratamiento de este tipo de tumores, concluye.</span>
2011-02-22T18:05:37-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/65
Asma Bronquial: Descubren gen vinculado al desarrollo del asma infantil
2011-02-21T04:58:00-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="gene1_216" src="/public/site/images/mikhail/gene1_216.jpg" alt="gene1_216" width="164" height="122" /><span class="textonormal">Una investigadora alemana descubrió un gen que determina el riesgo de asma en los niños, según anunció la Comisión Europea (CE) en un comunicado.<br /> El resultado de la investigación, llevada a cabo por la alemana Michaela Schendel, será presentado en la reunión anual de la <a title="AAAS" href="http://www.aaas.org/" target="_blank">Asociación Americana para el Avance de la Ciencia (American Association for the Advancement of Science-AAAS)</a>, que tendrá lugar este fin de semana en Washington.<br /> El hallazgo del gen ORMDL3, presente en el cromosoma 17, podría hacer evolucionar el conocimiento que se tiene sobre la enfermedad y conducir a la puesta en marcha de nuevos tratamientos.<br /> La científica responsable del descubrimiento, de 33 años, comenzó a trabajar en la Universidad de Munich y colabora con el profesor Michael Kabesch, especialista en Alergia Genética en la Escuela Superior de Medicina de Hannover, Alemania.<br /> "Tenemos una primera prueba de vínculo casual entre la presencia de ese gen en el cromosoma 17 y la aparición del asma, enfermedad que puede ser tratada pero que aún no se puede curar", indicó la investigadora en un comunicado.<br /> Schedel ha sido beneficiaria de una de las becas Marie Curie con las que la Unión Europea (UE) fomenta la investigación y ha formado parte del equipo de 220 investigadores que han participado desde el 2008 en un programa de intercambio entre la UE y Estados Unidos.<br /> El asma afecta a 100 millones de personas en Europa y a cerca de 300 millones en el mundo.<br /> Bruselas, febrero 16/2011 (EFE)</span>
2011-02-21T04:58:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/64
Factores de riesgo cardiovascular: Los niveles elevados de triglicéridos se asocian a un mayor riesgo cerebrovascular
2011-02-21T04:42:55-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="triglicerido_280_250" src="/public/site/images/mikhail/triglicerido_280_250.jpg" alt="triglicerido_280_250" width="180" height="134" />Los niveles elevados de triglicéridos están asociados con un mayor riesgo de ictus isquémico en varones y mujeres, según un estudio del Hospital Universitario de Copenhague (Dinamarca) que se publica en la edición digital de <em>Annals of Neurology</em>. Los resultados del trabajo muestran que los mayores niveles de colesterol se asociaron con un mayor riesgo de ictus, aunque solo en el caso de los hombres. <div> </div> <div>La evidencia médica sugiere que los triglicéridos elevados son marcadores de los niveles altos de restos de lipoproteínas, partículas similares a las lipoproteínas de baja densidad (LDL), que se piensa que contribuyen a la acumulación de placas responsable de la aterosclerosis.</div> <div> </div> <div>Según explica Marianne Benn, directora del trabajo, “nuestro estudio fue el primero en examinar cómo el riesgo de ictus en niveles muy elevados de triglicéridos se comparaba con los niveles de colesterol muy altos en la población general”.</div> <div> </div> <div>Los investigadores siguieron a 7.579 mujeres y 6.372 hombres que participaban en el Estudio Cardíaco de la Ciudad de Copenhague, todos blancos y de ascendencia danesa, que fueron seguidos hasta 33 años.</div> <div> </div> <div>Los resultados confirmaron en varones y mujeres que los niveles elevados de triglicéridos se asociaban a un mayor riesgo de ictus isquémico. En las mujeres, los niveles de triglicéridos de entre 89 y 177 mg/dL se relacionaron con un riesgo relativo de 1,2 y los niveles de 443 mg/dL o superiores se asociaron a 3,9 veces más riesgo, en comparación con mujeres cuyos niveles de triglicéridos eran de menos de 89 mg/dL. En niveles de triglicéridos similares los hombres tenían un riesgo relativo de entre 1,2 y 2,3. Los mayores niveles de colesterol no se asociaron con un mayor riesgo de ictus isquémico, excepto en hombres cuyos niveles de colesterol eran iguales a 348 mg/dL o más.</div> <div> </div> <div>“Nuestros descubrimientos sugieren que los niveles de triglicéridos deben incluirse en las directrices de la prevención del ictus que actualmente se centran el el colesterol total y los niveles de colesterol LDL”, concluye Benn.</div>
2011-02-21T04:42:55-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/63
Ciencia y Tecnología: Evidencias genéticas de la utilidad de los antioxidantes para prevenir y tratar el cáncer
2011-02-17T23:48:57-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="cancer_378" src="/public/site/images/mikhail/cancer_378.jpg" alt="cancer_378" width="192" height="131" />Investigadores de la Universidad Thomas Jefferson en Filadelfia (Estados Unidos) han descubierto evidencias genéticas que sugieren que los antioxidantes utilizados para tratar la enfermedad pulmonar, la malaria e incluso el resfriado común pueden también ayudar a prevenir y tratar el cáncer porque combaten el estrés oxidativo de las mitocondrias, un mecanismo que promueve el crecimiento tumoral. Los resultados del estudio se publican en <em>Cancer Biology & Therapy</em>. <div> </div> <div>Los científicos muestran por primera vez que la pérdida de la proteína supresora tumoral caveolin-1 (Cav-1) induce el estrés oxidativo de las mitocondrias en el microambiente estromal, un proceso que proporciona energía a las células cancerígenas en la mayoría de tipos de cáncer de mama.</div> <div> </div> <div>Según explica Michael P. Lisanti, responsable del estudio, “ahora tenemos pruebas genéticas de que el estrés oxidativo mitocondrial es importante para dirigir el crecimiento tumoral. Esto significa que necesitamos producir fármacos anticancerígenos que se dirijan específicamente a este tipo de estrés oxidativo. Y en la actualidad ya existen fármacos antioxidantes como suplementos dietéticos, como la N-acetil cisteína”.</div> <div> </div> <div>El laboratorio de Lisanti descubrió que Cav-1 es un biomarcador que funciona como un supresor tumoral y es el indicador más fuerte de la evolución del cáncer de mama en un paciente. Los investigadores descubrieron en sus experimentos actuales que la pérdida de Cav-1 aumenta el estrés oxidativo en las mitocondrias en el tejido conectivo del tumor, aumentando tanto la masa como el volumen tumoral hasta en cuatro veces sin aumentar su entramado de vasos sanguíneos.</div> <div> </div> <div>“Los antioxidantes se han asociado con los efectos reductores del cáncer, por ejemplo el betacaroteno, pero se desconocían los mecanismos y se carecía de evidencias genéticas. Este estudio proporciona la evidencia genética necesaria de que reducir el estrés oxidativo en el organismo disminuirá el crecimiento tumoral”, señala Lisanti.</div> <div> </div> <div>En la actualidad, los fármacos anticancerígenos dirigidos al estrés oxidativo no se utilizan porque se cree que reducirían la eficacia de ciertas quimioterapias que aumentan el estrés oxidativo.</div> <div> </div> <div>“Ahora que tenemos pruebas genéticas de que el estrés oxidativo y la autofagia resultante son importantes para dirigir el crecimiento tumoral, deberíamos reconsiderar el uso de antioxidantes e inhibidores de la autofagia como agentes anticancerígenos”, añade.</div> <br /><br /><a href="http://www.landesbioscience.com/journals/cbt/article/14101/" target="_blank">Cancer Biology & Therapy 2011;11:383-394</a>
2011-02-17T23:48:57-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/62
Ciencia y Tecnología: Desarrollan terapia anticancerígena basada en la nanotecnología
2011-02-15T05:43:12-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="adn4_540_540" src="/public/site/images/mikhail/adn4_540_540.jpg" alt="adn4_540_540" width="175" height="131" /><span class="textonormal">Una nueva terapia contra el cáncer basada en la nanotecnología fue desarrollada por un equipo internacional de investigadores, publica la revista <a title="Nature Chem" href="http://www.nature.com/nchem/journal/vaop/ncurrent/full/nchem.981.html" target="_blank"><em>Nature Chemistry</em></a> (doi:10.1038/nchem.981).<br /> Su principio es la encapsulación de un catalizador de paladio dentro de microesferas para sintetizar materiales artificiales o activar fármacos dentro de células humanas, para de esta manera evitar su toxicidad, explican los autores del estudio, especialistas de las Universidades de Granada, España, y de Kebangsaan, Malasia.<br /> Este sistema almacena en su microestructura el paladio, un metal que no se encuentra de forma natural en células humanas y permite catalizar reacciones químicas en la célula sin alterar sus funciones básicas, como la síntesis de proteínas y el metabolismo. La técnica es capaz de crear fármacos anticancerígenos dentro de la célula. Serán efectivos en el tratamiento específico de tumores y mejorará los actuales tratamientos quimioterapéuticos.<br /> El novedoso tratamiento se incluye en el amplio abanico de aplicaciones terapéuticas de la nanotecnología. Una de sus bondades es que no provoca los efectos secundarios asociados a la quimioterapia.<br /> Washington, febrero 12/2011 (PL)</span>
2011-02-15T05:43:12-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/61
Cáncer: Consumo de café o té puede reducir el riesgo de cáncer en el sistema nervioso
2011-02-15T05:38:58-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="2010121323_neuron2_135" src="/public/site/images/mikhail/2010121323_neuron2_135.jpg" alt="2010121323_neuron2_135" width="191" height="143" /><span class="textonormal">Científicos de varios países demostraron el efecto saludable del café y el té. Un consumo elevado de esas bebidas puede reducir el riesgo de formación de tumores en el sistema nervioso, según publicaron medios alemanes.<br /> Investigadores alemanes analizaron los datos recogidos para el estudio Investigación Preventiva Europea de Cáncer y Nutrición (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition, EPIC), basado en encuestas sobre el consumo de té y café en ciudadanos europeos entre 1991 y el 2000.<br /> Según el sondeo, el país con más alto consumo es Dinamarca, con 798 mililitros por día en comparación con los italianos que solo bebían 98 mililitros diario.<br /> El estudio se realizó en 10 países de Europa sobre los factores de riesgo potenciales del cáncer. Al inicio de la investigación 521 488 hombres y mujeres entre los 25 y 70 años respondieron cuestionarios sobre sus antecedentes médicos, estilo de vida como: dieta, ejercicio, tabaquismo. Los científicos se concentraron en más de 410 000 participantes sin cáncer y con información alimentaria completa.<br /> Durante 8,5 años a 343 pacientes se les diagnosticó glioma, un conjunto de tumores cerebrales responsable del 80% de los cánceres malignos en esa zona entre los adultos, y a otros 245 otro tumor cerebral, generalmente benigno, llamado meningioma.<br /> Tras dividir a los participantes en cuatro y cinco grupos, según el consumo de café y de té al inicio del estudio, el equipo no halló evidencias de una relación causa-efecto. Pero los resultados cambiaron cuando analizaron dos grupos: los que tomaban por lo menos media taza (150 ml) y los que bebían menos o nada de ambas infusiones. Los que más café o té consumían eran un tercio menos propensos a desarrollar glioma, considerando factores como la edad y el tabaquismo.<br /> En Europa, por ejemplo, las tasas anuales de cáncer de tumores cerebrales son entre 4 y 6 casos por cada 100 000 mujeres, y por cada 100 000 hombres entre 6 y 8 casos. La posibilidad de sufrir un tumor cerebral maligno en la vida es de menos del 1%.<br /> La causa de la formación de tumores cerebrales es desconocida en la mayoría de los pacientes, solo la herencia genética o una exposición a radiación en la infancia son causas en la aparición de este tipo de tumores. Por eso parece sorprendente que el riesgo a sufrir una enfermedad tan desconocida pueda reducirse bebiendo un poco más de una taza de café o de té cada día. Sin embargo, el café y el té contienen antioxidantes que protegen a las células corporales del daño que puede producir el cáncer y otras enfermedades.<br /> Los resultados, en más de 500 000 adultos de Europa, se suman además a las evidencias de un estudio reciente en Estados Unidos que asoció el alto consumo de café y de té con una reducción del riesgo de desarrollar gliomas. Pese a que las conclusiones de la investigación fueron calificadas de preliminares, esta desató la esperanza en nuevos resultados. Además, otros estudios demostraron el efecto del café y té en la reducción del riesgo de otros tipos de cáncer, como el de ovario o de hígado.<br /> Según el instituto sueco Karolinska, consumir por lo menos dos tazas al día de té reduce el riesgo de cáncer de ovario en un 46% respecto a los que no lo toman.<br /> Berlín, febrero 13/2011(Notimex)</span>
2011-02-15T05:38:58-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/60
Cáncer: entre las primeras causas de muerte en el mundo
2011-02-07T17:13:29-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="0600_cancer_cells_400" src="/public/site/images/mikhail/0600_cancer_cells_400.jpg" alt="0600_cancer_cells_400" width="200" height="120" />El cáncer es en la actualidad una de las principales causas de muerte en todo el mundo, y se calcula que 84 millones de personas morirán por esta causa antes del 2015.<br /> Por ello cada 4 de febrero, la <a title="WHO" href="http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs297/es/" target="_blank">Organización Mundial de la Salud (OMS)</a>, apoya a la Unión Internacional contra el Cáncer y promueve medios para aliviar la carga global de una afección que, según aseguran expertos, puede prevenirse en muchos casos.<br /> Investigadores señalan que solo en Estados Unidos, China y Reino Unido se evitarían un tercio de los tumores más comunes, si la población tuviera hábitos más sanos en la alimentación, bebiera menos alcohol, e hiciera más ejercicios físicos. Si a ello se suma la aplicación de estrategias como la detección precoz y el tratamiento oportuno y adecuado de los pacientes, entonces las posibilidades son mayores. De acuerdo con un estudio en el 2005 por colaboradores internacionales, el 30% de las neoplasias son prevenibles mediante la modificación de hábitos de vida.<br /> Rachel Thompson, subdirectora de ciencia del Fondo Mundial de Investigación del Cáncer, manifestó, sin embargo, que es aún difícil incidir en la población.<br /> Está muy bien alertar sobre lo que se debe comer, o decir cual es la actividad física necesaria, pero hemos de facilitar que la población realice estos cambios, aseveró. "Todo el mundo juega un papel importante, desde las organizaciones internacionales hasta los Gobiernos o la población en general", añadió.<br /> Por su parte, Peter Baldini, jefe de la Fundación Mundial del Pulmón, exhortó a los Gobiernos a introducir leyes contra el tabaco y elevar el precio de los cigarrillos.<br /> No hay una cura mágica para todas las formas de cáncer, pero tenemos la oportunidad y la obligación de proteger a la población del desarrollo de un tumor siempre que sea posible, dijo Baldini.<br /> Los tipos de cáncer más frecuentes a nivel mundial (ordenados según el número de defunciones) son, en hombres: pulmón, estómago, hígado, colorrectal, esófago y próstata.<br /> Para las féminas las localizaciones son: mama, pulmón, estómago, colon-recto y cuello uterino, indica la OMS, que desde el 2007 puso en marcha un plan de acción, cuyos objetivos son prevenir lo prevenible, curar lo curable, dispensar cuidados paliativos a todos los pacientes con cáncer y gestionar y vigilar los resultados. Asimismo busca promover el compromiso político con la prevención y el control de la dolencia, generar conocimientos nuevos y difundir los existentes para facilitar la aplicación de métodos de control basados en datos probatorios. Elaborar normas e instrumentos que sirvan de orientación en la planificación y la aplicación de intervenciones de prevención, detección precoz, tratamiento y dispensa de cuidados.
2011-02-07T17:13:29-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/59
Recomienda la OMS actividad física para prevenir cáncer
2011-02-07T17:04:15-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="ejercicios_y_salud3_168" src="/public/site/images/mikhail/ejercicios_y_salud3_168.jpg" alt="ejercicios_y_salud3_168" width="212" height="214" />La <a title="WHO" href="http://www.who.int/dietphysicalactivity/factsheet_recommendations/es/" target="_blank">Organización Mundial de la Salud (OMS)</a> aseguró que realizar 150 minutos de actividad física moderada a la semana puede reducir el riesgo de contraer cáncer, especialmente de mama y colon, que están relacionados con la acumulación de grasa.<br /> Con motivo del Día Mundial contra el Cáncer, que se conmemora el 4 de febrero, la OMS presentó sus "Recomendaciones Mundiales sobre Actividad Física para la Salud" en una rueda de prensa en Ginebra, ya que el ejercicio es una de las mejores armas para atacar la enfermedad.<br /> El presidente de la Unión Internacional para el Control del Cáncer (UICC), Eduardo Cazap, dijo que la inactividad física es el cuarto factor de riesgo de mortalidad más importante del mundo y señaló que el 31% de la población mundial no es físicamente activa. Refirió que la falta de actividad física aumenta en muchos países y ello influye considerablemente en la prevalencia de enfermedades no transmisibles como el cáncer y en la salud general de la población.<br /> Según la OMS, cada año son diagnosticadas 12,7 millones de personas con cáncer y 7,6 mueren por esta enfermedad. Para el 2030 se espera que el número de nuevos casos de cáncer llegue a 26 millones y 17 millones de defunciones.<br /> Tan solo en el 2008 se registraron 670 000 muertes prematuras por cáncer, 460 000 mujeres murieron por cáncer de mama y 610 000 hombres por cáncer de colon.<br /> Los diversos tipos de cáncer junto con las enfermedades cardiovasculares, respiratorias agudas y diabetes mellitus causan el 60% de las muertes en el mundo, enfatizó Cazap, quien agregó que el 80% de estos decesos ocurren en países en desarrollo.<br /> El cáncer de pulmón es el que causa el mayor número de muertes a nivel global, seguido por el de mama, estómago, hígado y colon.<br /> El estudio de la OMS señala que la inactividad física se relaciona de manera cada vez más preocupante con la muerte y enfermedad. La organización espera que los Gobiernos tomen en cuenta las recomendaciones presentadas sobre la actividad física e implementen medidas que incrementen la salud de su población.<br /> Ginebra, febrero 3/2011(Notimex)
2011-02-07T17:04:15-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/58
Factores de riesgo: La obesidad se ha duplicado en el mundo en las tres últimas décadas
2011-02-07T16:46:47-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="cintura_237_01" src="/public/site/images/mikhail/cintura_237_01.jpg" alt="cintura_237_01" width="188" height="140" />La obesidad se ha duplicado en el mundo en las tres últimas décadas, afectando a unos 500 millones de adultos, de los cuales una mayoría son mujeres, según un estudio publicado por la revista médica <em>The Lancet</em> (doi:10.1016/S0140-6736(10)62037-5).<br /> En el 2008, más de uno de diez adultos en el mundo era obeso, revela el estudio elaborado por Majid Ezzati, del Imperial College de Londres, y Salim Yusuf y Sonia Anand, del Instituto de Investigación Población/Salud de Hamilton, Canadá, que examinaron la evolución del sobrepeso entre 1980 y el 2008 en las personas mayores de 20 años.<br /> De los países ricos, el más afectado por la obesidad es Estados Unidos, seguido por Nueva Zelanda, mientras que la población de Japón es la que menos padece sobrepeso, indica la investigación.<br /> Los países de habla hispana más afectados por la obesidad son México, España, Argentina, Cuba y Brasil, revelaron los investigadores, que recuerdan que el sobrepeso está caracterizado por un índice de masa corporal (IMC). Según la Organización Mundial de la Salud (OMS), un IMC de 30 significa obesidad, y un IMC mayor de 30 se define como obesidad severa.<br /> En 28 años, el IMC aumentó tanto en hombres como en mujeres. En el mundo, 1460 millones de adultos registran sobrepeso, y la obesidad se ha casi duplicado, alcanzando 205 millones de hombres y 297 millones de mujeres, es decir 9,8% de hombres y 13,8% de mujeres.<br /> "El sobrepeso, la obesidad, la hipertensión arterial y la hipercolesterolemia no son el patrimonio solo de los países ricos, sino que afectan también a los países pobres o con ingreso medio", subrayó el profesor Ezzati.<br /> Es la pequeña isla de Nauru (Pacífico sur), con 14 000 habitantes, que registró en el 2008 el promedio de IMC más alto: 33,9 en los hombres y 35 en las mujeres. Ocupaba ya en 1980 el primer lugar en la lista de obesidad en el mundo, pero con niveles bastante más bajos (hombres: 28,1 y mujeres: 28,3). Entre los países ricos, Estados Unidos, cuya población padecía ya la más alta tasa de obesidad en 1980, sigue ocupando el primer lugar, con un IMC de más de 28, seguido por Nueva Zelanda y Australia para las mujeres, y Gran Bretaña y Australia para los hombres. Japón tiene el IMC más bajo (22 para los hombres y 24 para mujeres). Las mujeres de Bangladesh son las que tienen menos exceso de grasa en el cuerpo, y los hombres más delgados son los de República Democrática del Congo. Caso único en Europa occidental y raro en el paisaje mundial es el de Italia, donde el IMC de las mujeres ha bajado en los últimos 28 años. En Bélgica, Finlandia y Francia, el IMC de las mujeres ha registrado muy poco aumento. Las suizas son las mujeres más delgadas de Europa, seguidas por las francesas e italianas, mientras que los europeos con menos IMC son los franceses.<br /> El estudio recuerda que el sobrepeso, que es producto de un mal hábito alimentario y la inactividad física, aumenta el riesgo de padecer enfermedades cardiovasculares, diabetes mellitus, hipertensión arterial, algunas formas de cáncer y estaría al origen de unos 3 millones de muertes anuales.<br /> París, febrero 3/2011 (AFP)<p> </p> <p style="text-align: justify;">NOTA: El artículo está disponible para los lectores del dominio *sld.cu copiando el número doi en la portada de la revista, accesible a través de <a title="centro de ayuda" href="http://bvsayuda.sld.cu/ayudas/faq/bfcomo-acceder-a-hinari/" target="_blank">Hinari</a>. En este caso en la sección Articles in Press. También es posible hacer la búsqueda utilizando el número doi.</p>
2011-02-07T16:46:47-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/57
Factores de riesgo cardiovascular: Alerta OMS que millones de personas desconocen sus niveles de colesterol
2011-02-03T08:50:06-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="aterosclerosis_156" src="/public/site/images/mikhail/aterosclerosis_156.jpg" alt="aterosclerosis_156" width="161" height="120" /><span class="textonormal">Un estudio de la Organización Mundial de la Salud (OMS) titulado "Concentración sérica de colesterol elevada, cobertura farmacéutica y control terapéutico: análisis de los datos de las encuestas nacionales de vigilancia sanitaria procedentes de ocho países", demostró que millones de personas desconocen que presentan hipercolesterolemia y por lo tanto corren el riesgo de morir de un infarto cardíaco o cerebral.<br /> El documento, publicado en la <a title="Bull World Health Org" href="http://www.who.int/bulletin/volumes/89/2/10-079947.pdf" target="_blank"><em>Bulletin of the World Health Organization</em></a> (doi:10.2471/BLT.10.079947), resaltó la urgencia de que los países adopten medidas inmediatas para informar a la población sobre el peligro de padecer hipercolesterolemia.<br /> De acuerdo con el texto publicado por la oficina de la Organización de las Naciones Unidas (ONU) en México, cada año más de 18 millones de personas mueren en el mundo por padecimientos cardiovasculares, de las cuales el 80% viven en países en desarrollo.<br /> El estudio, que abarcó entrevistas a 147 millones de personas, demostró que la mayoría de ellas desconocía la condición de su propia concentración de colesterol en la sangre y el consiguiente riesgo para su salud.<br /> Las entrevistas de este estudio, considerado como el mayor que la OMS ha efectuado hasta la fecha, se llevaron a cabo en México, Reino Unido, Alemania, Japón y otros países mencionados en el documento.<br /> Debido a la falta de información detectada entre los entrevistados, la organización mundial recomendó tanto a los países que participaron en el estudio, como a todos los Gobiernos en general, reforzar las campañas de información para la población. Entre otras cosas recomendó insistir en que las dietas saludables, la actividad física regular y dejar el hábito de fumar constituyen elementos positivos para prevenir infartos cardíacos y derrames cerebrales.<br /> A los países donde mayor ignorancia sobre el tema se detectó, la Organización Mundial de la Salud recomendó tomar medidas inmediatas.<br /> Ciudad de México, febrero 2/2011 (Notimex)</span>
2011-02-03T08:50:06-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/56
Enfermedad de Alzheimer: El ejercicio reduce la pérdida de memoria en la gente mayor
2011-02-01T17:15:11-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="alzheimer_280_200" src="/public/site/images/mikhail/alzheimer_280_200.jpg" alt="alzheimer_280_200" width="186" height="139" />El ejercicio aeróbico mejora la pérdida de memoria en las personas mayores y podría impedir el declive cognitivo durante el envejecimiento, según un estudio de la Universidad de Pittsburgh en Estados Unidos, que se publica en la edición digital de la revista <em>Proceedings of the National Academy of Sciences</em> (PNAS). <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Investigaciones previas habían demostrado que la región hipocampal del cerebro se reduce de forma natural durante la edad avanzada, lo que deteriora la memoria y aumenta el riesgo de demencia. Los investigadores, dirigidos por Arthur F. Kramer, examinaron escáneres cerebrales de 60 adultos sanos de entre 55 y 80 años, antes, durante y después de un programa de ejercicio aeróbico de un año de duración.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Los autores informan que los participantes que caminaban 40 min tres veces a la semana aumentaban el volumen de su hipocampo anterior en alrededor de un 2% durante el transcurso del estudio. Los miembros de un grupo control que participó en un régimen de estiramientos perdió un 1,4% de su volumen hipocampal, un dato consistente con el envejecimiento normal.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Los investigadores plantean que el ejercicio aeróbico fomenta los niveles en suero del factor neurotrópico derivado del cerebro, un componente que se produce de forma natural y que ayuda a generar nuevo tejido cerebral y que posee un papel crítico en la formación de nuevas memorias.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">El estudio demuestra, pues, que el hipocampo anterior permanece relativamente activo en la edad avanzada y que el ejercicio aeróbico, incluso si se comienza a realizar en la tercera edad, puede posponer el declive cognitivo asociado a la edad.</div> <br /><a href="http://goo.gl/Dk9Dn" target="_blank">PNAS (2011); doi: 10.1073/pnas.1015950108 </a>
2011-02-01T17:15:11-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/55
Cardiopatía Isquémica: Asocian antecedentes familiares con el desarrollo de enfermedad cardíaca
2011-01-31T14:21:24-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="corazon_336" src="/public/site/images/mikhail/corazon_336.jpg" alt="corazon_336" width="183" height="137" /><span class="textonormal">Tener un padre con antecedentes de enfermedad cardíaca casi duplica el riesgo de una persona de desarrollar la misma dolencia, más allá de la etnia o el país, según señaló un estudio internacional. La investigación, que involucró a pacientes de 52 países y fue publicada en la <em>Journal of the American College of Cardiology</em> (doi:10.1016/j.jacc.2010.07.054), también sugirió que si sus padres padecieron un ataque al corazón, aunque cambiar a patrones de conducta más saludables sería útil, no garantiza una protección total.<br /> Estudios anteriores confirmaron la relación entre una historia familiar de enfermedad cardíaca y el riesgo coronario de una persona en ciertas poblaciones, y el nuevo trabajo sugiere que ese efecto de los antecedentes cardíacos familiares es igual en todas las culturas del mundo.<br /> "Este estudio refuerza el papel importante de la historia familiar como uno de los factores de riesgo más importantes, además de otros factores conocidos y modificables", dijo a Reuters Health, Christopher O'Donnell, de los Institutos Nacionales de la Salud (NIH) de Estados Unidos. "Refuerza la necesidad de integrar los antecedentes familiares a la práctica diaria de prevención y tratamiento de la enfermedad cardíaca", agregó el experto, quien no participó de la investigación.<br /> Los resultados provienen del estudio INTERHEART dirigido por Salim Yusuf, de la Universidad McMaster en Ontario, Canadá, e incluyen a 12 000 pacientes de todos los continentes -excepto la Antártida- que estaban siendo tratados por un primer infarto entre 1999 y el 2003. El estudio también incluyó a alrededor de 15 000 personas de la misma edad y sexo que actuaron como grupo de control.<br /> Alrededor del 18% de los pacientes que había padecido un ataque cardíaco tenía además padres con antecedentes de infarto, comparado con el 12% de los participantes sin enfermedad cardíaca.<br /> Cuando los investigadores tuvieron en cuenta la edad, el sexo y la región de residencia de los pacientes, aquellos con al menos un padre con antecedentes coronarios aún eran 1,8 veces más propensos a tener enfermedad cardíaca, una cifra que permaneció estable en todas las etnias y regiones del mundo.<br /> El riesgo era el mismo si los antecedentes de infarto provenían del padre o la madre, pero eran mayores si ambos padres estaban afectados o si los dos habían tenido un ataque cardíaco antes de los 50 años.<br /> Nueva York, enero 27/2011 (Reuters)<br /> El artículo está disponible a través de Hinari para los lectores del dominio *.sld.cu<br /> <em>Journal of the American College of Cardiology</em> 57( 5):619-627, 1 February 2011</span>
2011-01-31T14:21:24-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/54
Cardiopatía Isquémica: Factible disminuir la mortalidad por infartos en Cuba
2011-01-30T08:36:08-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="ima_252" src="/public/site/images/mikhail/ima_252.jpg" alt="ima_252" width="200" height="252" />Guantánamo, 29 ene (AIN) La mortalidad por infarto agudo del miocardio es susceptible de disminuirse aún más en Cuba con procederes consecuentes en la interacción paciente-servicios de salud, subrayó Alfredo Dueñas Herrera, jefe del Grupo Nacional de Cardiología. <p><small><span style="font-family: Arial;">Durante una conferencia impartida a profesionales de la salud del hospital Doctor Agostinho Neto, de Guantánamo, el especialista subrayó que el infarto continúa siendo principal causa de muerte en la Isla (16 por ciento de los fallecidos), aunque comienza a variar ese comportamiento territorialmente.</span></small></p> <p><small><span style="font-family: Arial;">El especialista de segundo grado en cardiología calificó la patología como la urgencia más frecuente de la atención médica, pero susceptible de disminuir su letalidad, con adecuado manejo médico a partir del menor tiempo transcurrido entre su aparición y la asistencia y el seguimiento a los pacientes hipertensos.</span></small></p> <p><small><span style="font-family: Arial;">Precisó que ante la presunción del infarto, caracterizado por dolor terrible en el pecho, el paciente debe asumir inmediato reposo y reclamar mediante otras personas auxilio médico, personal que debe trombolizar al enfermo y trasladarlo en el menor término a las unidades de asistencia especializada.</span></small></p> <p><small><span style="font-family: Arial;">De acuerdo con la literatura médica, el uso de fármacos trombolíticos después de un infarto agudo del miocardio permite restablecer el flujo coronario de la arteria ocluida, limita la isquemia miocárdica y mejora el pronóstico del paciente.</span></small></p> <p><small><span style="font-family: Arial;">El conferencista llamó la atención sobre los principales factores de riesgo para sufrir el infarto: hábito de fumar, ingestión exagerada de grasas y sal; diabetes mellitus, hipertensión arterial, obesidad y sedentarismo.</span></small></p> <p><small><span style="font-family: Arial;">Insistió en la conveniencia de mantener adecuados hábitos alimentarios en prevención del accidente cardiaco, con preferencia en el consumo de frutas y vegetales, y disminuir la sal a magnitudes inferiores a los cinco gramos diarios.</span></small></p>
2011-01-30T08:36:08-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/53
Cáncer: Asocian implantes de mama con desarrollo de cáncer poco común
2011-01-28T09:25:52-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="cancer_378" src="/public/site/images/mikhail/cancer_378.jpg" alt="cancer_378" width="207" height="114" />Las autoridades sanitarias de Estados de Unidos anunciaron una posible asociación entre la solución salina y el gel que se utiliza en los implantes de silicona con el desarrollo de linfoma anaplásico de células grandes (LACG), un tipo de cáncer poco habitual. Los datos revisados por la <a title="FDA" href="http://www.fda.gov/NewsEvents/Newsroom/PressAnnouncements/ucm241090.htm" target="_blank">Administración de Alimentos y Medicamentos de Estados Unidos (FDA)</a> indican que las pacientes con implantes de mama pueden tener un riesgo "muy pequeño" pero "significativo" de desarrollar LACG en la cápsula de la cicatriz adyacente al implante.<br /> Según indica el Instituto Nacional del Cáncer, el LACG es un tipo de cáncer agresivo de un linfoma no Hodgkin (que suele ser el más común), positivo al antígeno Ki-1, que puede aparecer en los ganglios linfáticos, la piel, los huesos, los tejidos blandos, los pulmones o el hígado.<br /> La FDA investigó la literatura científica publicada entre enero de 1997 y mayo del 2010, así como la información reportada por reguladores internacionales, científicos y fabricantes de implantes mamarios.<br /> En total, se identificaron 34 casos de LACG en mujeres con implantes de mama en este período, un porcentaje alto teniendo un en cuenta que es un cáncer poco común, lo que ha llevado a las autoridades a continuar la investigación.<br /> La mayoría de los casos revisados por la FDA fueron diagnosticados cuando la paciente buscó tratamiento médico para paliar los síntomas relacionados con el implante, como dolor, inflamación o asimetría después de la cirugía. Estos síntomas se deben a la acumulación de líquido (seroma peri-implante) y el endurecimiento de la superficie de la mama alrededor del implante que suele darse tras la operación, pero al analizar el líquido y la cápsula que lo rodea descubrieron el cáncer.<br /> Las autoridades solicitaron a los profesionales de la salud que informen sobre los casos que hayan confirmado de este tipo de cáncer en mujeres con implantes mamarios. En un esfuerzo por asegurar que las pacientes que lo reciben sean informadas de los posibles riesgos. "Necesitamos más datos acerca de cualquier caso confirmado que identifiquen", dijo William Maisel, director adjunto del departamento científico de Dispositivos y Salud Radiológica de la FDA, en un comunicado.<br /> Maisel explicó que la FDA trabaja con la Sociedad Estadounidense de Cirujanos Plásticos y otros expertos en el campo para establecer un registro de pacientes de implantes mamarios, para "ayudarnos a comprender mejor el desarrollo del LACG en mujeres con implantes de mama".<br /> Según el Instituto Nacional del Cáncer, cada año se diagnostica este tipo de afección en aproximadamente una de cada 500 000 mujeres en Estados Unidos y solo en tres de cada 100 millones de casos localizados en el tejido mamario se da en mujeres que no se han sometido al proceder.<br /> La agencia tiene constancia de que hay unos 60 casos de LACG en mujeres con implantes de mama en todo el mundo, aunque indica que es difícil de verificar por qué no todos los casos han sido recogidos en la literatura científica y algunos informes pueden estar duplicados. La FDA calcula que entre 5 y 10 millones de mujeres en el mundo tienen implantes de mama.<br /> Washington, enero 26/2011 (EFE)
2011-01-28T09:25:52-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/52
Tabaquismo: El tabaquismo podría asociarse con un mayor riesgo de cáncer de mama
2011-01-27T17:35:34-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="tabaco_194" src="/public/site/images/mikhail/tabaco_194.jpg" alt="tabaco_194" width="209" height="155" /><span class="nodtxt">El tabaquismo antes de la menopausia, en especial antes de dar a luz, podría estar asociado con un mayor riesgo de desarrollar cáncer de mama, según un estudio del Hospital de Brigham y las Mujeres y la Escuela de Medicina de Harvard en Boston (Estados Unidos). Los resultados del estudio se publican en la revista <em>Journal of the American Medical Association</em> (JAMA).<br /> <br /> Los investigadores, dirigidos por Fei Xue, utilizaron datos recopilados del Estudio de Salud de las Enfermeras y examinaron registros de 111.140 mujeres de entre 1976 y 2006 en relación al tabaquismo activo y de 36.017 mujeres de entre 1982 a 2006 en cuanto a tabaquismo pasivo. Durante el seguimiento se detectaron 8.772 casos de cáncer de mama.<br /> <br /> El desarrollo del cáncer de mama se asoció con una mayor cantidad de tabaquismo actual y pasado, el tabaquismo durante un periodo de tiempo más largo, la edad más temprana en el inicio del tabaco y un mayor número de paquetes año (producto del número de paquetes diarios y el número de años que se fumó esa cantidad).<br /> <br /> Los autores señalan que el tabaquismo antes de la menopausia se asoció positivamente con el riesgo de cáncer de mama y que existían indicios en los resultados de que el tabaquismo tras la menopausia podría asociarse con una ligera reducción del cáncer de mama. Esta diferencia sugiere un efecto antiestrógenico del tabaquismo entre las mujeres postmenopáusicas que podría además reducir su ya bajo nivel de estrógenos endógeno.<br /> <br /> Por otro lado, no haber fumado nunca y el tabaquismo pasivo en la infancia o la vida adulta no se asociaron con un mayor riesgo de cáncer de mama. La exposición a padres que fumaban mientras vivían en la misma casa, el tabaquismo pasivo en el trabajo o en casa y el número de años que se vivió con alguien que fumaba no se asociaron con mayor riesgo de cáncer de mama.<br /> <br /> Según concluyen los autores, los resultados sugerían que aunque no era aparente un elevado riesgo para las fumadoras que consumieran menos cigarrillos, las que fumaban en mayor cantidad y comenzaron a hacerlo más temprano, las que fumaron por más tiempo y una mayor cantidad, eran las que se encontraban bajo un mayor riesgo de cáncer de mama, lo que apoya un efecto independiente y aditivo de varias medidas tabáquicas sobre el origen del cáncer de mama.<br /> </span>
2011-01-27T17:35:34-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/51
Cáncer: Identifican un gen que podría detener la expansión de la mayoría de los cánceres
2011-01-26T11:46:49-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="gene1_216" src="/public/site/images/mikhail/gene1_216.jpg" alt="gene1_216" width="188" height="140" /><span class="nodtxt">Investigadores de la Universidad de East Anglia en Reino Unido han descubierto un gen que, si se bloquea con los fármacos adecuados, podría detener la expansión de la mayoría de los cánceres. <br /> <br /> El gen que han descubierto los investigadores que publican sus resultados en la edición digital de la revista <em>Oncogene</em> es el WWP2, un agente de unión enzimático que se encuentra dentro de las células cancerígenas. Este agente ataca y descompone un inhibidor natural del organismo que suele evitar que las células del cáncer se expandan.<br /> <br /> Los investigadores descubrieron que al bloquear WWP2, los niveles del inhibidor natural aumentaban y las células del cáncer permanecían inactivas. Si se desarrollara un fármaco que desactivara WWP2, las terapias y cirugías convencionales podrían utilizarse en los tumores primarios sin riesgo de que la enfermedad se desarrollara en otras áreas.<br /> <br /> Según explica Andrew Chantry, responsable del estudio, el descubrimiento conduciría al desarrollo de una nueva generación de fármacos en la próxima década que podrían utilizarse para detener la expansión agresiva de la mayoría de formas de la enfermedad, incluyendo el cáncer de mama, cerebro, colon y piel.<br /> <br /> Para el investigador el reto ahora es identificar un fármaco potente que pueda llegar al interior de las células del cáncer y destruir la actividad del gen WWP2. Esto es una difícil tarea, aunque no imposible, más fácil mediante el conocimiento de los procesos biológicos que revela este estudio, concluye Chantry.</span>
2011-01-26T11:46:49-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/50
Cáncer: Encuentran un nuevo gen implicado en el cáncer de riñón
2011-01-24T07:45:19-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="genetica3_280_266" src="/public/site/images/mikhail/genetica3_280_266.jpg" alt="genetica3_280_266" width="168" height="125" />Un estudio internacional demuestra que 1 de cada 3 pacientes con cáncer renal de células claras (ccRCC) presenta mutaciones en el gen PBRM1. La investigación, publicada la semana pasada en la revista <em>Nature</em>, fija este gen como el más prevalente de los identificados en el cáncer renal en los últimos 20 años. <div style="margin: 0in 0in 10pt;">“Este descubrimiento abre una perspectiva diferente en el estudio del cáncer renal, que es necesario investigar para explicar su trascendencia en el diagnóstico y tratamiento de este tipo de cáncer”, explica Ignacio Varela, investigador principal del estudio.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">El gen PBRM1, con mutaciones en 88 de los 257 casos analizados de ccRCC, forma parte del complejo proteico SWI/SNF. Dichas mutaciones inactivan una proteína que tiene como función el cambio en la estructura del ADN para permitir el acceso a éste de otras proteínas implicadas en el crecimiento celular, la reparación de mutaciones y la activación específica de otros genes.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">“PBRM1 podría desempeñar un papel importante en el reconocimiento de regiones específicas de ADN donde este complejo proteico debe realizar sus funciones”, indica Varela. Además, “el descubrimiento de que su inactivación es una característica común a muchos tumores renales pone en evidencia su importancia para el desarrollo tumoral”.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">El estudio, realizado por investigadores del Instituto Sanger y el Instituto de Investigación Van Andel (EE UU) y el Centro Nacional del Cáncer de Singapur, revela que las mutaciones de PBRM1 pueden estar relacionadas con otras en genes importantes del cáncer renal, descubiertos por el mismo equipo de investigación en estudios previos: el VHL (mutado en 8 de cada 10 casos) y el SETD2.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Con el hallazgo del gen PBRM1 (también conocido como Baf180) se abren “nuevas posibilidades terapéuticas a explorar” -afirma Varela-, aunque es necesaria mucha más investigación antes de que estos avances lleguen al tratamiento de pacientes”.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">La investigación señala que los tres genes (VHL, SETD2 y PBRM1) se localizan en una pequeña región del cromosoma 3. “Probablemente, PBRM1 ha eludido los estudios realizados hasta ahora por su cercanía al VHL”, señala. “Muchos pacientes, además, poseen mutaciones en dos o incluso los tres genes de esta región”.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;"><strong>En busca de mutaciones</strong></div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">El trabajo revela que el gen PPBRM1 podría estar también implicado en otros tipos tumorales como el cáncer pancreático. “Este hallazgo refuerza la necesidad de definir el tipo cáncer no sólo a través del órgano, sino también a partir de las mutaciones presentes en cada paciente”, sugiere David Adams, director del equipo de Genómica Experimental del Cáncer en el Instituto Sanger.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Por otro lado, el equipo responsable también ha detectado mutaciones en el gen ARID1A en algunos casos de ccRCC. Este mismo gen ya se había identificado en un estudio de cáncer ovárico de células claras unas semanas antes.</div> <a href="http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature09639.html" target="_blank">Nature (2011) doi:10.1038/nature09639</a>
2011-01-24T07:45:19-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/49
Prevención de las enfermedades crónicas: La salud debe ser abordada desde todas las políticas, no sólo la sanitaria.
2011-01-22T10:10:58-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="ejercicios_y_salud3_168" src="/public/site/images/mikhail/ejercicios_y_salud3_168.jpg" alt="ejercicios_y_salud3_168" width="166" height="168" />Cantidad no es calidad”, asegura Andreu Segura, presidente de la Sociedad Española de Salud Pública y Administración Sanitaria (SESPAS), y añade “las mejoras en materia de salud no dependen del número de hospitales que se construyan, sino de otros elementos intangibles como son las condiciones laborales, la calidad de vida, la educación o la vivienda. Los conocidos como ‘determinantes de salud’”. <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Así lo expresó ayer durante la presentación del <em>Informe</em> <em>SESPAS 2010: Hacia la salud en todas las políticas</em>, un análisis realizado por 56 expertos en la materia, del que se desprende que las decisiones políticas llevadas a cabo tanto en ámbitos públicos como privados influyen en la salud de las personas “y no sólo las relacionadas con políticas sanitarias”.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">En este sentido, Segura se lamenta de que en España primen “las preferencias por la derrota del adversario político” en lugar de realizar, entre todos, un esfuerzo común que permita mejorar factores esenciales para la salud de los ciudadanos, como por ejemplo, las condiciones laborales.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;"><strong>Reorientación de la salud pública</strong></div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">El informe, cuyo objetivo es contribuir al avance de la incorporación del principio Salud en todas las políticas de salud pública en España, plantea cambios en cuanto al papel del Estado y de las comunidades autónomas para garantizar la eficiencia del sistema sanitario. “En nuestro país, la reorientación de la salud pública necesita un fuerte respaldo social y profesional que estimule el acuerdo político”, indica el informe.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Además, el estudio pone de manifiesto que, en momentos de crisis, se concede escasa relevancia a la salud pública. Este factor, junto con una gestión sanitaria “excesivamente dependiente de los partidos políticos” son elementos de debilidad en situaciones de emergencia.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">“Desde el punto de vista de la salud pública, resulta muy preocupante el crecimiento de las tasas de desempleo en España”, recalca el estudio. Los datos científicos ponen de manifiesto que la falta de trabajo y el empleo atípico “tienen efectos negativos sobre la salud física y mental de las personas”.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">En esta línea, cuestiones como la obesidad infantil y las repercusiones del cambio climático en la salud también se analizan en el informe. Además, los expertos se plantean la efectividad de los impuestos en la reducción de los hábitos no saludables.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">El informe ha sido liderado por Lucía Artazcoz, de la Agència de Salut Pública de Barcelona y el CIBERESP, y publicado en <em>Gaceta Sanitaria</em>.</div> <a href="http://goo.gl/uCrS2" target="_blank">Gac Sanit.2010; 24(Supl.1) :1-6</a>
2011-01-22T10:10:58-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/48
Diabetes Mellitus: Hallan una posible causa que relaciona el síndrome de ovario poliquístico con el riesgo de diabetes tipo 2
2011-01-21T10:08:06-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="imgen_ecogrfica_del_sndrome_de_ovario_poliqustico_366" src="/public/site/images/mikhail/imgen_ecogrfica_del_sndrome_de_ovario_poliqustico_366.jpg" alt="imgen_ecogrfica_del_sndrome_de_ovario_poliqustico_366" width="120" height="90" /><span class="nodtxt">Las mujeres con síndrome de ovario poliquístico (SOPQ) presentan anomalías en su tejido adiposo, un descubrimiento realizado por investigadores de la Universidad de Gothenburg (Suecia) que podría ofrecer respuestas a por qué estas mujeres desarrollan diabetes tipo 2 más fácilmente y demuestra la importancia que tiene para la salud de las pacientes con este problema no aumentar de peso. El hallazgo se publica en <em>The Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism</em>.<br /> <br /> Según la investigadora del Departamento de Fisiología de la Academia Sahlgrenska de la Universidad de Gothenburg Louise Manners-Holm, ya se sabía que las mujeres con SOPQ presentaban a menudo resistencia a la insulina, en otras palabras, sus células eran menos sensibles a la insulina y corren un mayor riesgo de desarrollar diabetes tipo 2. Altos niveles de testosterona en la sangre de estas mujeres podrían ser una de las principales razones para esto, dice.<br /> <br /> Sin embargo, este último estudio demuestra que anomalías en el tejido adiposo podrían ser más significativas a este respecto.<br /> <br /> Para realizar este trabajo se emparejó a 31 mujeres con SOPQ con otras 31 mujeres sin este síndrome, pero de la misma edad,entre los 21 y los 37 años, e índice de masa corporal (IMC), que iba desde personas con un peso por debajo de lo normal hasta la obesidad extrema.<br /> <br /> La comparación entre grupos demostró que las mujeres con SOPQ carecían de una anormal gran cantidad de grasa alrededor de su cintura, pero que presentaban grandes células de grasa y tejido adiposo con la función alterada, señala.<br /> <br /> En mujeres con SOPQ, el tejido adiposo produce menos cantidad de la hormona adiponectina, que incrementa la sensibilidad del cuerpo a la insulina. Además, la actividad de la enzima conocida como lipoproteína lipasa es baja, circunstancia que puede afectar al metabolismo de la grasa en el cuerpo.<br /> <br /> Un total de 74 mujeres con SOPQ participaron en este estudio, que también demostró que las anomalías del tejido adiposo en las mujeres con este síndrome podría jugar un papel clave en el incremento del riesgo de estas mujeres para desarrollar diabetes tipo 2. <br /> <br /> Los factores más vinculados con la resistencia a la insulina fueron el tamaño de las células de grasa, la cantidad de adiponectina en la sangre y las dimensiones de la cintura. Sin embargo, los niveles de testosterona no jugaron un papel significativo en este análisis.<br /> <br /> No entendemos de forma completa el mecanismo por el que las células grandes de grasa tienen efectos negativos, pero los resultados demuestran que eso es particularmente importante para la salud de las mujeres con SOPQ que no suban de peso, indica la investigadora.<br /> <br /> El síndrome de ovario poliquístico es el desorden hormonal más común en mujeres en edad fértil, en concreto, afecta a entre el 5 y el 10 por ciento de las mujeres en este periodo. Se caracteriza por una resistencia a la insulina y elevados niveles de testosterona. Los síntomas más comunes son menstruaciones irregulares, problemas de crecimiento del cabello, acne y exceso de peso.<br /> <br /> A largo plazo, las mujeres con este síndrome corren un mayor riesgo de desarrollar diabetes tipo 2 y posiblemente, problemas cardiovasculares también. En estos momentos, se desarrolla una investigación extensa para aumentar los conocimientos sobre los factores subyacentes que provocan esta situación.<img title="imgen_ecogrfica_del_sndrome_de_ovario_poliqustico_366" src="/public/site/images/mikhail/imgen_ecogrfica_del_sndrome_de_ovario_poliqustico_366.jpg" alt="imgen_ecogrfica_del_sndrome_de_ovario_poliqustico_366" width="366" height="337" /></span>
2011-01-21T10:08:06-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/47
Cáncer: Las células endoteliales regulan el desarrollo del cáncer
2011-01-21T09:40:10-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="2011012037_2_92__endotelio_135" src="/public/site/images/mikhail/2011012037_2_92__endotelio_135.jpg" alt="2011012037_2_92__endotelio_135" width="187" height="121" /><span class="nodtxt">Las células endoteliales son potentes reguladores de los tumores, según un estudio realizado por investigadores del Instituto de Tecnología de Massachusetts y la Universidad de Harvard en Boston (Estados Unidos) que se publica en la revista <em>Science Translational Medicine</em>. <br /> <br /> Durante algún tiempo se pensó que los tumores se definían por un crecimiento incontrolado sólo de las células cancerígenas pero la biología moderna del cáncer ahora incluye el papel de otras células en el crecimiento tumoral y la necesidad de que los tumores sean alimentados por vasos sanguíneos. <br /> <br /> Los científicos colocan ahora ambos aspectos en conjunto y razonan que como los vasos sanguíneos penetran en profundidad en los tumores, no sólo portan sangre a y desde los tumores sino que también portan células endoteliales a los recovecos más profundos del tumor.<br /> <br /> A través de este proceso las células endoteliales controlan muchos de los aspectos agresivos del cáncer, sirviendo como centinelas celulares en cada esquina de las proximidades del tumor.<br /> <br /> En su estudio, el equipo de Elazer Edelman, utilizó una matriz con células endoteliales que permitió situar a estas células cerca de los tumores para observar su interacción con el cáncer independiente del flujo sanguíneo. Descubrieron que las células endoteliales sanas segregan múltiples moléculas que son capaces de regular las células del cáncer de mama y de pulmón cercanas. Estas moléculas hacen a los tumores menos proliferativos y agresivos al reducir las señales moleculares que dirigen estos procesos.<br /> <br /> Los resultados sugieren que las células endoteliales no sólo se encuentran en el tejido de apoyo sino que también son activas participantes en el cáncer y posibles dianas para la regulación de tumores. Si las células endoteliales son en realidad un regulador esencial del crecimiento del cáncer, la agresividad tumoral podría definirse si las células endoteliales o las células del cáncer dominan, ya que los tumores más agresivos pueden superar a las células endoteliales mientras que los más benignos no.<br /> <br /> Los médicos podrían clasificar la malignidad de los tumores en base al equilibrio entre células endoteliales y células cancerígenas en los pacientes y descubrir nuevos medios para tratar a los pacientes con enfermedades malignas.</span>
2011-01-21T09:40:10-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/46
Eventos de enfermedades crónicas: Simposio internacional de cardiología
2011-01-21T07:30:51-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="ima_252" src="/public/site/images/mikhail/ima_252.jpg" alt="ima_252" width="200" height="252" />Ya se están desarrollando las actividades científicas del III Simposio internacional de investigación cardiovascular y II Simposio Cuba-Canadá del corazón que sesionarán hasta el próximo día 22 de enero en el Hotel Playa Pesquero en Holguin.<br /> Este evento es auspiciado por el Instituto de Ciencias Cardiovasculares de Canadá, el Hospital "Vladimir Ilich Lenin" de Holguín y la Sociedad Cubana de Cardiologia.<br /> Los promotores y organizadores principales son el cubano DrC Delfin Rodriguez Leyva y el DrCs Naranjan S. Dhalla, Director Ejecutivo de la Academia Internacional de Ciencias Cardiovasculares.<br /> <em><span style="text-decoration: underline;"><strong><a href="http://www.sld.cu/galerias/doc/sitios/cardiologia/programa_final_para_cuba-canada_enero_2011.doc" target="_blank">Programa Científico</a></strong></span></em>
2011-01-21T07:30:51-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/45
Tabaquismo: El humo de tabaco produce daños en el ADN minutos después de la inhalación
2011-01-20T15:33:03-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="fumador_197" src="/public/site/images/mikhail/fumador_197.png" alt="fumador_197" width="199" height="149" /><span class="nodtxt">El humo de los cigarrillos comienza a producir daños genéticos en los siguientes minutos, y no años, a la inhalación en los pulmones, según un estudio de la Universidad de Minnesota en Estados Unidos que se publica en la revista <em>Chemical Research in Toxicology</em>. El estudio es el primero en detallar la forma en la que ciertas sustancias del tabaco causan daños en el ADN vinculados al cáncer.<br /> <br /> Los científicos, dirigidos por Stephen S. Hecht, apuntan que el cáncer de pulmón es el responsable de la desaparición diaria de 3.000 vidas en todo el mundo, en gran medida como resultado del tabaquismo, que se vincula con al menos 18 tipos de cáncer. <br /> <br /> La evidencia indica que las sustancias dañinas del humo de tabaco, los hidrocarburos aromáticos policíclicos (HAP), están entre los principales culpables del cáncer de pulmón. Sin embargo, hasta ahora los científicos no habían determinado la forma en la que los HAP del humo de tabaco causan los daños en el ADN humano.<br /> <br /> Los científicos añadieron un HAP marcado, el fenantreno, a cigarrillos y siguieron su recorrido en 12 voluntarios que fumaban. Descubrieron que el fenantreno forma rápidamente una sustancia tóxica en la sangre conocida por dañar el ADN, produciendo mutaciones que pueden causar cáncer. <br /> <br /> Los fumadores desarrollaron los niveles máximos de la sustancia en un espacio de tiempo que sorprendió incluso a los investigadores: sólo entre 15 y 30 minutos después de que los sujetos dejaran de fumar. Los autores señalan que el efecto es tan rápido que es equivalente al de inyectar una sustancia directamente en la sangre.<br /> <br /> Según explica Hecht. Los resultados deberían servir como una grave advertencia para quienes están considerando comenzar a fumar".</span>
2011-01-20T15:33:03-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/44
Ciencia y Tecnología: Un test genético determina el riesgo personalizado de cáncer de pulmón
2011-01-19T08:01:23-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="adn4_540_540" src="/public/site/images/mikhail/adn4_540_540.jpg" alt="adn4_540_540" width="181" height="143" />El Hospital Moncloa de Madrid acaba de poner en marcha la implantación de un nuevo test genético -Pulmotest-, desarrollado por el laboratorio CGC Genetics y que tiene como finalidad la determinación del riesgo personalizado de desarrollar cáncer de pulmón asociado al tabaco. <div style="margin: 0in 0in 10pt;">El test, indicado tanto para fumadores actuales como para personas que han fumado en los últimos 10 años, determina el riesgo estratificado de desarrollar la enfermedad en función de las variantes genéticas encontradas en cada fumador. Así, un riesgo moderado se interpreta como que el paciente presenta un riesgo similar al del resto de la población fumadora de desarrollar un cáncer de pulmón (“y que es de hasta 15 veces más que el que tiene la población no fumadora”, precisó la doctora María Orera, directora médica de la CGC Genetics).</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Por otro lado, un resultado que indique un riesgo alto significa que las posibilidades de desarrollar la enfermedad son entre 17 y 25 veces más altas que las de los no fumadores, mientras que si se determina que el riesgo es muy alto, se debe interpretar como que éste es entre 25 y 45 veces más elevado que el de la población no fumadora. La prueba, cuyos resultados se obtienen en dos semanas, se realiza a partir de unas gotas de sangre obtenidas mediante una pequeña punción, sin necesidad de que el paciente esté en ayunas.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;"><strong>Argumento eficaz para abandonar el tabaco</strong></div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Esta nueva técnica, pionera en España, es fruto de los resultados arrojados por un meta-análisis sobre un total de 21 estudios en los que se han identificado qué marcadores están implicados en el riesgo de desarrollar cáncer de pulmón. “Creemos que esta prueba va a contribuir a que muchas personas dejen de fumar y, de hecho, en los estudios previos que se han realizado con este test se ha demostrado que más de la mitad de los fumadores han dejado el hábito al conocer el resultado y alrededor del 60% ha reducido el consumo de tabaco”, señaló la doctora Orera.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Por su parte, la neumóloga Sagrario Mayoralas, subdirectora Médica del Hospital Moncloa, destacó el importante papel que va a desempeñar esta técnica desde el punto de vista de proporcionar al paciente la motivación necesaria para dejar de fumar. “No es fácil abandonar el hábito tabáquico, pero el hecho de que cada paciente conozca de forma personalizada el riesgo derivado tanto del hábito tabáquico como de la carga genética supone un factor motivacional importante. No es lo mismo decirle a un paciente que el tabaco es malo en genérico que cuantificarle el riesgo exacto que tiene. En este sentido, esta nueva herramienta nos ayudará a hacer una adecuada prevención no solo ante el cáncer de pulmón, sino también frente a otras enfermedades asociadas al tabaquismo”.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Según la doctora Mayoralas, uno de cada diez fumadores crónicos desarrollará a lo largo de su vida un cáncer de pulmón. “Actualmente, más del 40% de la población española es fumadora, y el número de mujeres es cada vez mayor. Teniendo en cuenta que los niveles de supervivencia del cáncer de pulmón son bajos (sólo el 20% de los pacientes vive más de dos años después del tratamiento) y que se trata de un tumor que aún no se controla de forma lo suficientemente satisfactoria con las terapias actuales, cualquier medida que favorezca la decisión de iniciar el proceso de deshabituación tabáquica resulta muy útil”.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Se estima que cada año hay 19.000 nuevos casos de cáncer de pulmón y que actualmente unas 1.000 personas mueren semanalmente en nuestro país debido a complicaciones relacionadas con el hábito de fumar, nueve veces más que los fallecidos en accidentes de tráfico.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Los pacientes interesados en someterse a este test, cuyo precio es de 120 euros (“el gasto medio de un fumador en un mes”, tal y como precisó Eduardo Gaspar, director de CGC Genetics), pueden citarse a través del Servicio de Atención al Paciente del Hospital Moncloa y, también en alguno de los 52 laboratorios concertados que CGC Gentics tiene distribuidos en toda España.</div>
2011-01-19T08:01:23-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/43
Cáncer: Alertan sobre factores de riesgo vinculados al cáncer en la infancia
2011-01-15T07:35:47-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="cancer_im_220" src="/public/site/images/mikhail/cancer_im_220.jpg" alt="cancer_im_220" width="220" height="169" /><span class="textonormal">Expertos chinos alertaron sobre los diferentes factores de riesgo de desarrollar cáncer en la niñez y en la adolescencia, durante un evento para ampliar el conocimiento de la población respecto a la enfermedad. Los especialistas se refirieron a los estilos de vida poco saludables, profesiones de los padres vinculadas al plomo y aspectos relacionados con el entorno ambiental.<br /> "Científicamente está demostrado que la obesidad, el sedentarismo, una dieta alta en calorías pueden conducir a esta dolencia en la niñez. No obstante intervenir a tiempo -cambiando el estilo de vida- podría evitar el desarrollo de la enfermedad, dijo el secretario general de la Asociación de Lucha contra el Cáncer, Zhang Guangchao.<br /> "Entre los niños es mayor la incidencia de leucemia, linfoma y cáncer cerebral, mientras en los adolescentes es el cáncer óseo el más frecuente.", precisó.<br /> En el evento, efectuado la víspera por el portal sohu.com, el experto en carcinoma pulmonar Zhi Xiuyi dijo que las tasas de neoplasias de mama, piel y colon, relacionados con estilos de vida poco saludables, aumentan con rapidez en el país. Se debe a la adopción en las últimas décadas de modelos occidentales.<br /> Los expertos explicaron que, según estudios, los niños desarrollan más la leucemia después de la decoración del hogar, debido a la exposición prolongada a productos químicos nocivos de los materiales destinados a ese trabajo.<br /> Los hijos de padres con ocupaciones como conductor y pintor tienen más probabilidades de exposición al plomo, otro factor de riesgo.<br /> Advirtieron además acerca de la contaminación ambiental.<br /> En la actualidad en la parte continental de China existen 32 mil niños menores de 14 años que sufren cáncer de varios tipos, para una prevalencia de 104 por millón, según Zhang.<br /> Beijing, enero 14/2011 (PL)</span>
2011-01-15T07:35:47-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/42
Cáncer: Desarrollan terapia génica para combatir el cáncer colorrectal con metástasis en el hígado
2011-01-14T08:16:33-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="0600_cancer_cells_400" src="/public/site/images/mikhail/0600_cancer_cells_400.jpg" alt="0600_cancer_cells_400" width="120" height="90" /><span class="textonormal">Científicos del Centro de Investigación Médica Aplicada (CIMA) de la Universidad de Navarra, España, desarrollaron una técnica basada en terapia génica que mejora los resultados en cáncer colorrectal con metástasis en el hígado.<br /> "Nuestro estudio confirma que la combinación de inmunoterapia y quimioterapia aumenta el efecto antitumoral en modelos animales", explicaron los doctores Jesús Prieto y Rubén Hernández, responsables del trabajo.<br /> El cáncer colorrectal presenta una tendencia muy acusada a extenderse al hígado. En concreto, más de la mitad de los pacientes presenta metástasis hepáticas, que limitan gravemente sus opciones de curación. En los casos muy incipientes las metástasis se pueden eliminar por cirugía, pero en la mayoría de los pacientes esto no es posible, o las metástasis reaparecen. En estos casos la quimioterapia es la única alternativa, aunque su eficacia a largo plazo es limitada, señalaron los expertos en un comunicado.<br /> El oxaliplatino es un componente esencial de la quimioterapia que se utiliza en este tipo de cáncer, en particular en pacientes con metástasis en el hígado. Sin embargo, existe la posibilidad de recidiva de la enfermedad, debido a células cancerosas que resisten a la quimioterapia.<br /> "Hace tiempo que se investigan los efectos antitumorales de la interleuquina 12 (IL-12), un estimulador natural del sistema inmune, que defiende al individuo eliminando las células malignas. Pero la administración de dosis altas por vía intravenosa resulta tóxica. En este trabajo hemos utilizado un vector de terapia génica para lograr la producción de IL-12 dentro del propio hígado de modo sostenido y controlado", expusieron los autores.<br /> El estudio desarrollado en el CIMA de la Universidad de Navarra demuestra que la combinación de IL-12 más oxaliplatino ejerce un efecto antitumoral superior al que se obtiene con estas moléculas por separado. Según los doctores Prieto y Hernández, "esto es así porque el oxaliplatino no solo daña las células tumorales sino que destruye las células supresoras de la inmunidad que están presentes dentro del tumor, lo que permite un mayor efecto de la IL-12.<br /> Además, este tratamiento combinado elimina las metástasis pre-existentes y protege al hígado frente a posibles recidivas. Los resultados obtenidos en modelos animales confirman que es una modalidad terapéutica sumamente prometedora que podría ser eficaz en pacientes con tumores colorrectales metastásico en hígado".<br /> En la actualidad, el estudio se centra en perfeccionar los mecanismos para producir vectores de terapia génica con un rendimiento y pureza compatibles con su utilización clínica. "Al mismo tiempo nos proponemos validar estos resultados en otros modelos experimentales para predecir en lo posible el efecto que tendría en humanos", agregaron los expertos.<br /> Pamplona, enero 13/2011 (Europa Press)</span>
2011-01-14T08:16:33-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/41
Cáncer: Identifican nuevas regiones genéticas activas en el cáncer
2011-01-14T07:59:54-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0in 0in 10pt;"><img style="float: left;" title="genetica3_280_266" src="/public/site/images/mikhail/genetica3_280_266.jpg" alt="genetica3_280_266" width="177" height="132" />Investigadores del Centro Oncológico del Hospital General de Massachusetts, Estados Unidos, han descubierto que determinadas secuencias de ADN, conocidas como ‘repeticiones por satélite’, experimentan una sobreexpresión masiva cuando aparecen tumores. La investigación de este fenómeno supone un paso importante en el mejor diagnóstico y conocimiento del cáncer.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">“Las repeticiones por satélite conforman una gran parte de nuestro genoma, pero se pensaba que eran inactivas”, explica David Ting, investigador del Centro Oncológico de Massachusetts y coautor del artículo. Sin embargo, esta investigación, desarrollada con nuevas técnicas de secuenciación, muestra que estas regiones son muy activas en el cáncer.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Los investigadores han descubierto que esta sobreexpresión de las repeticiones por satélite comienza pronto en el desarrollo del tumor, por lo que resulta fundamental para lograr una detección temprana en el paciente. Para llevar a cabo el estudio, los investigadores han utilizado un sistema digital de análisis de expresión de genes denominado “secuenciación de una sola molécula de próxima generación”.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;"><strong>Posible biomarcador del cáncer</strong></div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Gracias a este sistema pudieron comprobar, en un cáncer pancreático de ratón, que el ADN satélite se expresaba en niveles que superaban 100 veces los valores que registraba en tejidos normales. Por otro lado, al analizar muestras de cáncer epitelial (el tipo más común de tumor) se comprobó que tanto en tumores de colon como de pulmón, de ratón se repetían los mismos niveles.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">“Nuestra esperanza es que esta anomalía (hasta ahora desconocida) sirva como marcador biológico en el diagnóstico del cáncer y arroje luz sobre los mecanismos mediante los cuales se desarrolla el tumor”, añade Daniel Haber, director del centro oncológico y autor principal.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">El estudio en células cancerígenas humanas obtuvo resultados similares en la mayoría de los cánceres estudiados, que incluyen los tumores de páncreas, pulmón y próstata. Si se confirmara en los ensayos clínicos prospectivos, “la expresión del ARN satélite puede proporcionar un biomarcador nuevo y altamente específico relacionado con varios tipos de cánceres epiteliales”, concluye Ting.</div> <a href="http://www.sciencemag.org/content/early/2011/01/12/science.1200801" target="_blank">Science (2011); doi: 10.1126/science.1200801</a>
2011-01-14T07:59:54-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/40
Ciencia y Tecnología: Identifican un posible biomarcador precoz del infarto agudo de miocardio
2011-01-12T15:05:24-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="="apoj_88"" src="/public/site/images/mikhail/apoj_88.jpg" alt="apoj_88" width="131" height="113" />Una investigación realizada por científicos del Institut Català de Ciències Cardiovasculars (ICCC), en colaboración con otros centros biomédicos, ha identificado cambios producidos en la Apolipoproteína J (ApoJ) tras un infarto agudo de miocardio (IAM) de nueva presentación, que podrían ser de gran utilidad para su diagnóstico precoz. <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Los síndromes isquémicos aterotrombóticos pueden inducir modificaciones estructurales y funcionales que se reflejan en los niveles séricos de proteínas y otros biomarcadores. A partir del análisis del suero obtenido de pacientes con IAM dentro de las primeras horas desde el inicio del evento, se ha utilizado una aproximación proteómica para caracterizar las proteínas diferenciales del suero en la fase temprana del IAM, y se ha encontrado que la ApoJ, proteína a la que se le ha atribuido una función anti-inflamatoria, muestra cambios significativos en su patrón de distribución.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">El análisis de estos cambios puede servir para entender la función de la ApoJ en estos síndromes y hacer que ésta se convierta en un marcador precoz del IAM. Los resultados apoyan la hipótesis que durante la fase temprana del IAM hay respuestas sistémicas que pueden tratar de compensar la situación pro-inflamatoria.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Las investigadoras principales de este estudio, publicado en <em>Journal of Proteome Research</em>, las Dras. Teresa Padró y Judit Cubedo confirman que “se ha demostrado por primera vez la presencia de un patrón específico de la ApoJ en el suero de pacientes durante las primeras horas tras un IAM”. Los resultados del estudio sugieren que un cambio en las isoformas de la ApoJ presentes en suero podría llegar a ser un biomarcador fiable en la detección de la fase temprana de un IAM.</div> <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21043527" target="_blank">J Proteome Res. 2011 Jan 7;10(1):211-220. Epub 2010 Nov 17.</a> <!-- .content --> <div class="inner_content"><!-- .listaRss{position:relative; background:#fafafa; border:1px solid #ccc; padding:5px 5px 0px 15px;font:normal 10px Arial,Helvetica,sans-serif;text-decoration:none;color:#639CCE;margin:0px; height:400px; width:420px !important; width:440px;} .listaRss2{background:#fafafa; border:1px solid #ccc; padding:5px 5px 0px 15px;font:normal 10px Arial,Helvetica,sans-serif;text-decoration:none;color:#639CCE;margin:10px 0;width:440px;} .fondo_blanco{z-index:3; position:absolute; background:#fff; visibility:hidden; filter:alpha(opacity=70);opacity:0.7; height:395px !important; height:387px; width:438px;} .fondo_gris{z-index:4; position:absolute; background:#666; visibility:hidden; filter:alpha(opacity=60);opacity:0.6; height:235px; width:328px !important; width:315px;} .capa_rss{z-index:5; position:absolute; background:#fff; border:2px solid #cdcdcd; height:265px !important; height:250px; width:310px !important;width:303px; visibility:hidden;} .contenido_rss{z-index:6; 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//docprint.document.write('<div id="container"><div id="content"><div id="main_content"><div id="news" class="clearfix bloque"><div class="inner_content">'); docprint.document.write(content_value); //docprint.document.write('</div></div></div></div></div>'); docprint.document.write('<table width="100%"><tr><td width="90%" colspan="3"><hr></td></tr><tr><td width="5%"> </td><td width="90%" align="center">Documento descargado de Jano.es el <b>'+ EscribeFecha() +'</b>.<br><br>Reservados todos los derechos. 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2011-01-12T15:05:24-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/39
Medicamentos: Registra Cuba la primera vacuna terapéutica del mundo contra el cáncer de pulmón
2011-01-11T08:19:46-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="vacuna_75" src="/public/site/images/mikhail/vacuna_75.jpg" alt="vacuna_75" width="183" height="137" />Cuba registró la primera vacuna terapéutica contra el cáncer de pulmón avanzado en el mundo, nombrada CIMAVAX-EGF, con la cual han recibido tratamiento más de 1 000 pacientes en la isla, anunció hoy el semanario «Trabajadores», reportó CubaDebate. <p>La responsable del proyecto de esta vacuna en el Centro de Inmunología Molecular (CIM) de La Habana, Gisela González, explicó que ofrece la posibilidad de convertir el cáncer avanzado en una «enfermedad crónica controlable».</p> <p>CIMAVAX-EGF es resultado de más de quince años de investigación, va dirigida hacia el sistema relacionado con el tumor y no provoca efectos adversos severos, precisó la especialista.</p> <p>«Está basada en una proteína que todos tenemos: el factor de crecimiento epidérmico, relacionado con los procesos de proliferación celular, que cuando hay cáncer están descontrolados», detalló.</p> <p>González indicó que como el organismo tolera «lo propio» y reacciona contra «lo extraño», por eso tuvieron que hacer «una composición tal que lograra generar anticuerpos contra esta proteína».</p> <p>Esta vacuna se aplica en el momento en el que el paciente concluye el tratamiento con radioterapias o quimioterapias y es considerada “terminal sin alternativa terapéutica” porque ayuda a “controlar el crecimiento del tumor sin toxicidad asociada, precisó.</p> <p>Además, puede ser utilizada como un tratamiento «crónico que aumenta las expectativas y la calidad de vida del paciente».</p> <p>La investigadora señaló que después de alcanzar su registro en Cuba, actualmente el CIMAVAX-EGF «progresa» en otros países y que se evalúa la forma de emplear su principio en terapias contra otros tumores como los de próstata, útero y mamas.</p>
2011-01-11T08:19:46-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/38
Eventos de enfermedades crónicas: El cáncer y las enfermedades cardiovasculares centran los avances en farmacología
2011-01-10T17:15:23-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="aterosclerosis_156" src="/public/site/images/mikhail/aterosclerosis_156.jpg" alt="aterosclerosis_156" width="207" height="155" />Las investigaciones en cáncer y en enfermedades cardiovasculares han centrado, en los últimos años, los avances en el campo de la farmacología. Así lo han puesto de manifiesto los expertos reunidos en el IV Congreso Internacional de Farmacología y Terapéutica, celebrado recientemente en La Habana, Cuba. <div style="margin: 0in 0in 10pt;">"Dada la alta prevalencia del cáncer y de las enfermedades cardiovasculares en los países desarrollados, es en este tipo de patologías donde podemos encontrar los mayores avances de la farmacología en los últimos años", explica la presidenta de la Sociedad Española de Farmacología (SEF), Teresa Tejerina.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Este encuentro científico internacional ha contado con la participación de expertos procedentes de Brasil, Indonesia, España, Estados Unidos, Japón y Cuba, entre otros países. Entre los principales temas que se han abordado destacan "la farmacología preclínica y clínica, la fármaco-epidemiología, la fármaco-vigilancia, la farmacología de productos naturales, la disfunción endotelial, la inmunofarmacología, la neurofarmacología, mediadores de la inflamación, células madres, enfermedades infecciosas, resistencia a los antibióticos y la bioinformática", detalla Tejerina.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">La participación de la SEF en este congreso se enmarca, según su presidenta, "dentro de uno de los objetivos fundamentales de la sociedad: la presencia internacional el impulso a la divulgación de los resultados para beneficio de la comunidad científica y de la sociedad, en general".</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">"Nos proponemos participar en congresos internacionales que den a conocer nuestra investigación, y también establecer colaboraciones con las sociedades latinoamericanas. De hecho, ya tenemos contactos con varios presidentes iberoamericanos de las diferentes sociedades de farmacología para unificar recursos y conseguir así mejores logros que repercutan en la innovación en terapéutica, y por tanto, en una mejor calidad de vida de la población", adelanta Tejerina.</div>
2011-01-10T17:15:23-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/37
Diabetes Mellitus: El ovario poliquístico eleva el riesgo de diabetes en mujeres jóvenes
2011-01-10T05:59:12-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="imgen_ecogrfica_del_sndrome_de_ovario_poliqustico_366" src="/public/site/images/mikhail/imgen_ecogrfica_del_sndrome_de_ovario_poliqustico_366.jpg" alt="imgen_ecogrfica_del_sndrome_de_ovario_poliqustico_366" width="120" height="90" />Un estudio publicado en 'Obstetrics & Gynecology' recomienda "seguir de cerca" a las jóvenes de entre 20 y 30 años con este síndrome.Las mujeres con síndrome de ovario poliquístico (SOPQ), incluso cuando son jóvenes, corren más riesgo de desarrollar diabetes y colesterol elevado, según un nuevo estudio, publicado por <em>Obstetrics & Gynecology</em>. <br /> <br /> "Los médicos no suelen considerar a las jóvenes de entre 20 y 30 años como un grupo para ser seguido muy de cerca", manifestó la Dra. Erica T. Wang, de la University of California, de San Francisco, Estados Unidos, autora de la investigación. "Nuestro estudio sugiere que debemos reconocer a las mujeres jóvenes que tienen SOPQ y seguirlas más de cerca", añadió. <br /> <br /> Dado que este mayor riesgo también persistió durante años, incluso después de que se resolvieron los síntomas del SOPQ, los resultados destacan la importancia de mantener un estilo de vida saludable a largo plazo, señaló el Dr. R. Jeffrey Chang, en un editorial que acompañó al estudio. <br /> <br /> El SOPQ se produce en entre el 5% y el 10% de las mujeres en edad reproductiva, según el Centro Nacional de Información sobre Salud Femenina de Estados Unidos. Sus niveles anormalmente altos de andrógeno pueden provocar infertilidad, menstruación irregular, crecimiento excesivo del vello y quistes ováricos, además de aumento de peso, especialmente en la cintura. <br /> <br /> Más allá de la dieta y el ejercicio, el SOPQ puede tratarse con fármacos para reducir la insulina y a veces con terapias hormonales, como píldoras anticonceptivas o medicamentos reductores de andrógeno. Algunos estudios relacionaron el SOPQ con varios factores de riesgo de enfermedad cardíaca, como obesidad e hipertensión, además de diabetes. Pero aún no está claro si el síndrome en sí es el responsable de ello, indicó el equipo de la Dra. Wang.<p> </p> <p><strong>Estudio durante 18 años</strong><br /> <br /> Para investigar esta cuestión, los autores observaron a 1.127 mujeres que participaban de un estudio a largo plazo sobre factores de riesgo cardíaco entre blancas y afroamericanas de cuatro ciudades de Estados Unidos. Las mujeres tenían entre 20 y 32 años al comienzo del estudio y fueron seguidas durante 18 años. 53 de las mujeres tenían SOPQ al inicio de la investigación. Una docena de ellas había desarrollado diabetes tipo 2 al final del período de seguimiento y 18, dislipidemia. <br /> <br /> Tras una serie de ajustes en el análisis, los autores hallaron que esas tasas equivalían a un doble de riesgo de diabetes y colesterol elevado en las mujeres con SOPQ, comparado con aquellas sin el síndrome. Los investigadores también analizaron los riesgos de 31 mujeres de peso normal con SOPQ al final del estudio. Esas mujeres corrían el triple de riesgo de diabetes tipo 2, comparado con las pacientes con peso normal y sin el síndrome. <br /> <br /> A los 14 años de iniciado el estudio, 746 participantes fueron evaluadas nuevamente por el SOPQ y 15 de ellas aún tenían el síndrome. Esas mujeres con SOPQ "persistente" tenían un riesgo siete veces mayor a desarrollar diabetes tipo 2 durante los siguientes cinco años. <br /> <br /> El hecho de que los síntomas de SOPQ desaparecieran en muchas de las mujeres con el tiempo sugiere que el síndrome se vuelve menos común con la edad, como habían indicado estudios previos, observó el Dr. Chang en su editorial. Dado que estas mujeres aún corrían más riesgo de diabetes pese a no tener más SOPQ, los resultados también sugieren que el exceso de secreción de hormona masculina no sería la principal causa de este incremento en las posibilidades de presentar diabetes, añadió. "Por ello, el continuo énfasis en la modificación de la conducta y el estilo de vida es fundamental en las mujeres afectadas por este desorden", concluyó el Dr. Chang.</p> <br /><a href="http://journals.lww.com/greenjournal/Abstract/2011/01000/Polycystic_Ovary_Syndrome_and_Risk_for_Long_Term.3.aspx" target="_blank">Obstetrics & Gynecology 2011;117:6-13 </a>
2011-01-10T05:59:12-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/36
Obesidad: La obesidad extrema triplicó el riesgo de muerte por gripe A
2011-01-10T05:48:31-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0in 0in 10pt;"><a href="/index.php/finlay/announcement/view/36"><img style="float: left;" title="h1n1_540_540" src="/public/site/images/mikhail/h1n1_540_540.jpg" alt="h1n1_540_540" width="194" height="145" /></a>Investigadores del Departamento de Salud Pública de California, Estados Unidos, han conseguido demostrar que la obesidad extrema fue el principal factor de riesgo de muerte por el virus H1N1, responsable de la gripe A, en 2009, triplicando el número de fallecimientos a causa de esta enfermedad.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Según los datos que los responsables de este departamento recogieron entre abril y agosto del año pasado, la mitad de los californianos mayores de 20 años que fueron hospitalizados a causa del virus eran obesos, definiendo la obesidad extrema como un índice de masa corporal (IMC) igual o superior a 40.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">"Las personas extremadamente obesas, cuyo IMC supere esa barrera, deben vacunarse anualmente contra este virus, pues el riesgo que corren es muy elevado", ha advertido la autora de esta investigación, la doctora Janice Louie, que ha hecho hincapié en la necesidad de avanzar en los conocimientos sobre la enfermedad y en la relación que mantiene con la obesidad.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">En su opinión, estas personas deben consultar a su médico de cabecera en cuanto manifiesten los primeros síntomas de una gripe, "de manera que puedan ser diagnosticadas y tratadas lo antes posible".</div><div style="margin: 0in 0in 10pt;"><strong>Otras noticias sobre el tema</strong></div><div style="margin: 0in 0in 10pt;"><h3><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/confirma/efecto/gripe/a/h1n1/embarazadas/_f-11+iditem-9557+idtabla-1">Se confirma el efecto de la gripe A/H1N1 en las embarazadas</a></h3></div><div style="margin: 0in 0in 10pt;">Un nuevo estudio constata que el virus afecta especialmente a las gestantes con asma, obesidad o diabetes.</div><div style="margin: 0in 0in 10pt;"><h3><a href="http://www.jano.es/jano/actualidad/ultimas/noticias/janoes/obesidad/podria/aumentar/riesgo/complicaciones/graves/gripe/ah1n1/_f-11+iditem-7255+idtabla-1">La obesidad podría aumentar el riesgo de complicaciones graves en la gripe A(H1N1)</a></h3> Un estudio de los CDC muestra la presencia de coágulos en los pulmones en pacientes obesos contagiados con el virus A/H1N1</div>
2011-01-10T05:48:31-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/35
Cardiopatía Isquémica: Asocian la histerectomía con la enfermedad cardiovascular
2011-01-08T10:39:56-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" src="/public/site/images/root/histerectomia_228.jpg" alt="histerectomia_228" width="193" height="144" /><span class="textonormal">Las mujeres a las que se les extirpa el útero por causas distintas al cáncer tendrían riesgo de sufrir un infarto o un accidente cerebrovascular (ACV). Ese riesgo aumentaría aún más en las mujeres a las que también se les extirparon ambos ovarios.<br /> Pero el equipo de Suecia no dice que la extracción del útero o de los ovarios cause enfermedad cardiovascular.<br /> "La histerectomía es un procedimiento seguro. Pero algunas cirugías pueden estar asociadas con riesgos en el largo plazo. Esto es algo que siempre hay que considerar antes de tomar una decisión irreversible", señaló el doctor Daniel Altman, del Instituto Karolinska.<br /> A una de cada tres mujeres de Estados Unidos se le realizará una histerectomía por causas que van desde fibroides o endometriosis hasta dolor pélvico crónico. Rara vez, el cáncer es la causa de la cirugía, aunque para prevenir el cáncer ovárico se suelen extirpar los ovarios.<br /> El equipo de Altman estudió a más de 800 000 mujeres con y sin histerectomías durante tres décadas. En promedio, el seguimiento duró unos 10 años.<br /> Tras considerar varios factores que explicarían las diferencias de riesgo, como el nivel económico o la edad al momento de la histerectomía, el equipo observó que las mujeres con la cirugía antes de los 50 años tenía casi un 20% más riesgo de desarrollar enfermedad cardiovascular que las que conservaban el útero y los ovarios.<br /> En las mujeres con histerectomía y sin ambos ovarios, el riesgo cardiovascular fue de lo más variado: entre el mismo que las mujeres sin cirugías o más del doble que aquellas con histerectomía únicamente.<br /> El momento de las dos cirugías fue importante, publica <a href="http://www.elsevier.com/inca/publications/store/6/0/1/4/8/0/index.htt/"><em>European Heart Journal</em></a>. Por ejemplo, cuatro de 100 mujeres menores de 50 años a las que se les habían extirpado los ovarios antes o junto con la histerectomía desarrollaron enfermedad cardíaca, ACV, o infarto en 10 años.<br /> Y dos de cada 100 mujeres con una histerectomía y una posterior extirpación de ovarios desarrollaron enfermedad cardiovascular, una tasa similar al grupo sin las cirugías.<br /> Dado el tamaño del estudio, el equipo pudo descartar los efectos de las cirugías sobre los distintos tipos de enfermedad cardiovascular. "El riesgo estaba ahí, ya sea que estuviéramos analizando el ACV, el infarto o la insuficiencia cardíaca", apuntó Altman.<br /> El equipo no halló la misma asociación en las pacientes mayores de 50 años con histerectomía. Para el autor, esa diferencia se debería a los cambios hormonales posteriores a la extirpación de los órganos.<br /> Estudios previos habían demostrado que la extracción del útero altera el flujo de sangre a los ovarios, que producen el estrógeno. Extirpar los ovarios activa la menopausia precoz, que está asociada con un mayor riesgo de desarrollar enfermedad cardiovascular.<br /> Nueva York, diciembre 7/2011 (Reuters Health)</span>
2011-01-08T10:39:56-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/34
Cáncer: Los avances en fertilidad proporcionan nuevas opciones a las pacientes con cáncer
2011-01-07T06:49:37-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0in 0in 10pt;"><img style="float: left;" title="fecundacion_in_vitro_540_540" src="/public/site/images/mikhail/fecundacion_in_vitro_540_540.jpg" alt="fecundacion_in_vitro_540_540" width="185" height="138" />Los avances en fertilidad están proporcionando nuevas opciones a aquellas pacientes con cáncer cuya capacidad para tener hijos se ha visto afectada por los tratamientos de quimioterapia y radiación a los que se han sometido, algo que afectó a 1,5 millones de personas en 2009.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">En este sentido, un equipo de investigadores de la Clínica Mayo de Minnesota, en Estados Unidos, ha descubierto que la crioconservación de óvulos es uno de los métodos más efectivos, no sólo para los pacientes con cáncer, sino para cualquier mujer que quiera detener su reloj biológico.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Según uno de los defensores de esta terapia, el doctor Jani Jensen, aunque la congelación de esperma sigue siendo una técnica en la que se puede confiar, el enfoque que ha tenido más éxito en los últimos cinco años implica necesariamente el congelamiento de óvulos.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;"><strong>40 años de recorrido</strong></div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Los ovocitos son células frágiles, cuya conservación se remonta a la década de 1970. Sin embargo, el primer nacimiento exitoso de un óvulo almacenado no se produjo hasta mediados de la década de 1980. "En los últimos cinco años se han producido considerables mejoras en la tecnología de la congelación. De hecho, desde 2004 ha habido miles de bebés nacidos en todo el mundo a partir de óvulos congelados", explica el experto.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">La clave de esta técnica radica en que los embriones son resistentes y pueden sobrevivir a la congelación y descongelación mejor que los óvulos individuales, por lo que tienen más oportunidades de concluir en un embarazo exitoso. Tal y como matizan los investigadores, esta opción "no se reduce sólo a los pacientes con cáncer, sino a todas aquellas personas con problemas reproductivos".</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Otro de los retos científicos que la investigación está abordando es el cultivo y almacenamiento de esperma y de tejido del óvulo de pacientes con cáncer antes de la pubertad. "Aunque de momento no hemos logrado obtener grandes resultados en este sentido, estamos trabajando para impulsar la maduración de estas células en el laboratorio", señala Jensen.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Según concluye, su esperanza es que este tejido pueda ser utilizado más adelante en la vida de estas personas para culminar embarazos. "Hasta la fecha, no se han dado embarazos a través de este método, pero nuestro trabajo necesita todavía un largo camino de experimentación", recuerda.</div>
2011-01-07T06:49:37-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/33
Tabaquismo: Asocian tabaquismo con riesgo de aborto espontáneo
2011-01-07T06:33:29-05:00
Revista Finlay
<p class="entradilla"><img style="float: left;" title="tabac_v1_280_251" src="/public/site/images/mikhail/tabac_v1_280_251.jpg" alt="tabac_v1_280_251" width="177" height="134" />Fumar durante el embarazo también eleva las probabilidades de tener un parto de feto muerto, un parto prematuro o un bebé con bajo peso al nacer.</p> <div class="content"><p><script type="text/javascript">// <![CDATA[ // <![CDATA[ var loadingImage = 'http://www.jano.es/jano/lightbox/loading.gif'; var closeButton = 'http://www.jano.es/jano/lightbox/close.gif'; var maxImageWidth = 950; var maxImageHeight = 730; // ]]></script> <script src="http://www.jano.es/jano/lightbox/lightbox.js" type="text/javascript"></script> <script type="text/javascript">// <![CDATA[ // <![CDATA[ function init() { document.vars.activa.value="1"; document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='bottom'; num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); if (num_imagenes==1) { document.getElementById('flecha_siguiente').style.display='none'; document.getElementById('flecha_anterior').style.display='none'; } if (num_imagenes==0) { document.getElementById('imagenes').style.display='none'; } } function siguiente () { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); activa = parseInt(document.vars.activa.value,10); if(activa<num_imagenes) { activa++; document.vars.activa.value=activa; mostrar(activa); document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='top'; if (activa==num_imagenes) { document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_siguiente').style.backgroundPosition='bottom'; } } } function anterior () { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); activa = parseInt(document.vars.activa.value,10); if(activa>1) { activa--; document.vars.activa.value=activa; mostrar(activa); document.getElementById('flecha_siguiente').style.cursor='pointer'; document.getElementById('flecha_siguiente').style.backgroundPosition='top'; if (activa==1) { document.getElementById('flecha_anterior').style.cursor='default'; document.getElementById('flecha_anterior').style.backgroundPosition='bottom'; } } } function mostrar (activa) { num_imagenes = parseInt(document.vars.num_imagenes.value,10); if (document.getElementById) // DOM3 = IE5, NS6 { for (i=1;i<=num_imagenes;i++) { document.getElementById('imagen_'+i).style.display = 'none'; } document.getElementById('imagen_'+activa).style.display = 'block'; } } // ]]></script></p><form> <input name="activa" type="hidden" value="1" /> <input name="num_imagenes" type="hidden" value="0" /> </form> <div id="imagenes" style="display: none;"><div class="caja_imagenes"><div class="flechas"><span id="flecha_siguiente" class="boton_flecha_derecha" style="cursor: pointer;" onclick="siguiente();"> </span></div></div></div> <!-- imagenes --> <script type="text/javascript">// <![CDATA[ // <![CDATA[ init(); // ]]></script> <p>Un nuevo estudio aporta a las mujeres un motivo más para dejar de fumar antes de quedar embarazadas: reducir el riesgo de sufrir un aborto espontáneo. En un estudio sobre casi 1.300 japonesas que habían tenido un embarazo, los autores hallaron que las grandes fumadoras al comienzo del embarazo eran dos veces más propensas que las no fumadoras a tener un aborto espontáneo en el primer trimestre. <br /> <br /> Además de elevar otros riesgos como el de tener un parto de feto muerto, un parto prematuro o un bebé con bajo peso al nacer, el nuevo estudio, publicado en la revista <em>Human Reproduction</em>, respalda la asociación entre tabaquismo y la pérdida del bebé.</p> <p>El equipo de Sachiko Baba, de la Osaka University, en Japón, revisó los registros de 430 mujeres que habían tenido un aborto espontáneo en el primer trimestre de gestación y se comparó a cada una de ellas con otras dos de su misma edad que habían dado a luz ese mismo año. La revisión mostró que las mujeres que habían fumado por lo menos 20 cigarrillos diarios durante el embarazo fueron dos veces más propensas que las no fumadoras a perder el embarazo. <br /> <br /> Así, el 7% (32) de las mujeres que tuvieron un aborto fumaba esa cantidad de cigarrillos, comparado con el 4% (36) de las 860 mujeres que tuvo un bebé. Según estudios previos, se estima que hasta el 8% de los embarazos se pierde entre la sexta y la octava semana posterior al último período menstrual. A las 10 semanas, esa tasa se reduce al 2%.</p> <p><strong>Estilos de vida perjudiciales</strong><br /> <br /> La mayoría de esos abortos espontáneos suceden en el primer trimestre y los expertos estiman que se debe, principalmente, a anormalidades genéticas que no se pueden prevenir. De todos modos, ciertos hábitos del estilo de vida pueden elevar relativamente ese riesgo, incluido el consumo excesivo de alcohol, la drogadicción y el tabaquismo. <br /> <br /> Los nuevos resultados no prueban que el tabaquismo en sí haya sido la única causa del aumento del riesgo de perder el embarazo en el estudio. El equipo pudo identificar otros factores como el consumo de alcohol y abortos espontáneos anteriores, mientras que la relación tabaquismo/aborto se mantuvo. <br /> <br /> Además, las mujeres que habían trabajado en el primer trimestre eran un 65% más propensas a perder el bebé que las que no habían trabajado fuera de sus casas. Un tercio de las mujeres tuvieron un aborto dijo que había trabajado fuera del hogar, comparado con el 19% de las que dieron a luz. Se desconoce todavía el origen de este resultado, pues el equipo no halló estudios fuera de Japón que hayan identificado la relación entre el trabajo y el aumento del riesgo de tener un aborto.</p> <br /><br /><a href="http://humrep.oxfordjournals.org/content/early/2010/12/13/humrep.deq343.abstract" target="_blank">Human Reproductionl 2010;doi: 10.1093/humrep/deq343 </a></div>
2011-01-07T06:33:29-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/32
Ética Médica: Muchos dispositivos cardíacos son usados en pacientes que no cumplen con los criterios de tratamiento
2011-01-07T00:24:42-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="dispositivos_cardiacos_156" src="/public/site/images/mikhail/dispositivos_cardiacos_156.jpg" alt="dispositivos_cardiacos_156" width="169" height="132" /><span class="textonormal">Muchas personas que no cumplen con los criterios de tratamiento reciben desfibriladores cardíacos implantables, lo que incrementa los costos en atención médica y los riesgos de complicaciones, informaron investigadores estadounidenses.<br /> Los expertos señalaron que hasta un 22,5% de estos desfibriladores cardioversores implantables (DCI), son colocados en personas que no satisfacen las pautas de tratamiento porque tuvieron recientemente un ataque cardíaco o una cirugía de bypass, o porque fueron diagnosticados hace poco o presentan insuficiencia cardíaca.<br /> "La tasa del 22,5% es demasiado elevada y definitivamente mucho mayor de lo que se esperaba", dijo la doctora Sana Al-Khatib, del Instituto de Investigación Clínica de Duke en Carolina del Norte, cuyo estudio fue publicado en la <a href="http://jama.ama-assn.org/"><em>Journal of the American Medical Association</em> (<em>JAMA</em>)</a>.<br /> Los DCI detectan las arritmias cardíacas peligrosas y administran descargas para restaurar los latidos normales del corazón, lo que protege a los pacientes de una muerte cardíaca súbita, en la cual el corazón no puede bombear la sangre. Las personas que han tenido un infarto cardíaco o que tienen "corazones menos eficientes" porque sufren insuficiencia cardíaca corren riesgo.<br /> Los dispositivos no se recomiendan en pacientes que han sufrido recientemente un ataque cardíaco o que aún se están recuperando de una cirugía de bypass cardíaco, ni en quienes tienen síntomas graves de insuficiencia cardíaca.<br /> Los DCI y los marcapasos representan un mercado global de más de 10 000 millones de dólares para los fabricantes de dispositivos médicos, como <em>Medtronic Inc</em>, <em>St. Jude Medical</em> y <em>Boston Scientific</em>.<br /> Para el estudio, Al-Khatib y colegas emplearon un registro nacional amplio de implantes de DCI en pacientes cubiertos por el programa federal estadounidense <em>Medicare</em> para los adultos mayores, pero también incluyeron a una gran cantidad de pacientes con seguros médicos privados.<br /> El estudio observó solo los DCI usados para prevenir una muerte cardíaca súbita y no los dispositivos más costosos que también incluyen a un marcapasos que se utiliza para tratar la insuficiencia cardíaca.<br /> La investigación demostró que de más de 111 000 implantes de DCI entre 2006 y 2009, el 22,5% se realizó en pacientes que no cumplían con las recomendaciones terapéuticas y que estaban demasiado enfermas para recibir esos implantes. De ellos, el 36,8% había tenido un infarto cardíaco dentro de los 40 días previos al implante y el 62,1% había sido diagnosticado con insuficiencia cardíaca recientemente.<br /> Además, los pacientes que recibieron un DCI sin cumplir con los requerimientos fueron más propensos a morir o desarrollar complicaciones que prolongaban su estadía en el hospital.<br /> El implante de cada uno de estos dispositivos cuesta unos 20 000 dólares. "En lugar de destinar nuestro dinero en procedimientos que no beneficiarían a los pacientes, preferiría ver ese dinero usado en procedimientos y dispositivos que puedan ayudarlos", dijo Al-Khatib.<br /> La experta añadió que otros estudios hallaron que muchos pacientes que sí cumplen con los criterios para el tratamiento con DCI no son tratados con los dispositivos.<br /> Chicago, enero 5/2011 (Reuters)</span>
2011-01-07T00:24:42-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/31
Cáncer: Descubren que una proteína podría detener la metástasis del cáncer
2011-01-05T08:07:00-05:00
Revista Finlay
<div style="margin: 0in 0in 10pt;"><img style="float: left;" title="protein_cdk2_280_226" src="/public/site/images/mikhail/protein_cdk2_280_226.jpg" alt="protein_cdk2_280_226" width="194" height="173" />Una investigación internacional, dirigida por científicos del MD Anderson Cancer Center de la Universidad de Texas, Estados Unidos, ha demostrado que una proteína -la CDK1- es capaz de detener a la enzima EZH2, implicada en la metástasis del cáncer. Este estudio, publicado este mes en <em>Nature Cell Biology</em>, abre una nueva vía para luchar contra el cáncer.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Además, este trabajo ha descubierto también que la desactivación de la enzima EZH2 es necesaria para la formación de las células que construyen hueso a partir de las células madre que fabrican éstos y otros tejidos. Este descubrimiento podría abrir nuevos caminos para la medicina regenerativa en enfermedades óseas.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Según el principal autor del trabajo, Mien-Chie Hung, profesor y jefe del Departamento de Oncología Molecular y Celular de la MD Anderson, "la encima EZH2 está sobreexpresada en los tumores sólidos agresivos y vinculada a la progresión del cáncer y su metástasis". "La CDK1 es capaz de desactivar la EZH2, reduciendo la migración celular y la invasión en la línea celular del cáncer de mama", dice.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Así, los resultados de este trabajo proporcionan la base para desarrollar un inhibidor de la EZH2 o un fármaco que imite a la proteína que activa esta enzima y se convierta en un nuevo tratamiento contra el cáncer.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;"><strong>Enzima “crucial en el desarrollo embrionario”</strong></div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">La EZH2 silencia la expresión genética adhiriendo un grupo metil a una proteína histona que, interrelacionada con el ADN y otras proteínas, compone los cromosomas. Los genes suprimidos por esta metilación incluyen los supresores tumorales que, de otro modo, podrían prevenir el crecimiento del cáncer y su metástasis.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Estos investigadores demostraron que la CDK1 'cortocircuita' la metilación mediada por la EZH2 adhiriendo diferentes grupos químicos en un proceso denominado fosforilación. Esa fosforilación tiene que darse en un aminoácido específico de la EZH2 para conseguir este efecto.</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">Por otra parte, esta enzima juega un papel en una gran variedad de procesos biológicos. Según Hung, resulta "crucial para el desarrollo embrionario, porque se encarga de 'silenciar' genes, en el proceso que guía la diferenciación de las células madre embrionarias y su conversión en tejidos y órganos".</div> <div style="margin: 0in 0in 10pt;">En un experimento paralelo, los investigadores demostraron también que la fosforilación de la EZH2 es necesaria para la producción de células de hueso. Así, según Hung, "este estudio sugiere también una posible vía para inducir a las células madre mesenquimales a que se diferencien para formar células óseas, lo que podría tener importantes consecuencias a largo plazo en medicina regenerativa para reparar las enfermedades óseas".</div> <br /><a href="http://www.nature.com/ncb/journal/v13/n1/full/ncb2139.html" target="_blank">Nature Cell Biology 13, 87–94 (2011) doi:10.1038/ncb2139</a>
2011-01-05T08:07:00-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/30
Cáncer: Desarrollan prueba sanguínea para detectar cáncer
2011-01-04T05:07:05-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="cancer_im_220" src="/public/site/images/mikhail/cancer_im_220.jpg" alt="cancer_im_220" width="192" height="147" /><span class="textonormal">Una prueba sanguínea extremadamente sensible y que puede detectar una célula cancerosa entre miles de millones de células saludables podría estar en breve disponible para los médicos. Científicos de Boston que inventaron la prueba y la gigante farmacéutica Johnson & Johnson tenían previsto anunciar los esfuerzos que planean realizar para ponerla en el mercado. Por su parte, cuatro importantes centros contra el cáncer emprenderán este año estudios que utilizarán la prueba de forma experimental.<br /> La presencia de algunas células cancerígenas en la sangre significa que un tumor se ha propagado o esta por hacerlo, a decir de muchos doctores. Una prueba que pueda detectar esas células tiene el potencial de transformar el tratamiento para muchos tipos de cáncer, en especial los de mama, próstata, colon y pulmón.<br /> Los médicos desean utilizar en un principio la prueba en un intento por predecir qué tratamientos serían los mejores para los tumores de los pacientes y determinar de manera rápida si son eficaces.<br /> Esto equivaldría a una biopsia líquida que evitaría la toma dolorosa de una muestra de tejido y permitiría una mejor observación de los pacientes que con imágenes periódicas de escáner, dijo el doctor Daniel Haber, jefe del centro para el cáncer del Hospital General de Massachusetts y uno de los inventores de la prueba.<br /> Se espera que con el tiempo la prueba pueda servir para detectar el cáncer además de las mamografías, colonoscopías y otros métodos que se utilizan ahora y están lejos de ser los ideales.<br /> "Estas pruebas tienen mucho potencial, por eso hay tanta expectativa", dijo el doctor Mark Kris, jefe de cáncer de pulmón en el centro del Cancer Memorial Sloan-Kettering en Nueva York. Kris no participó en el desarrollo de la prueba, pero el centro Sloan-Kettering es uno de los lugares que la estudiarán este año.<br /> A muchas personas se les diagnostica el cáncer mediante la toma de biopsias con agujas. Las muestras a menudo no son suficientes para determinar qué genes o variables controlan el crecimiento de un tumor. En otros casos la muestra quizá ya no esté disponible para cuando el paciente es enviado al especialista que prescribirá el tratamiento.<br /> Los médicos aplican de manera ordinaria un tratamiento con fármacos o radiaciones y efectúan un examen computarizado con escáner dos meses después para observar la reducción del tumor.<br /> Algunos pacientes apenas viven lo suficiente para recibir uno o dos tratamientos, así que tendrían más opciones con una prueba que determinará la eficacia de los métodos lo más pronto posible, mediante la detección de células cancerígenas en la sangre.<br /> Sería extraordinario que se pudiera saber con rapidez que "este medicamento está funcionando, continúese con él o no es eficaz, pruébese otro", expresó Haber.<br /> La única prueba disponible en el mercado ahora para detectar células cancerígenas en la sangre solo facilita una cuenta de ellas, pero no las aglomera para que los médicos puedan analizarlas y elegir los tratamientos. Esta prueba es la CellSearch y la fabrica la unidad Veridex de Johnson & Johnson.<br /> El interés en intentar aglomerar estas células surgió en el 2007, después de que Haber y sus colegas publicaran un estudio de la prueba efectuada en el hospital general de Massachusetts.<br /> Boston, enero 3/2011 (AP)</span>
2011-01-04T05:07:05-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/29
Factores de riesgo: Antecedentes familiares de alcoholismo elevan riesgo de predisposición a la obesidad
2011-01-04T04:47:56-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="vino_448" src="/public/site/images/mikhail/vino_448.jpg" alt="vino_448" width="197" height="147" /><span class="textonormal">Las personas con antecedentes familiares de alcoholismo optarían por comidas muy calóricas en lugar de beber para satisfacer su adicción, dijeron investigadores estadounidenses, un cambio que podría estar incentivando la epidemia de obesidad. Dado que el alcohol y los atracones con comida chatarra estimulan las mismas partes del cerebro, podría ser que las personas con una predisposición al alcoholismo estén reemplazando la bebida con esos alimentos, indicó un equipo de la Washington University en St. Louis.<br /> Esto es aún más común en las mujeres, añadieron los autores.<br /> "La mayor parte de lo que comemos actualmente contiene más calorías que lo que ingeríamos en los 70 y los 80, pero además tiene las calorías -particularmente una combinación de azúcar, sal y grasa- que atraen a los llamados centros de recompensa en el cerebro", dijo Richard Grucza, quien trabajó en el estudio publicado en <a href="http://archpsyc.ama-assn.org/"><em>Archives of General Psychiatry</em></a>.<br /> "El alcohol y las drogas afectan las mismas partes del cerebro y de nuestro pensamiento porque estimulan las mismas estructuras cerebrales; el consumo excesivo de esa comida (chatarra) sería mayor en las personas con una predisposición a la adicción", añadió el experto.<br /> El equipo de Grucza comparó las tendencias a la adicción y a la obesidad a partir de un sondeo nacional en Estados Unidos entre 1991-1992 y el 2001-2002. Casi 80 000 personas participaron en ambas encuestas.<br /> El equipo halló que en el 2001-2002, las mujeres con una historia familiar de alcoholismo eran un 49% más propensas a la obesidad que aquellas sin antecedentes de alcoholismo en la familia.<br /> Lo mismo sucedió con los hombres, en menor grado.<br /> Grucza dijo que el estudio sugiere que el alcoholismo y la obesidad son de herencia cruzada, al igual que la adicción al alcohol y las drogas. Esto se debería, en parte, a cambios en estilo de vida, como el incremento de la ingesta de comida rápida.<br /> El estudio forma parte de la creciente evidencia de una relación entre el abuso de alcohol y la obesidad, particularmente en las mujeres.<br /> La relación entre el alcoholismo y el consumo excesivo de comida podría ayudar a explicar la creciente obesidad en Estados Unidos, que se duplicó del 15% de la población a fines de la década de 1970 al 33% en el 2004.<br /> Chicago, enero 3/2011 (Reuters)</span>
2011-01-04T04:47:56-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/28
Diabetes Mellitus: Mujeres con síndrome de ovario poliquístico son más propensas a sufrir diabetes mellitus
2011-01-03T12:33:01-05:00
Revista Finlay
<img style="float: left;" title="imgen_ecogrfica_del_sndrome_de_ovario_poliqustico_366" src="/public/site/images/mikhail/imgen_ecogrfica_del_sndrome_de_ovario_poliqustico_366.jpg" alt="imgen_ecogrfica_del_sndrome_de_ovario_poliqustico_366" width="233" height="215" /><span class="textonormal">Las mujeres con síndrome de ovario poliquístico (SOPQ), incluso cuando son jóvenes, corren más riesgo a desarrollar diabetes mellitus e hipercolesterolemia, según un nuevo estudio.<br /> "Los médicos no suelen considerar a las jóvenes de 20 a 30 años como un grupo a ser seguido muy de cerca", dijo a Reuters Health la doctora Erica T. Wang, de la Universidad de California en San Francisco, autora de la investigación.<br /> "Nuestro estudio sugiere que debemos reconocer a las mujeres jóvenes que tienen SOPQ y seguirlas más de cerca", agregó.<br /> Dado que este mayor riesgo persistió al paso de los años, incluso luego de que se resolvieron los síntomas del SOPQ, los resultados destacan la importancia de mantener un estilo de vida saludable a largo plazo, señaló el doctor R. Jeffrey Chang, de la Universidad de California en San Diego, en un editorial que acompañó al estudio.<br /> El SOPQ ocurre entre el 5 y 10% de las mujeres en edad reproductiva, según el Centro Nacional de Información sobre Salud Femenina de Estados Unidos. Los niveles "anormalmente" altos de andrógeno pueden provocar infertilidad, menstruación irregular, crecimiento excesivo del vello y quistes ováricos, además de aumento de peso, especialmente en la cintura.<br /> Más allá de la dieta y el ejercicio, el SOPQ puede tratarse con la administración de fármacos para reducir los niveles de insulina y a veces con terapias hormonales, como píldoras anticonceptivas o medicamentos reductores de andrógeno.<br /> Estudios relacionaron el SOPQ con varios factores de riesgo de enfermedad cardíaca, como la obesidad e la hipertensión arterial, además de la diabetes mellitus. Pero aún no está claro si el síndrome en sí es el responsable de ello, indicaron la doctora Wang y sus colegas en la edición de enero de la revista <em>Obstetrics and Gynecology</em>, ya disponible en internet.<br /> Para investigar el tema, los autores observaron a 1127 mujeres -blancas y afroamericanas- quienes participaron en un estudio a largo plazo sobre factores de riesgo cardíaco que abarcó cuatro ciudades de Estados Unidos. Las mujeres tenían de 20 a 32 años al comienzo del estudio y fueron seguidas durante 18 años.<br /> De las participantes, 53 mujeres tenían SOPQ al inicio de la investigación. Una docena de ellas había desarrollado diabetes mellitus tipo 2 y 18 sufrían dislipidemia al final del período de seguimiento. Tras una serie de ajustes en el análisis, los autores hallaron que esas tasas equivalían a un doble de riesgo del desarrollo de diabetes mellitus e hipercolesterolemia en las pacientes con SOPQ, comparado con las mujeres sin la condición.<br /> Los investigadores también analizaron los riesgos de 31 mujeres de peso normal con SOPQ al final del estudio. Estas participantes corrían el triple de riesgo de sufrir diabetes mellitus tipo 2, comparado con las pacientes con peso normal y sin el síndrome.<br /> A los 14 años de iniciado el estudio, 746 participantes fueron evaluadas nuevamente para detectar si tenían el SOPQ. Los expertos hallaron que 15 mujeres aún tenían la afección. Esas pacientes con SOPQ "persistente" presentaron un riesgo siete veces mayor a desarrollar diabetes mellitus tipo 2 durante los siguientes cinco años.<br /> El hecho de que los síntomas de SOPQ desaparecieran en muchas de las mujeres sugiere que el síndrome se vuelve menos común según aumenta la edad, como habían indicado estudios previos, observó el doctor Chang en su editorial.<br /> Dado que estas mujeres aún corrían más riesgo de desarrollar diabetes mellitus pese a no tener más SOPQ, los resultados también sugieren que el exceso de secreción de hormona masculina no sería la principal causa de este incremento en las posibilidades de padecer diabetes mellitus, añadió. "Por ello, el continuo énfasis en la modificación de la conducta y el estilo de vida es fundamental en las mujeres afectadas por este desorden", concluyó Chang.<br /> Nueva York, diciembre 31/2010 (Reuters Health)</span>
2011-01-03T12:33:01-05:00
https://revfinlay.sld.cu/index.php/finlay/announcement/view/27
Nutrición: Sobrepeso antes del embarazo no influye en el desarrollo intelectual de los hijos
2011-01-02T14:49:05-05:00
Revista Finlay
<a href="/index.php/finlay/announcement/view/27"><img style="float: left;" title="cintura_237" src="/public/site/images/mikhail/cintura_237.jpg" alt="cintura_237" width="148" height="112" /></a><span class="textonormal">A pesar de algunas pruebas que muestran lo contrario, el sobrepes</span><span class="textonormal">o antes del embarazo no estaría asociado con tener bebés con más riesgo de desarrollar problemas conductuales e intelectuales.<br /> En los últimos años, algunos estudios hallaron que los bebés de mujeres con sobrepeso solían tener más problemas de conducta, como el trastorno de déficit de atención con hiperactividad (TDAH), que los hijos de mujeres con peso normal antes de quedar embarazadas. Existen pruebas que asocian también el sobrepeso materno con problemas leves de aprendizaje en los hijos.<br /> Pero en el nuevo estudio, sobre unos 7500 niños del Reino Unido y de Holanda, los autores no hallaron una correlación consistente entre el peso materno previo al embarazo y el desarrollo intelectual de sus hijos o el riesgo de que desarrollen TDAH y otros problemas de conducta. Otros factores parecieron explicar esa relación, como el hecho de que las madres más obesas tendieran a tener menos educación formal e ingresos que las mujeres con peso normal.<br /> Los resultados sugieren que el "peso materno extra" no afectaría directamente el desarrollo fetal como para dañar las habilidades cognitivas o la conducta de los hijos, según publicaron los expertos en la revista <a href="http://www.pediatrics.org/"><em>Pediatrics</em></a>.<br /> El análisis, realizado por el equipo de la doctora Marie-Jo Brion, de la Universidad de Bristol, Reino Unido, reunió los datos de dos estudios sobre la salud y el desarrollo infantil. Una de las investigaciones siguió a un grupo de niños británicos nacidos en 1991 o 1992; la otra, a niños de Holanda nacidos entre el 2002 y 2006.<br /> El equipo no halló una relación evidente entre el peso materno previo al embarazo y el rendimiento de sus hijos en pruebas de lenguaje y otras habilidades a edad preescolar y escolar. A primera vista, existirían algunos nexos. Por ejemplo, los hijos de mujeres con sobrepeso tendían a obtener resultados más bajos en las pruebas de lenguaje, pero tras considerar factores como la educación de los padres y el ingreso familiar, desapareció toda relación.<br /> Tampoco hubo una conexión sólida entre el peso materno y los problemas de conducta de los hijos, según las madres y, en el estudio del Reino Unido, las maestras. Lo importante es que los resultados no respaldan un efecto biológico del peso materno sobre el bebé, concluyó el equipo de Brion.<br /> Nueva York, diciembre 31/2010 (Reuters Health)</span>
2011-01-02T14:49:05-05:00